Giovanni Emilio Diligenti: partigiano in Brianza
In occasione del 25 aprile, 69° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, pubblichiamo una testimonianza di Giovanni Emilio Diligenti (1924–1998) sulla sua attività di resistente negli anni dal 1943 al 1945.
Il precoce contatto col mondo del lavoro e dell’antifascismo
«Sono nato a Milano nel 1924, ma dall'infanzia abitai a Monza. Ero maggiore di sei fratelli. Mio padre, ragioniere, proveniva da una famiglia piccolo borghese di Siena. Mia madre invece era di provenienza operaia e lavorò alla Magneti Marelli fino al 1930. Io feci a quattordici anni il mio ingresso in fabbrica. A sedici, e cioè nel 1940, venni assunto dal cappellificio Vezzani, dove lavoravo 15-16 ore al giorno come meccanico addetto alla manutenzione dei macchinari.
Il mio capo reparto era Amedeo Ferrari: non era un caso, anzi era stato lui a farmi entrare in quella fabbrica. Fin dalla più tenera età, infatti, ero cresciuto all'ombra del fondatore del Pci in Brianza.
La mia famiglia abitava in via Beccaria 13 e la nostra casa era attigua a quella dove Ferrari venne ad abitare nel settembre del 1929, dopo aver scontato i due anni di carcere a cui era stato condannato dal Tribunale Speciale.
Era inevitabile che dai Ferrari ci sentissimo quasi come nella nostra seconda casa, tanto più che il “vecchio” anche se metteva una certa soggezione, non era tipo da spaventarci, nonostante la sua alta statura e la sua faccia seria. Anzi, Ferrari esercitava un suo fascino su di noi, sia per il temperamento generoso che non poteva non manifestarsi anche verso i ragazzi, sia per il suo carattere profondamente umano.
Nel 1936 Ferrari si trasferì in via Amati 22 (corte Venturelli), al primo piano. Qui, si può dire, il movimento comunista brianzolo trovò la sua sede centrale, il suo punto di riferimento e di direzione. Non bisogna dimenticare, poi, che il 1936 fu l'anno delle guerre d'Etiopia e di Spagna.
Fu un periodo di intensa attività politica e organizzativa: i legami del “centro” di Monza col resto della Brianza si estesero notevolmente. Avevo dodici anni, ma ricordo di aver visto giungere nella casa di Amedeo Ferrari un gran numero di compagni e di antifascisti: da Cavenago Giovanni Frigerio, Felice Brambilla, Erba e Raineri, Fumagalli; da Caponago Besana e Brambilla; da Burago Casiraghi (“Lisandrin”); da Omate Davide Pirola, Giovanni Ronchi e Berto Girardelli; da Bernareggio, Tornaghi (“Piscinin”) e Stucchi (“Bersagliere”); da Concorezzo Domenico Cogliati e Casiraghi; da Vimercate Frigerio e Scaccabarozzi.
Erano loro che, in mezzo a mille rischi, costruivano poco a poco le cellule comuniste nei rispettivi paesi; lo stesso lavoro era svolto da Novati e Mascheroni a Desio, da Figini e Fumagalli (“Marsell”) a Muggiò, da Vanzati a Vedano, da Leonardo Vismara a Lissone. Si riuscì anche a impiantare una specie di tipografia clandestina dotata di un ciclostile a Omate, nella casa di Pirola, che era in piazza Principe Trivulzio.
La conferma della vitalità del movimento clandestino giunse quando maturò la necessità della costituzione delle Brigate Internazionali per la Spagna. Anche Monza e la Brianza diedero il loro contributo, inviando sul fronte spagnolo, per la difesa della libertà e della democrazia dall'attacco fascista, i comunisti Spada dì Monza, Pirotta e Farina di Villasanta, Vismara di Lissone e Frigerio di Vimercate.
L'organizzazione clandestina antifascista, cogli incontri al caffè “Romano” di via Carlo Alberto ai quali partecipavano, fra gli altri, Citterio, Stucchi, Antonio Passerini, entrava in una nuova fase: quella della costituzione di una rete organizzativa permanente, di una più intensa e organica attività politica e di proselitismo, di un continuo allargamento e approfondimento dei temi politici.
Il periodo tra la guerra d'Etiopia e lo scoppio del conflitto mondiale fu quindi caratterizzato da un'intensa attività dei comunisti brianzoli, che gettarono le basi della lotta antifascista e di liberazione. Era un continuo susseguirsi di riunioni, due delle quali mi rimasero particolarmente impresse. La prima ebbe luogo al Parco (in località San Giorgio) nell'estate del 1938 per discutere un ordine del giorno riguardante i collegamenti e l'organizzazione del partito (relatore Ferrari).
L'altra si svolse a Bernareggio nel dicembre del 1939 presso il bar “Francolin”, con la scusa di mangiare la lepre in salmì. Si trattò di una specie di “Comitato di Zona” del Pci con un ordine del giorno particolarmente importante, che comprendeva l'esame della situazione politica dopo lo scoppio della guerra e la firma del patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica. Inoltre, da un punto di vista organizzativo, in quella riunione vennero posti in discussione i collegamenti con le fabbriche. Fra i partecipanti, ricordo Ferrari che era il relatore, Brambilla di Cavenago, Tornaghi e Stucchi di Bernareggio, Cogliati di Concorezzo e Casiraghi di Burago. Mio fratello Aldo, il figlio di Ferrari, Vladirniro e io, sia nella prima che nella seconda riunione ci trovammo sul posto col compito di fare la guardia e la spola in bicicletta nei dintorni, per segnalare eventuali movimenti della polizia fascista.
Ferrari mi chiamava spesso e mi dava una lettera, incaricandomi di portarla a qualcuno: Colombo (“Colombina”), Broggi, Caccia, Ferruccio, Messa; oppure mi inviava da un “signore” al quale avrei dovuto consegnare “certi” plichi. Attraverso questi contatti ebbi modo di conoscere diversi compagni e antifascisti, tra i quali Gianni Citterio.
In seguito alla riunione del dicembre 1939, il Pci estendeva i collegamenti con le fabbriche: per esempio con la Singer (dove operavano Mentasti, Nanni e Amaglio), la CGS (fratelli Ratti), la Gilera (Melloni) e la Pirelli (Gandini).
Nello stesso tempo diventavano sempre più stretti i rapporti con gli altri partiti antifascisti, cosicché in casa di Ferrari s'incontravano ogni giorno facce nuove: l'avv. Scali, Nino Ratti, Enrico Mauri, Colombo, Sala, Gandini, il giudice Gambalò, “Tom” Beretta, il farmacista Carlo Casanova e Antonio Passerini.
In via Pallavicini, nella casa di Emilio Ghisolfi, insegnante, ebbe inizio in quel periodo anche la scuola di Partito. Ai primi corsi parteciparono con me Vladimiro Ferrari, mio fratello Aldo e Franco Varisco. D'estate questi corsi erano condotti da Carlo Sala, un vecchio militante comunista, ex confinato a Ventotene.
Le lezioni si tenevano in un prato antistante lo stabilimento di cascami Santamaria, nei pressi del passaggio a livello di via Buonarroti.
Anche il movimento giovanile acquistò nuova ampiezza; fra i nomi nuovi di giovani antifascisti che allora cominciai a conoscere credo debbano essere ricordati quelli dei compagni Silvio Arosio (“Silvietto”), Cavalli (“Spoldi”), Aurelio Sioli (“Lo Studente”), Barbieri, Franco Varisco e Alberto Colombo, nipote di Ferrari. In conclusione, si può affermare che alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia il movimento comunista di Monza e della Brianza era un centro di vita e di lotta politica abbastanza organizzato ed efficiente. Per i compagni che avevano bisogno di aiuto funzionava il Soccorso Rosso, il cui recapito era presso il piccolo stabilimento del padre di Citterio, “La Musicografica”, in via Volta, dove aveva pure sede la redazione monzese de “L'Unità”.
Ferrari aveva anche fatto ricorso a un'efficace attività di copertura. Aveva fondato la società sportiva dei “Giovani calciatori”, con sede presso il caffè Venturelli, in via Amati. La presenza sempre più estesa ed articolata del partito impose la necessità di sdoppiare il centro di direzione di Monza: Ferrari restò in contatto con la Brianza orientale, mentre il gruppo di Enrico Bracesco, Nino Ratti e Feliciano Gerosa mantenne i legami con l'altra parte della Brianza. A Carlo Bracesco, coadiuvato dalla cognata Matilde, dalla moglie Maria e dal figlio Emilio, venne inoltre affidata la direzione del Soccorso Rosso. Quando Mussolini decise di entrare in guerra, sui muri di Monza comparve un manifesto: “10 giugno 1924: assassinio Matteotti - 10 giugno 1940: Guerra fascista”.
Per quest'azione la città era stata divisa fra due gruppi: quello di Ferrari, che comprendeva suo figlio Vladimiro, me, mio fratello Aldo e Franco Varisco, operò nelle vie adiacenti Largo Mazzini spingendosi poi, lungo corso Milano, fino al Molinetto; l'altro gruppo, capeggiato dal socialista Casanova e da Buzzelli, si occupò dell'affissione dei manifesti partendo da piazza Roma per spingersi fino al tribunale e oltre il Ponte dei Leoni.
Un episodio analogo si ebbe un anno dopo, in seguito all'aggressione tedesca all'Unione Sovietica (22 giugno 1941). Ci riunimmo di notte in casa mia; erano presenti Varisco, Ferrari e suo figlio, mio fratello Aldo e io. Ferrari mi comunicò ufficialmente che facevo parte del partito e passammo subito all'azione.
Con l'occorrente, pennelli e vernice, ci portammo, camminando a piedi, fino a Brugherio, all'incrocio della “Carrozzetta” di Monza col tram di Vimercate, per scrivere sull'asfalto e sui muri nei luoghi più frequentati dagli operai: «W l'armata rossa»; «Morte al nazismo»; «W Stalin».
Nel frattempo la “tipografia” di Omate stampava notte e giorno materiale di propaganda, ma in misura insufficiente, per cui squadre di giovani, di notte, si riunivano per riprodurre altro materiale scrivendo a mano, a “ricalco”.
Spesso mi recavo anch'io a Omate, di notte, per ciclostilare volantini di cui poi curavo la distribuzione. Ero infatti diventato la staffetta di collegamento con tutti i paesi della Brianza.
Venni anche nominato responsabile dei giovani comunisti, coi quali intensificai la propaganda: scrivevamo sui muri, affiggevamo manifesti, lanciavamo volantini nei cinematografi.
Anche le riunioni clandestine divennero più frequenti; me ne ricordo in particolare una, tenutasi a casa mia, perché vi partecipò, oltre a Ferrari e a Citterio, anche Giuseppe Gaeta, che era il vice-segretario della Federazione milanese del partito. Terminata la riunione, che ebbe luogo verso la fine del 1942 o all'inizio del 1943, Gaeta si fermò a casa mia e per tutta la notte, mentre a turno facevamo la guardia, ci parlò dello situazione politica in Unione Sovietica.
Poco dopo, nel gennaio 1943, Ferrari fu arrestato, ma venne rilasciato dopo una decina di giorni.
Erano i tempi della disfatta nazifascista in Africa e a Stalingrado; si stava avvicinando il crollo del fascismo e gli operai decisero di affrettarlo. Nel marzo 1943 anche a Monza ebbero luogo i primi scioperi dopo vent'anni di dittatura. Alla loro riuscita contribuì in misura notevole il capillare lavoro organizzativo di Enrico Mentasti. È da segnalare particolarmente il fatto che gli operai della Hensemberger e della Singer non si limitarono a presentare rivendicazioni economiche, ma chiesero esplicitamente la destituzione del governo Mussolini e la fine della guerra.
Le loro aspirazioni sembrarono realizzarsi di lì a poco: la sera del 25 luglio si diffuse la notizia della caduta di Mussolini. Il giorno successivo, a mezzogiorno, io e Varisco, partendo dal “Molinetto” percorremmo le vie di Monza su un “tandem” per lanciare volantini tra la popolazione che si era riversata per le strade. Giunti ai negozi Motta, nei pressi dell'Arengario, fummo inseguiti da alcuni militari che, a un certo punto, in corso Vittorio Emanuele, ci spararono pure una fucilata. La popolazione indignata li circondò impedendo loro di inseguirci. Un episodio analogo succedeva in via Italia. Il compagno Arosio di Muggiò, mentre distribuiva gli stessi volantini, veniva arrestato. Ma anche qui numerosi cittadini costringevano i militari a rilasciarlo.
Un folto corteo percorse le vie di Monza con bandiere rosse e tricolori inneggiando alla caduta del fascismo e reclamando la fine della guerra. Mentre il governo Badoglio si mostrava indeciso sulla via da seguire, i tedeschi preparavano l'invasione del Paese, portandola rapidamente a conclusione all'annuncio dell'armistizio».