a ricordo di Valerio Renzi maresciallo dei Carabinieri a Lissone
Il 16 luglio 1982 veniva ucciso dalle Brigate Rosse il Maresciallo dei Carabinieri di Lissone Valerio Renzi.
Purtroppo anche Lissone ha avuto una vittima di quegli “anni di piombo”: il maresciallo dei Carabinieri Valerio Renzi.
Valerio Renzi nato a Rieti nel 1938, era comandante della stazione dei Carabinieri di Lissone, sposato e padre di due bambini.
La mattina del 16 Luglio 1982, Renzi si recò, come era solito fare, da solo, con la sua Alfetta di servizio, presso l'ufficio postale di Lissone per ritirare la corrispondenza.
Proprio in quegli attimi, un gruppo di terroristi stavano compiendo una rapina (un’ "operazione di esproprio proletario" nel gergo delle Brigate Rosse, come scrissero nella rivendicazione dell’attentato).
Alla vista dell’auto dei Carabinieri i terroristi sparavano raffiche di mitra contro il maresciallo Renzi. L'Alfetta venne crivellata di colpi.
Il suo omicidio venne rivendicato dalla colonna Walter Alasia, un ramo delle Brigate Rosse.
Un’involontaria testimone oculare di quella tragica mattina del 16 luglio 1982, la lissonese Carlotta Molgora, così ci ha raccontato:
“Ormai pensionata, ogni due mesi mi recavo presso l’Ufficio postale per ritirare la pensione. Era Venerdì 16 luglio 1982. Mentre ero in fila davanti allo sportello e discutevo con altre mie conoscenti, entrò un giovane con un mitra spianato ordinando a tutti i presenti di sdraiarsi per terra. Un altro giovane si affacciò sulla porta dell’ufficio postale, imbracciando anche lui un mitra. Tutti pensarono ad una rapina. Qualcuno svenne. Poi improvvisamente si sentì il crepitio di una raffica di mitra. In un attimo gli assalitori si dileguarono. Qualcuno uscì dall’ufficio postale. Ai suoi occhi apparve una scena raccapricciante: all’interno di un’auto dei Carabinieri, un graduato era stato colpito a morte. Era il maresciallo della stazione dei Carabinieri di Lissone, Valerio Renzi. I brigatisti lo avevano ammazzato. Il giorno prima a Napoli allo stesso modo era stato massacrato il capo della squadra mobile. Erano gli anni del terrorismo che aveva seminato terrore e morte nel nostro Paese e che fu sconfitto solo dopo aver lasciato una scia di sangue”.
L'Arma dei Carabinieri conferì la Medaglia d'argento al valor civile alla memoria a Valerio Renzi e fece erigere sul luogo dell'attentato, di fronte all’Ufficio Postale di Lissone, un monumento in sua memoria, opera della scultrice Virginia Frisoni.
Nel 1988 la Provincia di Milano conferì il Premio Isimbardi alla memoria di Valerio Renzi con la seguente motivazione:
“Maresciallo capo, comandante della stazione dei carabinieri di Lissone ucciso dai terroristi nel corso di una rapina all'Ufficio postale di Lissone nel 1982. Il suo esempio ha onorato l'arma cui apparteneva e ha contribuito alla lotta contro la criminalità politica per la dedizione e l'impegno dimostrati fino all'estremo sacrificio.”
i 97 anni di Egeo Mantovani
Il 12 luglio Egeo Mantovani, Presidente onorario dell’ANPI provinciale di Monza-Brianza e membro del Comitato Onorario Nazionale della nostra associazione, compie 97 anni.
Ha scritto Loris Maconi, presidente dell’ANPI provinciale di Monza-Brianza
“L’ANPI provinciale intende festeggiare questa felice ricorrenza.
Pensiamo che rappresenti il giusto riconoscimento per chi, come lui, ha partecipato attivamente alla lotta di liberazione e allo sviluppo del movimento democratico, grazie alla partecipazione alle lotte dei lavoratori negli anni difficili del dopoguerra.
L’impegno di Egeo, come tutti sappiamo, continua in modo costante anche ora. Infatti non solo è la figura più rappresentativa dell’ANPI provinciale, ma anche colui che, con il suo incessante lavoro, assicura alla nostra associazione un ruolo importante sul territorio.”
Martedi’ 12 luglio 2018 alle ore 18 presso il circolo Cattaneo tutti gli iscritti all’ANPI festeggeranno i bellissimi 97 anni di Egeo Mantovani.
Chi è Egeo Mantovani
Figlio di braccianti agricoli, trasferitisi a Carpi e poi nell'Agro Pontino, a undici anni inizia a lavorare come bracciante e meccanico. Mobilitato durante la Seconda guerra mondiale, Mantovani fa parte della divisione Ariete, di stanza nell'Africa settentrionale, e partecipa anche alla battaglia di El Alamein. L'8 Settembre 1943 si trova a Bologna; la sua caserma è occupata dai nazisti, ma lui riesce a scappare. Si rifugia prima da una zia (che con altre donne aiutava i soldati sbandati, fornendo loro abiti e calzature borghesi), ma presto entra nelle formazioni partigiane che si vanno organizzando sulle montagne tosco-emiliane. Partecipa così a numerose azioni contro i nazifascisti e ha modo di salvare molti soldati inglesi. Mantovani, che è stato fra i protagonisti della liberazione della sua città, ha ricevuto dal comune di Carpi un riconoscimento ufficiale del contributo dato alla Resistenza. Entrato nel 1946 alla "Magneti Marelli", dal 1954 al 1970 è stato membro della commissione interna. rendendosi protagonista di numerose conquiste sindacali. In quegli stessi anni ha ricoperto numerosi incarichi, tra cui quello di presidente della Cooperativa "Carlo Cattaneo" di Monza, membro del direttivo provinciale della Fiom, segretario del Coordinamento nazionale della Magneti-Marelli. Da diversi anni è l'anima e il punto di riferimento dell'ANPI di Monza e della Brianza. Nel 2008 è stato eletto Presidente onorario della nuova ANPI provinciale di Monza-Brianza. Instancabile nella sua quotidiana attività di coordinatore e divulgatore dei principi dell'antifascismo, Egeo Mantovani dice sempre: "C'è molto da lavorare: dobbiamo tirarci su le maniche".
Il suo racconto:
«L’8 settembre 1943 mi trovavo a Bologna presso la Caserma “Marconi” del VI Reggimento del Genio, ero sergente. Quel giorno, mentre ero in libera uscita, passai davanti a un bar situato nei pressi della stazione centrale di Bologna e distante poche centinaia di metri dalla Caserma; dall’interno sentii delle grida, mi fermai e appresi, attraverso il bollettino radio, che era stata accettata la domanda di armistizio da parte delle forze anglo-americane. Capendo subito l’importanza di quel comunicato, feci dietro front e rientrai in Caserma dove vi era stato il cambio della guardia e al Caporal Maggiore che la comandava domandai se fosse arrivato qualche Ufficiale dato il momento così delicato. Attesi qualche ora e nessuno si fece vivo: debbo anche dire che gli Ufficiali e Marescialli dormivano fuori dalla Caserma o addirittura con la famiglia. Verso le ore 19,00 decisi di formare una ronda, composta da due soldati e me, per andare a vedere che cosa succedeva in città. Nel centro di Bologna percorremmo strade e portici e notammo che tutto era calmo, solo in alcune osterie si festeggiava l’evento: «Finalmente la guerra è finita!» gridavano. Mi ricordo che incontrammo un tedesco un po’ anzianotto e un uomo che era sulla soglia di casa sua ci sussurrò: «Prendetelo!», ma io dissi: «Noi non abbiamo nessun ordine!». Forse quell’uomo aveva capito la gravità di quel momento.
Alle ore 23,00 ritornammo in Caserma e al Caporal Maggiore che comandava il picchetto di guardia dissi: «Stai attento, chiudi bene i cancelli perché non si sa mai che cosa può succedere». Io e i due soldati di ronda andammo a dormire: loro in camerata ed io nelle camerette dei sottufficiali con i quali mi fermai una mezz’ora a parlare e verso mezzanotte ci coricammo in branda. In piena notte verso le ore due sentii una voce stridula che diceva: «VECH! VECH!» e mi vidi puntata una pila in faccia. In quel momento mi si agghiacciò il sangue, mi alzai in fretta e invece di indossare la mia divisa infilai una tuta da meccanico.
In fretta e furia, con un fucile puntatomi addosso uscii dalla cameretta e andai nel cortile a raggiungere gli altri sottufficiali che erano già stati presi. Dalle camerate fecero scendere in cortile tutti i soldati e graduati. Nel cortile il cerchio degli ormai prigionieri si stringeva sempre più e così per loro fu facile disarmarci. lo nella mia testa pensavo: «Stai a vedere che dopo quasi due anni di guerra contro gli inglesi in Africa settentrionale con la Divisione Ariete, avanti e indietro in quel maledetto deserto, fino ad El Alamein da cui sono riuscito a scamparla, vengo fatto prigioniero proprio da coloro che combattevano fianco a fianco con me».
Conoscendo bene la Caserma e sapendo che da un lato di essa scorreva il fiume Lame, mi acquattai dietro il corpo di guardia e strisciando arrivai alla scarpata. Dopo aver percorso ancora circa venti metri mi portai sotto un ponte dove sapevo esserci solitamente due sentinelle a guardia dell’entrata della Caserma. Al mio arrivo le sentinelle chiesero: «Chi va là?». Risposi che ero il Sergente Mantovani e avvicinandomi dissi loro che cosa stava succedendo e che i tedeschi avevano occupato la caserma e fatto tutti prigionieri senza sprecare un colpo. Le sentinelle mi chiesero che cosa potevano fare e io consigliai loro di gettare il fucile, di scappare e di nascondersi da qualche parte. Mi ascoltarono e così ci separammo.
La prima cosa che mi venne in mente era quella di andare da mia zia Maria che abitava a Porta S. Vitale e così di corsa alle tre di notte, passando di portico in portico, di strada in strada, raggiunsi la casa della zia e questo fu il mio primo rifugio. Mia zia, aiutata anche da amiche e conoscenti, mi diede degli abiti borghesi e un paio di scarpe. In seguito seppi che alcuni soldati pur essendo in abiti borghesi erano stati arrestati perché calzavano scarponi da militare. In città regnava una parvenza di calma: solo qualche automezzo blindato, perché la maggior parte della forza tedesca era impegnata a trasferire i prigionieri delle caserme di Bologna e dintorni all’interno del campo sportivo cittadino.
I tedeschi trasferirono questi prigionieri in Germania nei campi di concentramento, trasportandoli su convogli ferroviari di tipo carro bestiame. Seppi poi che ne deportarono oltre 600.000.
Io rimasi a Bologna, ma circa una settimana dopo venni a conoscenza che vi era in atto da parte dei tedeschi una caccia spietata nei confronti di coloro che erano riusciti a non farsi prendere. Per vedere che cosa si poteva fare, incontrai di nascosto alcuni ufficiali e sottufficiali e venni a sapere da loro che alcuni commilitoni altoatesini della mia caserma avevano subito aderito alle formazioni tedesche.
Di nascosto mi trovai altre volte con gli altri ufficiali nel centro di Bologna, ma poi per paura di essere individuati e spiati scegliemmo di andare ognuno per la propria strada. Verso il 20 settembre decisi di darmi alla macchia e così la mia ragazza mi fece conoscere l’ing. Carlini, suo datore di lavoro, persona antifascista di origine marchigiana il quale mi fece arrivare sulle montagne tosco-emiliane della provincia di Bologna… Ma da qui in poi, inizia un’altra storia».
Dall’ANPI di Lissone
Caro Egeo,
in occasione del tuo compleanno, l’ANPI di Lissone desidera ringraziarti per il tuo costante impegno per la nostra associazione.
La tua assidua presenza costituisce per tutti noi un utile punto di riferimento.
I tuoi consigli, i tuoi suggerimenti nelle varie occasioni sono sempre preziosi.
La tua scelta di vita, prima da partigiano poi nella vita civile, è un esempio per i giovani con i quali cerchi di mantenere frequenti contatti nelle scuole.
Il tuo modo di dire "C'è molto da lavorare: dobbiamo tirarci su le maniche" è uno sprone ad agire: la vitalità della nostra associazione, l’incremento del numero degli iscritti e delle sezioni sul nostro territorio brianzolo sono anche merito del tuo impegno.
Per questo te ne siamo grati e ti auguriamo ancora ogni bene e
... lunga vita ai partigiani!
Il direttivo dell'ANPI di Lissone
L’eccidio dei 67 Martiri di Fossoli
articoli sul campo di concentramento di Fossoli nel sito ANPI Lissone
Domenica 8 luglio avrà luogo la commemorazione dell’eccidio dei 67 Martiri di Fossoli