Armi per la Resistenza
Dopo l’8 settembre 1943, uno dei principali problemi dei partigiani erano i rifornimenti di armi e di munizioni indispensabili per gli attacchi ai nazifascisti e per la difesa dai rastrellamenti che gli stessi nazifascisti organizzavano periodicamente.
In montagna, il problema non era tanto quello dell'abbigliamento o del mangiare: le popolazioni erano vicine ai loro ragazzi (erano soprattutto giovani, che scappavano dalle città per andare in montagna: le ripetute chiamate alle armi del regime fascista erano disertate in massa. Nel solo distretto di Como ben 1272 ragazzi su 1582 richiamati alle armi disertano tra marzo e aprile '44). Il problema sono le armi: qualche colpo di mano frutta pochi moschetti e qualche pistola, ma ci vuole di più.
E allora come procurarsele?
Varie erano le modalità: prelevandole dai depositi dell’esercito italiano. Erano spesso fucili e poche altre armi leggere che non potevano reggere il confronto con quelle dei nazisti. C’era poi il problema delle munizioni.
In alcuni casi venivano utilizzate le armi abbandonate dai soldati allo sbando dopo l’8 settembre, come, ad esempio, accadde a Monza. I militari in fuga avevano sotterrato nel cortile della scuola Ugo Foscolo di Monza 72 mitra e 2 mitragliatrici. Enrico Bracesco (caposquadra attrezzeria alla Breda, monzese, catturato dai nazisti verrà deportato e morirà a Mauthausen) ed altri gappisti riuscirono a rimpossessarsene con grande coraggio, poiché la scuola nel frattempo era stata occupata dai repubblichini. Enrico Bracesco, provvedeva man mano a distribuirle.
Spesso venivano sottratte, con l’aiuto di alcuni operai, dalle fabbriche che producevano armi: è il caso dell’antifascista lissonese Mario Bettega (noto e apprezzato calciatore della Pro Lissone, operaio della Breda, cadde presto nelle mani dei repubblichini, scoperto mentre trasportava un pacco di otturatori e caricatori provenienti dallo stabilimento sestese, morirà nel lager di Mauthausen).
Si conoscono anche sottrazioni di armi e munizioni dai treni da parte di antifascisti, addetti al carico e scarico di materiale bellico negli scali ferroviari. In altri casi le armi venivano recuperate in seguito ad attacchi ai soldati tedeschi. Per gli esplosivi si ricorreva spesso alla sottrazione dalle polveriere.
Dalla primavera del 1944, gli Alleati rifornivano, tramite i servizi segreti americani Oss (Office of strategic service) ed inglesi MI5 (Military Intelligence Service 5, le forze partigiane mediante aviolanci.
In qualche caso le armi venivano recuperate mediante attacchi alle caserme della Guardia Nazionale Repubblicana, come viene raccontato da Carlo Levati nel suo libro “Ribelli per Amore della Libertà”:
«Dal Comando di Brigata ci veniva comunicata l'imminenza di un rifornimento di armi da parte degli Alleati; e la notizia ci procurò molta gioia. Il lancio dall'aereo sarebbe avvenuto entro il territorio sotto il nostro controllo e cioè tra Gorgonzola, Trezzo e Vimercate. Il segnale avrebbe dovuto darlo Radio Londra con queste parole: "Lucio 101" che significava attesa; "Lucio 1O1 il pollo è cotto" voleva significare che la notte seguente noi avremmo dovuto accendere dei falò nelle località citate e quindi recuperare le armi venute dal cielo. Andammo avanti tante notti ad ascoltare la radio e ad aspettare il famoso "pollo", che non venne mai; tant'è che anche il più paziente di noi, dopo un paio di mesi di vana attesa, si lasciò sfuggire questa battuta: "Se il pollo c'è … ormai è carbonizzato!".
Così, senza ulteriori attese di lanci, decidemmo di organizzare l'assalto alla Caserma dei repubblichini di Vaprio d'Adda per recuperare armi.»
Un importante stazione dell’Oss era a Berna in Svizzera. Nel 1944 l’Oss raggiunse il suo massimo sviluppo con 13.000 agenti ed informatori sparsi sui principali teatri di guerra.
I contatti tra partigiani, il Corpo Volontari della Libertà (CVL) e gli Alleati avvenivano tramite fuoriusciti in Svizzera (il CVL si costituì a Milano il 9 giugno 1944 ed è stato la prima struttura di coordinamento generale dei partigiani ufficialmente riconosciuto sia dagli Alleati che dal Governo italiano).
Giovanni Battista Stucchi, figura di primo piano dell’antifascismo monzese, Capo di Stato maggiore del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, collaboratore di Ferruccio Parri, svolse diverse operazioni di collegamento e di direzione dei contatti con le formazioni partigiane dell’Ossola, del Varesotto e della Brianza.
Nella foto della sfilata della Liberazione a Milano (5 maggio 1945) guidata dal Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà, Giovanni Battista Stucchi è il secondo da sinistra. Da destra a sinistra: Enrico Mattei, Luigi Longo, Raffaele Cadorna, Ferruccio Parri, Giovanni Battista Stucchi, Mario Argenton.
Un altro monzese, Davide Guarenti (verrà trucidato con altri sessantasei detenuti politici nel Poligono di tiro di Cibeno, frazione di Carpi, in provincia di Modena), capo degli antifascisti lissonesi (a Lissone per quattro anni aveva svolto la funzione di vigile urbano) manteneva i contatti con gli oppositori al regime fascista riparati in Svizzera ed in Francia. Tramite loro faceva pervenire informazioni a Radio Londra che le mandava in onda (le trasmissioni in italiano erano aperte dalle prime note della 5ª Sinfonia di Beethoven).
Da Radio Londra venivano trasmessi anche i messaggi in codice riservati alle formazioni partigiane con le conferme degli aviolanci da effettuare.
Grazie ai buoni rapporti tra le formazioni partigiane e gli Alleati, tramite agenti dell'OSS paracadutati, gli aviolanci si intensificarono soprattutto nella tarda primavera del 1945.
I contenuti di un aviolancio comprendeva generalmente armi automatiche e munizioni, esplosivi, materiale per sabotaggi e bombe a mano, vestiario e viveri di conforto. In qualche caso, come quello avvenuto nel maggio 1944 sui Piani di Artavaggio, in Valsassina, il vento disperdeva i paracadute rendendo impossibile ritrovare tutto il materiale lanciato.
Gli aviolanci ebbero una battuta di arresto durante l’inverno del 1944, quando il “Proclama Alexander” fermò l’avanzata sul fronte meridionale della guerra, rimandando ogni iniziativa a dopo l’inverno.
Cartina indicante il punto stabilito in accordo tra comando alleato e quello partigiano per un aviolancio. Quando gli aviolanci avvenivano di notte, gli aerei, spesso inglesi, erano guidati dai falò accesi dai partigiani,
oppure mediante segnali luminosi.
Solo nel corso degli ultimi quattro mesi di guerra, gennaio-aprile 1945, gli Alleati organizzarono 865 lanci di materiale da guerra ai partigiani del nord.
Due terzi di tali lanci riuscirono, cioè 551 per complessive 1200 tonnellate e precisamente 650 tonnellate di armi e munizioni, 300 tonnellate di esplosivo e 250 tonnellate di altri materiali. Con questi aiuti l’efficacia della Resistenza armata fu maggiore nel nord d’Italia.
I bisogni erano tali, che intere flotte di aeroplani sarebbero state necessarie per effettuare i lanci nella misura che avrebbe comportato l'armamento, il munizionamento, l'equipaggiamento di decine di migliaia di uomini.
Come erano organizzati i rifornimenti alle formazioni partigiane? Per mezzo delle radio clandestine della Resistenza, le richieste di ogni formazione, vagliate dai Comandi superiori, venivano trasmesse al Sud con i precisi dati trigonometrici della località e con l'indicazione della più vicina e più elevata cima alpina. Insieme erano forniti due messaggi: uno negativo e l'altro positivo. Quando il Sud decideva di effettuare il lancio, trasmetteva a mezzo radio Londra, per alcuni giorni il messaggio negativo e questo preavvisava la formazione che il lancio era prossimo. Il giorno in cui il lancio veniva effettuato, i partigiani non sentivano più il messaggio negativo, bensì, e per una volta sola, quello positivo e così accendevano subito i fuochi e quella notte, tempo permettendo, il lancio veniva effettuato.
Alcune frasi che per vari giorni erano ripetute dalla BBC: «Marta ha sempre paura», «Le scarpe sono rotte», «Felice non è felice», «Pippo piange», «Il gallo canta», «La luna risplende», erano frasi negative, trasmesse anche in relazione a condizioni atmosferiche sfavorevoli e che poi scomparivano improvvisamente dando il passo ad altre espressioni rimaste sconosciute, perché dette una volta sola e che erano quelle che effettivamente contavano.
il merito della Resistenza
Dopo l’8 settembre del 1943, 500.000 sono stati i collaborazionisti di Salò asserviti agli occupanti nazisti.
La popolazione italiana in questo frangente storico ha compiuto una scelta chiara e significativa, sostenendo, con piccoli e grandi atti di eroismo, la lotta contro i nazisti.
Quasi 250.000 sono stati i partigiani che hanno combattuto; 44.720 sono morti.
21.186 sono stati gli invalidi ed i mutilati.
600 le medaglie al valor militare
124.813 sono i cittadini riconosciuti patrioti, ma accanto ad essi centinaia di migliaia gli operai che hanno resistito ai nazifascisti con gli scioperi, difendendo le fabbriche o sabotando la produzione.
Centinaia di migliaia di persone hanno nascosto i partigiani, gli ebrei ed i perseguitati, li hanno curati quando feriti, hanno procurato loro cibo e assistenza.
Gli Alleati, al termine del conflitto, hanno riconosciuto il grande contributo militare della Resistenza. Molti storici, anche tedeschi, hanno messo in rilievo questo fatto sulla base di documenti rinvenuti negli archivi.
La parte migliore del popolo italiano aveva riconquistato per tutta la Nazione la dignità perduta dopo venti anni di regime fascista e tre anni di guerra al fianco di Hitler.
L’Italia è così diventata un paese democratico. Questi valori di democrazia e di rispetto della persona umana vennero sanciti con la Costituzione, promulgata nel 1948 e divenuta fondamento della nostra convivenza politica e civile.
La conquista della libertà e della democrazia rappresenta un bene inattaccabile che dobbiamo agli uomini che hanno lottato nella Resistenza.
Lo avrai camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
Su queste strade sé vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
resistenza
Ode di Piero Calamandrei al gen. Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia durante la seconda guerra mondiale.
Kesselring, processato a Venezia da un tribunale militare inglese nel 1947, fu condannato alla fucilazione. La condanna fu poi commutata in ergastolo ed infine, nel 1952, Kesselring venne graziato.
Durante il processo ebbe il coraggio di richiedere un monumento m suo onore, visto che, a suo parere, aveva mantenuto durante l'occupazione nazista in Italia un atteggiamento magnanimo nei confronti delle popolazioni civili e dei resistenti.