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Umberto Viganò: internato in Germania per aver scioperato

17 Novembre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #storie di lissonesi

Umberto Viganò era nato a Biassono il 10 aprile 1908 e risiedeva a Lissone. Umberto, operaio specializzato alla Pirelli, aveva sposato la sorella di Pierino Erba, fucilato in Piazza Libertà a Lissone il 16 giugno 1944. 

Il 23 novembre 1944 in seguito ad uno sciopero viene arrestato con altri 160 compagni di lavoro. Subito dopo l’arresto viene tradotto al carcere di San Vittore, a Milano, dove rimane fino al 29 novembre.

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Racconta la moglie di Umberto, Giovanna Erba, allora madre di due bambine – una di 2 anni e l'altra di due mesi: «non mi ero ancora ripresa dalla perdita di mio fratello Pierino, quando la sera del 23 novembre, preoccupata per il ritardo di mio marito dal lavoro, mi son vista arrivare in casa un suo collega. Mi portava la notizia che, nello stesso giorno, c'era stato un rastrellamento alla Pirelli e 160 operai, tra i quali mio marito, erano stati prelevati dal lavoro per essere deportati in Germania». «I cinque giorni nei quali mio marito, coi suoi compagni di lavoro, è stato rinchiuso nel carcere di San Vittore, col pericolo d'essere vittima di una rappresaglia sono stati tremendi. Così come sono stati tremendi i momenti della partenza dallo scalo Farini per la Germania: centinaia di familiari ammassati in attesa dei pullman provenienti dalle carceri, un clima di tensione esasperata che avrebbe potuto degenerare, i soldati tedeschi che ci respingevano lontano. Questi giorni sono stati per me un incubo e li ho ancora chiari nella mente e nel cuore».

Umberto Viganò viene internato nel campo di concentramento di Beesem, a circa 100 km da Desdra. 

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Ogni giorno, a piedi, insieme a centinaia di altri prigionieri italiani, malnutriti, deve raggiungere  Schkopau, una città a 5 chilometri dal lager, per essere impiegato come lavoratore coatto in una delle più importanti fabbriche chimiche del Reich, la Buna-Werke, in cui si lavora a pieno ritmo per l’industria bellica del Reich. 

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Liberato dagli Americani nell’aprile del 1945, ritorna in Italia 19 giugno del 1945, provato e in cattive condizioni fisiche che richiedono mesi e mesi di cure.

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