Il decollo industriale e le trasformazioni sociali dopo il 1861
In cinquant’anni, dal 1861 al 1911, l’industrializzazione del nostro Paese, sia pur limitata per lo più ad alcune zone del nord e delle regioni centrali, consente all’Italia di partecipare al movimento espansivo dell'economia europea. L'Esposizione Internazionale che si tiene nel 1911 a Torino, nel cinquantenario dell'unità italiana, è l'espressione più tangibile di questa prima fase di modernizzazione della penisola. A quella data l'Italia figura infatti come il settimo paese industriale del mondo.
L'Europa, con la grande Esposizione Universale di Parigi del 1900, celebra la nascita del nuovo secolo in un'atmosfera di grande ottimismo. L'egemonia del Vecchio Continente si basa su uno sviluppo e economico e tecnologico sempre più impetuoso e sulle conquiste coloniali. Si passa dall'età del ferro e del vapore all'era dell'elettricità e del motore a scoppio. Comincia, dopo quella dell'oro, la grande corsa ai pozzi di petrolio.
1900. Alla grande Esposizione Universale di Parigi, nel padiglione dedicato al materiale rotabile, viene esposta la locomotiva "Alessandro Volta".
Fra i paesi che traggono impulso da questo nuovo ciclo espansivo c'è anche l'Italia, che porta così a compimento la sua prima rivoluzione industriale. I capitali investiti nell'industria aumentano di tre volte fra il 1900 e il 1911; gli operai quasi raddoppiano, da 1.275.000 a 2.300.000; i politecnici e gli istituti universitari di economia e commercio assicurano nuove leve di tecnici e dirigenti alle imprese; e l'industrializzazione determina un incremento dell' occupazione anche nei servizi pubblici e privati. L'energia elettrica - il "carbone bianco" - diviene il simbolo di questa nuova Italia che s'industrializza, che cerca di colmare il divario che ancora la separa dai principali paesi dell'Europa occidentale. La prima centrale della potenza di 400 kw, entrata in funzione nel 1883 a Milano, è ormai un lontano ricordo. Sulla scia dell'iniziativa assunta allora da Giuseppe Colombo (uno dei fondatori del Politecnico di Milano), è nata la società Edison, e sono state realizzate fra il 1897 e il 1901 le grandi centrali idroelettriche di Paderno d' Adda e di Vizzola Ticino. Sulla base di questi e altri impianti che si moltiplicano dalle vallate alpine agli Appennini, la potenza idroelettrica installata giunge in meno di un decennio ad aumentare di venti volte, e la produzione di sessanta. Un autentico record in Europa. Come per l'industria elettrica, anche per quella siderurgica questa è l'età in cui si costituiscono le prime grandi concentrazioni industriali, che soppiantano le vecchie fornaci in cui si utilizzavano prevalentemente rottami e ghisa importata dall' estero.
A Piombino si dà avvio nel 1901 alla costruzione di un impianto a ciclo integrale, dal minerale al prodotto finito. E l'anno dopo, nel maggio 1902, entra in funzione a Portoferraio il primo altoforno per la produzione di ghisa al coke, ad opera di una società, affiliata alle Acciaierie di Terni, che ha rilevato da un consorzio franco-belga le miniere dell'Elba. Si forma così, sotto le insegne del gruppo Odero-Orlando, un grande pool di interessi che comprende imprese estratti ve, siderurgiche e metallurgiche, cantieri, società di navigazione. Tre anni dopo, nel febbraio 1905, questo stesso gruppo partecipa alla costituzione dell'Ilva, incaricata di realizzare un nuovo impianto siderurgico a Bagnoli. All' origine di tale iniziativa è la legge speciale per lo sviluppo economico di Napoli varata dal governo nel luglio 1904. L'aiuto dello Stato è del resto determinante per le fortune dell'industria siderurgica, altrimenti costretta a lavorare in perdita per via delle forti spese di ammortamento e dei prezzi meno competitivi di quelli praticati dall' agguerrita concorrenza straniera, soprattutto tedesca. Sui "baroni dell'acciaio" si concentrano perciò le denunce di Vilfredo Pareto e di altri economisti di scuola liberista. Tuttavia senza una gamma di industrie moderne, ivi compresa quella più costosa di tutte, la siderurgia, l'Italia sarebbe rimasta in una condizione di dipendenza economica. D'altra parte, non mancano le imprese capaci di camminare con le proprie gambe, senza le stampelle dello Stato. Così è per quella di Giorgio Enrico Falck, che nel 1908 estende l'attività delle vecchie ferriere che la sua famiglia (originaria dell'Alsazia) possedeva a Dongo e a Vobarno, con l'impianto a Sesto San Giovanni di un altoforno Martin-Siemens. Falck è un imprenditore che sembra tagliato con l'accetta: da giovane, per farsi le ossa, aveva lavorato come operaio in stabilimenti tedeschi e francesi. Alle sue indiscusse capacità tecniche unisce un modo estremamente risoluto di gestire i rapporti con le maestranze.
È l'industria meccanica a costituire in questi anni il vivaio per eccellenza di nuovi capitani d'industria e di una classe operaia altamente specializzata. La Tosi di Legnano, le Officine Metallurgiche Togni di Brescia, le Officine Galileo di Firenze, sono alcune delle principali firme di quest'universo che progredisce a vista d'occhio, grazie all'impiego di un sempre maggior numero di macchine utensili e all'introduzione di nuovi criteri organizzativi presi in prestito dall'Inghilterra e dalla Germania ma anche dagli Stati Uniti. Il lavoro a tempo sostituisce quello a cottimo e si diffondono i principi scientisti dell'ingegnere americano Frederick Taylor, secondo cui per ogni operazione lavorativa è possibile stabilire il modo più razionale ed efficace di eseguirla.
Esce nel 1908 la millesima locomotiva dalle officine della Breda a Sesto San Giovanni. Ernesto Breda giunge così a vincere una scommessa che nel 1886, quando aveva fondato l'impresa milanese, sembrava assolutamente temeraria: quella di tener testa, nelle costruzioni ferroviarie, alla Krupp che dominava il mercato.
Un'altra scommessa impegnativa - «fare come Ford» - è quella di Giovanni Agnelli tra i fondatori, nel luglio 1899, della Fiat. Agnelli proviene da una famiglia benestante della provincia piemontese, proprietaria di terre e di una villa settecentesca. Ma non vuole vivere di rendita. Egli è il primo in Italia a percepire le grandi potenzialità dell'automobile. L'automobile è ancora un prodotto di lusso, appannaggio delle classi più elevate. Ma un numero crescente di vetture trova le vie dell'esportazione.
E, nell'intento di produrre degli esemplari di tipo utilitario, la Fiat inaugura nel 1913 la prima linea di montaggio. Attorno ad essa - e ad altre importanti imprese come la Lancia, l'Alfa Romeo e l'Itala - fiorisce una costellazione di piccole officine ausiliarie con una folta schiera di tecnici provetti. Anche Camillo Olivetti prende esempio dall' America per la nuova industria, quella delle macchine da scrivere, sorta a Ivrea nel 1908. Collaboratore di Galileo Ferraris che aveva accompagnato in America nel 1893 da Thomas Edison, Camillo Olivetti importa dagli Stati Uniti i più avanzati sistemi di organizzazione tecnica.
Si espande la marina a vapore, in seguito al notevole incremento dei traffici commerciali e dell'emigrazione transoceanica. Il tonnellaggio varato dai cantieri navali fra il 1896 e il 1910 aumenta di cinque volte.
Si affermano in Sicilia dei nuovi viceré, i Florio, a capo della Navigazione Generale Italiana. Dai trasporti marittimi, Ignazio Florio estende la sua attività al marsala, alle ferrovie, alle zolfare. Imparentati a una famiglia aristocratica, i Florio vengono accreditati a corte, acquistano il giornale L'Ora di Palermo, e controllano le principali banche d'Italia. Ma le loro fortune non reggeranno a lungo a una competizione sempre più dura. E così verranno meno molte speranze di sviluppo dell'economia meridionale. Notevoli sono gli aiuti dello Stato per lo sviluppo delle linee marittime e l'ammodernamento dei cantieri navali. Ne beneficiano in particolare quelli di Genova, Livorno e Napoli. Nel capoluogo ligure si afferma, rovesciando il primato dell' antica aristocrazia finanziaria, una nuova dinastia industriale, quella dei Perrone, a capo dal 1902 dell'Ansaldo. Con alle spalle una grossa fortuna accumulata in Argentina e con l'appoggio del maggiore quotidiano di Genova, il Secolo XIX di cui è comproprietario, Ferdinando Perrone dà inizio, per primo in Italia, alla produzione di turbine navali, e vende incrociatori e navi a mezzo mondo.
I figli Mario e Pio nutrono progetti ancora più ambiziosi. Entrati in concorrenza con il trust Odero-Terni, mirano a realizzare un sistema industriale integrato, dalle miniere all'acciaio, dai cantieri alla produzione meccanica.
Insieme al settore meccanico, l'altro grande serbatoio dell'industria italiana è quello tessile, che ha tenuto a battesimo nel corso dell'Ottocento il passaggio delle lavorazioni dalla manifattura a domicilio al sistema di fabbrica e che ora contribuisce in modo rilevante alla formazione di un autentico mercato nazionale.
È soprattutto l'industria cotoniera, con le sue tele e i suoi panni a buon prezzo, a favorire la crescita dei consumi fra i ceti popolari e porre le premesse per lo sviluppo dell'alta moda. Diffusa un po' dovunque nella penisola ma concentrata in particolar modo in. Lombardia, essa fornisce anche un apporto considerevole alla nostra bilancia commerciale. «Principe mercante» viene definito da Luigi Einaudi il bustese Enrico Dell' Acqua, che fin dall'ultimo decennio dell'Ottocento ha aperto all'industria italiana i mercati dell' America Latina. Ma anche i setifici del Comasco concorrono alle fortune della nostra produzione tessile. E notevoli sono i progressi del lanificio che annovera grandi complessi, come quelli fondati da Alessandro Rossi a Schio e dai Marzotto a Valdagno. Sorge a Prato una nuova produzione, quella delle lane meccaniche ottenute dalla rigenerazione degli stracci. E nel Biellese, accanto alle vecchie casate imprenditoriali (come quella dei Sella), emerge uno stuolo di "figli del lavoro", fattisi avanti dalla gavetta e destinati talora a fondare delle nuove dinastie industriali. È questo il caso dei Rivetti e degli Zegna.
Un'industria in gran parte nuova è quella chimica. La Montecatini, nata da una modesta impresa mineraria, si orienta dal 1910, sotto la direzione di Guido Donegani, verso la produzione dell'acido solforico, di fondamentale importanza per i più differenti impieghi industriali. Allo stesso settore appartiene la Carlo Erba. Tra le maggiori imprese c'è anche quella lombarda di prodotti chimici, la Schiapparelli. Esse si trovano a fronteggiare le più rinomate case tedesche, ma riescono a svilupparsi grazie ai progressi dell'agricoltura sempre più bisognosa di fertilizzanti, e alle nuove applicazioni in campo farmaceutico e in quello dei coloranti.
Si afferma inoltre la produzione della gomma, grazie alla Pirelli. Fondata a Milano nel 1872, la Pirelli estende la sua attività dai conduttori elettrici e telegrafici, ai pneumatici. Uomo di origini modeste, volontario garibaldino nel Trentino e a Mentana, tra i primi ingegneri usciti dal Politecnico di Milano, Giovanni Battista Pirelli impersona quel senso di rude e vigoroso individualismo tipico della borghesia lombarda. A lui, nominato senatore nel 1909, si affiancano i figli Piero e Alberto nella conduzione di un'impresa che acquista piantagioni di caucciù in'Estremo Oriente e crea le prime filiali in alcuni paesi europei.
Un'importante novità di questi anni è anche la produzione del cemento, che aumenta di oltre tre volte fra il 1903 e il 1910. Lo stabilimento dei Pesenti ad Alzano nei pressi di Bergamo è l'emblema di questa poderosa espansione. Originario di una famiglia di piccoli fabbricanti di carta, Cesare aveva potuto compiere degli studi regolari e perfezionarli all'estero nel 1883 con una laurea in ingegneria meccanica ad Aquisgrana. È lui a scoprire nel Bergamasco le marine adatte alla produzione di cemento Portland. Lo sviluppo dell'industria cementiera e del settore edilizio è legata all'impetuosa crescita urbana di questo periodo. Nel 1911 quasi un terzo della popolazione risiede in comuni con oltre 20.000 abitanti. L'incipiente meccanizzazione dell'agricoltura in Val Padana, se da un lato accresce i redditi dei proprietari terrieri e degli affittuari, riduce dall'altro l'impiego di manodopera nei campi. Comincia l'esodo, da numerosi villaggi del nord, di braccianti e manovali rimasti senza lavoro o attratti dalle maggiori opportunità che offrono le fabbriche. Viene così delineandosi nell'Italia nord-occidentale, fra Torino, Milano e Genova, quello che sarà poi chiamato il "triangolo industriale". Intorno a questi capisaldi si sviluppa lungo la bassa e l'alta Val Padana una vasta fascia di attività industriali e commerciali, servita da grandi linee ferroviarie e da un sistema portuale in fase di espansione.
Il Traforo del Sempione, il più lungo del mondo con i suoi quasi 20 chilometri di percorso, inaugurato nel maggio 1906, è il simbolo di. questa fase di grande sviluppo di infrastrutture e opere pubbliche, che non riguarda peraltro solo il nord della penisola. La rete ferroviaria, che dal 1905 passa sotto la gestione dello Stato, giunge a coprire oltre 13.500 chilometri; si impiantano le prime linee a trazione elettrica e si realizzano ardite opere di ingegneria civile. Un altro elemento fondamentale del processo di industrializzazione è l'ammodernamento del sistema bancario. In concomitanza con l'istituzione della Banca d'Italia che diventa il principale istituto di emissione del paese, sorgono nel 1894 la Banca Commerciale Italiana e nel 1895 il Credito Italiano. Fondati con l'appoggio determinante di capitali tedeschi sul modello delle banche miste germaniche, questi due istituti investono parte dei loro depositi nelle più importanti imprese e controllano talora la stessa gestione delle singole aziende. Il loro intervento si rivela indispensabile, in quanto sono ancora pochi i privati che arrischiano i loro soldi in titoli azionari. Ma altrettanto gravi sono i rischi dei risparmiatori, che corrono il pericolo di veder andare in fumo le loro fortune in caso di recessione. Ma per il momento non c'è altra soluzione al problema del finanziamento industriale.
Il più autorevole esponente della Banca Commerciale, Otto Joel, originario di una famiglia di Danzica, è impegnato ad assecondare gli sforzi del governo italiano per lo sviluppo economico della penisola, che costituisce un ottimo mercato per l'industria tedesca. La diplomazia degli affari agevola, a sua volta, lo sviluppo di buoni rapporti politici con la Germania nell'ambito della Triplice Alleanza.
La borghesia italiana attraversa il suo periodo migliore dal momento dell'unificazione nazionale. Fra i ceti medi si respira un clima di fiducia. Nel 1906 la lira arriva al punto di valere più 'della quotazione dell'oro. E lo Stato riesce infine a risanare i suoi bilanci: ciò che incoraggia l'afflusso di capitali esteri. Il reddito nazionale cresce fra il 1895 e il 1911 di quasi il 50 per cento.
Nel maggio 1910, nasce la Confederazione Italiana dell'Industria che raggruppa presto quasi 2.000 aziende. Insieme a una nuova schiera di imprenditori si afferma una nuova generazione operaia, più istruita e qualificata, organizzata in varie strutture sindacali, fortemente politicizzata. Nasce il l° ottobre 1906 a Milano la Confederazione Generale del Lavoro. Nella direzione del movimento operaio prevalgono i socialisti riformisti, contrari alla linea dei sindacalisti rivoluzionari che vorrebbero mobilitare gli operai in un'azione diretta contro lo Stato da attuarsi con l'arma dello sciopero generale. Pur attraverso vertenze sindacali talora estremamente aspre, la C.G.I.L. e le principali federazioni di mestiere riescono a ottenere un sensibile miglioramento delle retribuzioni e dei regolamenti di lavoro. Certo, le condizioni di vita nei centri industriali sono spesso avvilenti. Ma quel che un operaio guadagna in fabbrica è almeno il doppio di quanto possa portare a casa un bracciante nelle campagne. Il divario economico fra le regioni settentrionali e quelle meridionali è notevole. Mentre al nord i ritmi di sviluppo e i livelli di reddito conoscono una sensibile crescita, il sud si trova a scontare non soltanto il prezzo di un'insufficiente attrezzatura industriale (limitata per lo più a poche imprese minerarie, tessili e alimentari), ma anche le conseguenze negative dovute alla sostanziale stazionarietà della produzione agricola. Rilevanti sono talora i progressi nella coltura e nella commercializzazione degli agrumi e dei prodotti ortofrutticoli. Ma in complesso il tasso medio annuo di crescita della produzione agricola del Mezzogiorno risulta inferiore di tre volte a quello del nord. Avviene così che molti sono costretti a far fagotto e ad abbandonare le loro terre.
Tutto ciò che questi emigranti riescono a risparmiare con grandi fatiche in terre lontane, rientra in patria in valuta pregiata. Le rimesse annuali degli emigranti concorrono così all'equilibrio dei conti con l'estero.
Non si può dire tuttavia che il Mezzogiorno venga abbandonato a se stesso. La battaglia dei meridionalisti trova riscontro in una serie di leggi speciali a sostegno delle regioni meridionali, dalla Puglia alla Basilicata, alla Calabria. Inizia in tal modo una politica di intervento pubblico di carattere straordinario in favore del Mezzogiorno. Alcune zone del sud escono da una situazione di secolare immobilismo e altre conoscono una fase di crescita nell' agricoltura, nei commerci, nell'edilizia. Ma i risultati sono inferiori alle aspettative: il polo di sviluppo di Napoli rimarrà isolato, le risorse dei bacini dell' Appennino si riveleranno insufficienti a un vasto piano di elettrificazione del Mezzogiorno, e il pur vasto programma di bonifiche e opere pubbliche non basterà a tutte le necessità.
La rivoluzione industriale fissa dunque una frontiera che taglia in due l'Italia. Mentre il sud stenta a uscire da una condizione di pressoché generale arretratezza, il nord registra indici di occupazione e di reddito che nelle regioni più industrializzate tendono ad avvicinarsi a quelli della Francia e della Germania. Ma questo non è l'unico momento di squilibrio. Forte è anche il divario fra un nucleo di grandi imprese modernamente attrezzate e una miriade di piccole aziende operanti ancora a livello artigianale. E col tempo diventa sempre più difficile disporre di capitali sufficienti per coprire gli investimenti, mentre la domanda del mercato interno non riesce a tener dietro dopo il 1910 all'offerta di beni e servizi in via di continua espansione. I progressi dell'Italia sono tuttavia innegabili. L'industrializzazione, sia pur limitata per lo più ad alcune zone del nord e delle regioni centrali, consente al nostro paese di partecipare al movimento espansivo dell'economia europea e di non subire così la stessa sorte di altri paesi del Mediterraneo rimasti ai margini dello sviluppo. L'Esposizione Internazionale che si tiene nel 1911 a Torino, nel cinquantenario dell'unità italiana, è l'espressione più tangibile di questa prima fase di modernizzazione della penisola. Le manifestazioni ufficiali che si svolgono alla presenza del Re non sono una semplice parata celebrati va. A quella data l'Italia figura infatti come il settimo paese industriale del mondo.
Da un articolo di Valerio Castronovo pubblicato in “Storie d’Italia dall’unità al 2000”