da un giornale tedesco del 22 febbraio 1930
21 Novembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo
Nel febbraio del 1930, quando la potenza di Mussolini e il prestigio dell' Italia fascista sembravano toccare il vertice, un pubblicista tedesco dava alle stampe su un giornale di Berlino il seguente profilo del dittatore:
"La forza di Mussolini consiste nel non rivelare mai quanto egli sia debole in realtà. Da secoli il mondo non è stato giocato da un bluff così completo. Bluff del progresso così vantato: meno disoccupati, ma milioni di uomini costretti a lavori di puro prestigio; bilancio passivo, debito pubblico crescente. Nessuno sa come i buoni del tesoro saranno pagati alla prossima scadenza. L'Italia «non ha più bisogno di danaro straniero», perché non riceve più credito da nessuno. Dappertutto prestiti surrettiziamente forzosi, quindi nessun bilancio sincero. Ogni "fascio" tassa le imprese secondo un suo proprio criterio. Licenziamenti impossibili senza permesso dell'autorità politica, quindi rapido aumento di fallimenti e di cambiali insolvibili.
Si cerca una via d'uscita in un nuovo rialzo dei dazi, che impedisce qualsiasi importazione ma non lascia nessuna possibilità di compenso all'esportazione e deve far rincarare fino all'inverosimile il costo della vita, il cui tenore è già caduto molto in basso. Il Duce deve annunziare che lo stato aiuterà le industrie e i commerci sofferenti, ma nello stesso tempo il ministro delle Finanze invita ad abbandonare ogni lavoro pubblico non assolutamente necessario, e tuttavia stanzia egualmente 350 milioni per materiale ferroviario non necessario, per dare l'illusione di un'intensa attività. Nessuno può veder chiaro nelle cifre pubblicate e molto sospette. Ciascuno sente che la macchina marcia intensamente ma gira a vuoto. E questo stato povero adopera milioni innumerevoli per sostenere i giornali del regno, affinché lodino sempre da capo le opere del fascismo, li prodiga per ungere all'estero i più equivoci individui e comperarsi pubblicità. Esso ha danaro per la Milizia "volontaria", per eserciti polizieschi di spie in tutto il mondo.
Quanto più povero e oppresso diventa il paese, quanto più chiaramente gli uomini al potere sentono il suo malcontento e la sua ira, tanto più enormi somme spendono per lavori d'inutile prestigio o di distrazione e tanto più rapidamente quindi l'Italia diventa povera e l'odio cresce: cerchio del destino che non si può rompere, al quale Mussolini è legato finché la sentenza del fato si compia. Egli ha bisogno dei più forti eccitanti della vanità per dare spettacoli invece di pane; e, come si conviene a un Napoleone senza vittorie, lo scherzo nel suo regno è delitto capitale... In lui come in Bismarck e in Clemenceau, c'è uno sconfinato disprezzo degli uomini. Egli è spinto soltanto dalla sua volontà di dominio: vuol contemplare se stesso nella vita e nelle opere. Con maestria consumata, egli gioca con gli uomini che egli conosce così a fondo. Trova sempre per loro nuovi giocattoli, azioni di parata, profezie, lusinga loro e se stesso parlando di grandezza e di potenza, ed essi come lui sentono l'inganno, ma non lo vogliono vedere: uno spettacolo allo stesso tempo impressionante e grottesco. Dopo la sua fine che potrà avvenire in dieci mesi o in dieci anni, ma che indubbiamente sarà una fine spaventosa, il mondo stupirà anche più della menzogna di questa dittatura che di quella della guerra mondiale. Lo stato divinizzato sarà polvere come nessun altro. Si riconoscerà allora che qui c'era un carcere con 40 milioni di carcerati, condannati all'entusiasmo; un paese dal quale tutti sarebbero fuggiti, in cui erano trattenuti con la forza, un'esaltazione senza spirito, senza idea, senza un solo nome di fama mondiale; una mancanza di riflessione che voleva essere politica realistica; una miseria che dissipava il suo denaro per una schiera di avventurieri e di spioni; un regime che disprezzava le democrazie corrotte e rubava con mani rapaci; un nazionalismo che si dava al servizio di tutti gli imperialismi stranieri per una mancia miserabile".
LUDWIG BAUER, in «Tagebuch» del 22 febbraio 1930.
Le vittime del fascismo
I 42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale.
Coloro che subirono 28.000 anni di carcere e confino politico.
Gli 80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica dal generale Graziani.
I 700.000 abissini barbaramente uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive "operazioni di polizia". I combattenti antifascisti caduti nella guerra di Spagna.
I 350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale.
I combattenti degli eserciti avversari ed i civili che soffrirono e morirono per le aggressioni fasciste.
I 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno.
I 640.000 internati militari nei lager tedeschi di cui 40.000 deceduti ed i 600.000 e più prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi tra i reticolati, in tutte le parti del mondo.
I 110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all'estero.
Le migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.
Quei giovani che, o perché privi di alternative, o perché ingannati da falsi ideali, senza commettere alcun crimine, traditi dai camerati tedeschi e dai capi fascisti, caddero combattendo dall’altra parte della barricata.
Bibliografia:
Armando Saitta - Dal fascismo alla Resistenza – La Nuova Italia Editrice – Firenze 1965
Monito della storia. Dalla Liberazione alla guerra fredda 1945-1948. Numero unico a cura dell’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta – Como, aprile 1999
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