Il bombardamento di Cassino
19 Mai 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #II guerra mondiale
Per il governo di Salò, lo sbarco di Anzio (con la minaccia che gravava su Roma) fu un'ottima occasione per rilanciare l'esercito fascista. Tra febbraio e marzo uscirono i bandi per l'arruolamento. Non ebbero maggior successo di quelli di novembre, eppure Graziani si era impegnato a fondo.
Il ministro fascista della Guerra cercò di supplire con la solennità delle cerimonie alla deficienza delle convinzioni e delle capacità.
Pochi generali giurarono fedeltà alla repubblica di Mussolini. I tentativi di rimettere in piedi al Nord le forze armate fallivano per la concorrenza dei tedeschi che arruolavano nei servizi del lavoro quanti più uomini potevano, e del partito fascista che preferiva ingrossare le file della milizia e delle brigate nere.
Quanto alle reclute, erano in gran parte meridionali sorpresi al Nord dall'armistizio per i quali l'arruolamento era una risorsa, e che speravano, andando al Sud, di passare le linee per tornarsene a casa. Con simili truppe non c'era da farsi molte illusioni. Mussolini ricorse alle misure estreme. I nuovi bandi, a fine febbraio, non contenevano più inviti. Parlavano di fucilazione per i disertori e i renitenti, cioè per la maggioranza dei giovani atti alle armi, molti dei quali avevano già preso la via della montagna.
Riguardo al movimento partigiano, così Parri espone la situazione in quel periodo:
«L'inverno fu rigidissimo, tuttavia la primavera ritrovò aumentata, allargata, questa piccola, minuscola armata partigiana che io credo si potesse calcolare alla fine del '43, nel dicembre '43, in circa una decina di migliaia di armati regolari, e che aumentò rapidamente a seguito degli stessi bandi di Graziani e degli arruolamenti che i giovani di leva tendevano a sfuggire. Come si fa? Questi gruppi di ragazzi di leva che devono essere ricoverati, istruiti, protetti, armati. Questo complicò terribilmente i problemi militari. Avevamo superato difficili contese interne, avevamo accantonato, tra noi, tra militari, la questione istituzionale, per non portare una divisione nelle nostre file; ci trovavamo ora di fronte a problemi vorrei dire normali di un esercito in formazione, di un esercito che non viene formato dall'alto, che si deve formare dal basso, che deve esso trovare le sue leggi, esso trovare i suoi modi di organizzazione militare, esso trovare il suo inquadramento politico. È allora forse che si stabilisce più chiaramente la divergenza fra la Resistenza e gli Alleati: per gli Alleati essa è un movimento che deve accompagnare, deve precedere, deve facilitare coi sabotaggi l'avanzata degli Alleati, deve permettere la difesa degli impianti, la difesa delle centrali elettriche. Per i partigiani, vi è un impegno; ed è l'impegno che, nonostante le loro divergenze, nonostante le loro lotte, finisce per unificarli. È impegno di una lotta di liberazione».
La stampa clandestina d'ogni tendenza rifletteva questo spirito unitario chiamando gli italiani alle battaglie ormai prossime.
A metà febbraio, intanto, sulla testa di ponte di Anzio la stasi era stata interrotta da un forte contrattacco tedesco che il VI Corpo angloamericano, ora comandato dal generale Truscott, era riuscito a contenere con gravi perdite. Nel frattempo lo schieramento della V Armata sulla linea «Gustav» aveva subìto una variazione nel settore centrale davanti a Cassino. Il II Corpo statunitense, esausto dopo una serie di sanguinosi attacchi, era stato sostituito dal Corpo d'Armata neozelandese, al comando del generale Freyberg, che aveva il compito di conquistare il colle dell'Abbazia.
La sua mole bianca e immutabile nel mezzo della battaglia era diventata un'ossessione per gli Alleati. Un giorno il pilota di un ricognitore tornò assicurando di aver visto soldati tedeschi nel recinto del Monastero. L'unico ad esserne veramente convinto fu il generale Freyberg il quale, in vista dell'imminente attacco, ne chiese il bombardamento. Clark era persuaso del contrario; secondo lui la distruzione dell'Abbazia avrebbe favorito i tedeschi. Il generale Alexander, che aveva trasferito i neozelandesi dall'VIII alla V Armata per l'attacco a Montecassino, non poté opporsi a lungo alla richiesta di Freyberg.
Più di mille civili avevano trovato rifugio tra quelle mura secolari. Il 14 febbraio gli Alleati fecero pervenire loro un invito a lasciare subito il Monastero. Pochi vi credettero. Gli altri pensavano che forse la minaccia sarebbe bastata e nell'ipotesi peggiore contavano sulla robustezza dei muri e sulla protezione di San Benedetto.
Centoquaranta fortezze volanti, con un carico di 350 tonnellate di bombe, giunsero alle 9,45 sul Monastero.
Trecento sfollati rimasero sepolti sotto le macerie. I superstiti si abbandonarono al panico. Terminata la prima ondata, mentre alcuni cercavano scampo in rifugi più riparati, altri come impazziti correvano all'aperto.
Era cominciato, dopo, il fuoco dell'artiglieria. Centinaia di pezzi erano concentrati sull'Abbazia e sparavano sulle sue rovine e sulle pendici del monte. Molti profughi furono uccisi mentre fuggendo credevano di salvarsi.
La seconda ondata giunse verso mezzogiorno. Questa volta anche le poderose mura esterne cedettero aprendosi in larghe brecce. Alle due e un quarto era finito, poi il fumo si dissolse e si vide tutto.
Il bombardamento di Cassino ha provocato aspre polemiche. Questo è il giudizio del generale Clark:
«lo fui sempre dell'avviso che dovevamo prendere Cassino senza distruggere il prezioso edificio dell'Abbazia. Quando arrivammo in Italia, ci si pose subito l'alternativa di rispettare i monumenti storici e le opere d'arte o di bombardarli. Se i tedeschi se ne servivano provocando la morte di americani o di inglesi, noi li distruggevamo. Ma nel caso dell'Abbazia, davanti alla quale, a pochi chilometri, le truppe americane avevano passato alcuni mesi, io ero dell'avviso che la sua distruzione non avrebbe arrecato nessun vantaggio dal punto di vista militare, dato che l'esperienza ci aveva insegnato che ogni qualvolta avevamo distrutto un grosso edificio, le macerie erano servite ancor meglio al nemico come riparo e difesa. Feci un'inchiesta dopo la distruzione dell'Abbazia, e nel corso dei colloqui che ebbi con il Santo Padre, con Pio XII, e con i miei uomini dello spionaggio, potei appurare che i tedeschi non si erano serviti dell'Abbazia, ma che dopo che noi l'avevamo distrutta essi ci si installarono ».
Il bombardamento dell'Abbazia fu un inutile errore psicologico e un atto di stupidità tattica, come disse un generale alleato. Freyberg non seppe neppure approfittarne. Invece di mandare i suoi uomini all'attacco delle rovine prima che i tedeschi vi mettessero piede, perse tempo in azioni marginali. Così il Monastero divenne una fortezza praticamente imprendibile.
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
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