Radio libere e liberate in Italia dopo l’8 settembre 1943
Tra le prime fu Radio Palermo, subito occupata dagli americani dopo lo sbarco nell'Isola il 10 luglio del 1943. Musica, notizie, ma anche un'accorta impostazione psicologica: perché gli speaker sono emigrati o figli di emigrati e al microfono parlano il siciliano. Arrivano anche i combat teams, truppe con il compito di esercitare la propaganda nelle zone dei combattimenti e attrezzate per installare emittenti locali nelle più importanti città della Sicilia.
Ma anche Radio Sardegna, vera unica radio libera (e non liberata) nel suolo nazionale, si affida alle cronache della BBC per lanciare, a partire dal mese di settembre, il suo segnale. Prima da Bortigali (un paesino della provincia di Nuoro), con un improbabile trasmettitore manomesso dai tedeschi, installato su un camion e riportato a nuova vita il 10 ottobre del 1943 dopo quindici giorni di prove, poi dalle grotte cagliaritane di Is Mirrionis, dove un gruppo di militari dà corpo alla programmazione dell'emittente. Sulla lunghezza d'onda di 555 metri pari a 540 chilocicli, si alternano notizie, canzoni, informazioni sulle famiglie divise dal conflitto, conversazioni politiche e culturali.
Quasi una vendetta nei confronti del regime. Quella scatola di legno e ferro che spesso e volentieri portava le insegne del fascio, si prestava indifferentemente ad amplificare le voci del Duce come quelle delle nazioni libere.
Bastava girare la manopola e ascoltare. La radio si ribellava all'ottuso destino propagandistico a cui le camicie nere sembravano averla destinata e diffondeva informazioni e notizie in grado di cambiare il corso della storia.
Verso le 18 dell'8 settembre 1943, un dispaccio dell'Agenzia Reuters arriva a Radio Algeri attraverso Radio Ankara. Dall'emittente nordafricana (controllata dagli americani), mezz'ora più tardi il generale Eisenhower informa ufficialmente della stipula dell'armistizio fra l'Italia e le Forze alleate. Alle 19.42 la radio italiana trasmette l'annuncio registrato dal maresciallo Badoglio. Finisce la guerra, inizia la Resistenza.
A Bari il 10 mattina, nella centralissima piazza San Ferdinando, uomini del Partito d’Azione e antifascisti di fede repubblicana decidono di prendere l'iniziativa. In quattro si presentano alla sede dell'EIAR e chiedono di poter utilizzare gli impianti. Giuseppe Bartolo, Michele Cifarelli, Beniamino D'Amato e Michele D'Erasmo affrontano il direttore, l'ingegner Damascelli: «Vogliamo fare un notiziario". Da una casa privata spunta un gigantesco apparecchio CGE, buono a captare Radio Londra e Radio Algeri. Alle 13 e alle 14 vanno in onda i primi notiziari. Contemporaneamente, nella vicina Brindisi, giunge il Re con tutta la sua corte. È una fuga mascherata da ritirata strategica, il sovrano deve spiegare molte cose e si affida ancora una volta alla radio. Chiede al povero Damascelli l'invio di una squadra tecnica per la registrazione di un messaggio, infarcito di maiuscole. «Italiani, nella speranza di evitare più gravi offese a Roma, Città Eterna, centro e culla della Cristianità e intangibile capitale della Patria, mi sono trasferito in questo libero lembo dell'Italia peninsulare con mio figlio e gli altri principi che mi hanno potuto raggiungere».
Le trasmissioni iniziano alle 6 del mattino: «Qui parla Radio Bari, libera voce del Governo d'Italia. Italiani! Una è la consegna, uno il comandamento: fuori i tedeschi!». Gli alleati curano i notiziari in inglese, albanese, serbo-croato e greco. Gli antifascisti alimentano la lotta partigiana.
Ma Radio Bari va quasi sempre in diretta. Jazz e swing, la comicità di Bob Hope e le voci di Bing Crosby e di Marlene Dietrich. Un tocco di leggerezza per stemperare la drammaticità della trasmissione più ascoltata e in onda dal gennaio del 1944, "dedicata ai patrioti italiani che lottano contro i tedeschi". Si intitola "L'Italia combatte". Berlino la teme al punto da aver escogitato una "nota di disturbo" con il compito di sovrastare la voce dello speaker. Perché "L'Italia combatte" non solo dà conto della lotta partigiana e dell'avanzata alleata su tutti i fronti ma smaschera i doppiogiochisti: «Italiani, patrioti: occhio alle spie. A Roma in questo momento i delatori e i venduti al nazifascismo sono aumentati. Vi nominiamo stasera alçuni tra gli elementi più pericolosi che agiscono nella capitale. Essi sono ... ». Registrata su grandi dischi e diffusa con periodicità costante, "L'Italia combatte" verrà rilanciata da tutte le radio controllate dagli angloamericani. Ma sarà soprattutto una risposta forte alla propaganda della Repubblica di Salò e un conforto per gli italiani internati dai nazisti dopo l'8 settembre: seicentomila tra soldati e ufficiali che riuscirono chissà come a procurarsi radio di fortuna e ascoltare le notizie provenienti dalla patria libera.
A fine febbraio 1944, con l'avanzata alleata, la Puglia perse la sua centralità e il cuore dell'informazione si spostò a Napoli.
Gli americani hanno il controllo della programmazione ma dopo vent'anni di fascismo si respira un'aria diversa. La città ha subito centoquattro bombardamenti, ma ha saputo trovare la forza di liberarsi da sola dall'oppressione tedesca nel corso di quattro gloriose giornate di scontri. L'avanzata degli Alleati trova sacche di resistenza e di ferocia. C'è da liberare il nord, ancora sotto occupazione nazista. Le formazioni partigiane organizzano emittenti in grado di rilanciare il segnale proveniente dalle zone presidiate dagli Alleati. La radio è uno strumento di collegamento formidabile.
Nella zona di Firenze è Radio CORA (COmmissione RAdio) a tenere contatti con gli angloamericani. Il Partito d'Azione costituisce una redazione capeggiata da Carlo Ludovico Raggianti ed Enrico Bocci, che opera in clandestinità, con una ventina di collaboratori. La radio è il punto di riferimento della resistenza toscana e non solo. Per questo, il 2 giugno del 1944, alcuni uomini dell'8a Armata vengono paracadutati. Il loro compito è quello di rafforzare la radio, per trasmettere informazioni e ottenere lanci di armi.
Ma nonostante i continui cambi di sede, il 7 giugno i nazisti individuano la radio e irrompono in piazza d'Azeglio durante una trasmissione. Sette partigiani vengono arrestati, un giovane radiotelegrafista viene ucciso. Il blitz si conclude con fucilazioni, torture e deportazioni. Solo in due riusciranno a salvarsi.
L'unica emittente radiofonica partigiana rivolta al pubblico e non destinata a uso strettamente militare, operante prima del 25 aprile 1945, fu Radio Libertà di Biella. Le prime dieci note della canzone "Fischia il vento", suonate da una chitarra scordata, aprivano ogni sera alle 21 le trasmissioni, irradiate da un apparecchio radiotrasmittente proveniente dall'aeroporto di Cameri: «Attenzione Radio Libertà, libera voce dei volontari della libertà. Si trasmette tutte le sere alle ore 21 sulla lunghezza d'onda di metri 21». All'annuncio veniva aggiunta una precisazione: «Non abbiano dubbi coloro che ci ascoltano, siamo partigiani, veri partigiani. Lo dice la nostra bandiera: "Italia e libertà". Lo dice il nostro grido di battaglia: "Fuori i tedeschi, fuori i traditori fascisti". Ecco chi siamo: null'altro che veri italiani. Le nostre parole giungeranno, valicando pianure e montagne, a tutti i compagni patrioti della Liguria, della Toscana, del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia, del Veneto, a tutti coloro che combattono per la nostra stessa causa. Viva l'Italia! Viva la libertà!».
Dal dicembre del 1944 al maggio del 1945, prima per mezz'ora, poi per un'ora al giorno, l'emittente cercò di convincere i giovani arruolati dalla Repubblica di Salò a disertare. Lo scopo era quello di cercare di smontare il più possibile il morale delle formazioni fasciste. Commenti, bollettini di guerra partigiani, notizie, lettere di partigiani o familiari, saluti, brani musicali e anche poesie. La radio trasmise fino a pochi giorni prima della Liberazione, messa a tacere dai fascisti nel corso dell'ultima offensiva, quella del 19 aprile. Sei giorni dopo, dalla sede EIAR di Milano, Sandro Pertini annunciava la sconfitta del nazifascismo. Il 6 maggio nelle strade della città lombarda, sfilavano i partigiani vincitori. E solo sentendo la voce familiare di un radiocronista che aveva legato il suo nome a momenti sereni e spensierati, gli italiani capirono che il periodo più buio e infamante della loro storia era finito. Quella voce era di Nicolò Carosio.