Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

un’opera poco conosciuta di Giuseppe Terragni

28 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo


La sala O della Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932

La Mostra della Rivoluzione Fascista, aperta al pubblico agli inizi del mese di ottobre, segnò l'apice di un vasto programma espositivo del regime fascista inaugurato agli inizi del 1932.

Un modello che si basava sull'ideazione di un percorso tematico e su una suddivisione della mostra in diverse sezioni, ognuna delle quali trattava un aspetto del tema dell'esposizione. All'ideazione di ciascuna sezione collaboravano uno storico e uno o più artisti o architetti che insieme ne curavano l'allestimento.

Nella Mostra della Rivoluzione Fascista l'uso della fotografia divenne centrale nell' allestimento e nell' architettura delle sale; non si presentarono semplici ritratti ma anche gigantografie, fotomontaggi montati su pannelli ed esposti a tutta parete insieme a fotomosaici (detti anche fotomurali). La fotografia quindi, non solo ricopriva intere pareti delle sale espositive ma era incorporata nell'architettura della mostra, diventando parte integrante del design dell'esposizione.

Le sale erano 19, contrassegnate con lettere dell'alfabeto e organizzate cronologicamente ognuna allestita con plastici a parete, fotomontaggi, bandiere, sculture, statue e oggetti tridimensionali d'ogni genere.

L'itinerario della mostra conduceva i visitatori negli avvenimenti storici italiani dal 1914 al 1922, secondo una lettura fascista della storia: dal 1914 (sala A) all'adunata dei Fasci d'Azione rivoluzionaria (sala B) alla guerra italiana (1915-1918) (sale C e D); dalla fondazione dei Fasci (Sala E) agli altri avvenimenti cruciali dell'anno 1919 (sale F e G); dal 1920 (sale H e I) alla presa di Fiume e della Dalmazia (sale L e M); dall'anno 1921 (sala N) fino al 1922 (sala O). Arrivati a questo punto, i visitatori avevano ripercorso la storia del fascismo ed erano stati assaliti dalle informazioni visive che straripavano dalle pareti e dalle bacheche.

Gli osservatori venivano aggrediti in continuazione dal materiale esposto e questa continua sollecitazione emotiva faceva sì che ogni elaborazione critica fosse rimandata in continuazione fino a essere negata.

Le sale dedicate alla marcia su Roma, avevano il compito di rappresentare un punto fermo nella storia del fascismo, il momento in cui il movimento fascista si trasforma in regime, e questo cambiamento era sottolineato dalla pro­gressiva trasformazione dell' architettura modernista in architettura celebrativa.

Sia l'architettura austera che la penombra che regnava nell' ambiente contribuivano a produrre un forte impatto emotivo, rafforzato dalla registrazione di voci che intonavano «Giovinezza».


La sala
O

Specialmente nell' architettura della sala O, ideata da Giuseppe Terragni, uno dei più importanti architetti razionalisti italiani, la fotografia risultava l'elemento strutturante.

Per questa sala Terragni ideò un allestimento assolutamente inedito, basato su fotomosaici o fotomurali, enormi fotomontaggi a tutta parete che interpretavano gli episodi salienti dell' anno 1922, dal gennaio fino agli inizi del mese di ottobre.

Tramite il montaggio e poi la stampa di più negativi, si creava un'immagine che comprendeva primi piani insieme a campi medie lunghi, eliminando ogni spaziatura cosi da riprodurre la percezione del tumultuoso e incalzante evolversi degli avvenimenti documentati.

I fotomosaici erano fondamentali in questa sezione, che dava forma all'incalzante susseguirsi delle azioni squadriste che culminarono con la  mobilitazione fascista contro lo «sciopero egalitario», l'incendio dell' «Avanti!» e l’occupazione di Palazzo Marino a Milano e Palazzo S. Giorgio a Genova, insieme al susseguirsi delle azioni sovversive nelle varie città italiane che anticiparono la marcia su Roma. 
undefined

La sala O era dunque centrale nel percorso della mostra, perché rappresentava una svolta nel movimento fascista e il culmine delle manifestazioni di massa per l’assalto al governo e la presa del potere. 

Il fotomosaico «Adunate!» ricopriva tutta la parete di sinistra della sala O e riproduceva un fotomurale gigantesco lungo 10 metri composto da primi piani e sfondi di adunate oceaniche da cui emergevano tre eliche al di sopra delle quali si stagliava una selva di mani levate nel saluto romano, illuminate dal basso da una luce abbagliante. Al centro del fotomosaico era riprodotto l'ingrandimento di una lettera di Mussolini, che cosi scriveva: «Ai pavidi, ai diffamatori, alle canaglie tutte che tentano con mezzi obliqui e criminali di arrestare il Fascismo, possiamo rispondere che, quando "si dà col sangue alla ruota il movimento", si arriva alla meta suprema: la grandezza della Patria. Mussolini».

Sia la citazione del verso di Giosuè Carducci «quando col sangue a la ruota si dà il movimento», sia la vetrina con i ritratti e gli oggetti-reliquia, facevano allusione a una sorta di sacrificio dei fascisti, e alloro patto di sangue che mitigava il minaccioso militarismo rappresentato dall'immagine.

Nel fotomosaico di Terragni, vero esempio di uso fascista della fotografia, le sagome delle mani tese nel saluto romano, invece di significare partecipazione dell'individuo alla vita politica, funzionavano da mera decorazione all'immagine centrale delle masse, contenute e risucchiate dalle turbine.

Una massa indifferenziata, non l'insieme dei singoli individui. Il fotomurale di Terragni costituiva quindi un perfetto esempio di estetizzazione della violenza, propria dell'immagine fascista.



Le immagini seguenti riproducono alcune pareti della sala ideata da Giuseppe Terragni. Sono enormi fotomontaggi che interpretavano gli episodi salienti dell' anno 1922, dal gennaio fino agli inizi del mese di ottobre.

undefined undefined undefinedfotomurale dal titolo "me ne frego"

"iene umane"

"incendio dell'Avanti (n.d.r. girornale del Partito Socialista)"

"

Lire la suite

La Casa del Fascio di Lissone

26 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Nel novembre del 1922 si era costituita a Lissone la sezione locale del Fascio nazionale di combattimento. 
undefined


inaugurazione del gagliardetto del Fascio di Lissone

Nelle elezioni politiche dell’aprile 1924, il Listone di Mussolini, capo del Governo, che su scala nazionale aveva avuto una media del 60% dei votanti, scesa al 18,7 % in Brianza, a Lissone con 307 voti (pari al 13,2 %) aveva ottenuto il peggiore dei risultati elettorali d’Italia.
undefinedrisultati delle elezioni a Lissone

Per il Duce fu una sconfitta bruciante, simboleggiata dal fatto che Mussolini ebbe 5460 preferenze contro le 10.000 di Grandi e le quasi 9.000 di Angelo Mauri; il deputato ex-popolare Cavazzoni, che aveva appoggiato il fascismo, ebbe 267 voti. 


Allora la furia di Mussolini si era abbattuta sulla Brianza.

undefined
manifesto di minaccia dei fascisti di Monza e circondario

Fu emesso il seguente manifesto:

"Fascisti! Il popolo ha già sofferto abbastanza, non lo dobbiamo più picchiare ma compiangere. Bisogna picchiare in alto, colpire i capi, i responsabili della rovina del nostro paese. Fascisti! Se incontrate Riboldi, Reina, Marelli, Grandi, Casanova ecc. picchiateli senza misericordia. Dobbiamo liberare Monza e l'Italia da questo lurido marciume che la infesta. Morte agli indecenti sfruttatori del proletariato ".

I popolari entrarono in possesso dell'ordine scritto di Mussolini con tutti gli obiettivi da colpire, bianchi e rossi; tutti furono avvertiti in tempo e riuscirono a scampare alla successiva ondata di devastazioni.

Una raffica di violenze colpì le istituzioni cattoliche e quelle socialiste. Con l'aiuto di squadre fasciste giunte dalla Bassa milanese e da Milano, solo a Monza furono devastate le sedi de «Il Cittadino» e della Camera del Lavoro, 14 circoli cattolici e 12 socialisti; e nel circondario cooperative, circoli e biblioteche di ben 43 paesi subirono la stessa sorte. A Lissone la vendetta fascista si scatenò sull’Osteria della Passeggiata, con danni materiali e percosse ai presenti, e sul circolo della gioventù cattolica San Filippo Neri.

Una seconda ondata di violenze provocò stavolta anche la reazione di papa Pio XI e della Curia milanese, che tuttavia prese le distanze dal Partito Popolare Italiano, mentre le autorità, per evitare incidenti chiudevano tutti i locali cattolici e socialisti.

Con quelle elezioni Mussolini si garantiva una maggioranza blindata di 374 deputati di cui 275 fascisti: era la fine del regime parlamentare; la denuncia dei brogli e delle violenze svolta in Parlamento da Giacomo Matteotti gli costò la vita.


All'inizio degli anni Trenta, il fascismo lissonese iniziò a manifestare la necessità di costruire una Casa del fascio, da collocarsi nella piazza Vittorio Emanuele III. In una nota inviata al podestà, il segretario politico Tosi illustrò con chiarezza i benefici che la costruzione avrebbe comportato per la causa fascista:

“Ella comprende benissimo che col compimento di tale opera sarebbe di gran lunga facilitato il compito alle gerarchie del paese di poter fascistizzare una buona volta la popolazione che si è sempre manifestata repulsiva alle nostre manifestazioni.

La gioventù oggi per la maggior parte è lontana da noi per la propaganda intensa svolta dal clero che offre loro un salone teatro, un cinematografo, un campo sportivo nel giardino dell'oratorio esistente in paese. Il fascio, costretto in pochi locali, non può creare agli stessi giovani uguali ritrovi, e deve lottare ad armi impari e in grandi difficoltà per tenere legata alle nostre organizzazioni la gioventù”.

L’edificazione di una Casa del fascio va inoltre collegata all'esigenza, assai sentita dalle autorità, di disporre di una pubblica piazza situata in posizione centrale dove si sarebbero potute organizzare grandi manifestazioni, così care alla retorica del regime.

Nel corso del 1932 era stata demolita la Curt di Pagan, edificio che sorgeva proprio dietro la chiesa prepositurale.
undefined

La vecchia corte aveva forma quadrangolare ed era provvista di stalle, portici e vani abitativi. Era occupata quasi completamente dalla numerosa famiglia dei Pagani, la cui principale attività era il trasporto dei defunti, anche se all'occorrenza i carri potevano essere utilizzati per la consegna dei mobili.

La demolizione della Curt di Pagan fu il primo passo verso la trasformazione della piazza.

 

L'abbattimento della Curt di Pagan nel '32 e la demolizione della vecchia chiesa iniziata nel '33, 
undefined

con il conseguente recupero di vasti spazi, erano quindi perfettamente funzionali all'idea fascista di piazza. Il luogo dove sarebbe dovuta sorgere la Casa del fascio venne individuato nella parte nord est di piazza Vittorio Emanuele III, costituita da immobili di proprietà di un privato cittadino, Enrico Ornaghi, e da aree di proprietà comunale.
Per poter dare inizio al progetto si rese quindi necessaria l'acquisizione delle aree e l'abbattimento degli edifici su di esse situati. Nel 1935, il comune cedette a titolo gratuito gli immobili di sua proprietà, valore stimato 70.000 lire, alla Federazione dei Fasci provinciale, oltre a donare alla stessa la somma di 30.000 lire per l'acquisto delle proprietà di Ornaghi. La partecipazione del comune alla costruzione dell'opera era considerata dal podestà «un obbligo morale assoluto ... in quanto le funzioni attribuite alle sezioni dei Fasci di combattimento sono di carattere pubblico ed integrano quelle dei comuni».

undefined

Lissone - Piazza Vittorio Emanuele III anno 1935 (da notare la scritta “QUI SORGERÀ LA CASA DEL FASCIO”)

 

La vicenda progettuale vera e propria iniziò solamente tre anni dopo, quando fu bandito un concorso ad inviti. Risultò vincitore il progetto redatto dall'architetto Giuseppe Terragni in collaborazione con Antonio Carminati.

Terragni era un esponente di primo piano del razionalismo italiano e alcuni dei suoi progetti, come il Novocomum e la Casa del fascio di Como, l'avevano reso noto a livello nazionale.

 
in costruzione                                         gerarchi fascisti controllano l'andamento dei lavori

La Casa del fascio di Lissone, ultimata nel 1940, fu il suo ultimo progetto realizzato. Terragni, infatti, morì suicida nel 1943 a Como, segnato dall'esperienza sul fronte russo.

Nella pubblicazione stampata in occasione dell’inaugurazione della Casa del Fascio di Lissone, in un articolo dal titolo “Un’architettura del Partito”, così si esprimeva l’architetto Giuseppe Terragni:

«La Casa del Fascio di Lissone è sorta in un clima di fede operante per volontà di uomini fattivi che del Fascismo esprimono la passione rivoluzionaria e costruttiva. All'italiano nuovo forgiato dall'impeto creativo del Duce corrisponde sul piano delle arti e principalmente dell'architettura - arte sociale per eccellenza - un mondo plastico nuovo.

Il compito suggestivo di noi architetti italiani che abbiamo il privilegio di vivere straordinario periodo dello Storia del nostro Paese che si identifica giorno per giorno nella storia della nuova civiltà europea - inizia il secolo in cui l'Europa sarà fascista o fascistizzata – è quello di collaborare alla preparazione dell'ambiente e alla costruzione della scena nella quale le generazioni costruite dal Fascismo abbiano a muoversi, vivere, lavorare …

… Questa casa del Fascio è testimonianza di una volontà esatta di committenti affiancata a quella altrettanto sicura degli esecutori e di tutto un popolo di lavoratori il quale non ha mancato di dare il suo fervido, spontaneo, generoso consenso alla costruzione della Casa. Dall'Arengo duro, granitico, antiretorico che si stacca dalla scura massa della Torre Lìttoria, questo popolo esemplare attende la parola di fede e di combattimento che il Duce ha promesso di rivolgergli quando presto sarà fra noi».

E l’architetto Carminati così la descrive:

«Nello studio per il Progetto della Casa del Fascio di Lissone, prescelto dal Concorso autorizzato dalla Federazione Provinciale fascista Milanese e dalle Gerarchie locali col Direttorio del Fascio, i progettisti hanno tenuto conto delle diverse funzioni alle quali tale Edificio rappresentativo del Regime doveva soddisfare.

Sede del Partito e delle più importanti organizzazioni del Partito stesso e luogo consacrato all'esaltazione del Sacrificio eroico delle prime squadre d'Azione, centro di raccolta e riunione delle schiere numerose degli iscritti al Partito ed alle organizzazioni giovanili ed a tutte le organizzazioni di categoria.

Le parti essenziali dell'Edificio risultano così definite da tali funzioni predominanti:

1.    Negli ambienti per ufficio distribuiti al piano terreno e primo piano;

2.    Nella Torre Littoria che contiene il Sacrario dei Caduti, e l’Arengario sistemata sul lato sud della fronte su Piazza Vittorio Emanuele;

3.    Nel grande salone per riunioni e teatro dotato di ampi vestiboli, gradinate superiori e sistemato al piano rialzato parallelamente al corpo principale degli uffici.

La fronte principale orientata sud-ovest presenta una balconata, accessibile da tutti gli uffici del primo piano, che protegge dal sole le finestrate corrispondenti a quelli del piano terreno. Tale balconata è staccata dal piano verticale della facciata al fine di stabilire una ventilazione naturale lungo la parete stessa della facciata.

Dalle finestrate tagliate lungo tutta la parete della balconata, risulta visibile la struttura dell' Edificio, formato da una serie di pilastri, che limitano la suddivisione dei vari uffici.

È evidente da questo sistema di chiarezza costruttiva l'interpretazione del concetto Mussoliniano che «il fascismo è una casa di vetro in cui tutti possono guardare»: nessun ingombro del fabbricato, nessuna barriera, nessun ostacolo tra gerarchie politiche e popolo. …

… La Torre Littoria in «pietra di Moltrasio» collegata allato del fabbricato, di fianco allo scalone di onore, da una galleria di accesso al Sacrario.

Porge dall'unica apertura l'Arengario sulla cui testata sta inciso il motto: Credere - Obbedire - Combattere. Nell’interno racchiude il Sacrario dedicato ai morti delle guerre e della rivoluzione. La croce ricavata nel blocco monolitico riassume il valore spirituale di una fede politica confermata col supremo sacrificio della vita. Questo atto di fede, quale monito alle nuove generazioni è stato inciso a carattere lapidario sulla parete di granito al centro dell’ingresso al Sacrario.

undefinedla scritta esistente sulla parete tra la Casa del fascio e la torre


Una scala ricavata nei muri perimetrali porta alla sommità dove, da un terrazzo accessibile, si potrà ammirare dall’alto lo spettacolo delle manifestazioni fasciste. 

Il grande salone per riunioni, e per gli spettacoli teatrali e cinematografici, amplificabile, mediante una grande fila di porte costruite a libro, appositamente ideate, sia per dare una maggiore capienza alla sala stessa, come pure per un completo sfollamento immediato del!'ambiente, offre comodo posto a circa 800 persone, di cui 600 in posti a sedere. Caratteristica del Salone sono le quinte - schemi di sonorità lungo le pareti perimetrali - dei lati maggiori. 
undefined

undefined


Dal complesso di questi ambienti, così diversi nella loro funzione, si è potuto concludere un fatto unitario di «nuova Architettura» che può dare vanto alla volontà delle Gerarchie Lissonesi, di aver voluto una «Casa del Fascio» degna del tempo Mussoliniano». Così presentava la sua opera l’architetto Carminati. 
Palazzo-Terragni.jpg  casa-del-fascio.jpg


Fonte:

 Archivi comunali

Archivio Biblioteca di Lissone

“Lissone racconta” a cura di Sergio Missaglia

Lire la suite

Pio XII e il giudizio della Storia

9 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #episodi di storia del '900

Alla morte del Papa, nel 1958, Golda Meir rese omaggio al suo operato in aiuto agli Ebrei. Oggi il Memorial Yad Vashem condanna i suoi silenzi.

 

Si chiamava Eugenio Pacelli, prima di diventare Papa Pio XII.

Fu Nunzio apostolico a Monaco nel 1917. Qualche anno dopo negoziò un concordato tra la Chiesa e il nuovo regime nazista a Berlino. Germanofilo convinto, tanto che gli Italiani lo avevano soprannominato “il Tedesco” per il suo ruolo di instancabile sostenitore della revisione del Trattato di Versailles.

Il futuro Papa Pio XII si inseriva nella tradizione vaticana, che già sotto Benedetto XV, aveva tentato, nel 1917, di salvare dalla sconfitta gli Imperi Centrali, per una “pace bianca”. Il Vaticano aveva sempre avuto un debole per gli Asburgo. Inoltre, la minaccia comunista sovietica, dopo la Rivoluzione del 1917, rese ancora più cara al Papa la potenza tedesca.

Ma i nazisti non erano gli Asburgo ne gli Hohenzollern. I nazisti avevano una concezione del mondo, una “Weltanschauung”, che si ispirava ad un niceismo traviato, che vedeva nel cristianesimo una religione una religione di schiavi che “voleva purificare le sue brutture ebraiche”.

In un libro intitolato “Hitler mi ha detto”, apparso nel 1939, scritto da Hermann Rauschining, si leggono queste frasi sul cancelliere tedesco: “una gioventù violenta, impetuosa, intrepida, crudele ...é così che purificherà la razza dalle sue migliaia di anni di assoggettamento e di obbedienza …”.

L’uomo prende il posto di Dio, tale è semplicemente la verità. L’uomo è il dio in divenire. Il nazionalsocialismo è più che una religione: é la volontà di creare un Uomo nuovo. Si é cristiani o si é tedeschi; non si può essere tutti e due insieme. Il nazismo è un paganesimo.

Nel 1937 Pio XI fece conoscere il proprio pensiero nell’enciclica Mit Brennender Sorge, redatta con l’aiuto di Pacelli: “Chiunque consideri la razza o il popolo o lo Stato o i depositari del potere o tutti gli altri valori fondamentali della comunità umana e li divinizzi in un culto idolatrico, stravolge l’ordine delle cose create e ordinate da Dio”.

I nazisti, furiosi, censurarono il testo sulla stampa tedesca, un gesuita fu arrestato, i vescovadi di Rotterburg, di Friburgo e Monaco furono saccheggiati dalla Gioventù hitleriana.

La situazione dei cattolici tedeschi era delicata: alle elezione del 1932 le regioni cattoliche, Baviera, Palatinato, furono quelle in cui i nazisti ottennero il minor numero di voti.

Divenuto papa a sua volta, nel 1939, Pio XII seguì le orme del suo predecessore. Nel suo discorso di Natale del 1942, quando lo sterminio degli Ebrei era diventato sistematico, oserà solamente evocare “le centinaia di migliaia di persone che, senza alcuna loro colpa, ma unicamente in ragione della loro nazionalità o della loro razza, sono destinati alla morte o al deperimento”. I difensori di Pio XII notano la presenza del termine “razza”; i suoi detrattori denunciano la sua mancanza di coraggio.

 

Opere su Pio XII:

Le Vicaire (piece teatrale di Rolf Houchuth del 1963

Amen (film di Costa-Gavras del 2002)

Il Papa di Hitler (libro di John Cornwell)



Lire la suite

Le leggi razziali del fascismo

4 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Nel 1938 venivano emanate dal governo di Mussolini le leggi razziali che causarono la deportazione degli ebrei italiani nei campi di sterminio.


Accadde settanta anni fa: il 16 ottobre Dannecker (SS capo di un gruppo mobile di intervento per mettere in opera le azioni di rastrellamento nelle grandi comunità ebraiche italiane) e Kappler ordinarono il rastrellamento del ghetto romano. Nell’ azione furono arrestate 1259 persone. La maggioranza lasciò Roma il 18 ottobre su diciotto vagoni merci in direzione nord.
 

Le leggi razziali del fascismo furono una vergogna e una infamia imperdonabile.

Quelle leggi, infatti, portarono alla morte migliaia di ebrei e provocarono sofferenze indicibili, paura, terrore, angoscia e miseria.

Le leggi razziali furono emanate nel 1938: esattamente il 14 luglio con la pubblicazione del famoso “Manifesto del razzismo italiano’’ poi trasformato in decreto, il 15 novembre dello stesso anno, con tanto di firma di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e imperatore d’Etiopia “per grazia di Dio e per volontà della nazione”.

Il 25 luglio, il ministro della cultura popolare Dino Alfieri e il segretario del partito fascista Achille Starace si erano premurati di ricevere “un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane che avevano, sotto l’egida del ministero della cultura popolare, redatto il manifesto che gettava le basi del razzismo fascista”.

Le norme erano complesse e articolate, il contenuto chiaro e preciso: fuori gli studenti ebrei dalle scuole pubbliche e private frequentate da alunni italiani (ad eccezione - nel caso la «razza» fosse stata temperata da un battesimo - di quelle private cattoliche); fuori il personale direttivo, insegnante, amministrativo, di cu­stodia ecc. di «razza ebraica»; fuori gli ebrei dalle accademie; fuori dalle scuole medie i libri di testo frutto, anche parziale, di mano ebraica. Gli ebrei venivano anche licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni.

Tutti i ricercatori dei centri scientifici, se ebrei, erano stati cacciati fino all'ultimo uomo. I loro colleghi «ariani» avevano assistito senza fiatare, chi compiaciuto, chi dispiaciuto e imbarazzato. Molti primari di ospedale erano stati costretti, per sopravvivere, a sbarcare il lunario diventando piccoli contabili presso qualche benevolo imprendito­re. A questa epurazione vergognosa si erano aggiunte norme vessa­torie che impedivano ai «giudei» di avere dipendenti «di razza pura», di contrarre matrimoni misti, di esercitare una serie di attività. Gli ebrei di origine straniera erano stati espulsi dal Paese.

Il 5 agosto del 1938, comparire nelle edicole e nelle librerie, il primo numero del giornale “La difesa della Razza”, diretto da Telesio Interlandi.

 

Interlandi era un giornalista e uno scrittore sulla cresta dell’onda che già dirigeva, su richiesta di Mussolini, il quotidiano “Il Tevere”. Gli scritti di Interlandi erano già di un razzismo ripugnante. Con “La difesa della Razza”, la politica del regime nei confronti degli ebrei diventa metodica e, per così dire, “scientifica” e pianificata. La rivista, fu il prodotto giornalistico più vergognoso e infame del fascismo.

In seguito, Giorgio Almirante fu chiamato a ricoprire l’importantissima carica di segretario di redazione della rivista.

 

“Anche se non coordinate tra loro, le azioni di settembre furono comunque i primi segnali dei gravissimi avvenimenti che di lì a poco avrebbero travolto la comunità ebraica italiana durante l'occupazione del Paese. Nessuno, però, aveva ancora avuto chiara notizia dei massacri avvenuti in Russia, né delle carneficine effettuate nei campi della morte in Polonia, né delle selezioni verso le camere a gas già in atto nel campo di sterminio di Auschwitz.

L'antisemitismo fascista nonostante le sue leggi vessatorie e vergognosamente discriminatorie, non si era mai tradotto in atti dil crudeltà fisica generalizzata.

Paradossalmente, l'antisemitismo legalizzato italiano servì a disorientare i più, che non ritennero necessario fuggire finché ve n'era ancora il tempo” (Liliana Picciotto Fargion).

«Molti ebrei erano convinti che le atrocità di cui sentivano parlare non potevano accadere in Italia. Era purtroppo un'illusione. E più di settemila ebrei, il 15 per cento del totale in Italia finirono nei campi di concentramento (Alexander Stille).

«I fascisti parteciparono attivamente alla ricerca e all'arresto degli ebrei destinati ai campi di sterminio rintracciati il più delle volte grazie agli elenchi che il governo di Mussolini aveva fatto predisporre fin dal 1938» (Arrigo Levi).

Le leggi razziali restarono operanti anche durante i 45 giorni di Badoglio. Le prefetture andarono avanti a fare il loro dovere, aggiornando gli schedari nei quali finirono anche quegli ebrei che continuavano ad affluire dai paesi invasi dalle armate di Hitler.

Con la messa sotto controllo da parte tedesca dell'Italia nel settembre 1943 risultò eliminato per un'altra organizzazione nazionalsocialista un ostacolo che ! l'a stato rappresentato dal governo italiano: l'ufficio di Eichmann intravide ora la possibilità di estendere anche in Italia e nei territori italiani occupati la «soluzione finale». La decisione di introdurre nel 1938 nell'Italia fascista le leggi razziali antiebraiche, cui seguirono ben presto misure restrittive per eliminare gli ebrei dalla vita economica italiana, voleva avere una ripercussione politica soprattutto verso l'esterno, in quanto significava un avvicinamento ideologico alla Germania nazionalsocialista, più che ['espressione di un antisemitismo che fosse fortemente radicato nella popolazione italiana.

Con l'occupazione tedesca dell'Italia, l'ufficio di Eichman (alla Direzione generale per la sicurezza deI Reich) ebbe così la possibilità di trasferire qui i piani nazionalsocialisti di sterminio.

Circa 44000 ebrei si trovavano in Italia nell'estate 1943.

Dato che con la registrazione amministrativa erano già state apprestate le relative msure, ai rappresentanti di Eichmann in Italia rimaneva.«soltanto» di passare alla cattura e deportazione delIe loro vittime italiane.

I pianificatori della deportazione – e questo rese più dirompente sul piano diplomatico l’azione antiebraica nel ghetto romano – si preoccuparono di una possibile protesta del papa contro la deportazionedi ebrei (8.000 residenti a Roma) o temevano addirittura da parte del Vaticano l’abbandono della politica di neutralità.  

Roma non fu la prima città in cui furono attuate misure antiebraiche: singole deportazioni erano già avvenute a metà settembre a Merano, e il 9 ottobre anche a Trieste, mentre reparti della Divisione «Guardie del corpo di Adolf Hitler» fecero un eccidio a Meina, sul lago Maggiore.

Il 16 ottobre Dannecker (SS capo di un gruppo mobile di intervento per mettere in opera le azioni di rastrellamento nelle grandi comunità ebraiche italiane) e Kappler ordinarono il rastrellamento del ghetto romano. Nell’ azione furono arrestate 1259 persone. La maggioranza lasciò Roma il 18 ottobre su diciotto vagoni merci in direzione nord. Perfino in tale situazione il papa non ritenne consigliabile prendere apertamente posizione contro le deportazioni e la protesta diplomatica non ebbe alcun seguito.

Da parte della Chiesa l'unica ufficiosa reazione fu la lettera del vescovo Hudal, rettore della Chiesa cattolica tedesca di Roma, il quale chiese la sospensione degli arresti onde evitare che il papa prendesse pubblicamente posizione contro e con ciò fornire un'arma alla­ propaganda antitedesca. Quando il telegramma giunse a Berlino, gli ebrei romani erano già avviati oltre il Brennero incontro al loro triste e fatale destino.

Entro la fine di novembre in molte città italiane del settentrione si ebbero altre azioni contro gli ebrei.

Là dove la diplomazia vaticana fu assente, tanto più efficace fu l’ aiuto a Roma fornito da religiosi. Soltanto a Roma, oltre 4000 ebrei furono sottratti alla persecuzione in conventi, congregazioni, parrocchie- e nel Vaticano stesso. Senza la solidarietà quasi unanime che gli italiani offrirono ai loro connazionali ebrei e ai fuggiaschi perseguitati, il numero di ebrei vittime del nazismo sarebbe sicuramente stato più elevato.

I piani di Eichmann sembrarono più facilmente realizzabili dal novembre: infatti il 14 novembre, il congresso del Partito fascista  a Verona proclamò che tutti gli ebrei non erano soltanto stranieri ma anche appartenenti a una «nazionalità nemica».

Il 30 novembre il ministro degli Interni, Buffarini-Guidi diede ordine a tutti i prefetti di raccogliere «in campi di concentram nelle province tutti gli ebrei»; le proprietà degli ebrei arrestati sarebbero state requisite e assegnate persone evacuate perché vittime dei bombardamenti.

I piani nazisti dello sterminio ricevettero un apporto decisivo grazie all’arresto e all’internamento degli ebrei nei campi di concentramento italiani.

Un numero non indifferente di ebrei (circa 2500) avevano optato per la resistenza attiva contro i tedeschi e si era unito ai partigiani.

Diversi gruppi di polizia fascisti (come per esempio nel caso di Milano, la Muti, gli Uffici investigativi politici, il gruppo Koch) partecipavano alla ricerca degli ebrei nascosti.

Per le deportazioni naziste e le persecuzioni in Italia e sulle isole di Rodi e di Kos perdettero la vita circa 8.000 ebrei. 820 ebrei italiani sopravvissero alle deportazioni.

 

Le autorità fasciste furono – e i fatti lo dimostrano – strettamente legate agli occupanti nazisti e fornirono nomi ed elenchi “dei figli di Israele” da portare via per sempre. Altre volte, parteciparono direttamente ai rastrellamenti e alle deportazioni. Certo, ci furono questori coraggiosi, poliziotti, carabinieri e autorità militari che aiutarono gli ebrei a rischio della vita. E altri ebrei furono salvati da tanti singoli italiani indignati per la persecuzione. Poi dai parroci, dalle suore e dagli uomini della Resistenza antifascista.

 

Bibliografia:

Marco Nozza - “Hotel Meina – La prima strage di ebrei in Italia” – Ed.Il Saggiatore Milano 2005

Lutz KlinKhammer – “L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945” Ed. Bollati Boringhieri 1993

 

 

Lire la suite

Le conseguenze delle leggi razziali

1 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Nel Censimento speciale nazionale degli ebrei, ad impostazione razzista del 22 agosto 1938 vengono censite 58.412 persone aventi per lo meno un genitore ebreo; di esse, 46.656 sono effettivamente ebree (pari a circa l’1 per mille della popolazione della penisola). Nel Consiglio dei ministri del 1-2 settembre 1938 viene approvato  un primo gruppo di decreti antiebraici che contengono tra l’altro provvedimenti immediati di espulsione degli ebrei dalla scuola. Seguono provvedimenti di espulsione degli ebrei dagli impieghi pubblici e dalle libere professioni, limitazione del loro diritto di proprietà.

Nel maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per alcune categorie di ebrei italiani.

 

Precettazione-degli-ebrei-a-scopo-di-lavoro-Maggio-1942.jpg
Precettazione degli ebrei a scopo di lavoro
 

 

Nel  settembre del 1943 parte il primo convoglio di deportazione di ebrei arrestati in Italia (da Merano) ad opera dei nazisti. Il 16 ottobre 1943 la polizia tedesca attua a Roma una retata di ebrei, la più consistente dell’intero periodo. Due giorni dopo vengono deportate ad Auschwitz 1023 persone. Di questi deportati, solo 17 sopravviveranno.

Il 30 novembre 1943 viene diramato l’Ordine di polizia n. 5 del Ministero dell’interno della RSI, decretante l’arresto degli ebrei di tutte le nazionalità, il loro internamento dapprima in campi provinciali e poi in campi nazionali, il sequestro di tutti i loro beni (alcune settimane dopo verrà disposta la trasformazione dei sequestri in confische definitive; la Rsi si approprierà di terreni, fabbricati, aziende, titoli, mobili, preziosi, merci di famiglie ebraiche). Nella "caccia agli ebrei", i più accaniti sono i fascisti delle bande autonome, la banda Carità a Firenze, la banda Kock a Roma e poi a Milano, la legione Muti, e la Guardia nazionale repubblicana, le Brigate Nere, le SS italiane.

In attuazione dell’ordine del 30 novembre, nel dicembre 1943 viene allestito il campo nazionale di Fossoli, e il 19 e 22 febbraio 1944 partono i primi convogli di deportazione da Fossoli (per Bergen Belsen e Auschwitz) organizzati dalla polizia tedesca. Il campo di Fossoli si rivela quindi come il punto operativo di cerniera tra Rsi e Terzo Reich per la deportazione.

Gli ebrei arrestati e deportati nel nostro Paese furono 6807; gli arrestati e morti in Italia, 322; gli arrestati e scampati in Italia, 451. Esclusi quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah sono 5791 (fonte Liliana Picciotto Fargion nell'aggiornamento del "Libro della Memoria").

Secondo uno studio di Michele Sarfatti, i perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35.000. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; 5500-6000 riuscirono a rifugiarsi in Svizzera; gli altri 29.000 vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città. Circa 2000 ebrei, tra i quali Enzo e Emilio Sereni, Vittorio Foa, Carlo Levi, Primo Levi, Umberto Terracini e Leo Valiani, parteciparono attivamente alla Resistenza dando un alto contributo al ritorno della libertà e della democrazia in Italia (1000 inquadrati come partigiani e 1000 in veste di "patrioti"), pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana. Circa 100 ebrei caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; cinque furono insigniti di medaglia d’oro alla memoria.

 

Il "Giorno della Memoria"

Legge 20 luglio 2000, n. 211

"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"

 

Per ricordare la Shoah, cioè lo sterminio nazista del popolo ebraico e di tutti quanti soffrirono e morirono nei campi di concentramento, nelle prigioni naziste e fasciste di tutta Europa o che furono perseguitati, tormentati, vilipesi, persero il lavoro, la scuola, i diritti civili e poi fucilati, torturati o impiccati, solo per il fatto di essere ebrei, è stato fissato il 27 gennaio "Giorno della Memoria".

Quel giorno, vuole anche ricordare l'infamia delle leggi razziali fasciste, la persecuzione terribile degli ebrei italiani, la loro deportazione prima nel campo di Fossoli e poi in quelli di sterminio in Germania o in Polonia. Un gran numero finirono anche nella Risiera di San Sabba per essere massacrati. Altri furono prelevati nel Ghetto di Roma (più di mille, tra i quali 207 bambini) per finire ad Auschwitz o a Mauthausen. Tornarono solo in sedici. Una cinquantina morirono poi nell'infame carnaio delle Fosse Ardeatine, sempre per l'unica colpa di essere ebrei. Le autorità fasciste furono - e i fatti lo dimostrano - strettamente legate agli occupanti nazisti e fornirono nomi ed elenchi "dei figli di Israele" da portare via per sempre. Altre volte, parteciparono direttamente ai rastrellamenti e alle deportazioni. Certo, ci furono questori coraggiosi, poliziotti, carabinieri e autorità militari che aiutarono gli ebrei a rischio della vita. E altri ebrei furono salvati da tanti singoli italiani indignati per la persecuzione. Poi dalla Chiesa, dai parroci, dalle suore e dagli uomini della Resistenza antifascista.

Copertina del libro “I Giusti d’Italia”: nel libro sono raccontate le storie di italiani non ebrei che durante la Shoah salvarono uno o più ebrei dalla deportazione e dalla morte, rischiando la propria vita e senza trarne alcun vantaggio personale.
i-giusti-Italia.jpg

Lire la suite

l'applicazione delle leggi razziali a Lissone

1 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Le leggi razziali del Fascismo del 1938 si ispiravano alle leggi di Norimberga (Decreti antisemiti emessi a Norimberga nel settembre 1935, in occasione di un raduno nazionale del partito nazista. Le Leggi di Norimberga costituirono le basi della persecuzione antisemita, che condusse progressivamente all'esclusione degli ebrei dalla vita economica, politica e civile della Germania nazista, fino allo sterminio di massa.

In applicazione delle leggi razziali anche a Lissone periodicamente viene svolto il censimento degli ebrei. Così nell'agosto del 1942 La Regia Prefettura di Milano ordina la revisione del censimento degli Ebrei. 
Revisione-censimento-ebrei.jpg

Nel 1942, in una lettera alla Questura di Milano, il Commissario Prefettizio di Lissone, Aldo Varenna, comunica che nel Comune di Lissone "non ven mai censito alcun ebreo".

Nel 1944 in paese vi sono molti sfollati a causa dei bombardamenti degli Alleati. Ed è proprio un cittadin, Michele Cassin, residente a Milano con una attività di commercio di compensati e tranciati, la cui sede è a Lissone in Via San Martino, che viene identificato come non appartenente alla razza ariana, figlio di genitori ebrei (i genitori, defunti, avevano nomi tipici ebrei).  

Il 14 gennaio 1944 il Commissario Prefettizio Varenna segnala alla Prefettura di Milano (ormai della Repubblica Sociale Italiana) che "il locale Comando dei Carabinieri, in seguito ad ordine della Tenenza di Desio, ha proceduto al sequestro dell'azienda", dopo aver effettuato l'inventario dei beni in essa custoditi.

Non si conosce quale fu la sorte dello sventurato responsabile dell'azienda Iissonese dopo il sequestro dei suoi beni. 
Il 30 giugno 1944 Ancona Elisa, nata a Ferrara ma residente a Lissone, viene arrestata perché di origini ebree; dal carcere di Milano viene mandata ad Auschwitz dove muore subito dopo il suo arrivo il 6 agosto 1944.

Lire la suite