Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Lissone nuove iniziative per il 70mo della Costituzione

21 Septembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #La COSTITUZIONE italiana

Lissone, 20 settembre 2018

Dopo la pausa estiva, sono riprese le iniziative della varie associazioni per il 70mo della Costituzione.

Ieri sera si è svolta la prima delle tre conferenze sul tema del lavoro, organizzate dal Circolo Culturale Sociale Don Ennio Bernasconi.

 

la locandina con le prossime conferenze del Circolo Don Bernasconi

tutte le altre iniziative previste per il 70mo della Costituzione a Lissone

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Le leggi razziali del fascismo e la scuola

12 Septembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Il razzismo fascista non fu "all'acqua di rose". Le leggi razziali del fascismo furono una vergogna e una infamia imperdonabile. A causa di quelle leggi migliaia di ebrei italiani furono perseguitati, umiliati, ridotti alla fame, arrestati e poi spediti nei campi di sterminio.

Le leggi razziali furono emanate nel 1938: il 14 luglio venne pubblicato il "Manifesto del razzismo italiano" redatto, sotto l'egida del ministero della Cultura Popolare, da un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, poi trasformato in decreto, il 15 novembre dello stesso anno, con tanto di firma di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d'Italia e imperatore d'Etiopia "per grazia di Dio e per volontà della nazione".

Con il manifesto e con le leggi successive, agli ebrei venne proibito di prestare servizio militare, esercitare l'ufficio di tutore, essere proprietari di aziende, essere proprietari di terreni e di fabbricati, avere domestici "ariani". Gli ebrei venivano anche licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni e dall'insegnamento nelle scuole di qualunque ordine e grado. Infine, i ragazzi ebrei non potevano più essere accolti nelle scuole statali. Insomma una vera e propria tragedia per migliaia di persone, magari con alle spalle anni ed anni di onoratissimo lavoro.

Una delle prime istituzioni statali in cui fu introdotto l'antisemitismo fu proprio la scuola già a partire dall'estate 1938.

Le leggi razziali del fascismo e la scuola

Il razzismo era completamente estraneo alla coscienza e alla tradizione italiana; l'applicazione delle leggi discriminatorie procedette a fatica e con parecchie resistenze.

Il 19 luglio 1938 - poco dopo la pubblicazione del documento noto come "Manifesto degli scienziati razzisti" - la Direzione generale per la demografia e per la razza, organismo istituito in seno al ministero degli Interni e preposto all'applicazione della normativa persecutoria antiebraica, dispose il censimento di tutti gli ebrei appartenenti all'amministrazione statale. In agosto fu vietato a tutte le scuole di accettare alunni stranieri ebrei (compresi quelli dimoranti in Italia) per il successivo anno scolastico, mentre era previsto il licenziamento dei professori incaricati e dei supplenti ebrei. L'appartenenza alla razza ariana divenne essenziale per entrare nel pubblico impiego. Sempre nello stesso mese il ministro Bottai con una circolare ministeriale sollecitava i provveditori alla massima diffusione nelle scuole primarie e secondarie della rivista " La difesa della razza", diretta da Telesio Interlandi.

Le leggi razziali del fascismo e la scuola
Le leggi razziali del fascismo e la scuola

Un'altra circolare disponeva il divieto di adozione dei libri di testo di autori di razza ebraica.

In settembre insegnanti ed alunni ebrei, salvo eccezioni, erano esclusi dalle scuole pubbliche italiane. La sospensione dal servizio per maestri e professori sarebbe scattata a partire dal 16 ottobre. A tale misura dovevano adeguarsi anche presidi, direttori, assistenti universitari, liberi docenti, membri delle Accademie, degli Istituti, delle Associazioni di scienze, lettere e arti e tutte le altre persone di "razza ebraica" impiegate, con qualsiasi mansione, nelle scuole (bidelli, segretari), negli uffici del ministero.

Lo Stato si impegnava ad istituire a proprie spese sezioni "separate" di scuola elementare nelle località in cui vi fossero stati almeno dieci bambini ebrei in età scolare; in queste scuole anche gli insegnanti potevano essere di razza ebraica. Il ministero dell'Educazione nazionale autorizzava, comunque, le comunità israelitiche ad aprire scuole elementari per i propri bambini.

I decreti di settembre colpirono 200 professori (98 erano docenti universitari) e 5.600 allievi, di cui 4.400 erano scolari, 1.000 alunni di scuola media, 200 studenti universitari, inoltre più di 133 aiuti e assistenti universitari, 114 autori di libri di testo.

La discriminazione razziale nella scuola fu ufficialmente annunciata dal ministro Bottai in persona in una trasmissione radiofonica diffusa il 16 ottobre 1938, in occasione dell'apertura del nuovo anno scolastico: «... La Scuola italiana agli italiani ... Gli ebrei avranno, nell'ambito dello Stato, la loro scuola, gli italiani la loro ...».

La normativa persecutoria fu accompagnata da una accesa campagna propagandistica nella scuola - con conferenze, lezioni, opuscoli, articoli sui periodici scolastici e non - volta a prevenire o annullare le reazioni negative ai provvedimenti.

Le scuole furono invitate ad abbonarsi a “La difesa della razza”.

Nella scuola non vi fu, quindi, unicamente l'introduzione della legislazione persecutoria nei confronti degli ebrei. Dall'autunno del 1938 gli studenti di "razza ariana" rimasti nelle classi furono educati ad essere consapevoli e fieri della loro superiorità razziale. Razzismo e antisemitismo si diffusero nei libri di testo, nell'insegnamento e nella formazione degli stessi insegnanti, nella vita scolastica quotidiana.

Le leggi razziali del fascismo e la scuola

Furono create ventidue scuole elementari e tredici medie che consentirono di far proseguire gli studi ai giovani e ai bambini cacciati dagli istituti pubblici.

Dal diario di una bambina ebrea torinese: «Oggi è il primo giorno della mia nuova vita di scuola. Andandoci pensavo con rammarico alla mia maestra e alle compagne che avevo dovuto lasciare».

Scrive nel suo libro “La farfalla impazzita” Giulia Spizzichino, ebrea romana sfuggita alla retata del 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma:

«L’elemento personale che associo alle leggi razziali sono le lacrime di mia madre, il brutto giorno in cui io venni allontanata dalla scuola. Lì per lì mi colpirono molto, non l’avevo mai vista piangere. Una mattina, frequentavo l’avviamento commerciale da un paio di mesi, il preside la convocò a scuola e con aria contrita le disse che non potevo più frequentare le lezioni. Lei scoppiò in lacrime, io ero interdetta. Avevo undici anni e alle elementari ero sempre andata bene. Forse non provai nemmeno un particolare dispiacere, del resto non capivo cosa ci fosse dietro quella espulsione, a differenza dei miei genitori che lo comprendevano perfettamente e prevedevano una svolta ancora più crudele.

Povera mamma, per lei fu un’umiliazione tremenda venire in classe, raccogliere tutti i miei libri e quaderni e portarmi via. Io in quei momenti stavo lì a occhi bassi, non capivo perché l’avessero costretta a ricondurmi a casa. Ero terrorizzata all’idea di aver fatto qualcosa di male e temevo una punizione da parte di mio padre, di cui avevo molta soggezione.

Ricordo bene come si svolsero le cose: io ero in classe, il preside arrivò e mi fece uscire in un corridoio dove, davanti a mia madre, spiegò che era arrivata una lettera del Partito Nazionale Fascista e per questo io dovevo lasciare la scuola. Il concetto era che non potevo più stare a contatto con le altre bambine. Di colpo mi sentii come affetta da un morbo contagioso. Quando mi dissero che dovevo lasciare la scuola, credo di non essere neppure rientrata in classe. Mi vergognavo, se l’ho fatto è stato solo per riprendere i miei oggetti scolastici, non ho avuto il tempo di salutare nessuno».

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8 settembre 1943

4 Septembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo

 
Il capo del Governo Badoglio invia al quartier generale alleato ad Algeri un messaggio in cui informa Einsenhover di non poter annunciare l'armistizio a causa della consistente presenza di truppe tedesche nei dintorni della capitale e sconsiglia l'invio della divisione aviotrasportata data l'impossibilità italiana di fornire il carburante e i mezzi necessari ai reparti sbarcati. Eisenhower respinge la richiesta di ritardare l'annuncio e minaccia pesanti ritorsioni in caso contrario; anzi, alle 16.30 radio New York anticipa la notizia della firma dell'armistizio con l'Italia. 8settembre1943-1-.jpg Poco dopo il re, Badoglio, Guariglia, Acquarone, Carboni e i ministri della guerra, della marina e dell'areonautica si riuniscono al Quirinale, dove arriva la notizia dell'annuncio dell'armistizio dato dagli americani.               

Il generale Castellano con il generale Eisenhower
Al nord reparti tedeschi comandati da Erwin Rommel iniziano i rastrellamenti dei soldati italiani e l'occupazione dei punti strategici, in particolare impianti industriali e vie di comunicazione.

  

 Alle 19.45 Badoglio con un messaggio alla radio rende nota agli italiani la notizia dell’armistizio, firmato segretamente il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, dal plenipotenziario italiano generale Castellani e dal generale americano Smith. L'Italia precipita nel caos. Il Re Vittorio Emanuele III e Badoglio lasciano Roma e, a bordo di una nave da guerra, da Pescara raggiungono Brindisi, nella zona già occupata dagli Alleati. L’esercito, lasciato senza ordini precisi, quasi ovunque si dissolve. I tedeschi, che nei giorni precedenti avevano fatto affluire rinforzi dal Brennero, avviano immediatamente l'operazione Achse, che attua le disposizioni a suo tempo predisposte in tale eventualità, e occupano di fatto la penisola italiana, disarmando e catturando centinaia di migliaia di militari italiani, in Italia, in Grecia, in Albania, in Jugoslavia e sugli altri fronti, avviandoli alla prigionia in Germania. Solo la flotta navale, ad eccezione della corrazzata Roma affondata dai tedeschi, riesce a sottrarsi alle mire tedesche e a consegnarsi agli alleati nell'isola di Malta. Per l’esercito italiano l’annuncio dell’armistizio è uno sfacelo: 60.000 fra morti e dispersi, oltre 700 mila soldati internati in Germania; fra i superstiti, molti fuggono verso casa, molti danno vita a bande partigiane che animeranno la Resistenza. Gli antifascisti danno vita al Comitato di Liberazione Nazionale, chiamando il popolo “alla lotta e alla resistenza”.

La notizia dell’armistizio era stata tenuta segreta proprio per scongiurare la reazione dei tedeschi, in vista del progettato aviosbarco di truppe anglo-americane a Roma. L’operazione, troppo rischiosa, viene però annullata. Nella capitale, in particolare nel quartiere di Porta San Paolo,portasanpaolo.jpg esercito e popolazione insieme riescono a fermare l'avanzata del maresciallo Kesselring. Durante la notte le divisioni Granatieri, Ariete e Piave fermano i tedeschi intorno a Roma. Incominciano le operazioni di sbarco della V armata americana nel golfo di Salerno, dove sono schierate le forze tedesche comandate dal generale von Vietinghoff. Gli inglesi sbarcano a Taranto.

Il fatto stesso che, dopo il proclama di Badoglio delle 19.43, la radio seguitasse a ripeterlo, con monotonia esasperante, e non vi aggiungesse nessun'altra notizia, aveva convinto la maggior parte degli italiani che tutto era stato disposto per il meglio, da parte del maresciallo Badoglio e del suo governo, ed anche il re era stato previdente, lungimirante, così si pensava. Segno che in alto loco, insomma, erano state calcolate bene tutte le mosse.
Quella notte Vittorio Emanuele III, Badoglio e i generali abbandonano Roma e fuggono a Pescara, da dove la Marina li porterà a Brindisi sotto protezione alleata.


Il testo del messaggio di Badoglio

"Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza".

 


Le condizioni alleate per la resa

Lo «short armistice», stabiliva le clausole militari per la resa. Il documento fu consegnato al generale Castellano il 19 agosto 1943. Le condizioni alleate per la resa vennero fissate in forma ancor più dettagliata nel «long armistice» che contemplava anche le condizioni politiche ed economiche.

Lo «short armistice»

Consisteva di 12 articoli. Prevedeva l'immediata cessazione delle ostilità contro le forze alleate. Il Governo italiano si impegnava a fare il possibile per impedire ai tedeschi di impossessarsi di installazioni o materiali che avrebbero poi potuto· usate contro le «Nazioni Unite». I prigionieri e gli internati sarebbero stati consegnati al Comandante in Capo alleato e gli italiani dovevano garantire che nessun prigioniero venisse avviato in Germania dopo il 3 settembre. Era prevista la consegna di tutte le navi da guerra e degli aerei. In caso di bisogno, Eisenhower era autorizzato a impiegare anche le navi della Marina mercantile. Il territorio italiano e la Corsica potevano essere utilizzati dalle Forze Armate alleate come basi operative o per qualsiasi altro scopo, inclusa la piena utilizzazione dei porti e degli aeroporti. Sino all'arrivo delle unità alleate, le truppe italiane avrebbero protetto questi obiettivi, difendendoli, se necessario, da eventuali attacchi tedeschi. Le unità italiane, ancora impegnate in attività operative, dovevano essere subito ritirate dalle loro posizioni. Il Governo italiano si dichiarava disposto ad impiegare con carattere di immediatezza le sue Forze Armate per onorare gli impegni assunti con la firma del trattato. Venivano presi in esame anche gli aspetti amministrativi e quelli concernenti la costituzione di un Governo Militare alleato. Lo stesso poteva dirsi per il disarmo e la smobilitazione: provvedimenti, questi, che sarebbero stati decisi a discrezione delle autorità alleate. Si precisava, infine, che le condizioni economiche, finanziarie e politiche stabilite dagli Alleati sarebbero state trasmesse successivamente. 

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I nuovi “resistenti” di Milano

3 Septembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

Milano, piazza San Babila, martedì 28 agosto 2018 ore 17

In segno di protesta contro il vertice tra Matteo Salvini, nella veste di ministro dell’Interno e capo della Lega, e il premier ungherese Viktor Orbán, si sono date appuntamento oltre diecimila persone.

Tra le numerose associazioni che hanno aderito alla manifestazione di protesta, vi è anche l’ANPI.

In rappresentanza della Sezione lissonese dell’ANPI, erano presenti alcuni nostri soci.

Due mani che sostengono una nave carica di migranti sono il simbolo della mobilitazione anti Salvini.

I nuovi “resistenti” di Milano

Ha detto il presidente provinciale dell’ANPI di Milano, Roberto Cenati: «Un’idea sovranista e nazionalista dell’Italia e dell’Europa si contrappone ai principi della Costituzione».

E Walter Veltroni: «Quando Altiero Spinelli pensò l’Europa unita, il nostro continente era in fiamme. È stata la più grande conquista di pace della storia umana, in questa parte del mondo. Ma ora tutto sta crollando. Logorata prima dalla timidezza dei governi democratici e ora dalla esplicita volontà antieuropea di un numero crescente di Stati. Noi, l’Occidente che ha attraversato la seconda guerra mondiale e l’orrore dei regimi autoritari, dell’hitlerismo e dello stalinismo, noi dove stiamo andando? Chi sostiene il sovranismo in una società globale, chi postula una società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli altri e li demonizza, chi anima spiriti guerrieri contro una minoranza, chi mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa, altro non fa che dar voce alle ragioni storiche della destra più estrema».

Il momento è pericoloso per i rischi che corre la democrazia.

E Bruno Segre: «Noi che abbiamo fatto il carcere o siamo saliti in montagna pensavamo che la democrazia, la Costituzione, l’assetto repubblicano avrebbe spinto il popolo a maturare. E invece nel corso dei decenni l’Italia ha palesato il suo volto di compromessi e particolarismi». Definirei l’attuale passaggio storico «analfabetismo della democrazia. Salvini è un demagogo di basso conio che scatena gli istinti peggiori degli italiani. Certo vedere il ministro degli Interni che abbraccia Orbán e tiene in ostaggio i migranti non può che farmi male. Tutta la mia vita è stata una ribellione alle ingiustizie e alle prevaricazioni».

Ha scritto Massimo Cacciari: «Il popolo è contrapposto alla casta, con un’apologia della Rete e della democrazia diretta che si risolve, come è sempre accaduto, nel potere incontrollato di pochi. L’ossessione per il problema dei migranti, ingigantito oltre ogni limite, gestito con inaccettabile disumanità, acuisce in modi drammatici una crisi dell’Unione europea che potrebbe essere senza ritorno».

I nuovi “resistenti” di Milano
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Presentazione del libro "LEGATI PER LA VITA"

3 Septembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

Presentazione del libro "LEGATI PER LA VITA"

Sabato 8 Settembre - Ore 17.00 Presso la Biblioteca Civica di Lissone

Piazza IV Novembre, 2 Sala Polifunzionale

In occasione del 75° anniversario dell'armistizio è stato presentato libro

"LEGATI PER LA VITA"

di Enrico Consonni e Tarcisio Beretta

Diari di due soldati allo sbando dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943

Enrico Consonni era il padre del nostro socio Walter, che ha raccontato ai presenti la genesi del libro e, a grandi linee, il suo contenuto. Erano presenti il Sindaco e l'assessore alla Cultura del Comune di Lissone, che ha patrocinato l'iniziativa.

Dal sito del Comune:

Un commento del Sindaco sul libro

 

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