Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Testimonianza di Anita Malavasi, partigiana «Laila»

29 Novembre 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Testimonianza di Anita Malavasi «Laila» rilasciata nel 2011

Quattro Castella (Reggio Emilia), 21 maggio 1921 

staffetta, partigiana, CXLIV Brigata Garibaldi Antonio Gramsci, Appennino reggiano

 

Mi chiamo Anita Malavasi e il mese di maggio compio ottantanove anni. Sono diventata partigiana dopo l'8 settembre 1943, a Reggio Emilia, facevo trasporto munizioni, stampa, vettovagliamento. Poi, in montagna, mi hanno insegnato le armi, come usarle e accudirle. Il mio nome di battaglia era «Laila». Lo presi da un romanzo che raccontava di una ragazza in Sud America che combatteva al posto del suo fidanzata ucciso. Ero una bella ragazza, ma noi eravamo state educate severamente, anche nel modo di vestire. Però sfruttavamo la nostra bellezza. Quando, con le armi addosso, passavo al posto di blocco in bicicletta mi mettevo la gonna stretta e fingevo di abbassarmela, loro, fessacchiotti, fischiavano e io passavo.

In montagna mi è capitato di uccidere. La donna è sempre donna. Ma nel momento del pericolo anche la donna accetta le regole della guerra. Non è facile. Nata ed educata per dare la vita, in guerra la vita la togli. È importante capire che non siamo diventate combattenti per spirito d'avventura. Ci furono torture orrende. Nella mia formazione avevo una ragazza, Francesca, che era incinta, ma era lo stesso cosi magra che scappò dalla prigione passando tra le sbarre della finestrina del bagno. Per raggiungerci camminò scalza nella neve per dieci chilometri. Quando il bambino nacque lo allattò solo da un seno perché il capezzolo dell' altro le era stato strappato a morsi da un fascista. ...

Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta. La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso. I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma una conquista e un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne.

In montagna si dormiva insieme, per terra, nei boschi, uomini e donne, ma se uno mancava di rispetto veniva punito. L'amore non contava niente. L'importante per noi era aiutare. Io ero anche fidanzata, lo lasciai quando mi disse che fare la partigiana mi avrebbe reso indegna di crescere i suoi figli. Non mi sono più sposata, anche se in montagna, avevo trovato un ragazzo ... lui si, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso, aveva una mentalità aperta, ma uomini così non ne ho più trovati. Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia «Fifa», anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a ventitre anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. È sepolto al cimitero di San Bartolomeo. Gli porto ancora i fiori ... Dev'essere stato importante per me, se mentre ne scrivo me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è stato d'addio. 

Bibliografia:

Stefano Faure, Andrea Liparoto, Giacomo Papi - Io sono l'ultimo. Lettere di partigiani italiani - Einaudi 2012

 

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La stampa delle formazioni partigiane

11 Novembre 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Impugnare la penna quando si impugna lo sten, parlare un linguaggio fatto di parole quando il nemico di dentro e di fuori non sembra intendere che il rude linguaggio delle bocche da fuoco, potrà apparire a qualcuno un ritrarsi dall’azione, dalla lotta, mentre è tempo di azione e di combattimento. Teniamo a fare sapere a tutti che noi non interrompiamo l'esecuzione dei nostri compiti di guerra; rubiamo tempo al riposo per rivolgersi a questo compito di immensa importanza (da La nostra stampa, «Il Partigiano, Volontario della libertà». Organo della III Divisione garibaldina Cichero, a. I, n. 1, 1° agosto 1944).

Il giornale partigiano nasce nelle formazioni durante la lotta. La redazione, l’apparato tecnico, la diffusione, la sua stessa esistenza sono legati alle vicende della lotta di liberazione, e ne sono a loro volta condizionati. Così i giornali hanno un’esistenza precaria, una periodicità irregolare. «Esce quando e come può», è il sottotitolo di uno dei più diffusi periodici partigiani, «Il Ribelle».

Le condizioni variano di situazione in situazione: non tutti i gruppi partigiani ebbero infatti giornali, e non sempre i giornali furono espressione di un particolare partito. Anche se la situazione dei giornali di formazione legati ai partiti appare più definita ed organicamente strutturata.

15 giugno 1944 il partigiano fronte 1-ottobre-1943-il-combattente-1.jpg

Spesso questi fogli avevano una limitatissima tiratura, poche centinaia di copie, a volte poche decine, erano dattiloscritti, manoscritti, ciclostilati e, in casi sporadici, stampati. La loro diffusione era limitata alla zona controllata dalla formazione, ma costituiva un’indispensabile organo di collegamento con le popolazioni locali.

Ma i giornali di formazione rappresentano soprattutto un materiale indispensabile per ricostruire la vita delle bande, il loro variare nel tempo, la loro maturazione o evoluzione politica, le motivazioni morali della lotta partigiana e i modelli culturali di riferimento.

Questi fogli costituirono inoltre lo strumento fondamentale di comunicazione.

All’origine della vasta produzione giornalistica è ravvisabile, certamente, un «bisogno di raccontare», di rendere testimonianza di un’esperienza singolare, aspra e pericolosa.

Il bisogno di raccontare, che è proprio di tutta l'esperienza politica e culturale della generazione uscita dal fascismo e dalla guerra, che trova echi nella memorialistica contemporanea di guerra e concentrazionaria o nei racconti del dopoguerra - si pensi a Fenoglio o a Calvino - ma che nasce, a livello di esperienza collettiva, nella stampa partigiana.

La stampa partigiana si struttura come riproduzione scritta del racconto orale.

Era insomma « una voce che proveniva anche dal basso, dunque, data la mescolanza degli strati sociali nei gruppi partigiani, da attori e testimoni dei fatti, non una voce dall'alto come solo si verificava nei fogli di guerra dell'esercito regolare.

Questa produzione costituisce un solido rapporto fra il partigianato e il retroterra sociale e locale: attua una saldatura fra le motivazioni politiche che hanno determinato l’organizzazione delle bande, e i problemi della popolazione in guerra.

Più difficile è ricostruire un itinerario politico o un programma di rinnovamento sociale negli altri giornali di formazione. Di solito alle origini della scelta resistenziale, almeno nel primo periodo, non c'è una precisa ideologia politica, ma un impulso morale: il desiderio di ritrovare la propria dignità e di cacciare i traditori fascisti o nazisti.

Emerge fortissima l’esigenza di creare una società più giusta, un mondo nuovo.

Si afferma una sentita esigenza di rinnovamento: dalle sofferenze della guerra, dalle lotte e dalle distruzioni deve nascere un mondo nuovo, che abbia come protagonista l’uomo e che sia espressione e sintesi delle libertà civili. La Resistenza deve essere il momento iniziale di questo rinnovamento.

Patrioti I 

I fogli d’ispirazione azionista

Quest’ansia giacobina di rinnovamento viene colta ed espressa soprattutto in alcuni fogli di formazione, specie nei casi in cui più capillare e profonda è l’opera di educazione e la personalità del commissario politico. È il caso dei giornali di ispirazione azionista del Cuneese, organizzati e diretti da Livio Bianco, ma anche di altre testate coordinate dal PdA in Piemonte. Tra queste pubblicazioni, la stampa delle brigate Giustizia e Libertà è forse la più rappresentativa sia per numero, la continuità e la diffusione, sia per il tono generale e l’alta professionalità dei redattori.

Superato il duro inverno 1943-44, con il miglioramento dell'organizzazione politica e militare, il direttivo militare delle brigate GL iniziò a pubblicare l’organo ufficiale delle formazioni «Il Partigiano alpino». Stampato nel Canavese dal febbraio 1944, in due sole pagine, il giornale raggiunse una tiratura di 20.000 copie, diffuse in tutta la regione; dall'agosto ebbe un'importante edizione lombarda, che raggiunse le 10.000 copie e fu diffusa anche nell'Emilia e nel Veneto. Organo destinato precipuamente a militari, il foglio ufficiale delle GL non si limita alle informazioni militari e alle illustrazioni dei problemi strategici, ma propone anche questioni di politica interna, dai problemi istituzionali alla ricostruzione.

Dall'estate del 1944 furono pubblicati nel Cuneese «Giustizia e Libertà», «Quelli della montagna», «La Grana», il giornale umoristico. «Cacasenno» e «Naja repubblichina», un giornale destinato alle formazioni della Rsi. Con il crescere e il successivo organizzarsi di nuove formazioni, anche le testate si moltiplicarono in una vasta serie di pubblicazioni diffuse dalle Langhe al capoluogo piemontese. Specialmente nel bel giornale della I Divisione GL, «Quelli della montagna», si coglie il legame profondo fra il partigiano e la sua terra, che è proprio di tutta la migliore produzione partigiana.

 

Il «Pioniere»

Un caso altrettanto singolare è quello del «Pioniere», un altro giornale di formazione pubblicato a Torre Pellice, centro di una popolazione valligiana profondamente antifascista, ad opera di un piccolo gruppo di redattori guidati da Roberto e Gustavo Malan. Il giornale, ciclostilato nei primi mesi, poi stampato, uscì settimanalmente, con una tiratura che salì dalle 800 copie iniziali fino alle 15.000 stampate nel periodo precedente la liberazione, diffuse anche a Torino e nell’Astigiano. Colpisce negli articoli di fondo del «Pioniere» la profonda e sentita esigenza di un rinnovamento che parta dal basso.

 

«Il Ribelle»

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Carattere assolutamente originale e a se stante rispetto a tutti gli altri organi di formazione, assume il periodico «Il Ribelle», organo delle Fiamme Verdi bresciane. Pur essendo il giornale di una formazione autonoma operante nelle valli lombarde, «Il Ribelle», che porta la falsa indicazione di Brescia, ma viene scritto e stampato nel Milanese è il portavoce di un gruppo di cattolici , laici ed ecclesiastici, non legati alla Democrazia Cristiana, e si mostra aperto ai contributi anche di militanti di altri partiti.

Alle origini del «Ribelle» è il ciclostilato «Brescia libera» pubblicato, dall'ottobre 1943, dallo stesso gruppo di cattolici impegnati in organizzazioni sociali, come le Acli, e di cui facevano parte don Giuseppe Tedeschi, Laura Bianchini, Claudio Sartori, Vittorio E. Alfieri, e soprattutto Teresio Olivelli. Lo stesso Teresio Olivelli, assistente alla cattedra di diritto amministrativo e rettore del collegio Ghislieri di Pavia, fu l'animatore del gruppo. L'intensa spiritualità, l'ansia di ricreare un mondo e una società "più civile e umana, conforme al Vangelo, costituiscono la piattaforma ideale del gruppo.

Da parte sua, Olivelli aveva già elaborato fin dal 1943, uno Schema di discussione sui princìpi informatori di un nuovo ordine·sociale, in cui tutta la grande tradizione del riformismo cattolico lombardo sembra confluire in un'analisi della società e della guerra. Un tema che viene ripreso nell'editoriale del secondo numero - l'unico articolo che poté pubblicare prima dell'arresto e della deportazione a Flossemburg, dove morì - e che espone la filosofia del giornale e della sua redazione:

A questa nuova città aneliamo con tutte le forze; più libera, più giusta, più solidale, più «cristiana». Per essa lottiamo, lottiamo. giorno per giorno, perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono «liberatori». Solo uomini che si liberano. Lottiamo per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti, e del lavoro, nei popoli e fra i popoli; anche quando le scadenze paiono lontane e i meno tenaci si afflosciano: a denti stretti anche se il successo immediato non conforta il teatro degli uomini, perché siano consapevoli che la vitalità d'Italia risiede nella nostra costanza, nella nostra volontà di risurrezione, di combattimento; nel nostro amore.

Giornale più di dibattito ideologico che di informazione militare, «Il Ribelle» seppe tuttavia rispondere anche a esigenze di più vasta divulgazione, pubblicando i documenti delle Fiamme Verdi, un ampio notiziario sulle deportazioni e una varia rassegna della stampa. Costituì comunque in campo cattolico l’esempio più significativo di un programma non integralista, laico e aperto ad ampie riforme statali e sociali.

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La stampa delle formazioni garibaldine

Ancora più complesso il panorama della stampa delle formazioni garibaldine, che rappresenta il gruppo più ampio e numerose di testate (secondo un calcolo di Laura Conti, i giornali delle brigate Garibaldi furono un centinaio rispetto ai 16 di Giustizia e Libertà e ai 12 delle brigate autonome). E tuttavia, questi periodici sono facilmente riconducibili a una tematica unitaria, a un modulo comune, per il rapporto più costante con la direzione centrale e per una maggiore circolazione della stampa di partito. In realtà, anche la stampa garibaldina è opera, almeno nella sua parte più direttamente politica e formativa dei commissari politici, molto più presenti e attivi che nelle altre formazioni, e dei comandanti di divisione.

La stampa garibaldina pubblica quindi, accanto all’organo ufficiale «Il Combattente» nelle sue varie edizioni regionali, una vasta serie di ·testate locali particolarmente numerose nelle vallate alpine del Piemonte o nei territori dove vengono costituite le cosiddette «zone libere». L’organizzazione propagandistica prepara anche una nutrita serie di giornali murali, opuscoli, volantini e, in alcuni casi, di trasmissioni radiofoniche.

Si tratta di una capillare organizzazione del consenso che, mentre accetta la linea politica elaborata dal partito, la interpreta poi individualmente e nelle varie situazioni locali, e secondo le personali capacità dei redattori. Assistiamo così a una riduzione nel locale, o meglio nella concretezza della realtà locale, delle grandi scelte istituzionali o politiche.

Così, se esaminiamo un campione, di necessità limitato, di alcuni di questi giornali, vediamo come, pur in presenza di minore originalità e ricchezza di proposte di trasformazione rispetto ad altri giornali, si realizzi invece in essi una traduzione a livello di massa di concetti e direttive politiche, nel quadro di una determinata situazione militare. Così «Il Partigiano Volontario della libertà» - Organo di una divisione garibaldina che operava nell'entroterra ligure - e pubblicato dal 10 agosto 1944 sotto la direzione del comunista Giovanni Serbandini (Bini), realizza, pur con mezzi molto limitati e primitivi, un difficile rapporto fra la stampa di base, con le sue reminiscenze scolastiche (le vignette, i bozzetti), e le indicazioni di politica generale di mobilitazione e d'informazione locale.

In alcuni giornali del Biellese, come «La Baita» diretta da Francesco Moranino (Gemisto), che raggiunge una tiratura di 4.000 copie a stampa, si ha una più critica valutazione politica e una proposta di modelli di «democrazia progressiva» più aperti alle istanze di rinnovamento. Questo giornale ha la collaborazione anche dei civili ed è particolarmente attento ai problemi sociali.

Sempre in Piemonte, nella contigua Valsesia, esce «La Stella alpina», foglio delle brigate comandate da Cino Moscatelli che continuerà a uscire come settimanale anche durante l'immediato dopoguerra. Quindicinale a stampa di grande formato, quasi sempre di quattro pagine, ben curato e strutturato con grande professionalità, il giornale ha tutte le caratteristiche di una moderna testata locale. In prima pagina le direttive militari, gli articoli d'informazione politica, spesso derivati dagli organi ufficiali di partito, e un'ampia informazione sulla guerra, articolata in varie rubriche («Brigata di eroi», «Corrispondenza garibaldina», «Bollettini di guerra»).

Uno sforzo di convogliare le esigenze politiche e operative in un programma di educazione politica di base, si può cogliere in tutta la produzione garibaldina: da quella ricchissima delle zone emiliano-romagnole e marchigiane, in cui predominano gli appelli alla popolazione delle campagne per il sostegno alla lotta partigiana e quindi i problemi della terra, a quelli rivolti più direttamente alle gente cittadina e alla classe operaia.

 settembre 1943 L Azione

Bibliografia

Giovanni De Luna, Nanda Torcellan, Paolo Murialdi – La stampa italiana dalla Resistenza agli anni sessanta – Editori Laterza 1980

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4-novembre-2012

4 Novembre 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

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