Le condizioni materiali di vita dei lissonesi dopo l’Unità d’Italia
23 Novembre 2017 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Lissone dopo l'Unità d'Italia
La vita materiale degli abitanti di Lissone era spesso ostacolata dalle pessime condizioni igienico sanitarie. In un altro articolo si è già fatto riferimento alle condizioni delle abitazioni alla fine dell’Ottocento, sottolineando lo stato di degrado di buona parte di esse. In realtà, la precaria situazione sanitaria, a cui si deve aggiungere l'alimentazione scadente, mutò solo in parte durante la prima metà del Novecento.
Sin dagli ultimi decenni dell'Ottocento le autorità erano intervenute per arginare il diffondersi di malattie quali la pellagra, il tifo e il colera, definendo una serie di norme inequivocabili per la salvaguardia della salute pubblica. Nel 1884 una sottocommissione prefettizia incaricata di svolgere una serie di studi sulla pellagra venne a Lissone, dove ebbe modo di osservare lo stato allarmante in cui versava la pubblica igiene in quasi tutto il territorio comunale.
Venne osservata, innanzitutto, la presenza negli opifici di fanciulli al di sotto dei dieci anni, che lavoravano come operai con grave danno per la loro salute. Il fenomeno del lavoro minorile, diffusissimo in quei centri che andavano industrializzandosi, determinava spesso l'aggravarsi di situazioni sanitarie, favorendo le occasioni per il contagio di malattie quali la tubercolosi e di altre patologie infettive.
Sulla presenza della tubercolosi a Lissone nei primi anni del Novecento è indicativa la testimonianza del Regio commissario Giovanni Nota che così commentava la situazione: «Altre malattie, pur esse gravissime, ma meno impetuose e più lentamente diffusive, come ad esempio la tubercolosi polmonare, serpeggiano del pari e sfuggono più di quelle alle misure di cautela e di difesa che contro di essa devono essere apposte. Ora, essendo in questa, come in tante altre cose, più facile il prevenire che il reprimere, è da porre maggior impegno per il risanamento delle abitazioni, esigendo severa pulitura e conveniente selciatura di tutti i cortili, la costruzione di adatte fosse o vasche di smaltimento delle acque pluviali e soppressione della più parte delle attuali latrine, veri centri e fonti permanentemente di infezione, e la costruzione di altre meglio rispondenti alle imprescindibili necessità igieniche. Facendo in questo modo e vigilando assiduamente e rigorosamente affinché la pulizia sia mantenuta, si potrà conseguire un soddisfacente successo». Relazione del Regio commissario Giovanni Nota al ricostituito Consiglio comunale di Lissone nella seduta del 6 dicembre 1908, ACL, b. 289, f. 4
Inoltre i ragazzi erano sottoposti a lunghi orari lavorativi, ulteriore aggravante che finiva col minare le già precarie condizioni di salute.
Alle precarie condizioni dei fanciulli che lavoravano nei laboratori o nelle fabbriche, si aggiungevano, come persone facilmente soggette al contagio delle malattie infettive anche le donne, in particolar modo le donne incinte che lavoravano nelle fabbriche dedite alla tessitura, le quali frequentemente lavoravano anche fino agli ultimi giorni prima del parto.
Le operaie lissonesi impegnate nel ramo tessile erano numerose, si pensi che solo nel 1894 la ditta Pessina annoverava 62 operai e ben 485 operaie lissonesi.
La relazione della commissione d'indagine sottolineava anche la disdicevole abitudine dei contadini lissonesi di tenere il granturco nelle stanze da letto. La mancanza di granai costringeva i contadini a conservare il mais direttamente nelle stanze delle abitazioni. Generalmente, veniva appeso a poco a poco secondo necessità. Al problema della conservazione del mais in casa, si aggiungeva la questione della cottura del pane, genere d'alimento tanto necessario per le classi povere, che veniva preparato senza le adeguate precauzioni ed era «voluminoso, poco cotto e senza sale». La pasta per il pane era nella maggioranza dei casi preparata direttamente in casa; si trattava per lo più di grosse pagnotte da un chilo e mezzo sino a cinque chili. La cottura poteva venire ordinata direttamente ai fornai del paese o, per quanto riguarda le famiglie contadine, essere effettuata utilizzando il forno rurale, messo a disposizione, non sempre gratuitamente, dai proprietari delle cascine o delle corti.
La sottocommissione si soffermò parecchio a lamentare le già osservate condizioni di degrado di molte abitazioni lissonesi, sottolineando che: «le case coloniche sono insufficienti al bisogno degli abitanti, sono poco pulite, mancano di latrine e nei cortili contengono liquami che mandano esalazioni mefitiche».
I problemi igienico-alimentari denunciati dalla commissione prefettizia non furono tuttavia risolti per diversi decenni.
Qualche provvedimento per la tutela dell'igiene venne comunque preso. Nel 1895, ad esempio, il territorio comunale venne diviso in due condotte mediche in previsione di affiancare un collega all'unico medico condotto. Tuttavia la seconda condotta venne istituita ufficialmente solo nell’ottobre del 1900 e i lissonesi dovettero aspettare sino al 1902 per poter usufruire del secondo medico.
Tra le malattie che assillarono la popolazione lissonese verso la fine dell’Ottocento si segnala la diffusione nel 1887-88 del vaiolo (presente a Lissone già nel triennio 1871-73 con ben 17 morti), il colera che tormentò i lissonesi nel corso di buona parte dell'Ottocento (1836, 1854, 1855, 1860, 1866-67, 1884) e che solamente nel 1910 vide la sua diffusione contrastata dal miglioramento di alcuni servizi come la costruzione dell'acquedotto, nonché dalla febbrile attività degli amministratori comunali per la divulgazione popolare della profilassi.
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