Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

18 giugno 1940: l'appello di De Gaulle ai Francesi

19 Juin 2020 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza europea

Parigi, venerdì 14 giugno 1940: i tedeschi occupano la città.

Parigi giugno 1940

Londra, martedì 18 giugno 1940: il generale De Gaulle, accompagnato dal suo aiutante di campo, entra, poco prima delle ore 18, nel palazzo della BBC, la radio inglese, situato in Oxford Circus.

Nell’edificio vi sono guardie armate dappertutto: gli inglesi temono un attacco dei paracadutisti tedeschi.

De Gaulle si dirige verso lo studio 4B, al quarto piano. Deve parlare ai Francesi. Ha molte cose da dire. Deve rispondere alle proposte del maresciallo Pétain che, il giorno prima, durante una trasmissione radiofonica, ha dichiarato: «Faccio dono alla Francia della mia persona per alleviare la sua infelicità».

Pétain ha teso la mano al nemico: «Con il cuore in mano vi dico che bisogna cessare di combattere. Questa notte, mi sono rivolto ai nostri avversari per domandare loro se sono pronti a cercare con noi, tra soldati e con onore, i mezzi per mettere fine alle ostilità».

De Gaulle è indignato. Churchill condivide la condanna di Pétain e ha accordato a De Gaulle il privilegio di rivolgersi ai Francesi dai microfoni della BBC.

Entrando nello studio radiofonico De Gaulle, che indossa dei guanti bianchi, ha in mano dei fogli dattiloscritti con il testo dell’appello che leggerà.

De Gaulle incomincia a parlare senza guardare i suoi fogli. Le sue parole cambieranno la sua vita e lui lo sa. “Qualunque cosa succeda la fiamma della resistenza francese non deve spegnersi e non si spegnerà”.

 

 De Gaulle appello18 giugno 1940  70 appel De Gaulle 

 

1016 compagnons Libération

 

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16 e 17 giugno 1944: la fucilazione di 4 partigiani lissonesi

13 Juin 2020 , Rédigé par Renato Publié dans #pagine di storia locale

Un uomo muore solo quando più nessuno si ricorda di lui

Lissone 16 giugno 2020: l'ANPI ricorda i quattro giovani partigiani lissonesi fucilati il 16 e 17 giugno 1944.

 

Pierino Erba     Carlo Parravicini      Remo Chiusi     Mario SomaschiniPierino Erba     Carlo Parravicini      Remo Chiusi     Mario Somaschini
Pierino Erba     Carlo Parravicini      Remo Chiusi     Mario SomaschiniPierino Erba     Carlo Parravicini      Remo Chiusi     Mario Somaschini

Pierino Erba Carlo Parravicini Remo Chiusi Mario Somaschini

Giovedì 15 giugno 1944

Sono ormai quattro anni che l’Italia è in guerra, fino all’ 8 settembre 1943 al fianco dei tedeschi, ora con gli Alleati, che il 4 giugno hanno liberato Roma. Mentre l’avanzata degli Alleati procede lentamente lungo la penisola, il nord Italia è sotto occupazione nazista: i tedeschi, alla fine di settembre 1943, hanno contribuito alla formazione della Repubblica Sociale Italiana con a capo Mussolini, che ha la capitale a Salò, sul lago di Garda.

Da dieci giorni le truppe alleate, formate da americani, inglesi e canadesi, sono sul territorio francese. L’operazione Overlord, che ha portato più di 1.200.000 soldati sulle coste della Normandia, è in corso anche se la resistenza tedesca si sta rivelando più dura del previsto.

A Lissone da un mese si è formato il locale Comitato di Liberazione Nazionale.

Lo sciopero generale del marzo 1944 (a cui avevano partecipato anche gli operai dell’Incisa, che contava circa 1200 dipendenti e dell’Alecta, 500 dipendenti) aveva ottenuto un grande e lusinghiero successo così da scuotere in Lissone l'assenteismo della popolazione, interessandola alla lotta per la liberazione e a coloro che combattevano per ottenerla.

Lissone, Venerdì 16 giugno 1944

Da alcune ore i quattro partigiani lissonesi Remo Chiusi, Mario Somaschini, Pierino Erba e Carlo Parravicini, accusati dell’attentato in Corso Milano contro due militi fascisti (avvenuto in tarda serata di ieri), sono nelle mani dei nazifascisti: Erba e Parravicini sono presso la Casa del Fascio di Lissone (l’attuale Palazzo Terragni), Chiusi e Somaschini in Villa Reale a Monza.

Nell'ora di uscita degli operai dal lavoro, gli altoparlanti chiamano a raccolta la popolazione in piazza Ettore Muti (l'attuale piazza della Libertà) per assistere ad uno spettacolo. La gente, ignara di quanto stava per accadere, si ferma e s'infittisce in una sospettosa attesa. Ad un certo punto, dalla scalinata della Casa del Fascio scendono due giovani quasi incapaci di reggersi in piedi per le torture subite: sono Pierino Erba (di 28 anni) e Carlo Parravicini di anni 23. I due partigiani vengono messi davanti alla fontana e fucilati tra lo sgomento della popolazione.

L'incredulità e lo sbigottimento della folla attonita lasciano il posto all'orrore ed al terrore ed in un attimo la piazza si svuota mentre altre raffiche di mitra solcano l'aria.

Ed inizia una sera impregnata di spavento, la gente si chiude nelle proprie case ed in paese sembra che il coprifuoco sia calato in anticipo tanto le vie sono deserte: si sentono solo le scarpe chiodate delle ronde che perlustrano le strade facendo scoppiare qualche bomba a mano o sventagliando contro l'acciottolato delle raffiche di mitra per il sadico gusto di intimidire maggiormente la gente.

L’indomani alla Villa Reale di Monza, Remo Chiusi e Mario Somaschini, entrambi ventitreenni, subiscono la stessa sorte dei loro amici.

certificati fucilazionecertificati fucilazionecertificati fucilazione

certificati fucilazione

Nei giorni seguenti anche Radio Londra nella trasmissione "La Voce della Libertà" ricordava il tragico episodio esaltando il martirio dei quattro patrioti. Finita la guerra, i solenni funerali dei quattro partigiani lissonesi furono celebrati il 13 Maggio 1945 nella chiesa di San Carlo.

alcuni momenti dei funerali nella chiesa di San Carloalcuni momenti dei funerali nella chiesa di San Carlo

alcuni momenti dei funerali nella chiesa di San Carlo

A guerra terminata, sulla tomba a loro dedicata presso il cimitero urbano

i Lissonesi scrissero:

LIBERTÀ E UMANITÀ

FU PER QUESTI MARTIRI

ANELITO DI VITA INSOFFERENZA DI TIRANNIA

ASSASSINATI DA PIOMBO FASCISTA

E DA SEVIZIA NAZISTA

LOR GIOVINEZZA IMMOLATA È MONITO

DI PACE E DI GIUSTIZIA

CITTADINI MEDITATE ED IMPARATE

L’anno successivo fu posta sul luogo della fucilazione una targa commemorativa in marmo, recante la scritta “Parravicini Carlo, Erba Pierino, Chiusi Remo, Somaschini Mario nel nome della libertà caddero trucidati dai nazifascisti il 16 -17 giugno 1944”.

La cerimonia di inaugurazione avvenne alla presenza del Sindaco ing. Mario Camnasio (1946-1951).

La lapide commemorativa originaria, nel 2005, iniziati i lavori di riqualificazione di Piazza Libertà, è stata ricollocata al cimitero urbano.

Inoltre i dipendenti delle O.E.B. Officine Egidio Brugola, a ricordo dei loro colleghi, posero una lapide all’interno dello stabilimento in Via Dante.

Nel 1985, in occasione del 40° anniversario della Liberazione, l’Amministrazione Comunale, Sindaco Angelo Cerizzi, e la Direzione aziendale realizzarono un nuovo monumento in acciaio che reca la scritta ” “Gli operai di questo stabilimento pongono a ricordo dei loro compagni di lavoro SOMASHINI MARIO, ERBA PIERINO, CHIUSI REMO caduti per la libertà”. Ancora oggi nelle ore notturne viene illuminato, a perenne ricordo.

Dopo il 25 Aprile 1945, la piazza principale della nostra città (Piazza Fontana per i lissonesi), per un breve periodo fu chiamata Piazza IV Martiri prima di assumere la denominazione attuale di Piazza Libertà. Nel corso del XX secolo la piazza, ha cambiato nome diverse volte: dapprima Piazza della Chiesa (per la presenza della vecchia chiesa), poi, dopo la I guerra mondiale, Piazza Trento e Trieste, in seguito, dal 1934 Piazza Vittorio Emanuele II, quindi Piazza Ettore Muti.

I Maggio 1945 in Piazza IV Martiri. Dal balcone di Palazzo Terragni, il socialista monzese Ettore Reina parla ai lissonesi, attorniato dai membri della locale Sezione del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale)

L’A.N.P.I. lissonese, mentre ricorda il sacrificio di questi quattro giovani concittadini, desidera dedicare anche un pensiero a tutti i lissonesi che in vari modi si opposero al fascismo. Vogliamo ricordare anche chi attuò la cosiddetta Resistenza silenziosa ed i cui nomi non sono riportati nei libri di storia o nei documenti ufficiali, chi lottò nelle file della Resistenza armata, chi fu internato nei campi di concentramento in Germania, tutti coloro che persero la vita perché anche Lissone divenisse una città libera e democratica.

documento originale sulla fucilazione di Pierino Erba e Carlo Parravicini

documento originale sulla fucilazione di Remo Chiusi e Mario Somaschini

16 e 17 giugno 1944: la fucilazione di 4 partigiani lissonesi16 e 17 giugno 1944: la fucilazione di 4 partigiani lissonesi16 e 17 giugno 1944: la fucilazione di 4 partigiani lissonesi
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12 giugno 2020

12 Juin 2020 , Rédigé par Renato Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Oggi avrebbe compiuto 91 anni, Anna Frank. Annelies Marie Frank, era nata il 12 giugno 1929 a Francoforte sul Meno, città della Germania sud-occidentale, nello Stato federato dell’Assia (Länder). La sua famiglia ebraica era composta dalla madre Edith, dal padre Otto e dalla sorella di tre anni più grande, Margot.

Anne Frank ad Amsterdam nei primi anni quaranta World History Archive Agf

Nel 1933 i Frank, dopo l’ascesa dei nazionalsocialisti in Germania e l’acuirsi delle violenze contro gli ebrei e i loro beni, si trasferirono ad Amsterdam. Nella città olandese, Otto Frank dirigeva una fabbrica produttrice di aromi e pectina situata nel centro della città, e consentiva alla propria famiglia di vivere un tempo relativamente sereno fino all’arrivo dell’esercito nazista, che nell’arco di pochi giorni, nel maggio 1940, occupò i Paesi Bassi.

Nell’ambito del più ampio progetto di sterminio degli ebrei europei, i nazisti istituirono anche ad Amsterdam le modalità di oppressione, spoliazione e deportazione già sperimentate in tante altre città del Reich. I Frank, vistasi rifiutare la possibilità di emigrare negli Stati Uniti e impossibilitati a fuggire altrove, trovarono rifugio in una sezione non utilizzata della ditta di Otto Frank, in Prinsengracht 263, dove rimarranno per due anni interi. Con loro, la famiglia Van Pels (Hermann, Auguste e Peter) e poco tempo dopo il signor Fritz Pfeffer. Da fuori, nessuno doveva sospettare che in quell’edificio fossero nascosti ebrei: stracci contro i vetri delle finestre, spiragli ricoperti di cartone, buio. L’alloggio segreto, per Anna, rappresentava una chiusura contro l’esterno, una barriera che per metà si mostrava angosciante e per metà faceva assaporare la possibilità quotidiana di salvarsi, sfuggendo alla deportazione.

Circa tre settimane prima, per il suo tredicesimo compleanno, Anne aveva ricevuto in dono un diario. Le servirà per raccontare la clausura forzata che inizia il 12 giugno 1942 e termina il 1° agosto 1944, tre giorni prima dell’arresto.

pagina del diario nell Anne Frank Zentrum di Berlino Andreas Pein Laif Contrasto

Dal suo diario:

«In maggio del 1940 i bei tempi finirono: prima la guerra, poi la capitolazione, l’invasione tedesca e l’inizio delle sofferenze di noi ebrei. Le leggi antisemite si susseguivano all’infinito e la nostra libertà fu molto limitata». (20 giugno 1942)

«Così ci incamminammo sotto il diluvio, papà, mamma e io, ognuno con la sua cartella o borsa della spesa piena degli oggetti più svariati. Gli operai che andavano a lavorare di mattina presto ci guardavano pieni di compassione; dalle facce si capiva che erano dispiaciuti di non poterci offrire nessun mezzo di trasporto; l’appariscente stella gialla parlava da sé». (9 luglio 1942)

«L’alloggio segreto col nostro gruppo di rifugiati mi sembra uno squarcio di cielo azzurro attorniato da nubi nere cariche di pioggia. L’area rotonda e circoscritta su cui stiamo è ancora sicura, ma le nubi si avvicinano sempre di più». (8 novembre 1943)

«Ma guardavo anche fuori dalla finestra aperta, verso un bel pezzo di Amsterdam sopra a tutti i tetti, fino all’orizzonte che si tingeva di viola. Finché questo esiste, pensavo, e io posso viverlo, questo sole, quel cielo, senza una nuvola, finché esiste non posso essere triste». (23 febbraio 1944)

«Quassù mi sento tuttora più al sicuro che non sola in quella casa grande e silenziosa». (26 maggio 1944)

Venerdì 4 agosto la polizia tedesca fa irruzione nell’Alloggio Segreto, arrestando Anna Frank, la sua famiglia e gli altri clandestini. Tutti vengono deportati prima nel campo di concentramento di Westebork e successivamente ad Auschwitz.

Anna morirà di tifo e di stenti a Bergen Belsen nel marzo del 1945, tre settimane prima che le truppe alleate inglesi liberassero il campo di prigionia.

Disegno di Thomas Geve dal titolo “L’arrivo ad Auschwitz” Nel 1943, a poco più di tredici anni, viene deportato ad Auschwitz e in seguito a Gross-Rosen e Buchenwald, dove finalmente, nell'aprile del 1945, irrompe l'esercito alleato che libera gli internati. Geve chiede delle matite e dei fogli con cui fissa in 79 disegni il ricordo della prigionia.

Tratto da: Qui non ci sono bambini. Un'infanzia ad Auschwitz di Thomas Geve - Einaudi 2011 Yad Vashem Publications.

Thomas Geve, tredicenne ad Auschwitz

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10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra

9 Juin 2020 , Rédigé par Renato Publié dans #II guerra mondiale

Per l’Italia iniziava 80 anni fa la seconda guerra mondiale: una guerra inutile e sciagurata in cui l’Italia era stata trascinata dal regime dittatoriale fascista, che aveva fatto della guerra un dato fondamentale della propria azione politica e dell'educazione dei giovani.

10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra

Il 10 giugno del 1940 l'Italia entrò in guerra accanto alla Germania, contro la Francia e l'Inghilterra. Mussolini, svincolato da ogni autorizzazione o controllo di tipo parlamentare democratico, lo annunciò dal balcone di palazzo Venezia, a Roma, davanti a una piazza che lo applaudì freneticamente.

«Quel giorno, a Roma, le maestre avevano radunato nei cortili delle scuole le Piccole Italiane. Le bambine erano arrivate un po' affannate, per il caldo del primo pomeriggio, ancora con il pranzo sullo stomaco, ma tutte ben pettinate, i capelli lustri sotto il berrettino di seta nero, la camicetta bianca stirata, il distintivo cucito sul petto e i gradi sulla manica, la gonna nera a pieghe e le calzine bianche. Le Giovani Italiane si erano radunate sotto il Colosseo ed erano entrate in piazza Venezia a passo svelto da via dei Fori Imperiali; dall'altra parte della piazza erano arrivati i Balilla con i calzoncini corti, poi gli Avanguardisti con lo sguardo fiero e l'aria marziale. Nella grande piazza, i vari gruppi si erano disposti ordinati e compatti, come pezzi su una scacchiera, ad aspettare la parola del Duce. In attesa che si affacciasse al balcone cantarono l'Inno a Roma. Rimasero fermi più di un'ora sotto il sole, pronti ad alzare il braccio nel saluto romano al momento giusto e a rispondere al Saluto al Duce».

10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra
10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra
10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra
10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra
10 giugno 2020: 80 anni fa l’Italia entrava in guerra

La dichiarazione di guerra pronunciata da Mussolini il 10 giugno 1940 dal balcone di Palazzo Venezia

Scrive Lucio, figlio di un IMI (Internato Militare Italiano, cioè quei soldati italiani che  saranno fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e costretti al lavoro coatto in Germania e negli altri territori del Reich): «Una giornata tragica per la nostra terra quel 10 giugno; da quella decisione iniziarono le sofferenze per gli italiani e i nostri padri in particolare , prima sui fronti di guerra e poi in Germania. Di seguito un link del filmato del discorso del Duce. Lo avrete visto molte volte ma è un documento storico e vale sempre la pena di rivederlo per una riflessione sui nostri errori come italiani; non si può non notare infatti le piazze piene di gente...» video 10 giugno 1940

e a Lissone:

«Un'ora segnata dal Destino sta per scoccare sul quadrante della Storia, l'ora delle decisioni irrevocabili [...]. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano [...]».

Con queste parole altisonanti Mussolini annuncia alle ore 17 del 10 giugno 1940 l'entrata in guerra dell'Italia al fianco della Germania nazista.

Era un caldo lunedì pomeriggio; anche i dirigenti degli stabilimenti lissonesi fermarono la produzione. I dipendenti, incolonnati dietro i cartelli recanti il nome della fabbrica, si diressero verso piazza Vittorio Emanuele II, dove rimasero in attesa sotto gli altoparlanti per ascoltare le parole del duce trasmesse via radio. C’erano tutte le autorità schierate, arrivava gente da ogni parte: come raccontano le cronache, poche e sparute le grida di entusiasmo e di approvazione, circoscritte comunque ai soli individui in camicia nera; moltissimi invece gli sguardi sgomenti delle donne e degli uomini preoccupati per il destino dei loro figli; tangibili l'amarezza e lo sconforto dei giovani, che vedono profilarsi l'esperienza del fronte.

 

Due grandi firme del giornalismo italiano, così hanno scritto di quel 10 giugno 1940.

 

 

 

Enzo Biagi

«Nel giugno del 1940 io non avevo ancora vent'anni ... »

 

 

 

e

Giorgio Bocca 

Quando il 10 giugno 1940 entriamo in guerra, la tacita intenzione del nostro comando affidato al maresciallo Badoglio è di aspettare che i tedeschi abbiano sconfitto le armate franco-inglesi ... »

 

 

 

 

BibliografiaBibliografia

Bibliografia

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Operazione Overlord

5 Juin 2020 , Rédigé par Renato Publié dans #II guerra mondiale

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944, una flotta gigantesca, la più formidabile mai assemblata nella storia dell’umanità, (21 convogli americani e 38 anglo-canadesi che trasportavano o rimorchiavano 2.000 mezzi da sbarco, scortati da una formazione di 9 corazzate, 23 incrociatori e 104 cacciatorpediniere) levò l’ancora dalle coste meridionali dell’Inghilterra per far rotta verso la Francia.

Le truppe alleate (che contavano nei loro ranghi 1,7 milioni di Americani, 1 milione tra Inglesi e Canadesi e 300.000 altre reclute, divise tra Francesi, Polacchi, Belgi, Olandesi, Norvegesi e Cecoslovacchi) disponevano di circa 2 milioni di tonnellate di materiale e di 50.000 mezzi (carri armati, veicoli semicingolati, automitragliatrici, camion, veicoli).

Mezzo milione di soldati del Reich era dispiegato tra l’Olanda e la Bretagna lungo il “Muro dell’Atlantico”, il sistema di fortificazioni fatto costruire da Rommel. Il grosso delle forze tedesche (la XV armata era disposta nella zona del Pas de Calais, là dove la Manica è più stretta, luogo di un probabile sbarco alleato secondo le previsioni di Hitler. Dieci divisioni blindate sono pronte ad intervenire, ma sono troppo distanti dalla costa.

Lo scarto in mezzi tra le due aviazioni è enorme: gli Alleati dispongono di 3.000 bombardieri e 5.000 caccia contro 320 apparecchi tedeschi.

È il feld-maresciallo Gerd von Rundstedt che prende il comando delle forze tedesche sul fronte occidentale. Al momento dello sbarco, Rommel è in Germania per festeggiare il compleanno della moglie.

Altri fattori rendono più facile la realizzazione del piano di invasione. Un esempio: sette messaggi trasmessi dagli Alleati alla Resistenza francese, benché intercettati dai servizi segreti tedeschi, non vengono mai ritrasmessi ai comandi militari in Francia.

Il comando supremo dell’Operazione Overlord è affidato al generale americano Eisenhower e il comando tattico al generale inglese Montgomery.

Il cattivo tempo sulla Manica provoca un ritardo di ventiquattro ore delle operazioni.

1944-Eishenower-e-paracadutisti.JPG

Le condizioni meteorologiche costringono il generale Eisenhower a scegliere la data del 6 giugno. La bassa marea delle prime ore del mattino e il levarsi tardivo della luna facilitano l’atterraggio degli alianti e il lancio dei paracadutisti.

Nella notte dal 5 al 6 giugno, le navi partite da diversi porti inglesi della Manica convergono al loro punto di incontro (“Piccadilly Circus”) per dirigersi sulle coste situate tra la foce della Senna e la penisola del Cotentin.

Il “Giorno più lungo” inizia alle 3 e 14 del mattino del 6 giugno con il bombardamento aereo delle difese costiere tedesche, seguito dall’atterraggio dei paracadutisti alleati (circa 18.000 uomini su 20.000 potranno compiere la missione che a loro era stata assegnata), il cui compito consisteva nell’annientare il sistema logistico del nemico. Due ore più tardi inizia il bombardamento navale alleato. La copertura aerea è impressionante e i tiri dei cannoni della marina micidiali. Pe evitare qualsiasi sorpresa, le navi dei convogli sono precedute da dragamine e protette dallo sbarramento di palloni frenati (potevano ascendere fino a quote di 1.500 m, tendendo i cavi di collegamento che consentivano di interdire ed ostacolare i velivoli ostili a bassa quota).

1944 cartina sbarco Normandia

Alle 6 e 30 i primi segni dello sbarco: la prima ondata d’invasione del gruppo di armate, agli ordini di Montgomery raggiunge le spiagge il cui nome in codice sono “Utah”, “Omaha”, “Gold”, “Sword” e “Juno”.

Questo impressionante spiegamento di forze è seguito dall’arrivo di 145 banchine galleggianti in cemento destinate alla costruzione di porti artificiali per l’attracco di navi fino a 10.000 tonnellate e di elementi di una pipeline prefabbricata “Pluto” (Pipeline-under-the-ocean) che fornirà il carburante necessario all’armata.

I primi soldati a calpestare il suolo delle coste francesi sono gli Americani della I armata del generale Omar Bradley che sbarcano sulle spiagge d’Utah e d’Omaha dove lo stato del mare e la resistenza accanita dei tedeschi li mettono in seria difficoltà. Sulle spiagge di Gold, Sword e Juno, gli inglesi della II armata del generale Miles Dempsey sono più fortunati. Alcune ore dopo, gli Inglesi si ammassano già nei dintorni di Caen, mentre le unità americane si battono ancora contro le fanterie e le Panzer divisioni accorse in tutta fretta sulle colline circostanti.

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Alle ore 9 e 33 del 6 giugno 1944, il quartier generale di Eisenhower comunica al mondo intero il seguente messaggio: «Sotto il comando supremo del generale Eisenhower, le forze alleate navali, sostenute dalle potenti forze aeree, hanno incominciato a sbarcare armate alleate sulla costa nord della Francia». È questo l’annuncio che l’operazione “Overlord”, ossia l’invasione della Francia, è riuscita e il mondo libero non può che rallegrarsene.

A mezzogiorno, il primo ministro britannico, Churchill, rivolgendosi alla Camera dei Comuni, annuncia lo sbarco in Normandia: «La prima serie di sbarchi delle forze alleate sul continente europeo è iniziata nel corso della notte. Questa volta, l’assalto liberatore è stato effettuato sulla costa della Francia. L’armonia più completa regna tra le armate alleate».

Hitler sarà informato dell’invasione solamente in tarda mattinata. Quanto a Rommel, riguadagnerà il teatro delle operazioni in serata del giorno J. Ma i tedeschi si ostinano a pensare che non si tratti della grande offensiva alleata attesa da alcuni mesi. Questo errore fatale contribuirà al successo dell’Operazione Overlord. Hitler invia l’ordine tassativo di non spostare verso la zona dello sbarco le divisioni blindate che si trovavano in altri settori e gli Alleati non saranno respinti in mare «durante la notte» come espressamente richiesto dal Führer.

Al calar della notte, al contrario, circa 160.000 uomini calpestano già il suolo francese. Anche se gli Alleati hanno raggiunto solo in parte i loro obiettivi, l’operazione è un successo.

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