Russia, l’inferno bianco
La ritirata di Russia: dal racconto di Mario Rigoni Stern
(Asiago, 1º novembre 1921 – Asiago, 16 giugno 2008)
L'autore dell'articolo, protagonista della disastrosa spedizione dell'Armir, rievoca il dramma della ritirata e della disperata battaglia nella grande ansa del Don per sfuggire ai russi. In un solo giorno, la sua compagnia fu decimata: di 200 alpini ne restarono soltanto 36.
“In questi giorni di febbraio (n.d.r. 1943) andavamo camminando da villaggio in villaggio cercando evitare le strade dove manovravano le divisioni corazzate tedesche per fermare l'offensiva invernale dell'Armata Rossa. Già la VI Armata tedesca si era arresa a Stalingrado, ma noi non lo sapevamo. Dopo il combattimento del 26 gennaio eravamo rimasti in pochi; della mia compagnia, escluso il sergente dei conducenti, ero l'unico sottufficiale: il capitano, i cinque ufficiali, i sergenti o erano caduti in combattimento o nella neve per sfinimento. Solamente quattro erano stati raccolti sulle slitte e poi ricoverati a Kharkov. Usciti dall'accerchiamento, dopo combattimenti e marce infinite, ci contammo una trentina. Mancava il 90 per cento dei nostri compagni. Un sottotenente venne a prendere il comando di questi resti. E noi si andava verso occidente. Ci avevano indicato una direzione verso Kiev in Ucraina, poi verso Gomel in Bielorussia. Vennero ancora giorni molto freddi e una notte di tormenta quasi perdevo le mani per congelamento: a Nikolajevka, per manovrare meglio la mitragliatrice, i guanti me li ero levati senza più trovarli. Ora facevo il cane da pastore in coda al piccolo gruppo; con noi c'erano dei feriti leggeri e degli ammalati che avevano rifiutato il ricovero perché temevano di essere abbandonati ...
L'avventura degli italiani era incominciata nell'estate del 1941. L'aggressione all'Urss da parte delle armate di Hitler era avvenuta alle prime luci dell' alba del 22 giugno. Quella mattina l'avvampare di seimila cannoni frantumò l'alba. Migliaia di carri armati e di aerei, milioni di soldati varcarono le frontiere con la Russia, travolgendo ogni difesa. Incominciò così la più grande campagna di tutte le guerre, che costò decine di milioni di vite umane. Gli obiettivi erano Mosca, la distruzione della Russia come Stato; il tempo otto settimane.
In quella primavera anche in Italia si stava segretamente preparando un Corpo di spedizione autotrasportabile (cioè che si sarebbe potuto anche autotrasportare). Erano le divisioni Pasubio, Torino, Celere e il gruppo camicie nere Tagliamento con i relativi servizi di Corpo d'Armata. Il trasferimento verso il fronte incominciò il 10 luglio e fu lungo e faticoso attraverso i Carpazi, l'Ungheria e la Romania. Soltanto l'11 agosto l'avanguardia della Pasubio prese contatto con i russi nel villaggio ucraino di Nikolajev. Tra i nostri vi furono due morti e tre feriti: i primi di una lunga fila.
Quell'estate era molto calda, la campagna ucraina rigogliosa di grani e di girasoli in fiore. In principio pareva che le otto settimane previste dal Comando Supremo fossero un tempo attuabile: gli scontri erano rapidi e violenti; le armate russe si ritiravano lasciando centinaia di migliaia di prigionieri. Ma dopo due mesi nelle retrovie si era organizzata la guerra partigiana, nelle ritirate i russi sgomberavano le fabbriche e facevano metodicamente saltare i binari ferroviari; e quando decidevano di combattere lottavano fino all'ultimo uomo.
Le otto settimane erano passate. Arrivarono sì, le armate di Hitler, a vedere le torri del Cremlino, ma venne pure quel grande freddo che nessuna memoria ricordava e, dall'Estremo Oriente, dopo che i giapponesi avevano assicurato il non intervento, le diciotto divisioni siberiane comandate da Zukov.
I tedeschi furono costretti a ritirarsi dai dintorni di Mosca per parecchi chilometri e subirono la prima sconfitta. I loro corpi congelati a decine di migliaia riempivano i treni che li riportavano in Germania; molti restavano irrigiditi dentro le trincee; i disturbi intestinali erano diventati epidemia.
Il Natale del 1941 per i nostri soldati fu un giorno di sangue e di sofferenze. Alle 6,40, dopo un violento fuoco d'artiglieria, le divisioni Torino e Celere furono attaccate da fanterie e carri armati. I combattimenti durarono fino al 31 dicembre con temperature che scendevano sotto ai meno 35°. I russi non riuscirono a sfondare, ma le nostre perdite furono gravi. A chi aveva superato un mese in linea Hitler offrì una onorificenza che i soldati chiamarono subito «l'ordine della carne congelata».
Intanto negli alti comandi si studiava l'offensiva che avrebbe definitivamente sconfitto la Russia. Gli obiettivi erano il Volga e il Caucaso e poi, attraverso il Medio Oriente, raggiungere l'Egitto «chiave dell'impero britannico». A tale proposito Mussolini, il 3 dicembre aveva scritto a Hitler « ... in relazione al Vostro colloquio con il Conte Ciano sto provvedendo a disporre di un corpo d'armata alpino composto dalle nostre migliori truppe».
I resti delle armate russe sarebbero stati spinti nell'estrema Siberia e tutti i territori conquistati sarebbero diventati «spazio vitale» del popolo germanico al cui servizio dovevano restare gli slavi rimasti, «popolo inferiore».
Nell'estate del 1942, malgrado il parere contrario del generale Messe, comandante del Csir, in tanti partimmo per il Fronte Est: le divisioni Tridentina, Giulia e Cuneense; Cosseria, Ravenna e Sforzesca; il raggruppamento camicie nere «3 Gennaio»; un'Intendenza d'Armata, un Corpo areonautico; un Corpo marittimo: 230.000 uomini, 960 cannoni, 850 mortai, 19 semoventi, 55 carri armati, 1.800 mitragliatrici, 2850 fucili mitragliatori, 16.000 automezzi, 1.130 trattori, 4.470 motociclette, 25.000 quadrupedi.
L'8 agosto Hitler scriveva al duce: « ... Vorrei ora, Duce, sottoporvi la proposta di permettere che le divisioni alpine siano impegnate accanto alle nostre divisioni di montagna e leggere sul fronte del Caucaso. Ciò tanto più in quanto il forzamento del Caucaso ci porterà in seguito in territori che non appartengono alle sfere d'interesse tedesche e pertanto, anche per motivi psicologici, si rende opportuno che ivi marcino con noi reparti italiani e, se possibile, il Corpo d'Armata alpino, che è il più adatto allo scopo ... ».
Nel mese di agosto si camminava per la sconfinata pianura. Ogni tanto alzavamo gli occhi per vedere se apparivano le montagne. Sembrava di essere sempre nel medesimo posto. Un giorno vennero a caricarci con i camion e ci portarono nella grande ansa del Don: l'Armata Rossa attaccava per cercare di tagliare i rifornimenti alla VI Armata che stava occupando Stalingrado. Il 1° settembre due battaglioni di alpini andarono al contrattacco. Quel mattino ero caposquadra, alla sera mi trovai a comandare i resti di una compagnia. Di quella compagnia di duecento restammo 36. Poi venne il resto. I caduti e i dispersi italiani in Russia furono 81.820; i feriti e i congelati 29.690”.
Bibliografia:
supplemento del “Corriere della Sera” - dicembre 1999