La nascita della prima Repubblica
Il 1948 si è aperto con uno storico alzabandiera al Quirinale, la mattina di Capodanno, per significare che l'antico palazzo, già residenza dei papi e poi sede dei re sabaudi, era diventato la casa ufficiale del presidente della Repubblica.
L'alza bandiera (il tricolore ovviamente epurato dello stemma sabaudo) era storico, perché voleva dire anche e soprattutto che da quella mattina era in vigore la nuova Costituzione, la Carta fondamentale dell'Italia democratica.
Un altro degli obiettivi per cui molti italiani si erano battuti durante la guerra di Liberazione veniva così raggiunto. Ma quali erano stati gli avvenimenti più importanti per la vita della Nazione che erano accaduti tra la fine della guerra e l’inizio del 1948?
La nascita della prima Repubblica
«La liberazione non fu solo merito delle forze alleate e delle quattro divisioni dell'esercito italiano. Fu anche il popolo a liberarsi da sé: innanzitutto con l'opera tenace ed eroica delle formazioni partigiane, nelle campagne, nelle montagne, nelle città. Quel 25, aprile del 1945, all'indomani dell'ordine di insurrezione generale delle forze della Resistenza dato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, molte città del Nord, grandi e piccole, vennero liberate dai partigiani, prima dell'arrivo delle forze alleate. In quello stesso giorno, nelle città che avevano già visto la fine della lunga occupazione, gli italiani si unirono in cortei spontanei ed esultanti. Fu una grande festa di popolo nelle strade e nelle piazze, un popolo che si ritrovava rinato, libero e unito. Le gesta di quelle giornate formarono, per sempre, la nostra coscienza democratica. Gloria a coloro che salvarono l'onore del popolo italiano e diedero il loro vitale contributo alla riconquista della libertà: la libertà per tutti, anche per coloro che li avevano combattuti».
Carlo Azeglio Ciampi, decimo Presidente della Repubblica Italiana
Dopo il 25 aprile 1945, che aveva visto la fine della guerra in Italia con la liberazione del Nord dall’occupazione nazista e il crollo definitivo del fascismo, per l'effetto congiunto dell'azione militare alleata e dell'insurrezione partigiana, i capi della Resistenza si ritrovano a Roma e con loro arriva il cosiddetto «vento del Nord», termine coniato da Pietro Nenni. Vento del Nord voleva dire aria di cambiamento, politico e sociale, voleva dire portare fra le alchimie della nuova politica «romana» la lezione della lotta partigiana, una spinta a un profondo rinnovamento. E lo stesso Nenni si è candidato a guidare questa nuova fase, suscitando però l'opposizione di democristiani e moderati. Alla fine si è raggiunto un accordo sul nome di Ferruccio Parri, uno dei dirigenti del Partito d'azione e soprattutto esponente di punta della Resistenza col nome di battaglia «Maurizio».
Parri ha preso il posto di Bonomi, il cui secondo governo, costituito sei mesi dopo il primo, e durato sei mesi anch'esso, si è dimesso definitivamente il 12 giugno. Nove giorni dopo, è nato il governo del «vento del Nord», in versione moderata, con il leader democristiano De Gasperi agli Esteri, quello comunista Togliatti alla Giustizia e Nenni alla vicepresidenza. Questi governi andavano dai liberali ai comunisti, cioè comprendevano forze politiche diametralmente opposte, che tuttavia collaboravano nel segno dell'emergenza nazionale seguita alla guerra e alla sconfitta.
Nonostante le doti personali di onestà e d'impegno del presidente del Consiglio, Ferruccio Parri, nel governo era cominciato un braccio di ferro tra sinistra e centrodestra su come articolare le prime elezioni democratiche (se subito quelle politiche o quelle amministrative) e sui poteri della futura Assemblea costituente (se dovesse o meno decidere sulla forma istituzionale dello Stato e se dovesse o no avere anche normali poteri legislativi, nell'ambito della sua durata). Il secondo problema era il più importante.
Lo aveva sollevato per primo Umberto di Savoia, come Luogotenente,
in un'intervista al «New York Times» del 7 novembre 1944, sostenendo che un apposito referendum, e non l'Assemblea costituente, dovesse decidere tra monarchia e repubblica. Lo scopo era chiaro: le chances monarchiche sarebbero state molto più grandi in una consultazione popolare che in un'assemblea elettiva, dato l’orientamento prevalentemente repubblicano dei partiti antifascisti. Il contrasto si era riproposto sui poteri dell'Assemblea: doveva limitarsi a redigere la nuova Carta costituzionale (conservando ovviamente una funzione di controllo politico generale e di ratifica dei trattati internazionali), lasciando al governo il potere di legiferare, oppure il suo mandato doveva essere quello di un normale Parlamento, con in più la funzione costituente?
Dopo solo sei mesi, il governo Parri viene messo in crisi dai liberali; alla guida del Paese arriva il leader della Democrazia cristiana Alcide De Gasperi che forma un governo di estrazione “ciellenistica” con Nenni vicepresidente e Togliatti alla Giustizia.
Sulla svolta, la prima di una serie che avrebbe portato due anni dopo allo scontro elettorale tra gli ex alleati, decisivo per il futuro del Paese, non hanno mancato di esercitare una notevole influenza gli anglo-americani. Tre giorni dopo l'insediamento del primo governo De Gasperi, le autorità militari anglo-americane hanno deciso di restituire all'amministrazione italiana le regioni del Nord, rimaste ancora sotto il loro controllo.
Di fronte a quella che era ormai la prospettiva di un referendum istituzionale e di una distinta elezione dell'Assemblea costituente i partiti hanno serrato le file, con una serie di congressi. Quello del Partito comunista si svolse dal 29 dicembre 1945 al 7 gennaio 1946. Quello della Democrazia cristiana e quello del Partito liberale, in aprile, hanno registrato, nel primo caso, un senso di ascesa, di responsabilità crescenti, e nel secondo un senso di declino.
Il congresso del Partito d'azione, che si svolse dal 4 all'8 febbraio nel teatro romano Teatro Italia, ha significato l'uscita dalla scena italiana di un piccolo-grande partito, che aveva raccolto le speranze di quanti auspicavano una formazione politica capace di essere una «terza forza» tra i due poli emergenti, entrambi in qualche misura estranei o laterali alla tradizione dell'Italia unita e «risorgimentale», il polo comunista e quello cattolico.
Una terza forza laica e democratica, occidentale ma riformatrice, anche in senso socialista, erede di un gruppo glorioso della Resistenza, non a caso chiamato Giustizia e Libertà. Una terza forza modernizzatrice, potenzialmente incubatrice di uno schieramento democratico-progressista, alternativo a quello democratico-conservatore, in un sistema liberale «compiuto». In questo senso, era stata vista con interesse dalla stessa America, nella fase «rooseveltiana».
Membri del partito erano uomini come Ugo La Malfa, Leo Valiani, Altiero Spinelli, Luigi Salvatorelli, Ferruccio Parri, Emilio Lussu, Riccardo Lombardi, Piero Calamandrei, Guido Calogero, Tristano Codignola, Francesco De Martino, Vittorio Foa, e vari altri). In ogni caso, essa è crollata nella notte tra il 7 e l'8 febbraio 1946, con l'uscita dal Teatro Italia della componente più spiccatamente «liberale» (Parri, La Malfa), che avrebbe dato vita a un Movimento democratico-repubblicano, di breve durata, abbandonando le correnti tendenzialmente o dichiaratamente «socialiste».
C'è stato scontro anche nel congresso socialista, svoltosi a Firenze dall'11 al 17 aprile. Il Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria, questo era il nome ufficiale) era reduce da forti affermazioni nel primo gruppo di elezioni amministrative, che si era tenuto già in marzo. A Milano era risultato addirittura vincitore assoluto, distanziando Dc e Pci. Era, di fatto, il primo partito della sinistra.
E tuttavia era ormai diviso tra due «anime», che riflettevano anch'esse, nello stesso ambito del socialismo, due modi diversi di vedere il futuro nazionale, e le alleanze necessarie per perseguirlo. Una era l'anima, appunto, «proletaria», legata alla tradizione dell'unità della classe operaia, l'altra era l'anima socialdemocratica e riformista, che riemergeva dopo il periodo della lotta comune della «unità di azione», contro il nazifascismo. Riemergeva quando il nazifascismo era stato ormai sconfitto e si delineava sempre più nettamente una divaricazione, e anzi un conflitto, tra i vincitori dell'Est e quelli dell'Ovest, cioè tra l'Unione Sovietica e l'Occidente liberaldemocratico, ma anche, eventualmente, socialdemocratico: in Gran Bretagna, per dire, il governo laborista di Attlee aveva preso il posto, all'indomani della vittoria, di quello conservatore di Churchill.
Le due anime del Psiup si sono identificate essenzialmente in due volti. Uno, quello di Pietro Nenni e l'altro quello di Giuseppe Saragat.
Il congresso di Firenze non ha fatto una scelta tra l'uno e l'altro, ha rimosso i motivi dell'incompatibilità, ha cercato una soluzione «unitaria». Ma l'equilibrio di partito che ne è emerso è subito apparso un equilibrio precario, destinato a rompersi alla prima occasione. Nella prospettiva, ancora, di schierarsi in un senso o nell'altro, per l'Est o per l'Ovest.
Per il referendum istituzionale e per l'elezione dell'Assemblea costituente (ferma restando la funzione legislativa del governo) è stata infine fissata una data: il 2 giugno 1946.
La campagna elettorale si è svolta sostanzialmente nella calma. Il clima si è ravvivato dopo il 9 maggio, per la decisione di Vittorio Emanuele III di abdicare in favore del figlio, che da luogotenente è diventato il nuovo re, col nome di Umberto II. Per l’occasione Togliatti inventò uno slogan ironico che definiva Umberto «il re di maggio».
In realtà, la mossa di Vittorio Emanuele (sgombrare il campo della sua persona, comodo bersaglio dei repubblicani e degli antifascisti), subito seguita dalla partenza per l'esilio in Egitto, ha ridato slancio ai sostenitori della monarchia, aiutati anche da una serie di viaggi pre-elettorali di Umberto e da suoi rassicuranti discorsi sull'avvenire della democrazia. Così, una consultazione che sembrava destinata a un sicuro successo della repubblica è ridiventata incerta, e l'attesa è cresciuta.
Alla fine la repubblica ha vinto e la monarchia ha perso, ma la proclamazione ufficiale del cambiamento istituzionale è stata molto più laboriosa del previsto.
I voti sono stati 12.717.923 per la repubblica e 10.719.284 per la monarchia. Ma c'è stato un clamoroso imprevisto: questo risultato si riferiva ai voti validi, mentre la legge parlava della maggioranza dei voti espressi, quindi calcolando le schede bianche e nulle.
La Corte di Cassazione ha infine appurato che i voti non validi erano 1.509.735 e che comunque la monarchia aveva perso, sia pure per mezzo milione di voti. Quanto a Umberto II, egli si è deciso a partire per l'esilio il 13 giugno diretto a Lisbona: lo ha fatto lasciando dietro di sé una scia di risentimenti, e senza neppure uno scambio di saluti col presidente del Consiglio De Gasperi, che si era preparato a un commiato formale e rispettoso.
Tuttavia finalmente è nata la Repubblica italiana, e con essa l'Assemblea costituente, chiamata a redigere la Carta fondamentale del nuovo Stato democratico.
Ne sono stati chiamati a far parte 207 democristiani, 115 socialisti, 104 comunisti, 41 rappresentanti dell'Unione democratica nazionale (PLI e Democrazia del lavoro), 30 appartenenti all’Uomo Qualunque, 23 repubblicani (del PRI), 16 esponenti del Blocco nazionale della libertà (monarchici), 9 residui azionisti (col concorso del Partito sardo d'azione), 4 rappresentanti del Movimento indipendentista siciliano e così via, fino a completare il numero di 555 membri dell'Assemblea.
Dopo la proclamazione della Repubblica, il governo ha varato una legge di pacificazione nazionale, l'amnistia generale per i reati politici, firmata dal Guardasigilli Togliatti.
De Gasperi, dopo l'elezione di Enrico De Nicola a capo provvisorio dello Stato,
ha formato il suo secondo governo, al quale partecipava anche il PRI, non più trattenuto dalla pregiudiziale antimonarchica, e dal quale era uscito Togliatti: al suo posto, alla Giustizia, un altro comunista, Fausto Gullo.
Ma andava cambiando radicalmente anche il quadro internazionale. Già il 5 marzo, nel famoso discorso di Fulton, Churchill aveva denunciato il calare di una «cortina di ferro» tra Est e Ovest.
Questo metteva quanto meno in grande imbarazzo il rapporto di governo tra De Gasperi e i partiti di sinistra.
Oltre a ciò c'era il problema del Trattato di pace, in via di definizione a Parigi. Il 3 ottobre, la conferenza ha raggiunto un accordo sul confine orientale, che sostanzialmente toglieva all’Italia la penisola istriana e creava il Territorio libero di Trieste, sotto il controllo dell'Onu. Una concessione, anche se incompleta, alla Jugoslavia comunista e all'Urss, ancora alleate e un’altra fonte di disagio per Togliatti, costretto a conciliare la difesa degli interessi italiani con quella del movimento comunista internazionale.
Bibliografia:
Aldo Rizzo - “L’anno terribile. 1948: il mondo si divide” - Laterza 1977