Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Inizio dell'occupazione alleata in Italia

10 Octobre 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale

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A fine settembre 1943 in Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia l'occupazione tedesca era ormai terminata. In Sardegna, le forze naziste, sulla base di un accordo con il generale Antonio Basso, si erano ritirate in Corsica e avevano raggiunto rapidamente la Toscana. Anche gran parte del territorio campano era libero, a eccezione della provincia di Caserta, e in particolare della sua area nord. L'Abruzzo, invece, avrebbe subito, ancora per molti mesi, l'occupazione nazista.

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L'esercito anglo-americano, dopo aver raggiunto Napoli, avanzava lentamente incalzando i tedeschi. A metà ottobre infuriò la battaglia sul Volturno cui seguì, in dicembre, la battaglia per la conquista di monte Camino e l'assalto a Monte Lungo.

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A metà gennaio 1944, la 5a armata si attestò lungo la linea Gustav. Poi vi fu il lungo stallo di Montecassino.

Per entrambi gli eserciti, le esigenze militari avevano priorità assoluta.

Nel caso dei tedeschi ciò implicava il controllo totale del territorio, al cui interno si collocava la strategia del terrore contro i civili. Per gli anglo-americani - nemici durante la campagna di Sicilia e poi alleati in quella d'Italia - il discorso era più complesso. Essi infatti dovevano contemporaneamente procedere nelle operazioni militari e garantire il governo dei territori liberati, confrontandosi con i bisogni urgenti di una popolazione civile che aveva vissuto tre lunghi anni di guerra. Ma c'era dell'altro. In Italia inglesi e americani giocavano una partita importante anche sul piano degli equilibri interni alla coalizione antifascista in relazione sia all'Unione Sovietica sia al confronto-scontro tra Stati Uniti e Gran Bretagna. L'armistizio dell'8 settembre 1943, la formazione del Regno del Sud e la successiva dichiarazione di guerra alla Germania, la definizione del cosiddetto "armistizio lungo", il riconoscimento da parte sovietica del piccolo staterello italiano sono tutti elementi di un processo complesso, attraverso cui prende corpo, tra conflitti e incertezze, la strategia alleata per l'Italia postfascista.

La campagna d'Italia era stata decisa, dopo molte esitazioni, sulla scia della conferenza di Casablanca del gennaio 1943, in cui venne definito, come obiettivo conclusivo del conflitto, la "resa incondizionata" di tutte le potenze dell'Asse. Tuttavia, tra inglesi e americani c'era una diversità di opinioni circa l'opportunità di aprire un fronte di guerra in Italia, una diversità che può essere intesa nel contesto delle dinamiche militari in Nord Africa, dove la posta in gioco era il controllo del Mediterraneo. In maggio, l'8a armata guidata da Montgomery conquistò Tunisi, occupata nel novembre 1942 dalle truppe di Rommel. L'esercito inglese si ricongiunse con la 1a armata americana che avanzava dopo lo sbarco in Marocco e Algeria. Il 12 maggio 1943 vi fu la resa tedesca: con tutta l'Africa settentrionale libera si riapriva la possibilità di controllare la navigazione nel Mediterraneo".

Nella strategia inglese era necessario che l'avanzata alleata continuasse in Sicilia e, poi, in Italia. Churchill sosteneva con convinzione questa opzione, considerandola una tappa indispensabile in vista di un successivo impegno anglo-americano nei Balcani. Roosevelt era invece un sostenitore assai più tiepido dell'impresa, che peraltro, per molti mesi, costituì l'unico scenario di guerra statunitense in Europa. In ogni caso, una volta intrapresa la campagna d'Italia, il Quartiere generale delle forze armate alleate (AFHQ), dislocato ad Algeri, acquisì un peso determinante anche sul piano politico. Centrale divenne il ruolo del comandante supremo Dwight Eisenhower e gli stessi Affari civili dei territori occupati divennero di competenza militare.

 

L'operazione Husky iniziò il 10 luglio 1943 e, in oltre un mese, portò alla conquista dell'isola. Subito dopo la proclamazione dell'armistizio, vi fu lo sbarco di Salerno, l'operazione Avalanche. Dalle trattative del cosiddetto "armistizio corto" era stata esclusa l'Unione Sovietica, che rimase fuori anche dalla gestione di quello "lungo", concluso il 29 settembre 1943.

Fin dall'inizio dell'invasione siciliana operò l'AMGOT, il Governo militare alleato, presieduto dal generale inglese Harold Rupert Alexander, comandante delle forze d'occupazione in Italia. L'AMGOT si articolava in sei Divisions (Legal, Finance, Civilian Supply, Public Health, Public Safety, Enemy Property), ma ben presto ne sorsero altre. I territori sotto il controllo dell'AMGOT furono suddivisi in Regions. La Sicilia costituì la Region I e poi, con l'avvio della campagna d'Italia, il Mezzogiorno venne incluso nella Region II (Calabria, Basilicata e Puglia), nella Region III (Campania) e nella Region VI (Sardegna).

Ben presto si pose il problema di scegliere tra un governo d'occupazione militare, di cui erano sostenitori gli americani, e una forma d'occupazione indiretta - l'Indirect Rule proposto dagli inglesi - con compiti di supervisione del rinato Stato italiano. Il 10 novembre 1943 fu istituita l'ACC, la Commissione alleata di controllo prevista dall'articolo 37 dell'”armistizio lungo"; si trattava di una struttura militare che dipendeva dall'AFHQ. A metà dicembre nacque l'ACI, un organismo con funzioni consultive, in cui erano rappresentate anche Unione Sovietica, Francia e, in seguito, Grecia e Jugoslavia.

La scelta del governo indiretto si rivelava una strategia abile e duttile perché favoriva la ricostituzione di uno Stato italiano molto debole, quale, appunto, il Regno del Sud, che di fatto era subordinato agli anglo-americani attraverso il ferreo controllo dell' ACC - che peraltro il 10 gennaio 1944 si fuse con l'AMGOT.

Nel febbraio 1944 e, poi, nel luglio, furono restituiti al governo italiano i territori liberati. Così entrarono nel Regno del Sud Sardegna, Sicilia, Basilicata, Calabria, parte della Campania e poi, ancora, Avellino, Benevento, Campobasso, Foggia. Restavano fuori i territori a ridosso del fronte e alcune zone di particolare interesse logistico, come l'area comunale di Napoli, il cui porto aveva un'enorme importanza per i collegamenti e i rifornimenti militari. Il 20 luglio 1944 l'AFHQ si trasferì a Caserta.

Il governo alleato aveva come obiettivo prioritario garantire la sicurezza e l'ordine pubblico nelle retrovie del fronte. Invece la popolazione civile, che aveva accolto i militari alleati come liberatori, si attendeva che, con la fine del conflitto e dell' occupazione tedesca, si aprisse una nuova fase in cui, oltre ad aver garantita la sopravvivenza fisica, fosse possibile ritornare a una dimensione di normalità nella vita quotidiana. In realtà gli Alleati non avevano intenzione né di farsi carico degli enormi problemi di una popolazione stremata dalla guerra, né di avviare la ricostruzione. Erano costretti però a fronteggiare le urgenze più drammatiche, dalla permanente sotto alimentazione dei civili alle epidemie, alla mancanza di servizi essenziali come l'acqua e la luce, alla paralisi totale dei trasporti e delle attività produttive. Si trattava di interventi di emergenza utili anche a una maggiore efficienza delle operazioni militari, come, per esempio, il ripristino della rete viaria e ferroviaria.

Il sistema amministrativo periferico italiano si era dissolto con il crollo del regime fascista e i Quarantacinque giorni avevano accelerato, anche nel Mezzogiorno, il degrado del governo locale. Mentre nel Centro-Nord, durante i mesi della Resistenza, si sarebbe costruito un nuovo ceto politico e amministrativo, ciò non avvenne nel Sud. Gli "alleati-nemici" si trovarono quindi in grande difficoltà, alle prese con un ceto di amministratori privo di una qualche credibilità. Diventava perciò urgente trovare degli interlocutori e gli anglo-americani attinsero, soprattutto nella prima fase dell'occupazione, al personale politico prefascista, che si andava collocando nei partiti liberale e demoliberale.

Nei mesi del Regno del Sud, in particolare gli inglesi resero esplicita l'esigenza di una transizione postfascista non traumatica individuando come interlocutori la monarchia e il governo Badoglio. Da parte americana, invece, si propendeva per un ricambio del personale politico attraverso misure di defascistizzazione. In rapporto a ciò maturarono elementi di discontinuità come l'ampio ricambio attuato a livello dei prefetti. Fu inoltre avviata l'esperienza di alcune giunte comunali, sulla cui composizione, pur venendo consultati i CLN che andavano moltiplicandosi nel Sud, in realtà decidevano prefetti e Alleati.

In definitiva lo Stato periferico si strutturò sulla base di equilibri che restituirono autorevolezza e legittimità a figure consolidate nella tradizione politica italiana come quella del prefetto, il quale operava in sintonia con le autorità ecclesiastiche e con le forze dell' ordine, in primo luogo i carabinieri.

Con la formazione del governo di coalizione antifascista presieduto da Ivanoe Bonomi, nel rapporto tra Alleati, partiti antifascisti e monarchia si aprì una nuova fase per cui, sul piano del governo locale meridionale, le forze antifasciste e i CLN poterono fruire di maggiori spazi. Al loro interno gli Alleati privilegiarono l'interlocuzione con un blocco moderato di cui, lentamente, la DC andava configurandosi come elemento trainante.

 

Se lo sguardo si sposta dal piano politico-istituzionale a quello della società, va osservato che, poiché le condizioni di vita miglioravano molto lentamente, nella popolazione si creò uno stato d'animo di profonda delusione che ben presto contribuì a offuscare l'immagine degli Alleati come "liberatori". In una situazione di povertà generalizzata vi erano comunque gruppi sociali che si arricchivano, inserendosi nelle pieghe dell'enorme flusso di merci generato dalla presenza di centinaia di migliaia di soldati che dovevano nutrirsi, vestirsi, curarsi se ammalati o feriti nelle operazioni militari, e anche in qualche modo divertirsi. Fu la stagione d'oro del contrabbando, ma non solo: intorno alle forze alleate si creò una fitta rete di occupazioni saltuarie che consentivano a donne e uomini di sopravvivere. Ripartirono alcuni segmenti produttivi, come l'industria alimentare in Campania e le miniere di carbone in Sardegna, e, soprattutto nei porti, decine di migliaia di lavoratori vennero impiegate nelle operazioni di carico e scarico delle merci. Si trattava tuttavia di una ripresa di attività economiche effimera, totalmente legata alla presenza delle truppe anglo-americane e che si sarebbe bruscamente arrestata con la loro partenza.

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Bibliografia:

Gloria Chianese - Quando uscimmo dai rifugi. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943-46) -  Ed. Carocci sett. 2004

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