22 dicembre 1947: la nuova Costituzione della Repubblica
All'inizio del 1947, la situazione d'emergenza in cui ormai si dibatteva il paese non consentì più ulteriori ritardi nella lotta all'inflazione e nel risanamento dei conti pubblici. Anche perché il "prestito della ricostruzione" lanciato in ottobre non aveva dato i risultati sperati. Intanto la "tregua salariale" stipulata fra la Confederazione Generale del Lavoro e la Confindustria stava per essere travolta da un forte movimento rivendicativo a causa del continuo rincaro dei prezzi. E la vertenza per i contratti di mezzadria, arginata a giugno da un giudizio arbitrale proposto da De Gasperi, rischiava di riesplodere dovunque, dalle campagne del nord a quelle del centro-sud.
Nel Paese si andava sempre più ad una radicalizzazione del confronto tra la Democrazia Cristiana e le sinistre, Partito comunista e Socialisti. A questo peggiorato clima, che somiglia sempre più ad uno scontro, contribuisce la Chiesa con gli interventi di papa Pacelli, Pio XII.
Grande era l'influenza delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche su un Paese come l'Italia del tempo (nel nome di una fede oltremodo diffusa, che si sentiva minacciata e sfidata dal comunismo, nonostante la moderazione di Togliatti).
In termini strettamente politici, importante sembrava a De Gasperi e ai suoi alleati di centro e di centrodestra l'ancoraggio alla potenza americana, in un momento in cui l'intero quadro internazionale, e non soltanto italiano, appariva fatalmente destinato a spaccarsi.
Il 3 gennaio, il presidente del Consiglio è partito per gli Stati Uniti, per una missione che sarebbe risultata decisiva per il futuro dell'Italia.
L'argomento dichiarato dei colloqui americani era la ricostruzione economica italiana e l'aiuto che ad essa sarebbe potuto arrivare dagli Stati Uniti (il Piano Marshall sarebbe stato annunciato solo cinque mesi dopo). Inoltre l'occasione ufficiale del viaggio era un invito a De Gasperi, da parte dell'editore di «Time» Henry Luce, a partecipare a Cleveland a un convegno sul tema: «Che cosa attende il mondo dagli Stati Uniti?». Lo stesso De Gasperi ne aveva dato notizia quasi en passant, al termine di una riunione del Consiglio dei ministri, il 20 dicembre.
Quanto ai risultati del viaggio, essi sono apparsi in definitiva modesti. La delegazione italiana è rientrata a Roma con un prestito della Export-Import Bank di appena 100 milioni di dollari (quando, nella seconda metà del 1946, alla sola Francia ne erano stati concessi 1 miliardo e 370 milioni).
I 100 milioni di dollari erano un gesto simbolico, che rispondeva a interessi di fondo di entrambe le parti e apriva prospettive comuni. E dunque erano la premessa di quella che sarebbe stata, quattro mesi dopo, la grande svolta della politica degasperiana e italiana. Senza patteggiamenti espliciti, ma con la consapevolezza in De Gasperi che, quando il suo difficile rapporto con le sinistre fosse arrivato a un punto di rottura (sulla politica estera, ma anche e molto su quella economica, cioè sui metodi ultimi della ricostruzione e dello sviluppo del Paese), egli avrebbe potuto contare sull'America. Ciò che corrispondeva, ovviamente, anche all'interesse degli americani.
Rientrato dagli Stati Uniti il 15 gennaio, il leader democristiano ha trovato un'altra novità: il Partito socialista di unità proletaria, che già nel congresso di Firenze di nove mesi prima aveva evitato a malapena una scissione tra le sue due «anime», quella filocomunista e quella socialdemocratica, si è definitivamente diviso, nel corso di un congresso stra ordinario. Da una parte la «vecchia casa», che ha ripreso il nome di Partito socialista italiano (Psi), e dall'altra coloro che non vi si riconoscevano più, i seguaci di Giuseppe Saragat e di Matteo Matteotti, che hanno dato vita al Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli).
La scissione è detta di Palazzo Barberini, perché in una sua sala si sono riuniti gli scissionisti, per prendere la decisione finale. De Gasperi dà vita al suo terzo governo, ancora con socialisti (nenniani) e comunisti.
Il posto del dimissionario Nenni agli Esteri è stato preso dall'«indipendente» Carlo Sforza, dal deciso orientamento filo-occidentale.
De Gasperi ha mantenuto la coalizione con le sinistre per non affrontare, con i socialcomunisti all'opposizione, due importanti scadenze. La prima, addirittura fondamentale: la firma, il 10 febbraio a Parigi, del Trattato di pace, con le sue dure clausole, che tenevano poco conto della tardiva «cobelligeranza» italiana contro la Germania nazista e dell'apporto della Resistenza. La seconda, più funzionale agli interessi della Dc e ai suoi rapporti con la Chiesa, vale a dire il voto, sempre alla Costituente, sull'introduzione dei Patti lateranensi, cioè del Concordato tra Stato italiano e Santa Sede, nella Costituzione repubblicana, nel famoso articolo 7.
L'occasione della crisi è stata la preparazione dell'intervento del governo in un dibattito a Montecitorio sulla situazione economica. In seguito a contrasti in seno alla maggioranza, De Gasperi annunciò le dimissioni del governo.
Dopo una crisi difficile, De Gasperi, il 30 maggio, ha formato il suo quarto governo, il primo senza le sinistre. Quasi un monocolore democristiano, al quale tuttavia sono stati associati due liberali e quattro indipendenti, tra cui Carlo Sforza che veniva confermato agli Esteri.
Il nuovo governo ha ottenuto i voti della Dc, del Pli e del movimento dell'Uomo Qualunque, e la benevola assenza, al momento della fiducia, di una ventina di socialdemocratici e di alcuni repubblicani. Naturalmente, ha avuto anche il consenso del governo americano.
Il 12 marzo, Truman aveva lanciato la sua famosa «dottrina» sull'opposizione americana ad ogni ulteriore espansione del comunismo sovietico, e che al Dipartimento di Stato, il posto di Byrnes era stato preso dal più rigido George Marshall, che da lì a poco avrebbe annunciato il suo celebre Piano. Si era ormai, insomma, in piena guerra fredda. E non a caso la vicenda italiana aveva avuto degli immediati precedenti in Francia e in Belgio, con un'analoga esclusione dei ministri comunisti dai governi di unione nazionale.
Nella Polonia sovietizzata, tra il 22 e il 27 settembre ha luogo la riunione istitutiva del Cominform, , con duri attacchi ai partiti italiano e francese (Pci e Pcf) per la loro tattica attendista e «parlamentarista». Secondo relazione conclusiva del sovietico Zdanov, che viene approvata, ormai nel mondo non c'erano che «due campi», quello dell'imperialismo americano e quello del «socialismo», guidato dall'Urss.
In Italia nel mese di novembre Giancarlo Pajetta occupa per un giorno, a scopo «dimostrativo», la prefettura di Milano.
Il Pci contro la crisi economica guida le agitazioni sociali.
Il 7 novembre 1947, i socialisti, che attribuiscono al nuovo Cominform la funzione di un semplice ufficio di collegamento tra partiti omogenei, in una riunione della Direzione, prendono in considerazione, anche in polemica e in alternativa al nuovo Psli di Saragat, sia pure non senza contrasti al loro interno, l'idea di un'alleanza elettorale con il Pci, da chiamare Fronte democratico popolare.
Alle ore 19 del 22 dicembre 1947, fra i rintocchi della campana di Montecitorio, avviene l’approvazione della Carta costituzionale.
I lavori sono durati un anno e mezzo, con 272 giornate di dibattito, il testo è stato preparato da una Commissione di 75 parlamentari, presieduta dal demolaborista Meuccio Ruini, e poi, dal 4 marzo, discusso in aula. I voti finali sono stati 453 a favore e 62 contro, questi ultimi essenzialmente da parte dei monarchici e dei rappresentanti dell’Uomo Qualunque.
Cinque giorni dopo, il 27 dicembre, a Palazzo Giustiniani, sede del capo provvisorio dello Stato e ormai primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, avviene la cerimonia della promulgazione, vale a dire della firma della nuova Carta. La cerimonia si è svolta nella biblioteca in fondo alla Sala degli specchi.
Alle 17 in punto, nella biblioteca sono entrati il presidente dell'Assemblea, Terracini, e il presidente del Consiglio, De Gasperi, e quindi il capo dello Stato. Su un tavolo in noce, coperto da un velluto cremisi, tre copie della Costituzione rilegate in pelle, quattro portapenne; due calamai di bronzo e un portacarte di cuoio. De Nicola ha inforcato gli occhiali e ha detto: «Possiamo firmarle con coscienza».
Quindi è stata la volta di Terracini e di De Gasperi. Alle 17 e 30 la riunione si è sciolta.
La nuova Costituzione era un documento di democrazia, quale il Paese non aveva in fondo mai conosciuto, essendo passato dallo Statuto ottocentesco al regime fascista e poi all'occupazione straniera. Era altresì l'ultimo atto della cooperazione post-bellica tra i partiti antifascisti. A quel punto cominciava la fase conflittuale, come del resto richiedeva la nuova normalità democratica.
Bibliografia:
Aldo Rizzo - “L’anno terribile. 1948: il mondo si divide” - Laterza 1977