La fabbrica del consenso al fascismo
La campagna propagandistica per l’”oro alla patria" e la raccolta del ferro per farne cannoni segnò uno dei momenti di massimo coinvolgimento popolare, di massimo consenso di massa al regime fascista. Siamo alla fine del 1935, da pochi mesi l'Italia è in guerra. Gli italiani sono sollecitati da una massiccia propaganda ad offrire anche le loro fedi nuziali, sostituite da una fede in acciaio, per far fronte alle spese della guerra e alle sanzioni economiche decretate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia dopo l’aggressione all'Etiopia.
Anche esponenti dell'opposizione, come Croce o Albertini consegnano le loro medagliette di ex parlamentari. Con l'oro si raccoglie anche il ferro: pregevoli ed antiche cancellate sono divelte per essere fuse e trasformate, secondo la propaganda del regime, in cannoni. In realtà l’oro raccolto è poca cosa: fra l'altro molti italiani, specialmente nei ceti medio-alti, donano fedi acquistate per l’occasione, nascondono le fedi vere per un futuro ancora incerto e mettono al dito le fedi d'acciaio. Il ferro delle cancellate è altra cosa da quello dei cannoni. Ma più che il risultato economico contava, agli occhi del regime, il coinvolgimento della popolazione civile nel clima bellico, la conquista del consenso.
Certo è difficile parlare di consenso se per esso si intende una adesione libera, consapevole e critica di una maggioranza della popolazione agli ideali proposti dal regime. Ma un consenso vi fu tuttavia: entusiastico e spesso cieco nella cerchia dei dirigenti del partito e delle organizzazioni fasciste e poi via via, in cerchi concentrici più ampi, un consenso indotto dalla propaganda, imposto dal ricatto del posto di lavoro o dalla minaccia sempre presente della repressione.
A fianco a questo consenso articolato e variegato, vi fu sempre un dissenso che in minoranze ristrette fu consapevole e perfino impegnato e combattivo, fino a iniziative di cospirazione antifascista, e in strati più ampi della popolazione, specie nel mondo contadino, assunse forme spesso distaccate e scettiche ma talvolta anche di protesta e provocò la pronta e dura reazione del regime.
Agli inizi della sua ascesa Mussolini si preoccupò del potere più che del consenso; ma il problema del consenso si pose con urgenza quando, sotto l'impressione provocata dall'assassinio di Matteotti, il potere stesso apparve in pericolo. Fu allora avviata la prassi delle "veline": non essendovi ancora macchine fotocopiatrici le istruzioni alla stampa fedele a Mussolini venivano diramate su fogli dattiloscritti in più copie su carta velina.
La stampa fu sottoposta via via a un crescente controllo e subì un processo di progressiva fascistizzazione: <<In un regime totalitario - dirà Mussolini in un discorso del 10 ottobre 1928, quando il processo sarà sostanzialmente compiuto - la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime… Ecco perché tutta la stampa italiana è fascista e deve sentirsi fiera di militare compatta sotto le insegne del Littorio». La fascistizzazione della stampa avvenne per gradi. Pochi i giornali di proprietà del regime: fra essi, accanto a Il Popolo d'Italia, alcune testate minori come Il Tevere diretto da Telesio Interlandi che si distinguerà nella campagna in favore del razzismo, L'Impero diretto da Carli e Settimelli sempre all'avanguardia nelle campagne giornalistiche più accese, o giornali locali come Cremona nuova di Farinacci e Il Corriere Padano di Balbo che esprimevano le posizioni personali dei rispettivi capi. Ma per i più importanti giornali, come Il Corriere della sera e La Stampa, il fascismo, senza acquistarne la proprietà, intervenne attraverso la nomina di direttori in linea con la politica del regime. Importanza crescente assunse l'Ufficio Stampa del Presidente del Consiglio (poi Capo del Governo) forte di nuove leggi che avevano accentuato il controllo sulla stampa; questo ufficio, attraverso «gli ordini alla stampa» con le ricordate e sempre più numerose veline orientava l'informazione ed elargiva sussidi e contributi a giornalisti per conquistarne il favore.
Nel maggio 1933 losef Goebbels, il mago della propaganda nazista responsabile del Ministero «per la propaganda e la spiegazione al popolo», viene in Italia e visita fra gli altri istituti fascisti, l’Ufficio Stampa: a seguito anche di quella visita e dei consigli del gerarca nazista, l'Ufficio Stampa è trasformato nel settembre 1934 in un sottosegretariato sotto la direzione del genero del Duce Galeazzo Ciano, per essere elevato poi nel giugno 1935, al rango di Ministero per la Propaganda. Ma il controllo della stampa non è sufficiente al regime in un paese come l'Italia in cui i giornali poco diffusi e non raggiungono le grandi masse popolari. Galeazzo Ciano si pone il problema di un rafforzamento delle competenze e della struttura del ministero: alle due direzioni per la stampa sono affiancate quelle per la propaganda, il cinema, il turismo e il teatro. Quando Galeazzo Ciano parte per l'Etiopia per partecipare alla guerra, la direzione del Ministero è assunta dal suo sottosegretario Dino Alfieri che in un discorso al Senato nel 1937 così riassume la funzione del ministero: «Tutto ciò che si presenta alle masse attraverso giornali, libri, radio, teatro e cinema deve essere governato da un chiaro e sincero spirito fascista. Adesso il momento è venuto di superare la fase repressiva per una fase nella quale sarà possibile offrire alla massa popolare un nutrimento spirituale più adatto alle particolari esigenze del nostro tempo».
Nel maggio 1937 il ministero assunse la nuova denominazione di Ministero per la Cultura Popolare (detto il Minculpop): con il termine "popolare" si vuole sottolineare appunto una attenzione e un impegno non riservato agli intellettuali ma rivolto alle masse per una vera rivoluzione culturale. Radio, cinema e arte diventano gli strumenti di questa rivoluzione. Le opere del regime sono esaltate e propagandate con ossessiva insistenza dai notiziari dell'Istituto Luce: nuove strade, interventi urbanistici, bonifica di terre malsane, iniziative per il «restringimento delle distanze sociali» e in favore della maternità e dell'infanzia.
Nel calendario, all'anno dell'era cristiana, si affianca quello dell'era fascista; si cancellano alcune feste civili del passato se ne creano di nuove. Il 21 aprile, natale di Roma, sostituisce il I maggio, festa del lavoro. Il mito della romanità, specie dopo la conquista dell'Impero etiopico, è proposto come elemento di identità collettiva stabilendo una audace continuità ideale fra la Roma dei Cesari e la Roma fascista. I simboli della romanità e il fascio in particolare si moltiplicano sugli edifici pubblici e privati e invadono il paese.
Il 23 settembre 1937 Mussolini inaugura una mostra della romanità in occasione del bimillenario di Augusto, in simbolica coincidenza con la riapertura della mostra dedicata alla rivoluzione fascista: nei discorsi inaugurali è insistente l'accostamento fra la Roma antica e la Roma fascista: «Roma sotto la guida del Duce… ha ripreso la sua fatale missione» di civiltà nel mondo moderno …
Il culto dei caduti della rivoluzione fascista assunse forme religiose; in un opuscolo del 1923 edito dal Partito Nazionale Fascista, dal titolo Fascismo e Religione si legge: «Un popolo o meglio una milizia che affronta la morte per un comandamento, che accetta la vita nel suo purissimo concetto di missione e l'offre in sacrificio, ha veramente quel senso del mistero che è motivo fondamentale della religione ed afferma verità che non discendono da umani ragionamenti, ma sono dogmi di una fede».
Nella sede nazionale del Partito Nazionale Fascista vi è una "cappella votiva" dedicata ai martiri della rivoluzione. In ogni sede del fascio vi è un "sacrario" dove si venerano i caduti e sono custoditi i cimeli del "tempo eroico" della rivoluzione. Il ricordo dei caduti è rinnovato con il rito dell'appello: al nome del caduto si risponde «presente».
Carlo Scorza, segretario federale di Lucca, in una cerimonia fascista a Valdottavo, benedice egli stesso, in assenza di un sacerdote, i gagliardetti. Si diffonde insomma un «Culto del Littorio» che rappresenta una nuova religione secolare. Al centro di questo culto vi è il Duce. Il Duce è ovunque e costantemente presente: inaugura, pone prime pietre di nuove e imponenti opere pubbliche, partecipa fra i contadini alla «battaglia del grano». La "viva voce del Duce" incoraggia, impartisce direttive, indica i sempre nuovi traguardi della rivoluzione fascista. La mistica del capo diventa un motivo dominante della inculturazione popolare e si afferma nell'arte fascista in forme talvolta parossistiche ...
Il culto e l'immedesimazione con il capo è uno degli elementi tipici dei regimi totalitari di massa, un elemento del quale le successive interpretazioni psicologiche del nazismo e del fascismo (ma l'argomento è applicabile anche allo stalinismo) metteranno in luce la forza e il significato: nella immedesimazione con il capo carismatico l'individuo atomizzato della società di massa, che soffre della sua solitudine, si illude di ritrovare la sua identità e la sua sicurezza. «Il fascismo - ha scritto Arturo Carlo Jemolo - riuscì a convertire i complessi di inferiorità in motivi di orgoglio». Il fascismo diventa religione. Tuttavia Mussolini non pretende come Robespierre di sostituire la religione secolare del fascismo al cristianesimo; i simboli del fascismo si mescolano a quelli del cristianesimo; ma sul cristianesimo il fascismo rivendica un suo primato etico, sicché, come scrive Gentile su Il Corriere della sera del 4 settembre 1929, «lo Stato può in un dato momento, contraddire alla religione, specialmente per quel che riguarda l'ideale della pace e la necessità della guerra».
Di fatto il fascismo, ponendosi come una fede religiosa e costituendo un suo mondo di simboli e di riti, si mette in concorrenza con la Chiesa cattolica sul suo stesso terreno. Da parte cattolica non mancano significative reazioni: non solo antifascisti come Luigi Sturzo o Igino Giordani mettono in guardia i cattolici dal credere in possibili connubi fra cattolicesimo universale e paganesimo nazionalista ma il Papa stesso, Pio XI, ammonisce severamente Mussolini attraverso l'ambasciatore in Vaticano De Vecchi di Valcismon sui rischi del suo farsi un semidio.
Ma non bastava al regime muoversi sul terreno della propaganda di massa, di presentarsi come una nuova religione; le masse al fine di un più intenso coinvolgimento dovevano essere inquadrate. Il partito fu lo strumento principe di questo inquadramento.
Il partito fascista, dopo il colpo di Stato del 3 gennaio 1925, che aveva posto fine al caso Matteotti, diventa progressivamente un organismo dello Stato pienamente soggetto al governo.
Attraverso l'inquadramento e la mobilitazione del popolo italiano, le iscrizioni al partito furono rese obbligatorie per chiunque aspirasse a ricoprire uffici pubblici. Il partito divenne una enorme macchina burocratica, priva di ogni reale funzione politica al di fuori di quella di diffondere fra gli iscritti il culto del capo. La penetrazione del partito rimase sempre diseguale e non omogenea nelle diverse regioni italiane: più profonda al nord assai meno al sud; più ampia fra i giovani che fra gli adulti.
L'organizzazione del partito prevedeva a fianco all'articolazione territoriale, fondata sulla figura del federale, quella per fasce di età: i figli della lupa raccoglievano bambini e bambine; per i maschi si andava poi ai balilla, agli avanguardisti, ai giovani fascisti; per le femmine si saliva dalle piccole italiane alle giovani italiane, alle giovani fasciste. Negli ultimi anni del regime si diventava figli della lupa e cioè fascisti al momento stesso della nascita con l'iscrizione all'anagrafe. Ognuno aveva la sua divisa, partecipava alle sue adunate; il sabato pomeriggio sottratto al lavoro e chiamato perciò «sabato fascista» rappresentava lo spazio per le manifestazioni di partito. Lo sport con i saggi ginnici era uno dei campi di maggior impegno per tutta l'organizzazione di partito. Nei reparti maschili già i balilla disponevano di un moschetto, riproduzione in scala ridotta del famoso fucile modello '91 dei fanti italiani nella prima guerra mondiale, per l'addestramento militare.
La mobilitazione raggiungeva il suo apice in occasione delle grandi manifestazioni di rilievo nazionale. Difficile misurare il grado di coinvolgimento e di adesione che il regime ottenne in tali manifestazioni. Certo una udienza particolare la ebbe proprio fra i giovani: fin dagli inizi il fascismo, riprendendo motivi ben radicati nella cultura del primo novecento, aveva posto l'accento sul tema della giovinezza esaltandone la missione in termini di conquista e perciò di lotta e di guerra. I Littoriali della cultura e dell'arte voluti da Bottai e da Alessandro Pavolini, cui si aggiungeranno nel '39 i Littoriali del lavoro e quelli femminili, creano spazi di libertà di espressione che contribuiscono a orientare verso il fascismo molti giovani.
La prospettiva di una adesione al fascismo per condizionarlo e trasformarlo si fa strada in alcuni settori dell'organizzazione giovanile che diventa palestra di formazione di molti futuri antifascisti della nuova generazione. Con gli anni e sotto lo stimolo potente del modello nazista, la fabbrica del consenso si organizza ed estende il suo raggio d’intervento, ma a questo crescente impegno fa riscontro proprio la incrinatura del consenso e poi la sua progressiva caduta: la prima e più forte incrinatura è rappresentata dall'introduzione in Italia delle leggi razziali volute dal nazismo. La mancanza in Italia di ogni tradizione di razzismo provoca di fronte alle discriminazioni introdotte a danno degli italiani di origine ebrea una reazione diffusa di sconcerto e di disapprovazione.
Subito dopo, la partecipazione alla guerra a fianco alla Germania nazista, se suscita all'inizio una superficiale ondata di entusiasmo, apre il periodo tragico delle restrizioni, dei sacrifici, delle sconfitte delle armi italiane, destinato a concludersi con il crollo del consenso e l'ondata spontanea di esultanza popolare al momento della caduta del fascismo il 25 luglio 1943. Quel giorno nessuno si mosse, neppure la Milizia, in difesa di Mussolini arrestato per ordine del Re: il mito del Duce era crollato. (testo di Pietro Scoppola)
Nelle immagini sopra alcuni dei mezzi utilizzati dal regime fascista per conquistarsi il consenso delle masse.
pubblicità dell'E.I.A.R. durante la seconda guerra mondiale
curiosando tra una pubblicazione e l’altra degli anni ‘30
"Tutta la nostra attività associativa si è ispirata ai comandamenti e al pensiero del Capo. Quale forza operante del Regime, abbiamo dato al Partito il nostro contributo di opere e di presenza seguendo in ogni località le direttive degli organi politici responsabili del cui cameratismo e della cui simpatia, largamente dimostrataci, ci siamo valsi per perfezionare l'inquadramento delle nostre Sezioni e rendere il nostro organismo sempre più consono ai compiti patriottici e sociali che ne regolano l'azione."
Tra le attività svolte dall'associazione troviamo:
2 Novembre 1934
Consegna di moschetti ai Balilla di Lissone.
19 maggio 1935
Inaugurazione vessillo del Gruppo di Santa Margherita di Lissone .
E per finire:
"E' con questo spirito che noi inviamo un fraterno saluto, ai soldati e ai legionari che, nell' Africa Orientale, portano le insegne della nostra civiltà rinnovellata dalla Vittoria e dalla Marcia della Rivoluzione Fascista, ed è con questa fede che noi lanciamo l'appassionato grido ,della nostra anima:
Saluto al Re! Saluto al Duce ! "