Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"
Articles récents

La Resistenza a Lissone (II parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Il CLN rappresentava la sintesi dei vari fermenti di lotta e opposizione al fascismo; suoi istrumenti dovevano essere le Squadre di Azione Patriottica (SAP); mezzi: la propaganda clandestina e le azioni di disturbo; fine ultimo l'insurrezione.

Lo sciopero generale del Marzo 1944 ottenne un grande e lusinghiero successo così da scuotere in Lissone l'assenteismo della popolazione, interessandola alla lotta per la liberazione e a coloro che combattevano per ottenerla.

Si ruppero allora gli indugi d'una situazione immatura e venne decisa la formazione del locale CLN. Ai primi di maggio risalgono i contatti fra i due animatori socialista e comunista e l'esponente designato dal partito popolare ormai denominatosi Democrazia Cristiana.

Il CLN lissonese ebbe ufficialmente origine il 15.5.44 con una riunione clandestina nell'abitazione del signor Costa; della riunione fu steso un verbale da far pervenire alle autorità centrali tramite l'incaricato comunista Piero; poi il CLN si inserirà quale organo periferico riconosciuto dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) con sede in Milano.

Compiti del comitato erano: predisporre e coordinare le azioni di disturbo al nemico; aiutare le vittime del fascismo; preparare l'Amministrazione Pubblica per il momento dell'insurrezione; risolvere i problemi dell'approvvigionamento.

Il CLN fu composto dai signori:

Federico Costa (nome di battaglia Franco) rappresentante socialista

Attilio Gelosa (Carlo) - democristiano

Attilio-Gelosa.jpg

Agostino Frisoni (Ottavio) comunista.

Agostino-Frisoni.jpg

Dopo circa un mese Franco fu sostituito per ragioni personali, mantenendo però l'incarico di cassiere del Comitato e di addetto all'assistenza, alle famiglie dei perseguitati, in sua vece entrò a far parte Gaetano Cavina (Volfango).

Gaetano-Cavina.jpg

Le funzioni di collegamento col comando militare furono espletate dal signor Leonardo Vismara detto Biel (Raimondo) comunista.

Nel frattempo socialisti e comunisti intensificavano le ricerche di armi con cui dotare la propria organizzazione.

                                                                                                                                                                                   (continua)

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (III parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Il gruppo comunista fu il primo in paese a organizzarsi per la lotta clandestina formando le SAP, comprendenti volontari lavoratori con un capo responsabile, affiancate dal Comitato di agitazione e propaganda, da cellule nei vari stabilimenti, dalle Donne Patriote, che diedero così valido aiuto alla causa, il tutto sotto controllo del commissario politico. Successivamente le SAP furono aggregate al Corpo Volontari della Libertà come parte attiva della 119a Brigata Garibaldina Di Vona.

In quel periodo di grande abnegazione per il proprio ideale, a Monza nel corso di un'azione di raccolta di armi, il socialista Davide Guarenti venne tradito dal suo esuberante entusiasmo, arrestato con altri attivi antifascisti, tradotto nelle carceri, finì all'infame campo di Fossoli, dove la sua giovinezza venne falciata dalla barbarie fascista il 12 luglio 1944 per illuminarsi della luce del martirio unitamente a molti altri.

Intanto gli inviti ai renitenti alla leva si erano fatti pressanti; il richiamo con il passare del tempo passò dalle lusinghe alle promesse. Visto inutile l'uso della convinzione i fascisti emanarono ordini severissimi: aggiunsero minacce e vessazioni ai familiari ritenendoli responsabili delle diserzioni. Poi si iniziò una caccia che veniva effettuata soprattutto di notte con perquisizioni improvvise presso famiglie sospettate di nasconderli, con rastrellamento di tutti i luoghi di possibile rifugio. Quella caccia all'uomo era accompagnata da spari intimidatori, così da elevare la tensione al livello di esasperazione.

Il CLNAI informato della gravità della situazione passò l'ordine di agire. Una squadra delle SAP portò a compimento l'attentato che avvenne il giorno 11 giugno in via Milano (attuale via Matteotti): i due militi fascisti che più si accanivano nella lotta ai renitenti vennero fatti oggetto di lancio di bombe a mano: uno morì immediatamente, l'altro dopo qualche giorno. L'autorità fascista lanciò i suoi sgherri ovunque un indizio potesse svelare l'organizzazione: tutto fu messo in opera, ma solo attraverso una spia si giunse all'arresto dei quattro patrioti.

Il loro sacrificio risulta infinitamente più grande per aver subito raffinate e volgari pressioni fino alle torture più inumane senza denunciare i compagni di altre squadre

Du
e, Remo Chiusi e Mario Somaschini, furono tradotti a Monza alla famigerata Villa Reale e per ordine del sadico torturatore Gatti capo della Guardia Nazionale Repubblicana, dopo le immancabili sevizie subirono la fucilazione il 17 giugno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(continua)

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (IV parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

A Lissone la sera di venerdì 16 giugno, nell'ora di' uscita degli operai del lavoro, gli altoparlanti chiamarono a raccolta la popolazione in piazza per assistere ad uno spettacolo: la gente, ignara di quanto stava per accadere, si fermava e s'infittiva in una sospettosa attesa.

Improvvisamente si presentarono sulla scalinata della casa del fascio, agli occhi esterefatti della moltitudine, due corpi incapaci di reggersi, afflosciati dalle torture, che furono sospinti brutalmente presso la fontana.


  Pierino_Erba.jpg             Carlo-Parravicini-copie-1.jpg

Un attimo dopo Pierino Erba e Carlo Parravicini crollarono cancellati alla vita da una raffica. La piazza si svuotò per il panico, fu un fuggi fuggi nelle vie adiacenti, un gridare di donne ed un piangere di ragazzi mentre altre raffiche di mitra solcarono l'aria per incutere maggior paura. La giustizia fascista si credette soddisfatta mentre suo malgrado accese quattro fiaccole destinate a rischiarare per l'avvenire la lotta contro la dittatura.


monumento-originale-in-Piazza-Libert-.jp

La stessa Radio Londra nelle trasmissioni della «Voce della Libertà» annunciò il tragico episodio di Lissone esaltando il martirio dei quattro patrioti. In quell'occasione fu pure arrestato il commissario politico Giuseppe Parravicini, sindacalista comunista, che, incarcerato a San Vittore e processato, fu deportato al famigerato campo di sterminio di Auschwitz da dove tornerà vivo ma debilitato per sempre nel fisico.

La paura invase l'animo di molti e per ridare coraggio a vecchi e nuovi aderenti, per stringere le fila occorse la fede nell'ideale, la disperata volontà di recupero. Il Comitato lasciò placare la reazione fascista, che pur essendosi violentemente scatenata non aveva coinvolto nessuno dei suoi responsabili civili, quindi riprese a tessere la trama della cospirazione.

Mentre la popolazione doveva soffrire e tacere, loschi individui si arricchivano con la compiacente tolleranza fascista. Il Comitato stilò un elenco di borsaneristi, si interessò di chi teneva scorte e collaborava con i nazifascisti in altri modi.

                                                                                                                                                                                        (continua)

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (V parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Dalla metà giugno del 1944 alla Liberazione l'attività del CLN, nonostante le obiettive difficoltà di tempo e di movimento che si opponevano, fu molto intensa.





I verbali delle riunioni del Comitato lo dimostrano e indicano quali erano le direttive seguite:

1)      Propaganda, reclutamento e raccolta di mezzi finanziari.

2)      Assistenza materiale e morale alle famiglie bisognose dei perseguitati politici, dei   richiamati, dei renitenti e dei prigionieri militari e civili.

3)      Preparazione dei quadri dell'amministrazione comunale provvisoria che alla Liberazione assumerà i poteri: consiglio comunale, giunta e Sindaco.

4)      Ricerca di armi e mobilitazione degli organismi militari per eventuali azioni di guerra.

 



L
'attività propagandistica prese corpo attraverso la creazione di cellule che svolsero la loro attività sul posto di lavoro, nei ritrovi giovanili e nelle associazioni; con la distribuzione della stampa clandestina dei partiti, di fogli ciclostilati o poligrafati e volantini.

Vennero inviate lettere ad associazioni come la Società Ginnastica Pro Lissone e la Famiglia Artistica; altre a ditte e aziende, che si sapeva o si supponeva lavorassero per la guerra o peggio per i tedeschi, con lo scopo di illustrare gli ideali del movimento o per dissuadere e scoraggiare la loro cooperazione con i nazifascisti.

Per incrementare la raccolta dei mezzi finanziari, che già provenivano da cauti offerenti, fu inviata una lettera circolare a tutte le più grosse aziende lissonesi, e, per stornare le indagini della polizia, a parecchie ditte dei paesi vicini. La lettera produsse una grande impressione ma benché se ne parlasse assai in paese, difficoltà obiettive impedirono la raccolta di frutti consistenti.
                                                                                                                                                                                               (continua)

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (VI parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Un'azione che ebbe una vasta risonanza propagandistica, senza considerarne il suo alto valore morale di ricordo e di riconoscenza, fu effettuata nella ricorrenza dei defunti il 2 novembre '44. Per onorare la memoria degli eroici giovani fucilati in giugno, di notte corone di fiori vennero deposte sulle loro tombe e poco prima della chiusura di mezzogiorno sulle stesse venne collocato un cartoncino tricolore con scritto in evidenza «Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia». Nel pomeriggio attorno alle due tombe fu un accalcarsi di gente nonostante la pioggia battente.

 

la-tomba.jpg

l'attuale tomba presso il cimitero


L'assistenza alle famiglie bisognose, sia pure nei ristretti limiti delle disponibilità finanziarie del CLN si svolse con regolarità e scrupolosità: un membro del Comitato aiutato da una compagna ora locale ora dei paesi vicini distribuiva le somme a disposizione.

Per il Natale del ‘44 il Comitato volle elargire un contributo più sostanzioso dei precedenti alle famiglie bisognose colpite dai provvedimenti fascisti; furono così distribuite una cinquantina di buste contenenti denaro, raccolto fra simpatizzanti, e inviti alla lotta.

Si utilizzò inoltre l'opera di due sorelle patriote quali informatrici, essendo impiegate presso la casa del fascio una ed al centralino telefonico tedesco l'altra. Le informazioni avute risultarono utili in relazione a decisioni locali, a spostamento di brigate nere ed alla sicurezza del Comitato stesso. Questi assicurò loro l'incolumità dopo l'insurrezione quando il popolo ignaro della loro delicata posizione avrebbe potuto trattarle da collaboratrici con il nemico.

In quei giorni quattro prigionieri di guerra russi, fuggiti ai tedeschi, furono nascosti in un cascinale da un partigiano, che con un altro li assisté e li alimentò per una decina di giorni fino al momento in cui il C.L.N. organizzò la loro fuga fra le fila dei partigiani combattenti sui monti.

partigiani-appostati.jpg

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (VII parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Grande impegno richiedeva anche la scrupolosa preparazione dei quadri dirigenti dell'amministrazione comunale che nell'immediato periodo post insurrezionale avrebbe dovuto assumere la direzione del paese. A parte la difficoltà di trovare gli uomini, che, dopo una mancanza ventennale di democrazia, potessero degnamente rappresentare tutta la popolazione, si trattava di stabilire l'equa rappresentanza dei partiti nel Consiglio Comunale e soprattutto fissare a quale partito dovesse appartenere il Sindaco.

Nei primi mesi del 1945 gli incontri clandestini divennero numerosi. Quelli che avvenivano fra persone notoriamente aderenti ad ideologie contrastanti non potevano non sollevare sospetti e dovevano effettuarsi con molta cautela: diverse riunioni si svolsero così sulle panchine della stazione di Monza o del piazzale prospiciente la stessa come fra persone in attesa del treno. Le riunioni invece del CLN avvenivano, specie durante la stagione invernale, in casa di Volfango, la quale offriva, in caso di pericolo, la possibilità di eclissarsi attraverso i tetti.

L'attività relativa alla ricerca di armi e per i collegamenti militari veniva affidata dai singoli partiti del CLN ad un loro incaricato che si metteva in contatto con il comandante politico della 119a Brigata Garibaldina nella persona del geometra Riccardo Crippa (Ettore).

Nonostante tutte le precauzioni e le cautele con cui si agiva, proprio nei giorni precedenti la Liberazione si verificò un episodio che portò un certo scompiglio fra tutti i responsabili del movimento clandestino.

La delazione ai danni di due patrioti delle SAP portò anche all'arresto di una loro zia la notte del 19 aprile. Furono trovate oltre ad una pistola, una lista di patrioti con i rispettivi incarichi per la imminente insurrezione: furono tutti immediatamente arrestati. Tradotti alla Villa Reale di Monza furono divisi per interrogarli. I primi arrestati con la zia furono malmenati, addentati da cani aizzati dagli aguzzini, bastonati per ottenere una confessione. Gli altri subirono pure tormenti e vessazioni. Furono tutti avvertiti che li aspettava la fucilazione in piazza a Muggiò quale rappresaglia per l'uccisione di un sottufficiale tedesco. L'attesa divenne spasimo in quel precipitare di eventi. L'incertezza che in quegli sgherri prevalesse la ferocia all'istinto di conservazione - cioè la fuga - provocava in loro una tortura troppo difficile da descrivere se non da chi la sofferse. Per quell'arresto Lissone avrebbe potuto piangere un altro gruppo di fucilati.





                                                                                                                                                                                               (continua)

Lire la suite

La Resistenza a Lissone (VIII parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

La situazione si fece drammatica anche per i componenti del Comitato, che, avvertiti immediatamente dalle informatrici del grave pericolo che correvano perché ormai indiziati, si dispersero spostandosi giorno e notte alla periferia del paese.

Il CLN si riunì per l'ultima volta clandestinamente il 24 sera ed il 25 mattina lanciò al popolo il proclama della Liberazione, insediandosi come autorità riconosciuta insieme all'Amministrazione Comunale scaturita dal Comitato stesso, mentre venivano liberati gli ultimi patrioti detenuti alla Villa Reale.


L
'insurrezione precedette di diversi giorni l'entrata degli alleati;



m
a la dittatura vinta lasciò una marea di odio e di rancori, quali ferite delle catene appena spezzate. Ciò ebbe come conseguenza un'esplosione di ritorsioni per le violenze patite accumulatesi e per le vendette da troppo tempo represse, però non si arrivò ad esprimere in questo modo un sistema e strumento di governo, come invece era accaduto per il fascismo due decenni prima. In seguito il divenire del tempo mitigò gli animi.

Così anche il nostro paese con i suoi morti nelle piazze e nei campi di concentramento si inserì nella Resistenza, metodo di strenua lotta contro ogni regime dittatoriale, sperimentazione della forza immensa racchiusa in un ideale per il quale le volontà si unirono tese ad un'unica meta: il raggiungimento della democrazia.


Queste brevi note non vogliono essere un giudizio su come venne attuata la Resistenza nel nostro comune, ma desiderano illustrare alcuni degli avvenimenti successi secondo quanto
è stato riferito agli estensori dai rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale locale.
Testo redatto da “volonterosi” del Centro Culturale Civico (vedi presentazione della pubblicazione a cura del Sindaco Fausto Meroni) in occasione del 25° anniversario della Liberazione (1970)



Gli articoli sulla Resistenza a Lissone sono tratti dalla pubblicazione del Comune di Lissone in occasione in occasione del 25° anniversario della Liberazione (1970)


Lire la suite

i figli migliori ...

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale


poesia del lissonese Alfredo Pozzi pubblicata il 10 giugno 1945 in “I Martiri di Monza e Circondario” a cura del Comitato di Liberazione Nazionale


 

Ecco! Quel mondo putrido declina

in un crepuscolo di nero. Nell’alba

nell'alba vicina

vedremo risorgere

i figli migliori ...

Fiammante è quest'alba: scarlatti i colori.

Ecco! Il sole novello! Primavera

di Libertà e giustizia, d'uguaglianza:

il popolo spera

e chiama i suoi Martiri

dal fosso comune:

la carne è straziata, la fede era immune.

Ritornano le salme sulle soglie

del proprio borgo; il popolo fremente,

la madre, le accoglie ...

L'impronta nel secolo

voi primi segnaste:

che raggio di luce tra l'ombre nefaste!

E dal vostro martirio ora germoglia

la coscienza più pura nella massa

che unita si spoglia

di forme tiranniche,

e libera canta

pei martiri nostri la causa n'è santa.

Dalle rustiche tombe voi tornate

all'estrema dimora: tutto un mondo

corrotto segnate

per l'ineluttabile

condanna, al passaggio:

tornate alla luce del sole di maggio.

               (ALFREDO  POZZI)      

 

 

 

Lire la suite

4.000 caduti tra le forze partigiane nella sola fase insurrezionale del 25 aprile 1945

28 Juin 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

L'ultimo attacco per la liberazione mette in moto le ingrossate formazioni partigiane, gli operai in armi delle fabbriche e altri cittadini. Alla vigilia dell'insurrezione nelle città del Nord, il vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà , Ferruccio Parri «Maurizio», stima di potere contare su 70.000 effettivi che sono dislocati in varie e distanti località. Nell'operazione di liberazione delle città partecipa un numero decisamente più alto di uomini e donne che viene stimato tra le 250.000 e le 300.000 unità. Oltre la metà di queste forze sono pervenute nell'ultimissima ora, tenendo presente che, soltanto a metà aprile, il comando del CVL indicava in 130.000 gli arruolati, cifra che aveva già subito la prima impennata con gli arrivi del mese di marzo. Gli ultimi reclutati si aggiungono a ridosso o durante l'insurrezione. Si tratta in larga parte di civili, soprattutto operai, che sono inquadrati in modo del tutto approssimativo. La stima, per difetto, di 70.000 effettivi sui quali conta Parri nel momento dell'insurrezione, si riferisce invece agli uomini che sono stati più attivi nella lotta clandestina e che possono offrire maggiori garanzie di esperienza e affidabilità. L'insurrezione, sebbene già segnata nel suo esito finale, resta un'operazione rischiosa dai costi umani difficili da prevedere perché deve comunque scontrarsi con i militari nazifascisti, che al 9 aprile, si aggirano sulle 220.000 unità, mediamente meglio armate del fronte partigiano.


Forze militari della.Repubblica Sociale italiana al 9 aprile 1945

Guardia nazionale repubblicana                                           72.000

Brigate nere                                                                    22.000

Decima Mas                                                                      4.800

Muti                                                                                1.050

Esercito regolare                                                    30.000-35.000

Divisioni tedesche in Val Padana                     90.000 al 9 aprile 1945


Dal 9 aprile ogni giorno che passa crescono le diserzioni fra le forze nazifasciste con la Gnr, l'esercito regolare e la Muti che a questa data hanno già perso la metà dei loro effettivi.

Lo scontro avviene con uomini demotivati e in fuga, ma non tutti, benché disperati e consci della sconfitta, sono arrendevoli. Nella sola fase insurrezionale le perdite partigiane sono stimate in circa 4.000 caduti.


Dal punto di vista militare, l'insurrezione autonoma partigiana può essere risparmiata, nell'attesa dell'inesorabile avanzata alleata, ma gli effetti della massiccia mobilitazione popolare e partigiana hanno permesso, dal punto di vista strategico, il salvataggio dalla distruzione tedesca di molte centrali elettriche e degli impianti industriali. In altri importanti centri di produzione si è evitato, almeno, il completo disfacimento dell'impianto, come avvenuto per il pur danneggiato porto di Genova.

Accanto alla liberazione e alla protezione degli impianti, il Corpo Volontari della Libertà si pone un'altro obiettivo con l'insurrezione: la tutela dell'ordine pubblico, tracciando una linea di continuità con le mansioni già esercitate durante la clandestinità da diverse formazioni montane. È il riflesso dell'ambizione al pieno esercizio del potere, ma soprattutto in questa fase la gestione dell'ordine pubblico è posta a garanzia dei cittadini.

...

Nella decisione dell'antifascismo di attaccare, per liberare paesi e città, si rivede la matrice autonoma della scelta di lotta che sta alla base della Resistenza armata. L'attacco insurrezionale porta a compimento l'autoriscatto dalla guerra fascista e si propone di legittimare con forza la proposta di un nuovo ordine politico.

da “La lunga liberazione” di Mirco Dondi Editori Riuniti

Lire la suite

Il ministro degli Esteri Frattini e la vicenda dei deportati italiani

24 Juin 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #avvenimenti recenti

Preoccupanti ed inaccettabili le dichiarazioni del ministro degli Esteri Frattini sugli Italiani deportati in Germania durante il regime nazista.

 

Riportiamo la ferma presa di posizione del Prof. Valter Merazzi, direttore Istituto di Storia Contemporanea di Como, responsabile del Centro di Ricerca Schiavi di Hitler/Fondo Imi Claudio Sommaruga, delegato del Coordinamento degli enti e associazioni per il risarcimento del lavoro coatto presso l’Oim di Ginevra:

 

 

CENTRO DI RICERCA “SCHIAVI DI HITLER”

FONDO I.M.I. CLAUDIO SOMMARUGA


22012 Cernobbio (CO) - via Regina, 5

Sezione dell'Istituto di Storia Contemporanea "P.A. Perretta"
 

tel: 031/306970 -   e.mail: info@schiavidihitler.it   -   www.schiavidihitler.it

 

                                                                                                                                            

21 giugno 2008. Comunicato del centro di ricerca Schiavi di Hitler sulle dichiarazioni del ministro Frattini alla stampa tedesca.

 

Le dichiarazioni sugli schiavi di Hitler, rilasciate alla stampa tedesca il 20 giugno dal Ministro degli esteri Frattini nel corso della sua visita a Berlino, sono particolarmente gravi e richiedono una presa di posizione immediata.


Di fronte alle sentenze della Cassazione del 2004 e del 29 maggio 2008, risultato dell’ostinata volontà delle vittime di perseguire la certezza del diritto e il riconoscimento della scelta di una Resistenza pagata col lager, le dichiarazioni di Frattini mostrano un’allarmante continuità con la politica di rimozione operata da tutti i governi del dopoguerra.

 

Come avviene da oltre sessant’anni la vicenda è ostaggio della Real Politik, è merce di scambio negli accordi diplomatici fra stati, è condotta a spese dello spirito e della dignità di oltre 800 mila italiani deportati e costretti a lavorare senza contratto, senza salario, senza tutele, a prezzo della salute se non della vita per Aeg, Siemens, Krupp, Daimler Benz, Auto Union, Claas e mille altre imprese impegnate a produrre armamenti ed a sostenere la guerra nazista.

 

Nel corso dell’intervista Frattini sostiene che il governo intende “riunire un gruppo di esperti italo-tedesco” “che dovrà valutare un gesto nei confronti degli ex deportati costretti al lavoro”, aggiungendo: “Queste persone hanno sofferto. Dargli ora 3.000 euro non è quello di cui hanno bisogno”.

Quanto afferma il nostro ministro degli esteri è inaccettabile perché asseconda pienamente la posizione della Germania e delle sue imprese nei confronti degli oltre 130 mila deportati che hanno presentato nel 2001 esplicita domanda di indennizzo alla fondazione “Memoria, responsabilità futuro”, ne banalizza le richieste, e risulta inopportuna nel linguaggio, evocando una logica liquidatoria.

 

Egualmente preoccupante appaiono le affermazioni del ministro relativamente all’ordinanza della Cassazione del 29 maggio definita “pericolosa” per l’immunità degli Stati. La dichiarazione costituisce un inequivocabile appoggio alla posizione tedesca, sia nelle cause giudiziarie sollecitate da ex deportati in varie parti d’Italia, sia in quelle nascoste nell’armadio della vergogna inerenti le stragi naziste, cause che trovano mille impedimenti nel concludere il loro iter giudiziario.

La ridefinizione del diritto internazionale e la sua ulteriore stretta nel senso di un’accresciuta immunità concessa agli stati è questione delicata e riguarda tutti i cittadini. Si tratta di un orizzonte complesso e in divenire, una costruzione imperfetta e sottoposta a spinte opposte che da una parte guardano al diritto umanitario e delle genti e dall’altra all’interesse delle nazioni e dei più forti.

La preoccupazione che un vulnus all’immunità degli stati possa provocare richieste da parte di cittadini libici, etiopici, balcanici verso l’Italia per le nostre responsabilità nelle guerre d’aggressione e di dominio mostra la debolezza del nostro senso storico, la difficoltà del Paese a fare i conti con la sua storia, con quell’immagine degli “italiani brava gente”che le diverse culture del dopoguerra, attraverso la scuola e i mass media hanno assecondato in vario modo.

Tutto questo mostra la fragilità del diritto internazionale e la necessità di promuoverne e difenderne quanto di denunciarne le contraddizioni, operazione che sollecita i cittadini ad un esercizio di democrazia e costituisce una bussola preziosa in questi tempi di tesa e pesante definizione di un’identità nazionale.

 

Le vittime sopravvissute all’abuso e al tempo, i loro familiari, le associazioni, chiunque abbia compreso il senso profondo della storia degli schiavi di Hitler deve prendere atto del paradosso di una situazione che scarica sulla generazione, che ha pagato col lager e con l’isolamento in Patria il suo NO alla guerra totalitaria, i costi e le responsabilità mai risolte del fascismo, delle classi dirigenti, degli apparati militari e burocratici nella storia italiana.

 

Una situazione di questo genere non mina solo la dignità degli individui, offende le vittime e la storia, ne occulta le verità profonde, ma costituisce un insormontabile ostacolo sul terreno di una politica della memoria che voglia essere strumento di crescita civile quanto di monito, che sia in grado di riconoscere l’orrore e la drammaticità di Kahla, del lavoro in miniera e nelle fabbriche d’armi, lo squallore e la violenza del lager.

La frequentazione personale per quasi dieci anni delle vittime ci autorizza, senza tema di smentite, a riportare il desiderio comune di una soluzione che comprenda delle scuse formali, il riconoscimento degli abusi e una quota simbolica di indennizzo economico che alla retorica sostituisca fatti.

Le ditte tedesche dovrebbero essere portate a partecipare al rifinanziamento, come previsto dalla stessa legge tedesca, alla raccolta dei fondi per le oggettive responsabilità e in considerazione dei costi ben maggiori legati all’immagine che questa vicenda proietta sui loro brand.

E’ da ricordare, per chi vorrà fare la ricostruzione della vicenda del risarcimento che solo le cause intentate dagli ebrei americani alla fine degli anni Novanta hanno costretto la repubblica Federale ad una legge per l’indennizzo del lavoro forzato.

Non va anche dimenticato che per escludere gli italiani dall’indennizzo è stata commissionata al professor Tomuschat, consulente di diritto internazionale, una perizia (senza possibilità di contradditorio), che ha indignato gli stessi storici tedeschi.

 

Questa è anche l’occasione per l’Italia di riconoscere le sue responsabilità in questa vicenda. Quelle di carattere di storico connesse agli eventi e quelle successive relative all’isolamento dei reduci, ai ritardi, alle omissioni, alla mancata ricerca storiografica e statistica. Al di là della concessione di medaglie, a seguito di una legge che non ha fornito strumenti adeguati e che dopo un anno è in grado di consegnarne solo 800 – si potrebbe concludere l’iter  di un disegno di legge che la scorsa legislatura ha approvato in un solo ramo del Parlamento e che destina una cifra simbolica agli schiavi di Hitler.

 

La soluzione per gli schiavi di Hitler è a portata di mano.

Richiede gesti di coraggio e volontà di chiudere una vicenda senza abbandonarla alla retorica delle celebrazioni. Crediamo che solo trovando un punto di equilibrio su questa richiesta sia possibile iniziare a lavorare su progetti comuni di carattere istituzionale relativi alla memoria ed alla costruzione di un comune senso europeo. Anche da questo punto di vista la vicenda si offre ad essere strumento per un dibattito importante.

 

Da parte nostra, come per tutto il corso di questi anni, siamo pronti a portare il nostro contributo diretto in tutte le sedi istituzionali a cui saremo chiamati a partecipare ad un confronto rispettoso della storia e degli individui.

 

Prof. Valter Merazzi, direttore Istituto di storia Contemporanea di Como, responsabile centro di ricerca Schiavi di Hitler/Fondo Imi Claudio Sommaruga, delegato del Coordinamento degli enti e associazioni per il risarcimento del lavoro coatto presso l’Oim di Ginevra.


Sono grato al Prof. Valter Merazzi per la sua autorevole presa di posizione sulle preoccupanti ed inaccettabili dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano.

Penso anche di interpretare la volontà di diversi deportati italiani in Germania, civili e militari, che ho personalmente incontrato o che ho “conosciuto” tramite il racconto dei loro familiari.

Auguro al Prof. Valter Merazzi di poter raggiungere, anche per il suo impegno ormai decennale, l’obiettivo che il Centro di Ricerca Schiavi di Hitler, di cui è responsabile, si è prefisso: un giusto riconoscimento a quella generazione che ha pagato col lager e con l’isolamento in Patria il suo NO alla guerra totalitaria nella quale il regime fascista l’aveva trascinata.


Renato Pellizzoni

Figlio di uno “schiavo di Hitler”


Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - Sezione di Lissone

Lire la suite