Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

la persecuzione degli ebrei

I bambini, i ragazzi e i loro "maestri"

13 Janvier 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

6 milioni di ebrei trovarono la morte nei campi di concentramento e di annientamento, tra i quali un milione di bambini. 

 

Ghetto Terezin senza papà e mamma

La condizione dei bambini

A Terezin non solo venivano separati gli uomini dalle donne, ma anche i bambini e le bambine vivevano in case separate. All'interno degli edifici che li ospitavano vivevano in stanze definite Zimmergemeinschaft ("comunità di camera"). Si trattava di gruppi da 15 fino a 40 bambini, affidati ad adulti che spontaneamente si offrivano per questo compito. Nella maggior parte dei casi si trattava di persone fornite di una preparazione pedagogica, di insegnanti rimossi dal loro ruolo a causa delle leggi razziali. In ogni casa, accanto agli educatori, c'era un medico, un'assistente e del personale ausiliario. Vista così, sembrerebbe una situazione felice! Ma insegnare ai bambini era proibito e chi fosse stato scoperto a farlo sarebbe finito nei trasporti verso Auschwitz. Anche la presenza del medico e dell'infermiera era vanificata dalla mancanza di medicine e di strumenti.

L'opera degli insegnanti

Nonostante la situazione, Irma Lauscherova e i suoi colleghi facevano scuola, riscrivendo a memoria anche i libri di testo, perché non esistevano manuali scolastici. Insegnavano le nozioni di base della matematica, della grammatica, studiavano le poesie insieme ai bambini, li avvicinavano alla letteratura, infondevano passione per la musica, per il teatro, per il disegno.... Si sostituivano ai genitori, ai fratelli maggiori, che spesso erano già stati deportati a est. Si preoccupavano che per i bambini ci fosse cibo a sufficienza, che avessero abiti adatti a proteggersi dal freddo. Vivevano ben consapevoli del loro destino e nella paura continua di essere scoperti e mandati ad Auschwitz con il primo trasporto in partenza.

Friedl Dicker- Brandeis

Intanto i bambini scrivevano, disegnavano, dipingevano ciò che vedevano, ciò che accadeva intorno a loro, ma anche ciò che immaginavano, ciò che desideravano, il piatto della magra zuppa quotidiana, l'SS con il frustino, l'ultimo compleanno, l'ultima festicciola, una passeggiata a Praga o la visita al circo, una grossa torta, un pollo arrosto, una sagra paesana... L'ispiratrice della maggior parte dei disegni fu un'artista e pedagogista nota, Friedl Dicker-Brandeis, deportata a Terezin perché non aveva voluto lasciare i bambini rifugiati che già seguiva a Praga. Nel ghetto pagava con la sua razione di pane la carta e i colori per i bambini e li sosteneva liberandoli dalla paura con l'arteterapia.

Ghetto Terezin nessuna farfalla Ghetto Terezin disegno di Margit Ghetto Terezin disegno farfalla e fiori

Valtr Eisinger

Valtr Eisinger era un insegnante di scuola media superiore deportato a Terezin e responsabile di un gruppo di 42 ragazzi di età compresa fra i 10 e i 15 anni. Li appassionò alla letteratura, alla poesia e li sollecitò ad organizzarsi in una sorta di comunità autonoma, nella quale ognuno era responsabile di un compito (le pulizie, i pasti, l'attenzione ai più piccoli, la cura degli anziani...) Dietro il suo impulso i ragazzi composero poesie e crearono un settimanale interamente autogestito, "Vedem", che usciva in unica copia e veniva letto in soffitta ogni venerdì sera. Il suo direttore era Petr Ginz, un quattordicenne appassionato di fantascienza. Nei quasi due anni di vita del giornalino, nel gruppo di redazione passarono circa un centinaio di ragazzi, ma ne sopravvissero solo 15. Eisinger fu mandato ad Auschwitz e poi a Buchenwald e morì nella marcia della morte. Petr Ginz morì nelle camere a gas di Auschwitz.

Musica e teatro

A Terezin erano stati deportati moltissimi artisti e musicisti. Il maestro Rudi Freudenfeld diresse un coro di bambini e lo preparò a cantare la musica di Hanus Kràsa nell'operetta "Brundibàr", che fu allestita con la scenografia di un grande: Frantisek Zelenka. Fu l'unica opera lirica che poté essere rappresentata in forma teatrale, con scene e costumi. Venne replicata 55 volte e il livello dello spettacolo era tanto elevato, che fu inserita nel documentario di propaganda "Hitler dona una città agli Ebrei". In quell'occasione, "Brundibàr" venne rappresentata in un teatro vero e proprio. Finite le riprese, Hans Krasa, quasi tutti i membri dell'orchestra, i collaboratori, i bambini che avevano partecipato vennero deportati ad Auschwitz.



korczak.jpgJanusz Korczak, medico e scrittore, rimase fino all'ultimo accanto ai bambini orfani che gli erano stati affidati.

Quando deportarono i bambini dalla Casa degli Orfani che lui dirigeva, andò con loro e con loro salì sul vagone. Pare che Korczak avesse la possibilità di passare dalla parte ariana di Varsavia e salvarsi. Era stato tenente colonnello dell'esercito polacco e aveva amici tra gli ariani. Forse avrebbe potuto sopravvivere ma scelse di andare coi bambini.

Il 5 agosto 1942 i nazisti circondarono l’orfanotrofio con Korczak e i suoi duecento bambini. Lo storico del Ghetto di Varsavia Emmanuel Ringelblum che fu testimone oculare di quei momenti scrisse a proposito dei bambini che insieme a Korcazk marciarono verso il treno che li avrebbe portati a Treblinka: «... era una marcia organizzata, una muta protesta contro gli assassini... i bambini marciavano in fila per quattro con a capo Korkzak».

L’anziano pedagogista e i suoi bambini trovarono la morte a Treblinka.

Del resto non fu il solo: quando deportarono i bambini del sanatorio di Miedzeszyn quasi tutto il personale (medici, infermieri, insegnanti) seguì i bambini fino alla fine e andò con loro alla morte.

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Claude Lanzmann

13 Janvier 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Nota su Claude Lanzmann e su Shoah

a cura di Frediano Sessi

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Nato a Parigi il 27 novembre del 1925, Claude Lanzmann è stato uno degli organizzatori della resistenza al liceo «Blaise Pascal» di Clermont Ferrand, nel 1943. Ha partecipato alla lotta clandestina in città e poi agli scontri del maquis dell'Auvergne. È medaglia alla resistenza con onorificenza, commendatore della Legion d'onore, commendatore dell'Ordine nazionale del Merito e dottore in filosofia honoris causa all'Università ebraica di Gerusalemme, all'Università di Amsterdam, all' Adelphi University e alla European Graduate School.

Lettore all'università di Berlino negli anni del blocco, nel 1952 incontra il filosofo francese Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, di cui diventa amico. Fino al 1970 svolge l'attività di saggista e giornalista. Negli anni seguenti, si impegna esclusivamente nel cinema: dapprima realizza Pourquoi Israël, con il quale ottiene un successo di pubblico considerevole in tutto il mondo, fin dalla sua prima a New York. In seguito, a partire dall'estate del 1973, comincia a lavorare alla realizzazione di Shoah. «Se fossi stato deportato con tutta la mia famiglia, - scrive, - non sarei mai stato capace di girare questo film, questo è certo. Per assumere infatti la posizione di testimone dei testimoni occorreva essere allo stesso modo dentro e fuori, o meglio, fuori e dentro». La lavorazione del film occupa Lanzmann a tempo pieno per undici an­ni, cinque e mezzo dei quali dedicati al montaggio delle oltre trecentocinquanta ore di ripresa. «Ho cominciato con il leggere. Andavo a tastoni, come un cieco [...]. Non mi sono recato subito sui luoghi. Dapprima ho cercato le persone». Proprio questa ricerca lo obbliga a lunghi viaggi e ad avvicinamenti progressivi, a volte, come fu nel caso dei nazisti, anche pericolosi, per lui e la sua squadra di lavoro. Il suo primo soggiorno in Polonia, sui luoghi del genocidio, risale all'inverno 1977-78. «A quel tempo, - dichiara, - ero una bomba carica di sapere, ma senza detonatore. La Polonia è stata il mio detonatore». La sua emozione più forte, è rappresentata dalla scoperta di un villaggio che aveva nome Treblinka e di una stazione ferroviaria, di binari, vagoni, ecc. Tutto è cominciato da lì, e la prima ripresa ha luogo cinque mesi dopo, nell'estate del 1978. A poco a poco, le foreste, le strade, la terra nuda, i villaggi, il paesaggio e quel che resta dei luoghi dello sterminio oggi disvelano ombre e lacerti del passato. Il film così gravita attorno all'assenza di tracce, all'inaccessibile, al centro dell'occhio del ciclone, come afferma Lanzmann, e riproduce e comunica quello che era sembrato a tutti l'inimmaginabile.

Nel 1985, quando Shoah, della durata di nove ore e mezza, viene presentato al pubblico, subito si parla di un capolavoro assoluto di arte cinematografica e di storia. A New York, nella pausa tra la prima e la seconda parte della sua proiezione, un rabbino chiede di rimanere in sala per recitare il kaddish, la preghiera per i morti. Lanzmann aveva fatto rivivere concretamente il ricordo di tutti quei morti senza tomba. Oggi, Shoah è considerato il più grande film della storia della cinematografia sull'Olocausto e non solo.

«La Shoah non fu solo un massacro di innocenti, ma soprattutto uno sterminio di gente indifesa, ingannata a ogni tappa del processo di distruzione, e fino alle porte delle camere a gas. Bisognava fare giustizia di una doppia leggenda, quella che vuole che gli ebrei si siano lasciati condurre al gas senza presentimenti e sospetti, e che la loro morte sia stata "dolce", e quella secondo la quale non opposero alcuna resistenza ai loro carnefici».

 

 

Bibliografia:

Claude Lanzmann – Shoa – Einaudi Stile libero Dvd 2007

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"Un vivo che passa" di Claude Lanzmann

13 Janvier 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Ho realizzato Un vivo che passa, a partire da un colloquio che Maurice Rossel (a capo di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa (CiCr), ispezionò il ghetto di Terezin

Ghetto Terezin ingresso Ghetto Terezin

nel giugno del 1944, con l'autorizzazione delle autorità tedesche) mi ha concesso nel 1979, proprio mentre stavo girando Shoah. Per ragioni di tempo e montaggio, avevo deciso di rinunciare a una trattazione diretta nel mio film dello straordinario soggetto rappresentato da Theresienstadt, a un tempo centrale e laterale nella genesi e nello sviluppo della distruzione degli ebrei d'Europa. Si sa che Theresienstadt, città fortezza a circa sessanta chilometri da Praga, era stata scelta dai nazista per essere il luogo che lo stesso Adolf Eichmann chiamava «il ghetto modello», un ghetto da mostrare all'opinione pubblica ostile. Evacuati i suoi abitanti cechi, la città fortezza accolse, dal novembre del 1941 all'aprile del 1945, gli ebrei del grande Reich (Austria, Protettorato di Boemia e Moravia, Germania), quelli che venivano chiamati i «Prominenten» [i privilegiati], da tempo integrati nella società tedesca e che non erano riusciti a emigrare o che, troppo vecchi per ricominciare una nuova vita, vi avevano rinunciato, credendosi protetti dal loro ruolo (ex combattenti decorati al valore della Prima guerra mondiale, grandi medici, avvocati, alti funzionari e uomini politici della Germania pre-hitleriana, rappresentanti di organizzazioni ebraiche, artisti, intellettuali ecc.) e che non era per niente facile sottoporre al «trattamento speciale», con cui venivano assassinati gli ebrei polacchi, dei Paesi baltici e dell'Unione Sovietica. A Theresienstadt, nel 1943 e nel 1944, arrivò anche un piccolo gruppo di ebrei della Danimarca, che non erano riusciti a scappare verso la Svezia, dall'Olanda, dal Lussemburgo, dalla Slovacchia, dall'Ungheria, dalla Polonia e anche dalla Francia.

In verità, quel «ghetto modello» era un luogo di transito, prima o ultima tappa, come si vedrà, di un viaggio verso la morte, che ha condotto la maggior parte di coloro che vi soggiornarono nelle camere a gas di Auschwitz, di Sobibor, di Beliec o di Treblinka, a volte, dopo varie peregrinazioni nei ghetti della Polonia, della Bielorussia o del Baltico che non erano affatto come Theresienstadt «ghetti modello». Oggi disponiamo di dati precisi sul numero dei trasporti e sull'identità delle vittime. Le condizioni reali di vita a Theresienstadt erano spaventose: la maggioranza degli ebrei, uomini e donne che vi erano concentrati, erano molto vecchi e in stato di miseria assoluta, promiscuità e malnutrizione in situazione di sovraffollamento nei caseggiati della città fortezza. A Theresienstadt come altrove, i nazisti mentivano e derubavano coloro che, in realtà, si preparavano a uccidere: fu cosi che la Gestapo di Francoforte propose ad alcune donne anziane e credulone del luogo, prima di deportarle nel ghetto di Theresienstadt, di scegliere tra un appartamento esposto al sole o a nord, costringendole a pagare in anticipo l'affitto della casa fantasma.

Gli ebrei non furono i soli a essere ingannati: «ghetto modello» o meglio ghetto «Potëmkin» (la leggenda vuole che il principe Grigorij Aleksandrovic Potëmkin abbia fatto erigere dei villaggi fittizi lungo la strada che doveva percorrere Caterina II imperatrice di Russia, nell'occasione di una visita in Ucraina e in Crimea, territori di recente annessione). Theresienstadt doveva essere messo in mostra e lo fu.

A capo di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa (CiCr), Maurice Rossel ispezionò il ghetto nel giugno del 1944, con l'autorizzazione delle autorità tedesche.

Ringrazio Maurice Rossel di avermi consentito di utilizzare il testo del nostro colloquio che ha avuto luogo nel 1979. «Adesso che sono ottuagenario», mi ha scritto, «non mi ricordo molto bene dell'uomo che ero allora. Mi ritengo più saggio o più folle, e forse è la stessa cosa. Sia compassionevole, non mi renda troppo ridicolo».

Ho cercato di rispettare la sua richiesta.

Claude Lanzmann

 

CLAUDE LANZMANN Dr. Maurice Rossel, ciò che mi interessa essenzialmente è il fatto che lei per me è un personaggio storico: lei ha occupato una posizione assolutamente strategica, in quanto delegato del Comitato internazionale della Croce rossa in Germania, per ...

DR. ROSSEL È esatto. Sì.

C. LANZMANN ... per tutti questi anni. Quando affermo che lei è un personaggio storico, voglio anche dire che non ci sono più persone come lei, che hanno fatto ciò che lei ha fatto, che hanno la sua esperienza e in grado di testimoniare intorno al clima dell'epoca. Per cominciare, vorrei interrogarla proprio su questo. Che cosa voleva dire essere delegato del Comitato internazionale della Croce rossa, in Germania, in piena guerra? In quale anno lei è arrivato a Berlino?

DR. ROSSEL Nel 1942.                                                                                                  

C. LANZMANN 1942 ...

DR. ROSSEL 1942, sì, e prima di tutto, è bene che lo sappia, io non mi sono impegnato nella Croce rossa internazionale per spirito apostolico o per predicare la buona novella; l'ho fatto semplicemente per evitare la chiamata alle armi. Ero ufficiale dell'esercito svizzero e in quegli anni tenevamo sotto controllo le frontiere. Si trattava di un'occupazione orribilmente noiosa e io avrei fatto qualunque cosa, qualunque cosa pur di non rimanere a svolgere quel lavoro idiota e questa è la ragione principale per cui mi sono impegnato nel Comitato internazionale della Croce rossa e per la quale sono stato mandato in Germania, dove molte persone non volevano proprio andare in quei momenti; si accettavano, si assumevano volentieri dei giovani e così io sono partito, senza formazione, senza niente del tutto. A venticinque anni non si è ancora un uomo veramente maturo, io ero ...

C. LANZMANN Lei aveva venticinque anni.

DR. ROSSEL Avevo venticinque anni, si. Ero ancora un sempliciotto, un gran sempliciotto, un gran babbeo che arrivava dal suo villaggio e che aveva compiuto gli studi a Ginevra, che non sapeva niente di niente, a parte un breve apprendistato pratico. Ecco tutto.

C. LANZMANN In quanti svizzeri eravate a Berlino?

DR. ROSSEL A Berlino eravamo il più delle volte in sei o otto.

Sei o otto compreso un capo delegazione, M. Marty, che era un grand'uomo, un uomo assolutamente affascinante, un amico, un amico più vecchio che aveva frequentato il mio stesso collegio. Per questo avevo pensato a lui per tirarmi fuori da quel vespaio militare e lui mi aveva aiutato subito. Avevo telefonato il giovedì, e il lunedì sera ero già a Berlino.

C. LANZMANN Si. Molto veloce.

DR. ROSSEL È così, con il passaporto diplomatico e tutto il resto. Si sapeva che in quei momenti si doveva agire in fretta e tra il giovedì e il lunedì successivo tutto era compiuto.

C. LANZMANN Bene, che cosa è successo poi? Mi racconti del suo arrivo a Berlino, le sue prime impressioni ...

DR. ROSSEL Oh, le prime impressioni ...

C. LANZMANN ... e poi l'incarico.

DR. ROSSEL L'incarico: visitare i campi dei prigionieri di guerra, da tenere distinti da quelli dei deportati civili. Oggi non si tiene più conto della differenza e si crede che i prigionieri di guerra e gli internati civili siano la stessa cosa. È assolutamente falso - non si insiste mai abbastanza - i prigionieri di guerra in mano ai tedeschi erano, in linea generale, trattati correttamente. I prigionieri di guerra - ce n'erano circa sei milioni - sono rimasti internati per quattro anni e mezzo e ne sono tornati il novanta per cento.

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Gli internati civili hanno trascorso in media sei mesi nei campi e sono morti al novanta per cento!.

C LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Se non si ha l'onestà di dare giuste spiegazioni, credo, fin dall'inizio, circa questa enorme differenza, non si capisce più niente, niente. E così si vedono dei reportage sui prigionieri ... Credo tuttavia che a lei interessino soltanto i deportati civili, non è vero ?

C. LANZMANN Sì, ma comunque mi interessa sapere con precisione qual era ...

DR. ROSSEL ... qual era il mio lavoro. Il nostro compito, secondo la convenzione di Ginevra, era quello di visitare i campi per prigionieri di guerra e in questo c'era una contropartita; vale a dire altri delegati visitavano i campi dei prigionieri di guerra alleati, capisce, i campi di internamento per tedeschi. E tutta la nostra forza, una forza non tanto morale e nemmeno basata su accordi firmati prima della guerra, si fondava sul fatto che si arrivava in un campo dove ci sentivamo dire: «Ma il tal prigioniero è evaso, è passato in zone dichiarate segretissime e per questo è condannato a morte». Molto bene, bene, d'accordo: adesso, posso vederlo, posso salutarlo e: «Non preoccuparti, - gli dicevo, - aspetterai la fine della guerra condannato a morte, poiché ho nella mia tasca dodici condannati a morte tedeschi che aspettano la stessa cosa. Se sarai giustiziato adesso, anche gli altri verranno giustiziati». Era l'unico modo di parlare, ed è orribile quando si tratta di vite umane, ma non c'era altro mezzo ... Era un mercato e tuttavia funzionava.

C. LANZMANN La cosa funzionava, aveva successo.

DR. ROSSEL Funzionava, funzionava molto bene.

C. LANZMANN Per lei fu un trauma arrivare a Berlino in piena guerra?

DR. ROSSEL Non è stato un trauma, per niente, poiché ero inserito in ambiente elvetico, e con le persone e i medici che erano sul posto, con i quali eravamo in rapporto di amicizia, ci intendevamo e avevamo anche ... come dire, la stessa mentalità.

C. LANZMANN E lei rimaneva con i suoi, tra svizzeri? ..

DR. ROSSEL ... tra svizzeri.

C. LANZMANN O meglio. Avevate anche delle relazioni con i tedeschi, con la popolazione civile?

DR. ROSSEL Molto poco, e penso che sarebbe stato pericoloso per i tedeschi che fossero venuti a casa nostra. Ricevevamo pochi tedeschi, certo avevamo visite, alcune, ma si trattava in particolare di svizzeri, di qualche svizzero che viveva lì. Ce n'era uno ...

C. LANZMANN Dove vivevate? In un hotel?

DR. ROSSEL No, avevamo a disposizione una casa che ci era stata assegnata dal ministero degli Affari esteri.

C. LANZMANN Bene. E vivevate tutti insieme?

DR. ROSSEL All'inizio nella Balansteter Strasse, poi in seguito siamo stati ausgebomt, bombardati e la casa ci è volata via dalla testa, cosi ci hanno sistemato al Berliner Wansee, in una proprietà da sogno, che era di Brigitte Helm ...

c. LANZMANN Ah, sì.

DR. ROSSEL ... attrice del cinema di quei tempi. Era una proprietà superba e noi allora eravamo ... Era un po' un rifugio, un porto sicuro ...

C. LANZMANN Berliner Wansee, in riva a un lago?

DR. ROSSEL Proprio così. Era un porto sicuro quando si rientrava tra una missione e l'altra, e per lo meno ci si poteva rilassare e si trascorreva un momento assai gradevole tra amici. Poiché si riceveva, come dicevamo, c'era anche Scapini che veniva, si ricorda dell'ambasciatore Scapini?

C. LANZMANN Ah, sì, con il ...

DR. ROSSEL Era un mutilato di guerra, ed era cieco.

C. LANZMANN Proprio così.

DR. ROSSEL Era cieco Scapini, ed era lui che aveva la carica di ambasciatore della Francia di Vichy.

C. LANZMANN Era un uomo di Pétain.

DR. ROSSEL L'uomo di Petain.

C LANZMANN Proprio così.

DR. ROSSEL Ebbene, io l'ho visto più di una volta nella nostra sede, aveva sempre al seguito il suo servitore che lo spingeva in una sedia a rotelle. Era un uomo gradevole e noi avevamo relazioni molto corrette con loro, ma niente di più, lei mi capisce, ciascuno ...

C. LANZMANN Si respirava un clima opprimente a Berlino?

DR. ROSSEL Sì. Berlino era come lei sa ... È una grande città, e in una grande città c'è il popolino e il ceto medio che mantengono uno spirito beffardo e anche uno spirito di indipendenza che nessuno può far tacere. Se per esempio, erano stati vittime di un bombardamento scatenato da più di mille aerei, se c'erano stati più di mille aerei sopra il cielo di Berlino, si aveva diritto a una razione supplementare di caffè. Allora, dopo i bombardamenti, la gente diceva: «Ebbene, questa volta avremo diritto al nostro Zitter Kaffee», il caffè tremarella ... avevano diritto a una razione di caffè e ...

C. LANZMANN D'accordo. Lei parla del senso dello humour berlinese.

DR. ROSSEL ... berlinese sì, che esiste e che si ritrova in tutte le grandi città, come le ripeto.

C. LANZMANN Allora, come è accaduto che lei sia giunto a occuparsi dei «campi per internati civili», perché questa è la dizione, non è così?

DR. ROSSEL Sì. I deportati, gli internati civili costituivano un grande problema, perché nel loro caso non c'era alcuna possibilità legale o di contropartita. Saremmo passati sopra anche all'aspetto legale, ma se ci fossero stati campi simili dall'altra parte! Allora, i tedeschi rispondevano: «Voi non avete diritto a niente, non avete diritti, non c'è una sola convenzione firmata da noi che vi autorizza a entrare nei campi dei civili che sono semplicemente dei nemici della Germania, ma che non sono soldati e che abbiamo internato per tutt' altre ragioni. Non li abbiamo catturati sui campi di battaglia». Era giusto. In questo caso, bisognava essere consapevoli che operavamo nell'illegalità totale.

Il Comitato internazionale della Croce rossa, sollecitato dall'organizzazione ebraica americana di aiuto e mutuo soccorso Joint (American Joint Distribution Committee), o da molti altri organismi, mi ha detto: «È necessario ottenere il più possibile delle informazioni, tentare di andare sul posto a vedere di persona, cercare di arrivare almeno fino alla Kommandantur, per cercare di classificare questi differenti campi, vederli e scoprire dove si trovano. Ma in nessun caso lei sarà coperto dalla protezione del Comitato internazionale della Croce rossa. Non abbiamo alcun diritto di mandarla ufficialmente in quei luoghi; ci vada e se si farà arrestare, se avrà delle noie, saranno fatti suoi».

C. LANZMANN Non era una richiesta molto incoraggiante.

DR. ROSSEL Non si trattava di un incarico pressante. «Faremo l'impossibile, le garantiamo di fare tutto il possibile per tirarla fuori dalla grinfie della Gestapo, ma in ogni caso, lei avrà agito per iniziativa personale».

C. LANZMANN Era molto coraggioso per fare una cosa simile!

DR. ROSSEL Non coraggioso, no. Ero, come dire, un po' incosciente. A quel tempo, avevo al mio seguito un ufficiale tedesco che mi accompagnava ...

C. LANZMANN Che cosa le è stato detto? Cercava informazioni, ma le hanno parlato, per esempio, di sterminio?

DR. ROSSEL No, mai, la parola sterminio non l'ho mai sentita.

C. LANZMANN Non è mai stata pronunciata.

DR. ROSSEL No, non è mai stata pronunciata. «Cerchi di entrare, vada in uno di questi campi per civili, cerchi di vedere tutto ciò che le è possibile, faccia ciò che crede meglio, ma stia attento a non comportarsi troppo in modo illegale». Che cosa potevo fare, allora? Avevamo ancora alcune stecche di «Camel», o meglio ancora, delle calze di nylon, o un piccolo transistor se si trattava di un personaggio importante che si doveva ... perché serviva un documento per avere un lasciapassare o essere accompagnato da uno di questi personaggi, e non era certo grazie al nostro aspetto o a delle chiacchiere che potevamo pretendere di passare uno sbarramento che nessuno mai riusciva a superare. Così, con delle calze di nylon per le loro amanti, si riusciva a fargli chiudere gli occhi, e si arrivava fino a un comandante di un campo... E così che sono riuscito a entrare ad Auschwitz.

C. LANZMANN La cosa è in sé straordinaria. Lei è riuscito a entrare nel campo di Auschwitz.

DR. ROSSEL Sì. Come ricorda, avevo un ufficiale dell'esercito che mi accompagnava, un uomo della Wehrmacht, ma a circa quaranta chilometri dal campo, vale a dire dal campo base, siamo stati fermati da posti di blocco di SS e di SD. L'ufficiale fu pregato di scendere, non aveva nessuna autorità, anche se era un graduato dell'esercito tedesco, un Ritterkreuz, per poter entrare in un territorio assolutamente vietato all'esercito tedesco. Allora, ci siamo detti arrivederci e io gli ho rivolto la parola: «Ebbene, vecchio mio, se entro un certo lasso di tempo non mi rivedrà, sarà così cortese, poiché è suo obbligo, di fare rapporto. Arrivederci, dunque! » Da quel momento ho proseguito il viaggio da solo, ma non mi hanno assegnato delle guardie.

C. LANZMANN Lei aveva un autorizzazione per entrare nel campo di Auschwitz?

DR. ROSSEL No, non avevo alcuna autorizzazione. Nessuna.

N essuna. Si trattava ...

C. LANZMANN Ma al campo, per lo meno, lei era atteso!

DR. ROSSEL Per niente, proprio per niente! Assolutamente no! Non ero in possesso di alcuna autorizzazione, non si rilasciavano lasciapassare scritti, o cose del genere e io ho fatto la parte del sempliciotto, dell'ingenuo e così sono arrivato al posto di blocco del campo di Auschwitz, ho...

C. LANZMANN È così dunque? Ma loro hanno almeno fatto una telefonata?

DR. ROSSEL Niente! Proprio no, non hanno ... per niente.

C. LANZMANN Ma è straordinario!

DR. ROSSEL No, no, non ci sono state telefonate, niente di tutto ciò, perché allora io sarei stato fermato. Sarei stato bloccato in partenza.

C. LANZMANN In tal caso, lei pensa che ...

DR. ROSSEL ... avrei ottenuto un rifiuto.

C. LANZMANN E perché lei è andato fino ad Auschwitz?

DR. ROSSEL Sono andato ad Auschwitz, prima di tutto per vedere almeno una volta quel campo, e poi per incontrare il suo comandante. Da Ginevra e da parte del rappresentante e del capo della delegazione di Berlino, il mio amico Marty, avevo una sorta di asso nella manica che non mi sarebbe servito a niente: avrei proposto alle autorità del campo di inviargli dei medicinali per la loro infermeria. Sapevamo assai bene che si trattava di un incredibile imbroglio e che non avrebbero mai accettato.

C. LANZMANN E lei è andato ad Auschwitz!

DR. ROSSEL Ad Auschwitz. Quando sono arrivato all'ultimo posto di blocco e ho fatto vedere i miei documenti ho detto: «Desidero parlare con il comandante del campo».

C. LANZMANN Aspetti. Lei è arrivato ad Auschwitz in treno?

DR. ROSSEL No, non c'erano treni per me. Ero in automobile.

C. LANZMANN In automobile.

DR. ROSSEL Sì, sì, avevo una piccola vettura. Finalmente sono arrivato e ho superato tutti i controlli.

LANZMANN E che cosa ha detto a tutti i posti di controllo che la fermavano?

DR. ROSSEL «Voglio andare alla Kommandantur. Sono diretto alla Kommandantur, ad Auschwitz».

LANZMANN Facendo vedere i suoi documenti della Croce rossa?

DR. ROSSEL Le mie carte di delegato internazionale della Croce rossa, tutto qui. Lo immagina vero, ero un essere del tutto inoffensivo, e non gli facevo proprio paura! Garantito.

Quanto a me, se la paura si faceva sentire ... si cerca di farsi coraggio, ma poi non è così tanto facile sentirsi a proprio agio. Soprattutto quando uno è assolutamente solo. Cosi sono arrivato alla Kommandantur, dove sono stato ricevuto molto correttamente dal comandante del campo.

C. LANZMANN Ne ricorda il nome?

DR. ROSSEL No, non me ne ricordo più, ma è nelle carte del Comitato internazionale della Croce rossa, e io ero ...

C. LANZMANN Era forse Hoss il comandante del campo?

DR. ROSSEL Era un giovane uomo, molto elegante, con gli occhi azzurri, molto distinto e cordiale: «Vuole accomodarsi. Posso offrirle un caffè?» Ed è proprio quello che abbiamo fatto. «Che cosa l'ha condotta qui?» quasi un sogno. Allora ho detto: «Dunque, io sono venuto per proporvi questo e questo ... » Mi risponde: «Ah, ma lei è di origine svizzera? Guarda che coincidenza! La Svizzera mi piace molto. Ho fatto delle gran discese con il bob in Svizzera, ad Arosa», o in un altro posto che non ricordo ..

C. LANZMANN Saint-Moritz?

DR. ROSSEL Davos, era forse Davos, o Saint-Moritz.

C. LANZMANN Bobsleigh?

DR. ROSSEL Non so. Si era dedicato al «bob». In ogni caso, voleva farmi capire che lui apparteneva a quella fascia di società che può permettersi di divertirsi sulle piste da bob. Io che ero figlio di un operaio, avevo visto le piste da bob, ma non avevo mai posseduto i mezzi per offrirmi una vacanza sui Grigioni per fare del bob. Allora abbiamo parlato di tante cose, del più e del meno e io gli ho detto: «Bene. Ecco la situazione. Il Comitato internazionale della Croce rossa desidererebbe avere delle informazioni. Possiamo inviarvi qualcosa di utile?»

E lui, in risposta: «Non vedo perché no. Non direi ... » Come può immaginare, tutto questo non ha condotto a niente.

C. LANZMANN E lei gli ha fatto delle domande precise?

DR. ROSSEL lo gli ho fatto delle domande. La cosa è accaduta in modo molto evasivo, ovviamente, ma ...

C. LANZMANN Che cosa gli ha chiesto?

DR. ROSSEL Gli ho domandato se noi potevamo occuparci dell'infermeria, se potevamo visitarla ... Ha risposto: «No, ci sono internati civili e non ha nessun diritto di vedere e controllare niente. Ma se vuole inviare degli aiuti per l'infermeria, o dei medicinali, può farlo». Allora, gli ho detto: «Posso forse inviarle, farle spedire dei pacchi di generi alimentari?» «Perché no. Può farli inviare».

Quei pacchi, alcuni pacchi, sono stati spediti e sono stati ricevuti. È inverosimile, ma sono stati ricevuti, e abbiamo persino le quietanze di quei pochi pacchi. Comunque, i risultati sono stati in ogni senso irrilevanti, bisogna pur riconoscerlo.

C. LANZMANN Si fermi un attimo, perché ciò che sta dicendo mi interessa molto. Il vostro colloquio, quanto tempo è durato?

DR. ROSSEL Mezz'ora, tre quarti d'ora.

C. LANZMANN E che cosa ha visto del campo?

DR. ROSSEL Niente. Ho visto delle baracche. Dal posto in cui ero ho visto ...

C. LANZMANN Baracche di ...

DR. ROSSEL Baracche militari ...

C. LANZMANN Di legno?

DR. ROSSEL ... delle baracche di legno. Potevano essere le baracche del corpo di guardia? In ogni caso, non ho visto forni crematori in attività, dal luogo in cui mi trovavo seduto.

C. LANZMANN Ad Auschwitz, campo base, le baracche non sono di legno ... sono blocchi in mattoni rossi.

DR. ROSSEL Sì, in mattoni, ma erano baracche uguali a tutti gli alloggiamenti militari. Ho visto colonne di detenuti che ho incrociato. Ne ho incrociati diversi, diverse colonne di detenuti.

C. LANZMANN Che vestivano la divisa a righe?

DR. ROSSEL Si, la divisa a righe e un piccolo berretto in testa. Quella gente, magra, come non devo certo spiegarle, vero? E che vedevano passare un'auto con una bandierina «Comitato internazionale della Croce rossa», e occhi che ... come? È vero.. .. stupiti.

C. LANZMANN Ha visto la famosa scritta sul cancello del campo «Arbeit macht frei», il lavoro rende liberi?

DR. ROSSEL No, non l'ho vista. Non l'ho proprio vista.

C. LANZMANN Allora non è entrato dal cancello principale?

DR. ROSSEL No, non sono entrato da lì. Non sono entrato dalla stazione, e non sono entrato ... Non ho visto la scritta, la parte che ho visto ...

C. LANZMANN Ed è certo di essere stato ricevuto dal comandante del campo?

DR. ROSSEL Questo sì, sì. .. sì, sono certo! Perché quel tipo mi ha dato ... ma sì, sì. Come può immaginare, c'era poca gente. E c'erano assai poche visite!

C LANZMANN Certo, certo, voglio dire che lo capisco assai bene. Ma quando lei dice: «Un giovane uomo», la cosa mi stupisce, perché ...

DR. ROSSEL Il fatto è ...

C. LANZMANN Ci sono più comandanti del campo, e all'epoca ...

DR. ROSSEL Si, certo, era ...

C. LANZMANN D'altronde, in quel periodo non era ...

DR. ROSSEL Doveva avere all'incirca cinquantacinque anni, non di più!

C. LANZMANN Ah, bene, sì, allora d'accordo.

DR. ROSSEL Una volta ho visto un uomo che aveva la stessa andatura, lo stesso stile, in Congo, era il comandante dei mercenari, Schramm ...

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL ... che si faceva passare per colonnello. Quando ero con Schramm, avevo l'impressione di essere proprio con il comandante del campo.

C. LANZMANN All'epoca della sua visita, non penso ... non c'era più Höss, e d'altronde Höss era partito proprio in quei giorni. Quanto tempo è rimasto ad Auschwitz? Intendo non al campo, ma nella cittadina di Auschwitz, perché come lei sa c'è una città che si chiamava Auschwitz.

DR. ROSSEL Non ho visto la città.

C. LANZMANN Dunque non ha visto la città vicina? DR. ROSSEL No, non l'ho vista. lo non ho ...

C. LANZMANN Lei non ha cercato alloggio da quelle parti?

DR. ROSSEL Oh no, no. Non avevo possibilità di dormire in quel luogo, poiché si trattava di una zona interdetta per me, totalmente interdetta. Allora, ho fatto ...

C. LANZMANN E lei non ha sospettato niente di Birkenau? Per esempio, allora ...

DR. ROSSEL No, di Birkenau non ho ...

C. LANZMANN ... il campo di sterminio che si trova a circa tre chilometri dal campo base.

DR. ROSSEL No. Esatto. Niente. Ma sapevamo già in quel periodo, e tuttavia io ne sapevo qualcosa da Ginevra, ma niente sul posto.

C. LANZMANN Ma che cosa sapeva esattamente in quel periodo?

DR. ROSSEL Sapevo che c'era un campo di concentramento dove venivano deportati in massa gli israeliti e anche che questi israeliti vi trovavano la morte.

C. LANZMANN Lo sapeva quando si trovava ad Auschwitz?

DR. ROSSEL Sì, lo sapevo.

C. LANZMANN Quando è arrivato lo sapeva?

DR. ROSSEL Certo. Sapevo che quella gente era deportata in massa.

C. LANZMANN E che morivano.

DR. ROSSEL E che vi arrivavano con i treni. E che erano condannati.

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Questo è certo.

C. LANZMANN Non ha visto per caso dei treni?

DR. ROSSEL Non ho visto dei treni, dottor Lanzmann, no.

LANZMANN Ed era fuori questione parlare di questo con il comandante?

DR. ROSSEL Era del tutto fuori questione, assolutamente ... Lei sa bene com' era quella gente... È inverosimile, ma parlavamo proprio come lo stiamo facendo noi ora. Quella gente era fiera del proprio lavoro.

C. LANZMANN Come, questa fierezza si ...

DR. ROSSEL Capisco ...

C. LANZMANN ... si manifestava in pratica?

DR. ROSSEL Oh, niente. Avevano l'impressione di compiere qualcosa di utile. Era questa l'impressione che davano, poiché se si parlava loro dei campi, dei prigionieri, dei detenuti e di simili cose, dicevano: «Sì, ma in realtà, qui, la Germania adesso svolge un lavoro ... »

C. LANZMANN E lei. ..

DR. ROSSEL « ... un lavoro inverosimile, straordinario, per il quale tutta l'Europa ci sarà riconoscente».

C. LANZMANN Sì. Sì tratta comunque di una cosa stupefacente, parlare in una sorta di colloquio intimo con quella gente e certo erano dei maestri nell'arte di mentire, quanto meno, dei ...

DR. ROSSEL Sicuramente ...

C. LANZMANN Lei gli dava ascolto e credito, o ...

DR. ROSSEL Oh, caro dottor Lanzmann, dare ascolto o credito ... Che cosa vuole mai. .. No! Era una commedia che si metteva in scena. Ecco tutto. Tutto qua.

C. LANZMANN E quando è rientrato da questa sua visita ad Auschwitz?

DR. ROSSEL Ho fatto il mio rapporto per la visita alla Kommandantur di Auschwitz. Ma se sapesse ... In breve, è terribilmente povero, non è così? Si giunge in quel posto che si ha letteralmente il gelo nelle ossa e ci si dice: «Ebbene, devo assolutamente arrivare fino ad Auschwitz», e si ritorna e non si riporta niente. Per questo, bisogna essere perfettamente lucidi.

C. LANZMANN Sì, non si riporta niente e poi ci si trova sul posto e non si vede proprio niente.

DR. ROSSEL Sì, non si vede niente ed è proprio questo che voglio dire, e non si riporta niente. Nessuna informazione di una certa validità ...

C. LANZMANN Lei non ha sentito ... io sono stato ad Auschwitz, ma molto tempo dopo, voglio dire, anche quando ci si va oggi, non so bene come sia, ma si è colti da una sorta di senti­mento d'orrore, e poi si...

DR. ROSSEL Sì, il sentimento di orrore ...

C. LANZMANN ... e poi si ha paura.

DR. ROSSEL Lei ne avrebbe provata ancor più se entrando nel campo avesse incontrato le colonne dei prigionieri, a gruppi di trenta o quaranta, magri, scheletrici.

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Sì. Allora quando incrociava quegli esseri, non so esattamente, se quattrocento, cinquecento, sul suo cammino ...

C. LANZMANN Vedendo questa gente, ne ha ricevuto l'impressione che si trattava di persone che soffrivano molto e che, per farla breve, erano dei moribondi, o dei condannati a morte a ...

DR. ROSSEL Era ... Era il... era questo. Erano insomma degli scheletri ambulanti, perché non venivano nutriti ...

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Non è cosi? Avevano soltanto gli occhi che vivevano.

C. LANZMANN Avevano soltanto gli occhi che erano vivi, sì.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Allora si trattava di quelli che vengono chiamati «musulmani», e che invero, hanno uno sguardo molto, molto intenso.

DR. ROSSEL Si, molto intenso, molto intenso. Quella gente mi osservava con una incredibile intensità, al punto di voler dire quasi: «Ebbene, ecco un tipo che arriva qua e come? Un vivo che passa» proprio così, e che non era un SS.

C. LANZMANN Si, è così. Lei era in abiti civili?

DR. ROSSEL Sempre, con abiti civili.

C. LANZMANN Non aveva proprio per niente una uniforme?

DR. ROSSEL Ah, no. No. No, sarebbe stata la catastrofe, non crede?

LANZMANN Certo. Lei ha parlato di queste squadre di internati ...

DR. ROSSEL Certo.

C. LANZMANN .,. nel suo rapporto.

DR. ROSSEL Sì, ma la cosa non ci diceva niente di nuovo.

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Niente di nuovo. Queste cose erano risapute davvero. Pensi, non si dirà mai abbastanza come ciò fosse troppo poco, troppo poco e triste.

C. LANZMANN Ma lei dice che queste cose erano risapute, eppure ha detto anche che non se ne sapeva proprio niente.

DR. ROSSEL Noi, no. Voglio dire, io ... erano conosciute da Ginevra. Io le ho sapute dopo. Le ho sapute dopo. Sono venuto a sapere, per esempio, che la Joint conosceva bene tutte queste cose. Me ne stupisco a posteriori, che questa gente, per esempio, non sia mai entrata in contatto con la Delegazione di Berlino, dicendo: «Noi abbiamo queste informazioni, delle notizie precise, noi sappiamo questo e quest'altro. Che cosa ne sapete voi? Avete delle informazioni in proposito?» Ecco.

C. LANZMANN Ma questo significa che, quando lei era nell'ufficio del comandante, o di colui che si è presentato come il comandante del campo di Auschwitz ...

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN ... lei in quel momento, voglio dire, la mia è una richiesta precisa, perché è molto importante: lei sapeva che si trovava proprio nel cuore di un campo di sterminio?

DR. ROSSEL Non ne avevo realizzato l'importanza. Proprio per niente. Sapevo che si trattava di un campo terribile, e che coloro che partivano per Auschwitz non ne facevano ritorno. Ma noi non avevamo la minima idea della massa di gente che ne era coinvolta. Sapevamo che si trattava di un campo terribile, ecco tutto.

C. LANZMANN E si vedevano dei bagliori, delle fiamme? Perché tutti coloro che sono stati ad Auschwitz ...

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN I polacchi che abitavano in città e nella zona, ancora oggi raccontano ...

DR. ROSSEL ... che vedevano dei bagliori e delle fiamme.

C. LANZMANN Proprio così, che si vedevano fiamme e bagliori.

DR. ROSSEL lo non ho visto né fiamme né fumo.

C. LANZMANN Niente?

DR. ROSSEL Niente.

C. LANZMANN E nemmeno odore?

DR. ROSSEL Nemmeno odore. Puzzano sempre tremendamente le baracche militari e simili luoghi. Ma quando mi si parla di puzzo di carne bruciata o di simili cose, perché altri l'hanno sentito o hanno visto, io non ho visto e sentito niente.

C. LANZMANN Poteva forse dipendere dal vento.

DR. ROSSEL È possibile.

 

Bibliografia:

Claude Lanzmann – Shoa – Einaudi Stile libero Dvd 2007

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Terezin, in tedesco Theresienstadt

13 Janvier 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Il testo di questa conversazione riproduce i dialoghi del film di Claude Lanzmann Un vivant qui passe. La sua importanza è legata al contenuto: la strabiliante scoperta che un delegato della Croce rossa internazionale visitò il campo di Auschwitz e il ghetto di Terezin (Terezin, in tedesco Theresienstadt), mentre era in corso lo sterminio degli ebrei, e non si accorse, o non volle accorgersi di niente.

 

... dei dettagli delle cose che i nazisti hanno attuato in occasione della visita ... di tutte le misure che sono state prese. ... Per esempio, avevano fatto ripulire tutte le strade e le avevano fatte asfaltare. Questo è stato un primo provvedimento. Sulla grande piazza di Theresienstadt, proprio di fronte al Kaffehaus, avevano fatto erigere, qualche giorno prima del vostro arrivo, un padiglione per la musica, con un orchestra che suonava ... Inoltre, hanno sistemato delle panchine nella piazza e nel cosiddetto giardino pubblico, ecc. ... uno spazio per i bambini, per i neonati e per i più piccoli, di una sorta di Kinder Pavillon, decorato con immagini di animali, e con una cucina, delle docce e dei lettini. Questo è stato fatto ... tutto ciò non esisteva prima ...E non esisterà dopo ...

 

 

C. LANZMANN Adesso, Dr. Rossel, parliamo di Theresienstadt.

DR. ROSSEL Theresienstadt. È un grande problema. Un problema molto grande! La visita a Theresienstadt fu organizzata dai tedeschi sotto la pressione e la richiesta reiterata, in particolare del Comitato internazionale della Croce rossa, ma anche di altri Paesi neutrali. lo ho fatto parte di questa visita organizzata ...

C. LANZMANN Era lei dunque che rappresentava il Comitato internazionale della Croce rossa?

DR. ROSSEL Sì, ma solo durante la visita a Theresienstadt.

C. LANZMANN Soltanto per questa visita.

DR. ROSSEL La prima.

C. LANZMANN La prima.

DR. ROSSEL Perché ci sono state tre visite se non ricordo male.

C. LANZMANN Due.

DR. ROSSEL O due. Ce n'è stata una dopo. In questa, ero stato incaricato di andare a vedere ciò che mi mostravano. Ho fatto un rapporto allora che non rinnego e che confermo nella sua sostanziale validità. Se ero l'incaricato, dunque, ero gli occhi che potevano vedere e dovevo, ripeto, dovevo fare il possibile per vedere anche oltre, se ci fossero state delle cose da vedere oltre. È stato detto che Theresienstadt era una sorta di campo Potëmkin, vale a dire quel villaggio finto preparato apposta per la visita della zarina. Forse era ancor più grave di così, perché la nostra visita era stata con tutta evidenza preparata a ragion veduta.

C. LANZMANN Era il 23 giugno del 1944.

DR. ROSSEL 1944. Grazie per avermelo ricordato. Sarei stato incapace di essere così preciso con la data. Si trattava di una visita ben preparata come una commedia ... Lei mi chiede: «Qual era la sua impressione, qual era il clima a Berlino, qual era l'atmosfera nel momento in cui era ad Auschwitz?» Ebbene, per essere espliciti, a Theresienstadt l'impressione era di un clima del tutto falsificato. Innanzitutto perché la visita fu richiesta dai nazisti e poi perché era attesa; come sempre, in piena guerra, quando si aspetta un'ispezione, tutto viene messo in ordine. Quanto a me, ciò che mi diede subito fastidio fu anche l'atteggiamento degli attori israeliti. Si trattava di un villaggio Potëmkin, un villaggio truccato, e se adesso io posso essere franco ...

C. LANZMANN Deve esserlo.

DR. ROSSEL A questa età se non si dice quel che si pensa veramente!

C. LANZMANN Assolutamente.

DR. ROSSEL Era un campo riservato ai privilegiati. È orribile a dirsi, perché mio Dio, e poi non voglio accusare nessuno, non voglio ferire della gente che ha sofferto terribilmente. Ma sfortunatamente, c'erano dei Prominenten, dei privilegiati appunto e il campo dava l'impressione che avessero rinchiuso là dentro degli israeliti molto ricchi, o importanti nella loro città, che non si poteva certo fare scomparire troppo d'improvviso. Là dentro c'era una quantità di notabili che era in ogni senso anormale, se paragonata con la situazione degli altri campi, persino per prigionieri, non è così? Non so bene quanti medici ci fossero, e quanti notabili d'ogni dove e l'atteggiamento di tutta questa gente era assai curioso. Poiché un uomo che di mestiere visita continuamente e per mesi i campi per prigionieri, ha l'abitudine di notare un tipo che gli fa l'occhiolino e che attira la sua attenzione su qualcosa di particolare. Era un atteggiamento corrente. Ebbene, a Theresienstadt, niente, niente. Una docilità e una passività che per me erano ... che davano luogo al peggior malessere.

Era una visita prevista dalle SS sulla quale si poteva riferire: «Ho visto questo e quello, ho fotografato la tal cosa, ecc.» Io ho fotografato tutto quello che ho voluto, del resto ho scattato molte e molte e ancora molte fotografie. Si dice che una fotografia, a volte, parla assai più che non mille parole, non è forse vero? Ebbene ho fotografato molto, ma il clima era falsato da questa impressione di quegli israeliti che si consideravano, essi stessi, mi capisca bene, dei Prominenten, è questo il termine che si preferiva a quel tempo, vale a dire come dei privilegiati, e che non avevano per niente voglia di rischiare di venire deportati, perché altrimenti si sarebbero concessi un'allusione, o un segno, o se si vuole il passaggio di un foglio o di un rapporto; cosa che gli sarebbe stata assai facile, dottor Lanzmann, facile, facile, poiché non eravamo spiati e filmati e non c'erano i mezzi che ci sono oggi per sottoporre qualcuno a controllo. A Theresienstadt, quando passavamo da quei piccoli corridoi, o attraverso la città stessa, o da una stanza, se qualcuno, lei mi capisce, avesse voluto metterci in tasca, a me o agli altri due delegati, qualcosa, la cosa sarebbe stata estremamente facile.

C. LANZMANN Capisco bene quel che vuole dirmi. Ed è un punto molto importante. Quanto tempo è durata la sua visita nel ghetto di Theresienstadt?

DR. ROSSEL La mia visita, penso, direi che è durata due o tre ore.

C. LANZMANN Non di più?

DR. ROSSEL Non di più.

C. LANZMANN A me sembra che sia durata di più. Nel rapporto lei afferma che è stata più lunga.

DR. ROSSEL Lo vedo, dottor Lanzmann, sa ... sono passati ... Lei dice che era il 194··· 3 ?

C. LANZMANN 44.

DR. ROSSEL 44. Ne è passata acqua sotto i ponti. Non voglio dire di avere ragione ... non voglio proprio ... ma in questo momento ho l'impressione precisa che la mia visita sia durata due o tre ore al massimo.

C. LANZMANN Lei è arrivato verso le dieci del mattino.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Poi ha pranzato ed è ripartito verso le sei del tardo pomeriggio.

DR. ROSSEL Ma certo, allora c'è stata una parte della visita fuori della città fortezza. Sicuro. Ci hanno spiegato infatti che c'era anche una Kleine Festung, è vero.

C. LANZMANN La piccola fortezza.

DR. ROSSEL Non avevamo ... non avevamo alcun diritto di entrarvi. Ci è stato detto: «In ogni modo, voi potete passarci davanti, ma là sono rinchiusi dei prigionieri di "diritto comune". I "diritto comune" sono dei detenuti, dei nostri detenuti e la cosa non vi riguarda. Avete il diritto di visitare la città». Come lei sa, la città stile Vauban è ben protetta e cintata da ... Come Langres un po', se si vuole, non è forse così?

C. LANZMANN Sì, sì.

DR. ROSSEL Costruita del resto in uno stile architettonico simile.

C. LANZMANN Sì, una fortezza.

DR. ROSSEL Una fortezza chiusa, di quelle fortezze che non sono mai state attaccate e che per questo sono rimaste intatte.

C. LANZMANN Ha fatto la visita in compagnia di. ..

DR. ROSSEL Ho compiuto la visita in compagnia di alcuni impiegati del Consolato che dovevano essere dei danesi o degli olandesi, non mi ricordo con esattezza.

C. LANZMANN Dei danesi.

DR. ROSSEL Danesi. E poi con i tedeschi, le SS e i responsabili nazisti che hanno organizzato la visita. Non ricordo i loro nomi, e non posso proprio fare niente al proposito per dirglieli.

C. LANZMANN Non glieli ha chiesti i nomi?

DR. ROSSEL Oh no, li ho visti appena.

C. LANZMANN E ha visto tanti ebrei?

DR. ROSSEL Molti. Erano tutti israeliti. Per quel che mi riguarda non ho visto altre persone là dentro. Inoltre avevano tutti la stella gialla. Dunque ho visto soltanto israeliti.

C. LANZMANN Uno di loro le ha rivolto la parola?

DR. ROSSEL Ah sì. Il dottor so and so, che si è annunciato ...

C. LANZMANN Epstein.

DR. ROSSEL Epstein in qualità di capo del ghetto. Ed era lui che ci guidava nella visita. Ma proprio lui, in nessun istante ... E allucinante, non è vero che nessuno ti dica: «Ma insomma, questa è tutta una farsa». E veramente, lo era fino a quel punto!

C. LANZMANN Perché lei oggi dice che era tutto una farsa? A quell' epoca, lo sapeva che si trattava solo di una farsa?

DR. ROSSEL No. Ma si sapeva bene che se si veniva invitati a visitare un campo, si trattava di un campo eccezionale.

C. LANZMANN Lei ha assolutamente ragione quando dice che si è trattato di una farsa, ma di una farsa preparata in modo straordinariamente eccellente. I nazisti preparavano la vostra visita da mesi, e si trattava di quella che loro chiamavano la Verschonerungsaktion, che significa: azione di abbellimento. Voi, avete realmente fatto visita a un ghetto Potëmkin. A quell'epoca ne aveva avuto sentore?

DR. ROSSEL No, no. Ho creduto e poi lo credo ancora che mi abbiano fatto visitare un campo per notabili ebrei privilegiati. Era l'impressione che avevo e che ne ho tratto. Non l'ho mai scritto nero su bianco. Del resto, il comportamento della gente era tale, che la cosa era molto antipatica in sé. L'atteggiamento degli israeliti in quella città ... Io stesso avevo l'impressione che ci fossero degli israeliti, e lo penso tutt' ora, che a colpi di dollari e a forza di versare dollari al Portogallo riuscivano a sistemare la loro situazione e si permettevano così di durare. E lei lo sa meglio di me che taluni israeliti molto ricchi hanno persino ottenuto dei permessi di espatrio, firmati da Himmler. Non se ne parlava, tuttavia, con quella gente in quel campo, mio Dio, ma ... ma, intendo dire, se ne parlava tra di noi, e sapevamo bene che se si era abbastanza ricchi da possedere, per esempio, un quarto di Budapest e compagnia, e poi se si era il signor Tale e Tal altro che oggi ... parlo delle dinastie ...

C. LANZMANN È successo in Ungheria con la famiglia Weiss.

DR. ROSSEL La famiglia Weiss. Allora, quella gente, a dire il vero, possedeva abbastanza denaro per rendersi liberi e ottenere permessi di espatrio. Ebbene, in quel caso, avevo l'impressione di essere di fronte a gente che non aveva la levatura internazionale dei Weiss o di un Rothschild, per potere uscire dalle grinfie naziste, ma che erano abbastanza potenti e che dovevano avere versato una buona quantità di denaro per essere in quel posto. È l'impressione che ho al fondo del mio cuore e che ho portato con me dopo la mia visita a Theresienstadt. E io me lo chiedo ancora oggi - ci credo ancora - malgrado tutto quello che mi hanno detto.

C. LANZMANN Che cosa le hanno detto?

DR. ROSSEL Ebbene, che dopo la mia visita questa gente è stata sterminata, immediatamente. Credo ancora che fossero notabili israeliti abbastanza ricchi per pagare la loro sopravvivenza, essendo là.

LANZMANN Vennero sterminati dopo la sua visita e furono sterminati prima.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Allo stesso modo.

DR. ROSSEL So bene che molti di loro sono stati sterminati dopo.

C. LANZMANN Dopo la visita.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Bene, d'altronde era l'idea di Himmler fin dall'inizio. Creando Theresienstadt, aveva voluto dar vita a un ghetto. All'inizio per gli ebrei del Reich, del grande Reich, vale a dire Germania, Austria e Cecoslovacchia, per quegli ebrei che era assai più difficile sottoporre a trattamento, perché ...

DR. ROSSEL È proprio così.

C. LANZMANN ... perché erano ex combattenti della Prima guerra mondiale ed erano delle persone anziane.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Donne anziane e uomini in età avanzata. Ed è vero che tra loro c'erano anche quelli che lei chiama i Prominenten, vale a dire della gente che aveva lavorato negli organismi della comunità ebraica e, anche ... che sono stati deportati a Theresienstadt con altri. Ma proprio Himmler aveva l'intenzione precisa di camuffare l'impresa generale di sterminio, e Theresienstadt era qualcosa che si poteva e che si voleva mostrare.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Bene. Ma la verità è che prima della visita della Croce rossa, circa centomila ebrei che erano passati da Theresienstadt sono stati deportati ad Auschwitz e a Treblinka, dove sono morti, e dopo la visita è accaduta la stessa cosa. E il ghetto di Theresienstadt viveva nel terrore più assoluto. Allora, in effetti, quello che lei ha visto, capisco assai bene le sue sensazioni, ma lei ha visto il terrore di quegli ebrei. E colui che vi ha ricevuti, il famoso sindaco di Theresienstadt, o il presidente ... del ghetto, il dottor Epstein, e di cui lei ha detto che parlava proprio come un automa, non è così?

DR. ROSSEL Si, è proprio così.

C. LANZMANN Ebbene, è stato assassinato tre mesi dopo la vostra visita.

DR. ROSSEL È pur sempre, pur sempre ...

C. LANZMANN Nella Kleine Festung, la piccola fortezza.

DR. ROSSEL Alla piccola fortezza. Lei sa bene qual è la caratteristica dei tedeschi e, io penso, di ogni regime che organizza campi di sterminio; è quella di utilizzare una parte delle vittime in compiti amministrativi e organizzativi. Al termine di un certo periodo di tempo, poiché essi sono perfettamente al corrente di quanto è accaduto proprio a coloro che loro stessi hanno fatto partire per il massacro, sanno bene che non sopravviveranno. Si tratta di un sadismo straordinario, perché i tedeschi non avrebbero mai avuto bisogno, loro che sono macchine e perfetti organizzatori, dell' aiuto delle loro vittime, ma hanno trovato in quei politici o in quegli israeliti sempre un gruppo di persone che credevano di poter sopravvivere o di durare alcuni mesi di più, collaborando!

C. LANZMANN Quello che lei dice adesso rappresenta un grosso problema, in verità.

DR. ROSSEL Ma sta proprio qui l'orrore. Dottor Lanzmann è qui che si trova l'orrore, perché è là dove l'uomo discende sempre più in basso ... non è forse così?

C. LANZMANN Ripeto che la questione costituisce un grosso problema ... un vero problema ... e una cosa simile è accaduta in tutti i ghetti dell'Est ...

DR. ROSSEL Sì, si pone questo problema in tutti i ghetti.

C. LANZMANN È la questione degli Judenräte, dei consigli ebraici dei ghetti. Ma nel suo rapporto lei dipinge un quadro abbastanza soddisfacente di. ..

DR. ROSSEL Abbastanza soddisfacente ...

C. LANZMANN ... di Theresienstadt.

DR. ROSSEL ... delle condizioni di igiene e di tutto ciò che ho visto. Se lei è ... dottor Lanzmann, se la mandano in un posto per osservare e vedere.

C. LANZMANN Ma lei ha anche detto per osservare e per vedere al di là ...

DR. ROSSEL Al di là, certo, al di là.

C. LANZMANN ... al di là di ciò che a un primo sguardo si vede.

DR. ROSSEL Ebbene, ciò che io ho visto proprio al di là, è questo asservimento, questa passività, qualcosa insomma che non avevo digerito.

C. LANZMANN Sono in possesso dei dettagli delle cose che i nazisti hanno attuato in occasione della visita ... di tutte le misure che sono state prese.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Ed è straordinario perché si trova con esattezza la stessa cosa nel suo rapporto. Lei afferma che ha potuto scattare tutte le fotografie che voleva. Ed è proprio questo che loro volevano, che lei scattasse delle fotografie.

DR. ROSSEL Certo.

C. LANZMANN Lo desideravano ... Per esempio, avevano fatto ripulire tutte le strade e le avevano fatte asfaltare. Questo è stato un primo provvedimento. Sulla grande piazza di Theresienstadt, proprio di fronte al Kaffehaus, avevano fatto erigere, qualche giorno prima del vostro arrivo, un padiglione per la musica, con un orchestra che suonava, ed è proprio quell'orchestra che lei e la delegazione avete visto e di cui parla nel suo rapporto.

DR. ROSSEL Pensi che non me ne ricordo più.

C. LANZMANN Eppure è così

DR. ROSSEL Ah, le credo, le credo.

C. LANZMANN Ma tutto ciò non esisteva prima.

DR. ROSSEL Ne sono convinto.

C. LANZMANN E non esisterà dopo. Le dico questo, per mostrarle l'immensità dell'inganno e come era stato preparato. Inoltre, hanno sistemato delle panchine nella piazza e nel cosiddetto giardino pubblico, ecc. Lei parla nel suo rapporto con grande meraviglia di uno spazio per i bambini, per i neonati e per i più piccoli, di una sorta di Kinder Pavillon, decorato con immagini di animali, e con una cucina, delle docce e dei lettini. Questo è stato fatto ...

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN ... qualche giorno prima del suo arrivo, e poi è scomparso subito dopo, e per un motivo molto semplice: le nascite erano praticamente vietate ...

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN ... a Theresienstadt. Con l'aborto obbligatorio.

DR. ROSSEL Ecco!

C. LANZMANN Era contraddittorio rispetto alla politica di sterminio permettere ...

DR. ROSSEL Certo.

C. LANZMANN ... delle nascite. Allo stesso modo avevano messo dei pannelli colorati con dei cartelli indicatori: zur Bank, zur Post, zur Kaffehaus (in direzione della posta, della banca, del caffè), come facevano del resto nei campi di sterminio. A Treblinka era la stessa cosa: c'era una stazione, con un orologio, ben decorato, ma che segnava sempre la stessa ora. Bene. E le case che le hanno fatto vedere erano state ristrutturate completamente. Lei scrive anche di avere assistito a un pasto, dove c'era una cameriera che aveva una cuffietta inamidata. Tutto questo era stato predisposto esclusivamente per lei e per i delegati ...

Lei scrive: «Lo stato dell'abbigliamento, in linea generale è soddisfacente. Le persone che incontriamo per strada sono vestite bene, con le differenze che si incontrano normalmente in una piccola città, tra gente più o meno ricca. Le signore eleganti hanno tutte calze di seta, cappelli e foulard, borsette moderne. Anche i giovani sono vestiti bene. Si incontrano anche dei ragazzi con capelli lunghi e barba». Li avevano preparati apposta per lei. Nel suo rapporto, parla anche, ed è una delle rare eccezioni di cose negative che racconta, di sovrappopolazione. Ma la sovrappopolazione era tale che, per preparare la visita, i nazisti hanno deportato circa cinquemila persone ad Auschwitz, dove questa gente è stata gassata subito, perché così il luogo era meno popolato e lei avesse una migliore impressione. Lei parla della banca. Bene. Tutto ciò era stato preparato solo per la visita. Hanno anche ribattezzato le vie. Lei parla di libertà di culto e ha fatto visita a una sinagoga. Non c'era una sinagoga a Theresienstadt. Era una sorta di palestra che hanno trasformato, otto giorni prima, in sinagoga. Hanno cambiato tutto. Hanno persino cambiato i nomi. Hanno sostituito il termine ghetto con l'espressione Judisches Siedlungsgebiet, vale a dire area di popolamento ebraico. Il Judenälteste, l'anziano, il presidente del Consiglio ebraico, che era Epstein, aveva assunto un nuovo titolo e i nazisti lo chiamavano il sindaco di Theresienstadt. Avevano vietato anche il Grusspflicht, l'obbligo del saluto, vale a dire, quello prescritto agli ebrei che erano tenuti a salutare i nazisti. E lei non lo ha visto, perché il saluto obbligatorio, rivolto a un nazista davanti a lei, era vietato sotto pena di morte. Hanno persino fatto delle prove generali prima della visita, perché il nervosismo era ai massimi livelli, e avevano così paura che lei potesse dubitare di qualcosa, che hanno ripetuto la parte come ossessi. La sua visita è stata teleguidata, metro per metro e al secondo. E allora, quando lei parla delle condizioni degli alloggi, per esempio, dicendo che le sono sembrati in complesso decenti e convenienti, dimostra di non aver visto niente di Theresienstadt! Perché si doveva andare nelle baracche o nelle caserme, dove la gente viveva come ad Auschwitz.

DR. ROSSEL Certo.

C. LANZMANN Vivevano nei letti in quattro o in cinque ...

DR. ROSSEL ... di questo, adesso, ne sono consapevole.

C. LANZMANN ... quattro o cinque per letto, e in pratica vivevano in condizioni spaventose. Lei parla di alimentazione. E nel suo rapporto riporta anche il numero delle calorie e dice, duemilaquattrocento calorie ... questo dice.

DR. ROSSEL Ho riportato quello che mi è stato riferito.

C. LANZMANN Le calorie erano duecento. La gente crepava di fame. Lei dice dodici o quindici decessi al giorno, nel suo rapporto, il che fa circa quattrocento morti al mese. E non le hanno certo mostrato che a Theresienstadt c'è un crematorio che vale per grandezza quanto quello di Auschwitz, con quattro forni giganteschi. E bruciavano le persone, intendo, a Theresienstadt era ... ed è per questo che la storia è terribile, le condizioni di vita erano atroci e la gente veniva poi deportata ad Auschwitz o a Treblinka, senza mai tregua, senza tregua e tutto questo non si è mai fermato. E questo Epstein di cui lei parla, in realtà era un uomo coraggioso, e proprio a causa del suo coraggio e di un discorso che ha pronunciato tre mesi dopo la sua partenza, è stato assassinato alla piccola fortezza.

DR. ROSSEL Alla piccola fortezza.

C. LANZMANN Ma quello che volevo chiederle ... Che sia stato ingannato non c'è niente di strano, poiché i nazisti volevano proprio imbrogliarla. E tuttavia lei afferma che l'atteggiamento degli ebrei l'ha infastidita, come la loro passività; è questo che ha detto, vero?

DR. ROSSEL È così.

C. LANZMANN Ma allora, vorrei sapere perché lei dice queste cose oggi e non ne parla nel suo rapporto? Perché nel suo rapporto lei dice: «Ho visitato una città di provincia normale».

DR. ROSSEL Esatto.

C. LANZMANN ... «quasi normale».

DR. ROSSEL «Quasi normale» è proprio quello che mi hanno fatto vedere. E io non avevo niente da dire, non potevo certo inventarmi cose che non avevo visto.

C. LANZMANN No, certo, lei non poteva inventarsi cose che non aveva visto, ma avrebbe, forse, potuto ...

DR. ROSSEL Avrei potuto ...

LANZMANN Poiché afferma che il nodo della questione era di riuscire a vedere oltre.

DR. ROSSEL Oltre.

C. LANZMANN Per esempio non poteva accorgersi ... di quella parodia?

DR. ROSSEL In quel caso, uno si aspetta, come le ho già detto, almeno una strizzatina d'occhio, un aiuto. Niente. Dottor Lanzmann, niente è proprio niente. Niente è niente. Oggi ancora non riesco a capire quella gente che sapeva, oggi ne siamo consapevoli appieno, sapeva di essere perduta, condannata che ... come ...

C. LANZMANN Non ci si sente mai completamente perduti, si ha sempre un po' di speranza.

DR. ROSSEL Si, vivevano nella speranza di quella commedia, dato che, anche lei l'ha detto e oggi se ne ha la prova, giocavano tutte le loro carte, le loro ultime possibilità di sopravvivere.

C. LANZMANN Recitavano una commedia sotto la minaccia di un terrore. Questo è molto chiaro. Del resto, lei non ha parlato con qualche ebreo.

DR. ROSSEL Con nessuno.

C. LANZMANN Solo quell'Epstein ha parlato con lei, un uomo che era ...

DR. ROSSEL Qualche parola.

C. LANZMANN Sì.

DR. ROSSEL Solo qualche parola.

C. LANZMANN Credo che lui abbia fatto un discorso introduttivo e poi un saluto al momento della partenza, e lei ne trae l'essenziale ...

DR. ROSSEL È probabile.

C. LANZMANN ... delle informazioni, che poi sono contenute nel rapporto.

DR. ROSSEL Non mi ricordo più tanto bene del suo discorso introduttivo.

C. LANZMANN No, ma lei dice, per esempio, ed è questo che mi sembra interessante ... Nel suo rapporto, scrive: «Possiamo dire che l'aver trovato in quel ghetto una città che viveva una vita quasi normale ci ha causato uno stupore immenso ... »

DR. ROSSEL Sì, questa è l'impressione che ne ho ...

C. LANZMANN «Ci aspettavamo il peggio», ecc., «Abbiamo detto agli ufficiali della polizia SS, incaricati di accompagnarci, che la cosa che ci ha stupiti di più è stata la difficoltà di ottenere le autorizzazioni formali per visitare Theresienstadt».

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Ed è proprio quello che volevano farle credere ...

DR. ROSSEL Farmi credere.

C. LANZMANN ... in un certo senso. Ma poi, perché scrive a un certo punto: «È una città normale» e poi scrive: «Questa città ebraica è veramente sorprendente». Se è normale, che cosa c'è di sorprendente in quel luogo ? Che cosa l'ha sorpresa?

DR. ROSSEL Mi è difficile oggi ritornare nei panni di quell'uomo giovane che ero in quegli anni. Ma effettivamente, non mi aspettavo quello che ho visto. Mi aspettavo una visita come quella che facevo ai prigionieri di guerra, o ai prigionieri sottufficiali renitenti, nel corso delle quali si vedevano delle persone ... mi capisce, magre, smunte, gente come quella che incontravamo tutti i giorni nei campi di deportati e pur anche nelle stazioni! Vedevamo appunto queste cose. E Theresienstadt mi aveva dato l'impressione di essere una città per ebrei privilegiati.

C. LANZMANN Ma non erano magri?

DR. ROSSEL No, non erano magri.

C. LANZMANN Crepavano di fame.

DR. ROSSEL Non erano affatto magri ... quelli che ho visto io non erano proprio per niente magri.

C. LANZMANN Crepavano di fame. Le hanno nascosto i magri.

DR. ROSSEL Sì, mi hanno nascosto i magri. Ma anche i bambini non erano proprio magri.

C. LANZMANN Lei dice ... ah sì, volevo chiederle anche questo, a proposito della vita in famiglia. Lei scrive questo, mi perdoni un attimo, ecco: «A causa della sovrappopolazione, la vita familiare è sfortunatamente difficile a Theresienstadt. Molte persone che vivono nelle baracche collettive sono separate. Queste persone, naturalmente, hanno tutta la libertà di ritrovarsi fin dal mattino, e poiché si tratta in generale di gente anziana, non ci sono reclami». Ecco, non ho ben capito quello che voleva dire.

DR. ROSSEL Ah! Forse volevo dire che le coppie erano separate e che tuttavia si trattava di uomini anziani e di donne vecchie ...

C. LANZMANN Sì, insomma non ne soffrivano ...

DR. ROSSEL Proprio così, non soffrivano di essere ...

C. LANZMANN Sì, è così. .. non c'erano problemi ...

DR. ROSSEL Forse è proprio questo che voglio dire nel rapporto.

C. LANZMANN ... problemi di sesso.

DR. ROSSEL Lo penso, ma non lo so con esattezza.

C. LANZMANN Non è a me che l'ha detto, ma alla mia collaboratrice: ha detto che aveva l'impressione che quella gente fuggisse lontano da lei come si fugge dalla peste.

DR. ROSSEL Ah, sì. Certo. La gente mi evitava. Era una cosa piuttosto evidente.

C. LANZMANN Faceva forse parte della commedia il fatto di evitarla? Proprio così, si sentivano incapaci di recitare quella scena.

DR. ROSSEL Può essere, può essere. Ma nessuno ha tentato di dirmi qualcosa, nessuno si è fatto carico di pensare: «Ebbene, lancerò un grido e proverò almeno a dire qualcosa».

C. LANZMANN Sarebbe stata la morte immediata.

DR. ROSSEL La morte immediata. La questione non si pone nemmeno. Non so come si possa reagire, non ho mai vissuto l'esperienza di avere un fucile puntato nella schiena, ma comunque quella passività è qualcosa di molto difficile da digerire.

C. LANZMANN Imputa loro una certa colpevolezza.

DR. ROSSEL No, non spetta a me giudicare, ma sono stupito questo sì. Che si possa mettere in scena una commedia che coinvolge centinaia di persone e che la cosa funzioni: questo mi stupisce.

C. LANZMANN Gli ebrei erano gli attori, ma i loro registi erano i tedeschi.

DR. ROSSEL Ah, certo, la questione non si pone nemmeno.

C. LANZMANN Lei conclude il rapporto: «La nostra relazione non cambierà il giudizio di nessuno. Ciascuno è libero di condannare l'atteggiamento assunto dal Reich per risolvere la questione ebraica. Se tuttavia, questo nostro rapporto dissipa una parte del mistero intorno alla città di Theresienstadt, questo basta». Che cosa voleva dire esattamente con questa frase? Quali erano le persone alle quali sperava di fare cambiare il giudizio?

DR. ROSSEL In ogni caso, eravamo assolutamente contrari alla segregazione razziale e contro la deportazione degli israeliti nei ghetti. È qualcosa di così contrario alla nostra mentalità di piccoli svizzeri, che io non avevo mai visto nulla di simile, tanto che questo era già di per sé un orrore, anche se non avevamo consapevolezza dello sterminio di massa.

C. LANZMANN Si duole oggi per questo rapporto?

DR. ROSSEL Non vedo proprio come avrei potuto redigerne un altro diverso. Lo firmerei ancora.

C. LANZMANN Anche sapendo ciò che le ho detto?

DR. ROSSEL Sì, certo.

C. LANZMANN Vale a dire che l'hanno completamente ingannata ...

DR. ROSSEL Sì, ma ...

C. LANZMANN E che la realtà era ...

DR. ROSSEL ... era ...

C. LANZMANN ... un inferno. Certo, lei non scrive che si tratta di un paradiso, ma il suo rapporto è roseo.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Si ricorda di Epstein? Fisicamente, a chi assomigliava?

DR. ROSSEL Non riesco a vederlo bene. Vedo un vecchio signore, e vedo ... ma no, sarei ... no, proprio non lo vedo. Non posso affermare che riesco a vederlo e non posso descriverglielo.

C. LANZMANN L'hanno ucciso esattamente tre mesi dopo la sua visita. Le deportazioni per Auschwitz ricominciavano, e questo creava un grosso terrore a Theresienstadt e c'era il panico...

DR. ROSSEL Sì.

LANZMANN ... nel ghetto. Ha fatto questo discorso di cui adesso le leggo un piccolo estratto, che traduco con approssimazione: «Theresienstadt si assicurerà la possibilità di sopravvivere soltanto mobilitandosi radicalmente per il lavoro». Pensavano che il lavoro li avrebbe salvati. «Non bisogna parlare, ma lavorare. Basta con le speculazioni. Siamo come su una nave che aspetta di entrare in porto, ma che non può raggiungere la rada perché una barriera di mine glielo impedisce». Era nel settembre del 1944.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN Almeno, avevano notizie di ciò che stava accadendo fuori.·«Soltanto il comandante della nave conosce lo stretto passaggio che conduce al porto. Non deve prestare attenzione alle luci ingannevoli e ai segnali che gli provengono dalla costa. La nave deve restare dove si trova e attendere ordini. Dovete avere fiducia nel vostro comandante che fa tutto ciò che è umanamente possibile per garantirvi la sicurezza dell'esistenza. In tal modo, avviciniamoci al nuovo anno». Si trattava del nuovo anno ebraico, in settembre.

DR. ROSSEL Sì.

C. LANZMANN «Avviciniamoci al nuovo anno con serietà e fiducia e con la ferma volontà di rimanere ancorati e di fare il nostro dovere». E i nazisti l'hanno ucciso alcuni giorni dopo, per essere precisi, alla piccola fortezza, Kleine Festung, con una pallottola nella nuca. Le sue parole sono strazianti.

 

 

Bibliografia:

Claude Lanzmann – Shoa – Einaudi Stile libero Dvd 2007

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La storia Simon Srebnik

13 Janvier 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

A ottanta chilometri a nord-ovest di Lódz, nel cuore di una regione un tempo a forte popolazione ebraica, Chelmno fu in Polonia la località del primo sterminio di ebrei con il gas. Ebbe inizio il 7 dicembre 1941. 400.000 ebrei furono assassinati a Chelmno in due periodi distinti: dicembre 1941-primavera 1943; giugno 1944-gennaio 1945. Il modo di somministrare la morte rimase fino alla fine identico: i camion a gas.

Dei 400.000 uomini, donne e bambini che giunsero in quel luogo, si contano due superstiti: Michael Podchlebnik e Simon Srebnik.

Simon Srebnik, sopravvissuto dell'ultimo periodo, era allora un ragazzino di tredici anni e mezzo. Suo padre era stato abbattuto sotto i suoi occhi, nel ghetto di Lodi, sua madre asfissiata nei camion di Chelmno. Le SS lo arruolarono in uno dei reparti di «ebrei del lavoro», che assicuravano la manutenzione dei campi di sterminio ed erano anch'essi destinati alla morte.

Catene alle caviglie, come tutti i suoi compagni, il ragazzo attraversava ogni giorno il villaggio di Chelmno. Dovette il fatto di essere risparmiato più a lungo degli altri alla sua estrema agilità, che gli faceva vincere le gare organizzate dai nazisti fra quegli incatenati, gare di salto o di corsa. E anche alla sua voce melodiosa: diverse volte alla settimana, quando si doveva dar da mangiare ai conigli dell'allevamento SS, Simon Srebnik, sorvegliato da un guardiano, risaliva il Ner su una imbarcazione a fondo piatto, fino ai limiti del villaggio, verso i campi di erba medica. Cantava arie del folklore polacco e il guardiano in cambio gli insegnava ritornelli militari prussiani. A Chelmno tutti lo conoscevano. I contadini polacchi, ma anche i civili tedeschi, poiché quella provincia della Polonia era stata annessa al Reich alla caduta di Varsavia, germanizzata e ribattezzata Wartheland. Così avevano cambiato Chelmno in Kulmhof, Lódz in Litzmannstadt, Kolo in Warthbrücken, ecc. Dei coloni tedeschi si erano stabiliti ovunque nel Wartheland, e a Chelmno esisteva anche una scuola elementare tedesca.

Nella notte del 18 gennaio 1945, due giorni prima dell'arrivo delle truppe sovietiche, i tedeschi uccisero con una pallottola nella nuca gli ultimi «ebrei del lavoro». Simon Srebnik fu anche lui abbattuto. La pallottola non lese i centri vitali. Tornato in sé, si trascinò fino a un porcile. Un contadino polacco lo raccolse. Un ufficiale medico dell' Armata Rossa lo curò, lo salvò. Qualche mese più tardi Simon partì per Tel Aviv con altri scampati.

E là in Israele l'ho scoperto.

Ho persuaso il ragazzino cantore a ritornare con me a Chelmno. Aveva 47 anni.

 

Una piccola casa bianca

mi resta nella memoria.

Di questa piccola casa bianca

sogno ogni notte.

 

Contadini di Chelmno

Aveva tredici anni e mezzo. Aveva una bella voce, cantava in modo molto bello, e lo ascoltavamo.

 

Una piccola casa bianca

mi resta nella memoria.

Di questa piccola casa bianca

sogno ogni notte.

 

Quando l'ho riudito cantare oggi, il mio cuore ha battuto molto più forte, perché quello che è successo qui è stato un delitto. Ho davvero rivissuto quello che è successo.

 

Simon Srebnik

Difficile da riconoscete, ma era qui. Qui bruciavano la gente.

Molta gente è stata bruciata qui. Si, è questo il luogo.

I camion a gas arrivavano là.

C'erano due immensi forni e dopo, gettavano i corpi in quei forni, e le fiamme salivano fino al cielo.

Fino al cielo?

Sì.

Era terribile.

Questo non si può raccontare. Nessuno può immaginare quello che è successo qui. Impossibile. E nessuno può capirlo.

E anch'io, oggi...

Non posso credere di essere qui. No, questo non posso crederlo.

Qui era sempre così tranquillo. Sempre.

Quando bruciavano ogni giorno 2000 persone, ebrei, era altrettanto tranquillo.

Nessuno gridava. Ognuno faceva il proprio lavoro.

Era silenzioso. Calmo. Come ora.

 

Tu, ragazza, non piangere,

non essere così triste,

ché la cara estate si avvicina ...

e allora tornerò.

Un fiaschetto di rosso, una fetta di arrosto,

è ciò che le ragazze ...

offrono ai loro soldati.

Quando i soldati sfilano

le ragazze aprono ...

le loro porte e finestre.

 

Contadini di Chelmno

Pensavano che i tedeschi facessero apposta a farlo cantare sul fiume.

Era per loro un oggetto di divertimento. Lo obbligavano a farlo.

Cantava, ma il suo cuore piangeva.

Quando la famiglia si riunisce ne parlano ancora, intorno alla tavola.

Perché la cosa era pubblica, vicino alla strada tutti lo sapevano.

Era davvero un'ironia da parte dei tedeschi, loro uccidevano la gente, ma lui era obbligato a cantare. È questo che pensavo.

Claude Lanzmann

 

 

Bibliografia:

Claude Lanzmann – Shoa – Einaudi Stile libero Dvd 2007

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Gli ebrei nella nazione italiana

28 Février 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

 

Il processo di acquisizione del diritto di cittadinanza degli ebrei cominciato con l’unità d’Italia è interrotto brutalmente dal fascismo nel 1938. La loro identità ne resterà irrimediabilmente segnata.

 

Alla fine del XIX secolo, in un’epoca in cui l’antisemitismo imperava in diversi paesi d’Europa, la situazione degli ebrei d’Italia appariva invece invidiabile. A Roma, capitale del Regno d’Italia, dove gli ebrei erano stati gli ultimi ad ottenere l’uguaglianza dei diritti, il ricordo dell’affare Mortara ormai si allontanava (nel 1858, nonostante una grande mobilitazione, il potere pontificio aveva rifiutato di restituire alla sua famiglia ebrea un bambino battezzato dalla sua nutrice cattolica). Inoltre, a partire dal 1886, il quartiere insalubre del ghetto veniva demolito in vista di un nuovo piano di urbanizzazione.

Per gli ebrei d’Italia, che avevano partecipato con entusiasmo alle rivoluzioni del 1848 e alle guerre del Risorgimento, l’unificazione coincise con l’uguaglianza di condizioni sia sul piano civile che politico. Gli ebrei erano diventati italiani nello stesso tempo come i cattolici, sia che fossero piemontesi siciliani o napoletani. Questo processo, definito da alcuni intellettuali italiani, e in particolare da Antonio Gramsci, di «nazionalizzazione parallela» è stato spesso evidenziato per spiegare un carattere limitato dell’antisemitismo in Italia. Gli ebrei italiani sono i primi a ritenere che è iniziato un processo di assimilazione. Nel 1884, David Prato, rabbino di Roma, parla di «ebrei di religione italiana». Molti indici attestano la riuscita del processo d’integrazione nel crogiolo nazionale: il numero di matrimoni misti, le difficoltà del sionismo a penetrare nella penisola, l’evoluzione sociologica. Dopo il 1870, molti conoscono un’ascensione sociale rapida  in seno alle professioni liberali e nella funzione pubblica; un certo numero di loro accedono, inoltre, alle più alte cariche amministrative e politiche. L’importanza di una dimensione municipale nella cultura politica italiana fu probabilmente un elemento favorevole all’integrazione delle comunità ebree. Mediante le identità comunali, ebrei e non ebrei si riuniscono per un’appartenenza comune, uniti da un legame altrettanto forte come quello nazionale.

Incaricato di trasmettere al re gli omaggi della comunità ebrea romana,nel 1870, il generale Cadorna gli consegna una lettera in cui gli ebrei di Roma salutano il sovrano in qualità di italiani, romani e israeliti. Nel 1874, il presidente del comitato dell’Alleanza israelita universale di Roma, Samuel Toscano, ammise che il campanilismo era un dono essenziale della cultura italiana, ivi compreso per gli ebrei. L’emancipazione è allora inscritta nel paesaggio urbano con la costruzione di edifici religiosi a carattere monumentale, non senza un paradosso, per gli ebrei, come per i cattolici, che si dovevano confrontare con la laicizzazione della società. Per proclamare la fine di un’epoca che imponeva agli ebrei dei luoghi di culto nascosti, furono costruite delle vere «sinagoghe-cattedrali» nelle più grandi città di cui Roma e Torino sono gli esempi più eclatanti.

1911 sinagoga Roma

 

Un’eccezione italiana.

Tuttavia questa integrazione non fu realizzata senza ostacoli. Nonostante i numerosi atti di devozione degli ebrei di fronte alle istituzioni e alla Casa Savoia, persisteva un sentimento di precarietà nei rapporti con la popolazione. In città come Roma e Venezia sussistevano dei pregiudizi antiebrei. Alcune testimonianze attestano la permanenza di un antisemitismo di matrice religiosa maggiormente tra la popolazione cattolica, abituata a sentire i sacerdoti definire gli ebrei come «perfidi» durante la preghiera del Venerdì santo. Questo antisemitismo non era, però, comparabile con quello esistente in altri paesi d’Europa, che si fondava su un antisemitismo politico. Mentre in Francia e in Germania si sviluppavano leghe e movimenti di massa antisemiti, l’Italia ne era risparmiata. Tra il nazionalismo italiano l’antisemitismo restò circoscritto, anche dopo la guerra di Libia. Il 1911 fu un momento in cui l’Italia si trovò esposta ai temi ricorrenti dell’antisemitismo, come la denuncia di un «giudaismo internazionale» (presentato come un ostacolo alla conquista coloniale).

Il quadro idilliaco di una integrazione perfettamente armoniosa degli ebrei della nazione italiana va smorzato: non esiste una forma di eccezione italiana. La svolta del fascismo italiano fu brutale.

L’inizio dell’antisemitismo di Stato ha inizio il 14 luglio 1938. Il Giornale d’Italia pubblica un articolo non firmato con il titolo «Il fascismo e i problemi della razza». In dieci punti, e sotto forma di una dottrina pseudo-scientifica, il regime fascista dà inizio alla politica antisemita: «Le razze umane esistono; ci sono delle razze inferiori e superiori; il concetto di razza è puramente biologico; la popolazione italiana è di origine ariana; è ora che gli italiani si dichiarino francamente razzisti; gli ebrei non appartengono alla razza italiana ...».

manifesto-razzismo-italiano.jpg 

Questo decalogo del razzismo italiano, chiamato di seguito «manifesto degli scienziati», è stato a lungo pensato e approvato da Mussolini prima di essere reso pubblico. Per i 47.000 ebrei presenti in Italia, grande fu lo stupore per il cambiamento politico e ideologico così repentino.

Dal 22 agosto 1938, un censimento speciale degli ebrei fu ordinato dal ministero degli Interni, che creò una Divisione per la demografia e la razza (Demorazza). Prime vittime della politica discriminatoria sono gli ebrei stranieri che sono obbligati a lasciare il territorio dal 7 settembre. Il 17 novembre 1938, il decreto legge enunciando le misure per la difesa della razza italiana, attacca questa volta gli ebrei italiani.

La definizione di ebreo si accompagna, classicamente, con una serie di  interdizioni che saranno, col passare dei mesi, moltiplicate ed aggravate, e riguarderanno i matrimoni con gli «ariani», il servizio militare, le professioni che hanno rapporti con la difesa, il possesso di beni oltre certi valori, l’impiego nelle pubbliche amministrazioni e nel parastato.

Gli ebrei ex combattenti o iscritti al Partito fascista prima della marcia su Roma del 1922 sono mesi al riparo da certe misure discriminatorie concernenti la possibilità di possedere dei beni.

 

Cittadini di seconda categoria.

In qualche settimana, gli ebrei italiani sono diventati cittadini di seconda categoria quando la loro presenza non sia giudicata indesiderabile. Il cambiamento di rotta del fascismo sembra tanto più brutale in quanto l’antisemitismo era assente dalla dottrina fascista fino alla metà degli anni ’30.

Dalla sua cella, Vittorio Foa, antifascista ed ebreo, scriveva ancora nel luglio 1938: «Non si sono mai avuti e non esistono dei sentimenti antisemiti altrove se non in qualche gruppo di intellettuali invidiosi e consapevoli della loro mediocrità».

C’erano alcuni nazionalisti e fascisti antisemiti virulenti come Farinacci, Interlandi, e ancora il prete spretato Giovanni Preziosi. La rivista La vita italiana era una delle tribune di denuncia di un complotto ebreo internazionale. Tuttavia l’antisemitismo rimase circoscritto a qualche circolo ristretto della destra fascista e nazionalista; proprio come in seno al cattolicesimo, l’antisemitismo militante era prerogativa di una corrente minoritaria.

In un contesto dove gli ebrei erano ancora degli italiani come gli altri, la comunità ebrea si era divisa di fronte al fascismo: alcuni si erano iscritti, dal 1921, al Partito fascista, che, a differenza del NSDAP (partito nazionalsocialista tedesco) non manifestava alcuna ostilità antiebrea.

Nel 1934, in seguito all’arresto di un gruppo di 17 antifascisti tra i quali figuravano alcuni ebrei, la stampa aveva denunciato, per qualche settimana, «gli ebrei al soldo degli esiliati antifascisti».

A partire dal 1936, quando l’Italia si riavvicinò alla Germania, gli attacchi antisemiti si fecero più frequenti sulla stampa e la città di Ferrara conobbe, per la prima volta da più di alcuni decenni, una manifestazione antisemita. L’anno seguente, sulla stampa nazionale, e in modo particolare su Il Popolo d’Italia, quotidiano del Partito fascista, ebbe grande eco, al suo apparire, l’opera Gli ebrei in Italia, in cui, l’autore, Paolo Oriano, invitava gli ebrei a rinunciare a ogni identità specifica se si consideravano italiani. Per qualche mese, la denuncia del sionismo fu il principale vettore degli attacchi contro gli ebrei.

Nel febbraio 1938, un articolo dell’Information diplomatique (scritto da Mussolini) smentiva ancora l’intenzione del governo di mettere in opera una politica antisemita, evocando, tuttavia, l’intenzione di impedire che «gli ebrei occupino nella nazione un posto spoporzionato in rapporto al loro numero e ai loro meriti». Riunita in assemblea straordinaria, la comunità ebrea di Torino accolse questa dichiarazione con opportunismo: «In Italia non esiste dell’antisemitismo», «la tempesta passerà e la calma ritornerà ...».

L’attuazione di un antisemitismo di Stato fu così un atto politico pensato, programmato diversi mesi prima e adottato dai responsabili fascisti senza la minima pressione della Germania.

Se il contesto diplomatico dell’Asse Roma-Berlino (proclamato nel 1936) non fu estraneo alla decisione del governo, questa evoluzione procede con una dinamica ideologica e politica propria del fascismo italiano.

Nella seconda metà degli anni ’30, all’indomani della conquista dell’Etiopia (1935-1936), il duce intende assicurare la continuità del regime ed accelerare la trasformazione totalitaria della società. Il tema della seconda rivoluzione fascista è all’ordine del giorno sotto forma di un progetto tendente a rigenerare la razza.

Nel contesto della conquista dell’Etiopia, la paura di vedere il «madamismo» (l’acquisto di una concubina, o il concubinaggio tra civili e militari italiani con donne etiopi, porta a rinforzare la volontà di lottare contro il meticciato. Nell’aprile del 1937 una legge vieta agli italiani di mantenere «relazioni a carattere coniugale» con donne dell’Africa orientale italiana. Quando vengono adottate le misure antisemite, la questione della purezza della razza è già all’ordine del giorno da più di due anni e i sostenitori di un antisemitismo di Stato possono facilmente presentare il loro progetto come uno dei mezzi necessari per l’instaurazione di un ordine fascista totalitario. Eppure il legame tra il razzismo praticato in Etiopia e l’antisemitismo di Stato non ha tanto radici ideologiche ma è un disegno politico tendente a trasformare lo stile, il comportamento e perfino l’essere intimo degli italiani: creare un uomo nuovo fascista.

In che misura le leggi antisemite furono veramente applicate e che seguito trovarono nella società le direttive del governo?

Contrariamente ad una vulgata a lungo tempo diffusa, non vi fu moderazione, anzi, nel 1938, i giornali facevano a gara per criticare, denunciare e schermire gli ebrei italiani e stranieri.

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Una rivista militante, La difesa della razza, vera vetrina del razzismo all’italiana, venne lanciata con grande sostegno pubblicitario e diffusa nei licei e nelle università. In qualche mese, la propaganda di odio raggiunge un livello elevato, come se la stampa avesse voluto cancellare più decenni di tolleranza. Tra le organizzazioni fasciste, i GUF (Gruppi universitari fascisti) diedero prova di un’inventiva particolare di satira antisemita.

Conformandosi alla lettera e allo spirito della legge e delle circolari, le amministrazioni fecero applicare con zelo ed efficacia le direttive del governo, sia che si trattasse di censire gli ebrei sia di escluderli da alcune professioni. Il decreto legge per la «difesa della razza nelle scuole fasciste» fu uno dei primi ad essere adottato nel mese di settembre 1938. Gli insegnanti ebrei furono allora esclusi dall’insegnamento, dalle scuole elementari all’università, tanto che i bambini dovettero lasciare le scuole pubbliche e frequentare delle scuole separate. Benché la popolazione non fosse favorevole, nel suo insieme, a tali misure, proteste e segni di opposizione furono di una minoranza.

Nel Partito fascista, che contava nel 1939 2,5 milioni dia derenti, un migliaio di persone furono escluse per «pietismo», espressione utilizzata dalla propaganda fascista per designare coloro che manifestavano compassione e solidarietà nei confronti con gli ebrei. A seconda dei luoghi, la legislazione antisemita venne attuata con più  o meno rigore: a Trieste gli ebrei si trovarono di fronte un’amministrazione particolarmente intrattabile e una popolazione spesso ostile. A Torino come a Venezia le esclusioni dalle professioni vennero applicate senza grande resistenza. In diverse città, i commercianti esposero, all’ingresso dei loro negozi, dei cartelli ostili: «Ingresso vietato ai cani e agli ebrei», «Per motivi di igiene, è vietato sputare e agli ebrei di entrare»...

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Impegnato nell’antisemitismo di Stato, il potere fascista non pensava di sterminare gli ebrei d’Italia. Con la guerra e il susseguirsi degli eventi dell’estate del 1943 che condussero, nel settembre 1943, all’occupazione del centro-nord dell’Italia da parte dei tedeschi e alla formazione della Repubblica di Salò, divenne, invece, complice passivo della loro eliminazione. Questa situazione può apparire ancor più paradossale in quanto, prima della caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, le autorità militari e diplomatiche, nelle loro zone di occupazione e principalmente nel sud est della Francia e in Croazia, avevano protetto gli ebrei e tentato di prevenire la loro deportazione. Fu grazie al fascismo che aveva censito, contato, discriminato e definito gli ebrei davanti all’opinione pubblica come nemici, che l’occupante nazista poté bruciare le tappe. Agli inizi del mese di ottobre 1943, Theodor Dannecker viene inviato da Eichmann in Italia, per procedere alle prime ondate di deportazione. Poco dopo i tedeschi creano un ufficio permanente a Verona, incaricato dell’«operazione antiebrei».

Il 16 settembre, il primo convoglio parte per Auschwitz. Due mesi più tardi,una grande retata decima la più vecchia comunità ebraica d’Italia: 1022 abitanti del ghetto di Roma sono inviati ad Auschwitz e circa il 90 per cento di loro sono mandati nelle camere a gas al loro arrivo. Il 28 ottobre, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede scrive con sollievo e soddisfazione:«Il papa, benché sollecitato da più parti, non ha preso alcuna posizione pubblica contro la deportazione degli ebrei di Roma». Se questa operazione è stata organizzata ed eseguita dalle sole forze tedesche, dal mese di novembre successivo, il governo di Salò segue la stessa via.

 

Verso la deportazione.

Il 30 novembre, il ministro degli Interni ordina l’arresto e l’internamento di tutti gli ebrei e la confisca dei loro beni. Non vi è più alcuna distinzione tra ebrei stranieri o italiani, sia che le retate siano organizzate dai tedeschi o dalla polizia italiana.

In che misura il duce e le autorità fasciste erano a conoscenza della sorte riservata agli ebrei? Nel novembre 1942, Mussolini, parlando della politica antiebraica della Germania con l’industriale Alberto Pirelli, così cinicamente si espresse: «Li faccio emigrare ... verso l’altro mondo». Numerosi documenti e testimonianze consentono di stabilire che il capo del Governo non solamente era informato: alla fine del 1942, gli ambienti dirigenziali conoscevano, a grandi linee, l’esistenza della Soluzione finale. Al termine della guerra, su una popolazione di circa 35.000 ebrei presenti nel 1943, si contarono 7860 morti.

Come in Francia, gli ebrei scampati beneficiarono dell’aiuto di una parte della popolazione e delle istituzioni religiose. Nel 1947, il colonnello Max Adolphe Vitale, presidente del Comitato di ricerca dei deportati ebrei italiani, in un rapporto destinato ad informare i francesi sulla situazione degli ebrei italiani durante il fascismo e la guerra, stimò che niente sarà più come prima: «È ripresa la vita degli ebrei in Italia; vita difficile come in tutto il mondo. Quasi tutti piangono qualcuno che non rivedranno più ... Se si domanda se qualcosa è cambiato tra gli ebrei e i non ebrei in Italia, la risposta è che prima del 1938, noi ebrei eravamo italiani, ora siamo degli ebrei italiani!»

Dopo la guerra, gli ebrei d’Italia si dovettero confrontare con un processo di occultamento della memoria delle persecuzioni antisemite. Al loro ritorno,  i sopravvissuti della Shoa si scontrarono con un muro di incomprensione. Nel 1955, Primo Levi scriveva: «Oggi è indelicato parlare dei campi. Si rischia di essere accusati di atteggiarsi a vittime o di oltraggio al pudore». Se questo fenomeno non è solo dell’Italia, l’analisi della stampa dell’epoca rivela un’amnesia specifica: la maggior parte dei giornali aveva dimenticato il contributo propriamente italiano alle persecuzioni; solamente l’occupante veniva ritenuto responsabile in un contesto dove, passata l’epurazione, le prigioni si svuotarono rapidamente dei responsabili fascisti, aiutati da una legge di amnistia.

Dal 1947, nonostante l’interdizione prevista dalla Costituzione, venne fondato un partito neofascista, il Movimento sociale italiano, di cui uno dei suoi principali leader, Giorgio Almirante, non era che l’ex segretario della redazione della Difesa della razza. Questo processo di occultamento del passato è attestato dalla lentezza con la quale sono state abolite le leggi razziali, oltre all’enorme difficoltà delle vittime ad ottenere dallo Stato un risarcimento per i pregiudizi subiti. Si è dovuto attendere il 1980 per una legge che stabiliva il pagamento da parte dello Stato di una indennità agli ex deportati, mediante una procedura lunga e complessa.

Alla fine degli anni ’60, la questione dell’identità del giudaismo  ritorna sulla scena per l’attualità internazionale: rimpatrio degli ebrei di Libia a partire dal 1967; guerra dei Sei Giorni, poi l’insorgenza di un antisemitismo legato ai conflitti del Medio Oriente. L’attentato contro la sinagoga di Roma, nel 1982, segna un nuovo trauma.

Gianfranco Fini ha fatto evolvere il Movimento sociale italiano verso una formazione di destra classica e ha condannato molto nettamente, durante un viaggio in Israele nel 2003, la responsabilità del fascismo per la Shoa. Invece, la Lega Nord manifesta ostentatamente certi temi xenofobi.

Oggi la memoria dell’antisemitismo e della Shoa dispone ormai di vari vettori di trasmissione, sotto forma di luoghi della memoria e di istituzioni di ricerca; recentemente, a Ferrara, è stato creato un museo di storia del giudaismo e della Shoa.

 

Traduzione di un articolo di Marie-Anne Matard-Bonucci, docente di Storia contemporanea all’Università di Grenoble, pubblicato su Histoire nel mese di gennaio 2011

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Le leggi razziali del fascismo

4 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Nel 1938 venivano emanate dal governo di Mussolini le leggi razziali che causarono la deportazione degli ebrei italiani nei campi di sterminio.


Accadde settanta anni fa: il 16 ottobre Dannecker (SS capo di un gruppo mobile di intervento per mettere in opera le azioni di rastrellamento nelle grandi comunità ebraiche italiane) e Kappler ordinarono il rastrellamento del ghetto romano. Nell’ azione furono arrestate 1259 persone. La maggioranza lasciò Roma il 18 ottobre su diciotto vagoni merci in direzione nord.
 

Le leggi razziali del fascismo furono una vergogna e una infamia imperdonabile.

Quelle leggi, infatti, portarono alla morte migliaia di ebrei e provocarono sofferenze indicibili, paura, terrore, angoscia e miseria.

Le leggi razziali furono emanate nel 1938: esattamente il 14 luglio con la pubblicazione del famoso “Manifesto del razzismo italiano’’ poi trasformato in decreto, il 15 novembre dello stesso anno, con tanto di firma di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e imperatore d’Etiopia “per grazia di Dio e per volontà della nazione”.

Il 25 luglio, il ministro della cultura popolare Dino Alfieri e il segretario del partito fascista Achille Starace si erano premurati di ricevere “un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane che avevano, sotto l’egida del ministero della cultura popolare, redatto il manifesto che gettava le basi del razzismo fascista”.

Le norme erano complesse e articolate, il contenuto chiaro e preciso: fuori gli studenti ebrei dalle scuole pubbliche e private frequentate da alunni italiani (ad eccezione - nel caso la «razza» fosse stata temperata da un battesimo - di quelle private cattoliche); fuori il personale direttivo, insegnante, amministrativo, di cu­stodia ecc. di «razza ebraica»; fuori gli ebrei dalle accademie; fuori dalle scuole medie i libri di testo frutto, anche parziale, di mano ebraica. Gli ebrei venivano anche licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni.

Tutti i ricercatori dei centri scientifici, se ebrei, erano stati cacciati fino all'ultimo uomo. I loro colleghi «ariani» avevano assistito senza fiatare, chi compiaciuto, chi dispiaciuto e imbarazzato. Molti primari di ospedale erano stati costretti, per sopravvivere, a sbarcare il lunario diventando piccoli contabili presso qualche benevolo imprendito­re. A questa epurazione vergognosa si erano aggiunte norme vessa­torie che impedivano ai «giudei» di avere dipendenti «di razza pura», di contrarre matrimoni misti, di esercitare una serie di attività. Gli ebrei di origine straniera erano stati espulsi dal Paese.

Il 5 agosto del 1938, comparire nelle edicole e nelle librerie, il primo numero del giornale “La difesa della Razza”, diretto da Telesio Interlandi.

 

Interlandi era un giornalista e uno scrittore sulla cresta dell’onda che già dirigeva, su richiesta di Mussolini, il quotidiano “Il Tevere”. Gli scritti di Interlandi erano già di un razzismo ripugnante. Con “La difesa della Razza”, la politica del regime nei confronti degli ebrei diventa metodica e, per così dire, “scientifica” e pianificata. La rivista, fu il prodotto giornalistico più vergognoso e infame del fascismo.

In seguito, Giorgio Almirante fu chiamato a ricoprire l’importantissima carica di segretario di redazione della rivista.

 

“Anche se non coordinate tra loro, le azioni di settembre furono comunque i primi segnali dei gravissimi avvenimenti che di lì a poco avrebbero travolto la comunità ebraica italiana durante l'occupazione del Paese. Nessuno, però, aveva ancora avuto chiara notizia dei massacri avvenuti in Russia, né delle carneficine effettuate nei campi della morte in Polonia, né delle selezioni verso le camere a gas già in atto nel campo di sterminio di Auschwitz.

L'antisemitismo fascista nonostante le sue leggi vessatorie e vergognosamente discriminatorie, non si era mai tradotto in atti dil crudeltà fisica generalizzata.

Paradossalmente, l'antisemitismo legalizzato italiano servì a disorientare i più, che non ritennero necessario fuggire finché ve n'era ancora il tempo” (Liliana Picciotto Fargion).

«Molti ebrei erano convinti che le atrocità di cui sentivano parlare non potevano accadere in Italia. Era purtroppo un'illusione. E più di settemila ebrei, il 15 per cento del totale in Italia finirono nei campi di concentramento (Alexander Stille).

«I fascisti parteciparono attivamente alla ricerca e all'arresto degli ebrei destinati ai campi di sterminio rintracciati il più delle volte grazie agli elenchi che il governo di Mussolini aveva fatto predisporre fin dal 1938» (Arrigo Levi).

Le leggi razziali restarono operanti anche durante i 45 giorni di Badoglio. Le prefetture andarono avanti a fare il loro dovere, aggiornando gli schedari nei quali finirono anche quegli ebrei che continuavano ad affluire dai paesi invasi dalle armate di Hitler.

Con la messa sotto controllo da parte tedesca dell'Italia nel settembre 1943 risultò eliminato per un'altra organizzazione nazionalsocialista un ostacolo che ! l'a stato rappresentato dal governo italiano: l'ufficio di Eichmann intravide ora la possibilità di estendere anche in Italia e nei territori italiani occupati la «soluzione finale». La decisione di introdurre nel 1938 nell'Italia fascista le leggi razziali antiebraiche, cui seguirono ben presto misure restrittive per eliminare gli ebrei dalla vita economica italiana, voleva avere una ripercussione politica soprattutto verso l'esterno, in quanto significava un avvicinamento ideologico alla Germania nazionalsocialista, più che ['espressione di un antisemitismo che fosse fortemente radicato nella popolazione italiana.

Con l'occupazione tedesca dell'Italia, l'ufficio di Eichman (alla Direzione generale per la sicurezza deI Reich) ebbe così la possibilità di trasferire qui i piani nazionalsocialisti di sterminio.

Circa 44000 ebrei si trovavano in Italia nell'estate 1943.

Dato che con la registrazione amministrativa erano già state apprestate le relative msure, ai rappresentanti di Eichmann in Italia rimaneva.«soltanto» di passare alla cattura e deportazione delIe loro vittime italiane.

I pianificatori della deportazione – e questo rese più dirompente sul piano diplomatico l’azione antiebraica nel ghetto romano – si preoccuparono di una possibile protesta del papa contro la deportazionedi ebrei (8.000 residenti a Roma) o temevano addirittura da parte del Vaticano l’abbandono della politica di neutralità.  

Roma non fu la prima città in cui furono attuate misure antiebraiche: singole deportazioni erano già avvenute a metà settembre a Merano, e il 9 ottobre anche a Trieste, mentre reparti della Divisione «Guardie del corpo di Adolf Hitler» fecero un eccidio a Meina, sul lago Maggiore.

Il 16 ottobre Dannecker (SS capo di un gruppo mobile di intervento per mettere in opera le azioni di rastrellamento nelle grandi comunità ebraiche italiane) e Kappler ordinarono il rastrellamento del ghetto romano. Nell’ azione furono arrestate 1259 persone. La maggioranza lasciò Roma il 18 ottobre su diciotto vagoni merci in direzione nord. Perfino in tale situazione il papa non ritenne consigliabile prendere apertamente posizione contro le deportazioni e la protesta diplomatica non ebbe alcun seguito.

Da parte della Chiesa l'unica ufficiosa reazione fu la lettera del vescovo Hudal, rettore della Chiesa cattolica tedesca di Roma, il quale chiese la sospensione degli arresti onde evitare che il papa prendesse pubblicamente posizione contro e con ciò fornire un'arma alla­ propaganda antitedesca. Quando il telegramma giunse a Berlino, gli ebrei romani erano già avviati oltre il Brennero incontro al loro triste e fatale destino.

Entro la fine di novembre in molte città italiane del settentrione si ebbero altre azioni contro gli ebrei.

Là dove la diplomazia vaticana fu assente, tanto più efficace fu l’ aiuto a Roma fornito da religiosi. Soltanto a Roma, oltre 4000 ebrei furono sottratti alla persecuzione in conventi, congregazioni, parrocchie- e nel Vaticano stesso. Senza la solidarietà quasi unanime che gli italiani offrirono ai loro connazionali ebrei e ai fuggiaschi perseguitati, il numero di ebrei vittime del nazismo sarebbe sicuramente stato più elevato.

I piani di Eichmann sembrarono più facilmente realizzabili dal novembre: infatti il 14 novembre, il congresso del Partito fascista  a Verona proclamò che tutti gli ebrei non erano soltanto stranieri ma anche appartenenti a una «nazionalità nemica».

Il 30 novembre il ministro degli Interni, Buffarini-Guidi diede ordine a tutti i prefetti di raccogliere «in campi di concentram nelle province tutti gli ebrei»; le proprietà degli ebrei arrestati sarebbero state requisite e assegnate persone evacuate perché vittime dei bombardamenti.

I piani nazisti dello sterminio ricevettero un apporto decisivo grazie all’arresto e all’internamento degli ebrei nei campi di concentramento italiani.

Un numero non indifferente di ebrei (circa 2500) avevano optato per la resistenza attiva contro i tedeschi e si era unito ai partigiani.

Diversi gruppi di polizia fascisti (come per esempio nel caso di Milano, la Muti, gli Uffici investigativi politici, il gruppo Koch) partecipavano alla ricerca degli ebrei nascosti.

Per le deportazioni naziste e le persecuzioni in Italia e sulle isole di Rodi e di Kos perdettero la vita circa 8.000 ebrei. 820 ebrei italiani sopravvissero alle deportazioni.

 

Le autorità fasciste furono – e i fatti lo dimostrano – strettamente legate agli occupanti nazisti e fornirono nomi ed elenchi “dei figli di Israele” da portare via per sempre. Altre volte, parteciparono direttamente ai rastrellamenti e alle deportazioni. Certo, ci furono questori coraggiosi, poliziotti, carabinieri e autorità militari che aiutarono gli ebrei a rischio della vita. E altri ebrei furono salvati da tanti singoli italiani indignati per la persecuzione. Poi dai parroci, dalle suore e dagli uomini della Resistenza antifascista.

 

Bibliografia:

Marco Nozza - “Hotel Meina – La prima strage di ebrei in Italia” – Ed.Il Saggiatore Milano 2005

Lutz KlinKhammer – “L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945” Ed. Bollati Boringhieri 1993

 

 

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Le conseguenze delle leggi razziali

1 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Nel Censimento speciale nazionale degli ebrei, ad impostazione razzista del 22 agosto 1938 vengono censite 58.412 persone aventi per lo meno un genitore ebreo; di esse, 46.656 sono effettivamente ebree (pari a circa l’1 per mille della popolazione della penisola). Nel Consiglio dei ministri del 1-2 settembre 1938 viene approvato  un primo gruppo di decreti antiebraici che contengono tra l’altro provvedimenti immediati di espulsione degli ebrei dalla scuola. Seguono provvedimenti di espulsione degli ebrei dagli impieghi pubblici e dalle libere professioni, limitazione del loro diritto di proprietà.

Nel maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per alcune categorie di ebrei italiani.

 

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Precettazione degli ebrei a scopo di lavoro
 

 

Nel  settembre del 1943 parte il primo convoglio di deportazione di ebrei arrestati in Italia (da Merano) ad opera dei nazisti. Il 16 ottobre 1943 la polizia tedesca attua a Roma una retata di ebrei, la più consistente dell’intero periodo. Due giorni dopo vengono deportate ad Auschwitz 1023 persone. Di questi deportati, solo 17 sopravviveranno.

Il 30 novembre 1943 viene diramato l’Ordine di polizia n. 5 del Ministero dell’interno della RSI, decretante l’arresto degli ebrei di tutte le nazionalità, il loro internamento dapprima in campi provinciali e poi in campi nazionali, il sequestro di tutti i loro beni (alcune settimane dopo verrà disposta la trasformazione dei sequestri in confische definitive; la Rsi si approprierà di terreni, fabbricati, aziende, titoli, mobili, preziosi, merci di famiglie ebraiche). Nella "caccia agli ebrei", i più accaniti sono i fascisti delle bande autonome, la banda Carità a Firenze, la banda Kock a Roma e poi a Milano, la legione Muti, e la Guardia nazionale repubblicana, le Brigate Nere, le SS italiane.

In attuazione dell’ordine del 30 novembre, nel dicembre 1943 viene allestito il campo nazionale di Fossoli, e il 19 e 22 febbraio 1944 partono i primi convogli di deportazione da Fossoli (per Bergen Belsen e Auschwitz) organizzati dalla polizia tedesca. Il campo di Fossoli si rivela quindi come il punto operativo di cerniera tra Rsi e Terzo Reich per la deportazione.

Gli ebrei arrestati e deportati nel nostro Paese furono 6807; gli arrestati e morti in Italia, 322; gli arrestati e scampati in Italia, 451. Esclusi quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah sono 5791 (fonte Liliana Picciotto Fargion nell'aggiornamento del "Libro della Memoria").

Secondo uno studio di Michele Sarfatti, i perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35.000. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; 5500-6000 riuscirono a rifugiarsi in Svizzera; gli altri 29.000 vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città. Circa 2000 ebrei, tra i quali Enzo e Emilio Sereni, Vittorio Foa, Carlo Levi, Primo Levi, Umberto Terracini e Leo Valiani, parteciparono attivamente alla Resistenza dando un alto contributo al ritorno della libertà e della democrazia in Italia (1000 inquadrati come partigiani e 1000 in veste di "patrioti"), pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana. Circa 100 ebrei caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; cinque furono insigniti di medaglia d’oro alla memoria.

 

Il "Giorno della Memoria"

Legge 20 luglio 2000, n. 211

"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"

 

Per ricordare la Shoah, cioè lo sterminio nazista del popolo ebraico e di tutti quanti soffrirono e morirono nei campi di concentramento, nelle prigioni naziste e fasciste di tutta Europa o che furono perseguitati, tormentati, vilipesi, persero il lavoro, la scuola, i diritti civili e poi fucilati, torturati o impiccati, solo per il fatto di essere ebrei, è stato fissato il 27 gennaio "Giorno della Memoria".

Quel giorno, vuole anche ricordare l'infamia delle leggi razziali fasciste, la persecuzione terribile degli ebrei italiani, la loro deportazione prima nel campo di Fossoli e poi in quelli di sterminio in Germania o in Polonia. Un gran numero finirono anche nella Risiera di San Sabba per essere massacrati. Altri furono prelevati nel Ghetto di Roma (più di mille, tra i quali 207 bambini) per finire ad Auschwitz o a Mauthausen. Tornarono solo in sedici. Una cinquantina morirono poi nell'infame carnaio delle Fosse Ardeatine, sempre per l'unica colpa di essere ebrei. Le autorità fasciste furono - e i fatti lo dimostrano - strettamente legate agli occupanti nazisti e fornirono nomi ed elenchi "dei figli di Israele" da portare via per sempre. Altre volte, parteciparono direttamente ai rastrellamenti e alle deportazioni. Certo, ci furono questori coraggiosi, poliziotti, carabinieri e autorità militari che aiutarono gli ebrei a rischio della vita. E altri ebrei furono salvati da tanti singoli italiani indignati per la persecuzione. Poi dalla Chiesa, dai parroci, dalle suore e dagli uomini della Resistenza antifascista.

Copertina del libro “I Giusti d’Italia”: nel libro sono raccontate le storie di italiani non ebrei che durante la Shoah salvarono uno o più ebrei dalla deportazione e dalla morte, rischiando la propria vita e senza trarne alcun vantaggio personale.
i-giusti-Italia.jpg

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l'applicazione delle leggi razziali a Lissone

1 Décembre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #la persecuzione degli ebrei

Le leggi razziali del Fascismo del 1938 si ispiravano alle leggi di Norimberga (Decreti antisemiti emessi a Norimberga nel settembre 1935, in occasione di un raduno nazionale del partito nazista. Le Leggi di Norimberga costituirono le basi della persecuzione antisemita, che condusse progressivamente all'esclusione degli ebrei dalla vita economica, politica e civile della Germania nazista, fino allo sterminio di massa.

In applicazione delle leggi razziali anche a Lissone periodicamente viene svolto il censimento degli ebrei. Così nell'agosto del 1942 La Regia Prefettura di Milano ordina la revisione del censimento degli Ebrei. 
Revisione-censimento-ebrei.jpg

Nel 1942, in una lettera alla Questura di Milano, il Commissario Prefettizio di Lissone, Aldo Varenna, comunica che nel Comune di Lissone "non ven mai censito alcun ebreo".

Nel 1944 in paese vi sono molti sfollati a causa dei bombardamenti degli Alleati. Ed è proprio un cittadin, Michele Cassin, residente a Milano con una attività di commercio di compensati e tranciati, la cui sede è a Lissone in Via San Martino, che viene identificato come non appartenente alla razza ariana, figlio di genitori ebrei (i genitori, defunti, avevano nomi tipici ebrei).  

Il 14 gennaio 1944 il Commissario Prefettizio Varenna segnala alla Prefettura di Milano (ormai della Repubblica Sociale Italiana) che "il locale Comando dei Carabinieri, in seguito ad ordine della Tenenza di Desio, ha proceduto al sequestro dell'azienda", dopo aver effettuato l'inventario dei beni in essa custoditi.

Non si conosce quale fu la sorte dello sventurato responsabile dell'azienda Iissonese dopo il sequestro dei suoi beni. 
Il 30 giugno 1944 Ancona Elisa, nata a Ferrara ma residente a Lissone, viene arrestata perché di origini ebree; dal carcere di Milano viene mandata ad Auschwitz dove muore subito dopo il suo arrivo il 6 agosto 1944.

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