Vichy contro la scuola
La capitolazione della Francia
Il 14 giugno 1940 i nazisti entravano a Parigi, mentre un'ondata di profughi dalle regioni circostanti cercava salvezza in una fuga disperata verso il Sud della Francia. In un solo mese la Germania aveva liquidato il suo storico avversario che pure disponeva del più numeroso esercito d'Europa ed era dotato di mezzi corazzati e di un'aviazione di tutto rispetto.
Le cause di questa clamorosa sconfitta vanno cercate principalmente negli errori strategici dei comandi militari, legati a una vecchia concezione del conflitto, ferma ai parametri del 1914. Ci si era preparati, cioè, a una lunga guerra di logoramento, costruendo grandi fortifìcazioni su tutto il confine franco-tedesco che la Wehrmacht (l'esercito tedesco) aveva invece del tutto ignorato, invadendo la Francia dal Belgio.
La Repubblica di Vichy
Si comprende così l'umiliante resa decisa dal nuovo presidente del Consiglio, l'ultra ottantenne maresciallo Philippe Pétain, vecchia gloria della Prima guerra mondiale, schierato da tempo su posizioni di destra al punto da non nascondere la sua ammirazione per Hitler e il nazismo.
Molti alti ufficiali condividevano questo atteggiamento, convinti che solo un sistema autoritario avrebbe potuto forgiare un popolo e un esercito in grado di vincere. Scaricata dalle proprie spalle ogni responsabilità della sconfitta, i militari gettavano la colpa sulle istituzioni democratiche che avevano retto la Francia negli anni passati. Per Pétain, capo del governo collaborazionista, dalla fine della Prima guerra mondiale si era indebolita la fibra morale dei francesi e questi erano diventati sordi ai veri valori della tradizione: la famiglia, la religione, il rispetto delle gerarchie, l'ubbidienza all'autorità.
A questi ideali faceva dunque appello il capo del governo collaborazionista con sede nella cittadina termale di Vichy, al quale i tedeschi avevano concesso una sovranità limitata alle regioni centrali e meridionali della Francia e alle colonie d'oltremare. II resto del territorio francese restava sotto l'occupazione degli eserciti del Fuhrer.
Vichy contro la scuola
Estate 1940: il regime di Vichy ritiene la scuola laica e repubblicana responsabile della sconfitta della Francia: una delle sue priorità è, perciò, «far pulizia nell’insegnamento». Il maresciallo Pétain ha la sua rivalsa.
All’inizio dell’estate 1940, l’esercito francese si è sfasciato trascinando nella sua caduta tutta la III Repubblica; i tre quinti dei paesi sono occupati, i tedeschi sono a Parigi, la bandiera nazista sventola sull’Arco di Trionfo, più di un milione e mezzo di francesi sono prigionieri in Germania, e la cosa più urgente sarebbe far portare il peso della sconfitta sull’Università, sui professori e sugli insegnanti?
L’offensiva è stata iniziata dai militari. Prima dell’armistizio, i generali Gamelin e Weygand lavorano alla loro difesa: secondo loro nessuno nell’esercito ha sbagliato. Rimproverano, invece, agli insegnanti di essere i principali responsabili del disfattismo ed insistono perchè vengano severamente puniti.
In luglio, il maresciallo Pétain dichiara al suo ufficiale di collegamento con le truppe inglesi Edward Spears, che sono «gli insegnanti e i politici, e qualche militare che hanno messo la Francia in ginocchio». Presto saranno accusati di essersi battuti male e nello stesso tempo di aver abbandonato il loro posto durante la sconfitta.
La stampa si allinea. Il 4 luglio 1940, all’indomani dell’affondamento della flotta francese da parte degli inglesi a Mers El-Kebir, si legge sulla prima pagina del “Petit Marseillais”, di fianco all’articolo che denuncia la catastrofe, un titolo: «Gli insegnanti sono responsabili della sconfitta». Si diffonde il sospetto. Il 3 ottobre, “Paris-Soir” scrive: «Alcuni capi, che avrebbero dovuto dare l’esempio, sono stati tra i primi a diffondere il panico. Fatto sta che non sono ancora ritornati.
Come spiegare questa campagna d’odio e la sua risonanza presso l’opinione pubblica?
Nel suo libro “Vichy et l’Ecole”, lo storico Rémy Handourtzel, professore alla Businnes School di Rouen, dimostra che l’attacco è partito dall’esercito vinto.
Poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, in Francia 6 milioni sono i bambini scolarizzati. La schiacciante maggioranza di loro (5,2 milioni) frequentano la scuola primaria, 400.000 sono alla scuola materna e 200.000 alle primarie superiori. Questo sistema coesiste con il mondo elitario della secondaria (200.000 allievi) che ha delle piccole classi. Fino al 1933, il suo insegnamento era a pagamento. Il diploma di maturità (28.000 diplomati ogni anno) apre le porte all’Università ad un’infima minoranza: la Francia del 1939 conta un po’ meno di 40 milioni di abitanti e solamente studenti. Il corpo insegnante è dunque principalmente composto da insegnanti (132.000 contro 15.000 professori della scuola secondaria). Questi funzionari, formati nelle scuole normali, sono, dopo l’instaurazione della III Repubblica, gli instancabili propagandisti delle sue idee egalitarie e del suo laicismo militante.
Un’istituzione fu oggetto, particolarmente, di tutti gli attacchi, il Sindacato nazionale degli insegnanti (SNI) che, con 100.000 aderenti, rappresentava circa l’80% del corpo insegnanti. La sua considerevole influenza lo rende indispensabile nell’elaborazione dei programmi, perfino nella gestione delle carriere. Inoltre, i suoi membri sono stati molto attivi nel diffondere le tesi del Fronte Popolare. Queste prese di posizione, naturalmente, saranno utilizzate contro di loro nel momento del trionfo della “Révolution nationale”.
Un’altra colpa attribuita agli insegnanti è il pacifismo radicale. Su questo tema il sindacato ha dato prova di una singolare cecità. Rémy Handourtzel sottolinea che lo SNI, dopo il 1918, sosteneva d’aver intrapreso «un’azione tenace al fine di modificare il contenuto dell’insegnamento impartito nelle scuole al fine di eliminare tutto ciò che poteva avere un carattere bellicistico». A due mesi dalla mobilitazione generale, la sezione del Dipartimento della Seine propose al Congresso di Montrouge una curiosa mozione che asseriva: «Anche se i tedeschi e gli italiani seguono Hitler e Mussolini, hanno diritto di vivere. Se fosse necessario cedere delle colonie per salvare la pace, noi le doneremo!»
Questo pacifismo integrale non fu appannaggio solamente degli insegnanti, ma si deve riconoscere che, prima dell’entrata in guerra, trovò tra di loro un’eco particolare.
Il sospetto verso gli insegnanti era largamente diffuso negli ambienti conservatori e particolarmente nell’esercito. Da qualche anno il maresciallo Pétain è letteralmente ossessionato dal problema. Al momento della sua ascesa al governo, nel 1934, in seguito all’emozione che avevano suscitato i moti del 6 febbraio, il vecchio soldato aveva rivendicato, oltre che il Ministero della Guerra, il controllo sull’educazione nazionale. Il suo programma? É chiaro: «Io mi occuperò degli insegnanti comunisti». In un numero speciale della Revue des deux mondes pubblicata nel 1934, Pétain esponeva la sua visione dell’insegnamento: «Prima di decidersi sui campi di battaglia, i destini di un popolo si elaborano sui banchi di scuola e nelle aule universitarie. L’insegnante, il professore, l’ufficiale, condividono lo stesso compito, devono ispirarsi alle stesse tradizioni e agli stessi valori». Se c’è una continuità tra la scuola e la caserma, non c’è da meravigliarsi che Vichy abbia iniziato, fin dalle prime ore, di ricercare nelle aule i responsabili della sconfitta militare.
I tedeschi non tentarono mai di immischiarsi nel sistema educativo di Vichy: volevano evitare che le scuole diventassero dei focolai di ribellione.
A partire dal 17 luglio, tutti i funzionari possono essere revocati con un semplice decreto. L’epurazione raggiungerà il culmine sotto la direzione del ministro dell’Educazione nazionale Geoges Ripert. Il suo obiettivo è senza ambiguità: «Ripulire l’insegnamento primario». L’elenco delle sanzioni è vario: spostamenti, revoche, pensionamenti d’ufficio. L’assenza di statistiche nazionali sull’argomento impedisce una visione d’insieme dell’ampiezza del fenomeno, ma si stima che un migliaio siano stati gli insegnanti colpiti dai provvedimenti: insegnanti ebrei, o franco-massoni, militanti dello SFIO (Section Française de l’Internationale Ouvriére) particolarmente attivi ...
Le cifra può apparire irrisoria su scala nazionale. In realtà è, invece, ragguardevole rispetto alla situazione: nel 1939, 26.000 insegnanti sono stati mobilitati. La metà vengono fatti prigionieri, e i tedeschi li rilasciano con molta parsimonia. La mancanza di braccia diventa il pricipale freno ad una epurazione più ambiziosa. Vichy deve rimettere in moto la macchina dello Stato.
L’anno scolastico 1939-1940 finisce in un disordine generale e il rientro non si annuncia sotto i migliori auspici.
L’esodo ha spinto 8 milioni di francesi sulle strade e una parte di loro non sono ritornati alle loro case.
Migliaia di professori mancano all’appello. E per gli allievi non è meglio: all’inizio del mese di agosto, 90.000 bambini non hanno ancora ritrovato la loro famiglia.
I locali delle scuole non sono sempre utilizzabili: molti sono stati bombardati o requisiti dall’occupante. Come sottolinea Rémy Handourtzel, questi spazi «si adattano bene alle esigenze dell’economia militare: un cortile per riunire le truppe e per lo stazionamento dei mezzi, un portico per immagazzinare del materiale, delle aule o degli internati per l’alloggiamento dei soldati, dei servizi sanitari collettivi, un refettorio ...». Secondo lo storico, il 20% delle aule scolastiche ed universitarie sarebbero state requisite.
Jérôme Carcopino, esperto di storia romana, direttore dell’Ecole normale supérieure della rue d’Ulm (e futuro ministro dell’Istruzione pubblica di Vichy nel 1941-1942) raccontava: «Mentre ero a Vichy, si era diffusa la voce che a Parigi il distaccamento dei Panzerjünger, che si era accampato dal 26 agosto in rue d’Ulm, si apprestava a lasciare il luogo. Il 15 settembre i Panzerjünger se ne andarono ma furono sostituiti da cento altri. Il 18 settembre, alcuni ufficiali della Luftwaffe vennero dal Palais de Luxembourg per vedere i nostri locali, con l’intenzione di trovare una rapida sistemazione nel palazzo centrale, compresa la biblioteca, per 300 loro aviatori.
Tra le prime decisioni del governo di Vichy (il 3 settembre 1940) vi è l’abrogazione della legge del 1904 che vietava alle congregazioni religiose d’insegnare; il 18 settembre le Ecoles normales (che avevano lo scopo di formare degli insegnanti) vengono soppresse. Poi si passa al rinnovamento dei programmi: una apposita commissione si riunisce a Vichy.
Nell’impossibilità di stampare dei nuovi libri di testo, le autorità accademiche si limitano a redigere una lista di libri proibiti, oltre a formulare alcuni orientamenti. I programmi di storia tralasciano la parte sulla Rivoluzione francese e così pure le guerre franco-tedesche. Inoltre si passerà sotto silenzio la storia di Napoleone e le conquiste della Repubblica. Sarà invece argomento di studio Jeanne d’Arc, la nemica degli inglesi.
Ogni mattina gli scolari rendono omaggio al capo dello Stato, il maresciallo Pétain, intonando il canto «Maréchal, nous voilà!»
Nello stesso tempo Vichy intende sviluppare l’insegnamento delle discipline sportive. A Nantes, in un articolo di Le Phare de la Loire del 1° settembre si afferma che si dovrà virilizzare l’insegnamento: «La Repubblica di ieri che si diceva ateniese era diventata piuttosto bizantina, se non levantina. Riportiamola verso l’Attica ... passando da Sparta». Vichy organizza così dei corsi di educazione generale e sportiva di cinque ore alla settimana, ma la scarsa alimentazione degli allievi costringerà ben presto il ministero a mostrarsi meno ambizioso.
Nelle aule delle scuole Vichy ha le mani libere. È lì che si deve inventare la “Rivoluzione nazionale» ed è lì che regna il suo principale nemico, l’insegnante.
Il “nuovo ordine”
La “Rivoluzione Nazionale” mette l’accento sul ritorno ad una società tradizionale, patriarcale, gerarchica dove regni l’ordine morale
L’altra guerra, la vera, è persa da tempo. A Vichy, nessuno pensa che la situazione possa essere rovesciata. Nell’incontro di Berlino del 9 novembre 1940, il vicepresidente del Consiglio, Pierre Laval, assicura il numero due del Reich, Hermann Göring, che «alla gioventù francese sarà indicato un ideale diverso dall’idea di rivalsa».
Traduzione da un articolo di “Le Monde” di Lunedì 2 agosto 2010