Il contributo delle Forze Armate regolari nella Resistenza e nella Guerra di liberazione
Dalla conversazione di LEANDRO GIACCONE, tenuta il 24 gennaio 1975 nell'Aula magna dell'Università Cattolica di Milano
Il 10 giugno 1940, anche se l'esercito francese si era dissolto come nebbia al sole, le autorità militari italiane rimasero assolutamente contrarie al nostro intervento nel conflitto. Per tenere la Libia avremmo dovuto conquistare il dominio, aeronavale del Mediterraneo, e per tenere l'Africa Orientale avremmo dovuto conquistare l'Egitto. Non eravamo in grado di affrontare con logiche probabilità di successo né l’uno né l'altro compito, perché il nostro potenziale aeronavale e - mezzi e basi - era nettamente inferiore a quello del nemico, e né in Italia né in Africa avevamo moderne unità corazzate.
Mussolini conosceva benissimo il pensiero e le ragioni dei militari, ma dichiarò egualmente la guerra, convinto che l’Inghilterra fosse sul punto di chiedere anch'essa la pace subito dopo la Francia. Ma ciò non accadde e le ostilità proseguirono. Le Forze Armate, il popolo italiano seguitarono a combattere per quaranta mesi quella guerra che era stata intrapresa dai responsabili politici, dal regime fascista, nella sciagurata certezza che dovesse concludersi in pochi giorni.
Nel 1941, entrati nel conflitto gli Stati Uniti, la vittoria tedesca era ancora possibile: dipendeva dalla eventualità di una richiesta di pace da parte della Russia. Alla fine del 1942 il crollo della Russia non era più credibile, il potenziale bellico degli Alleati cresceva ogni giorno, mentre ogni giorno diminuiva quello dell'Asse; in Estremo Oriente il Giappone aveva perso l'iniziativa senza speranza di poterla recuperare. La guerra scatenata da Hitler era irrimediabilmente perduta.
Spettava ai politici dell'Asse trarre le conclusioni, e chiedere la pace nell'interesse dei popoli di cui reggevano le sorti. Ma l'unico responsabile della politica tedesca, Hitler, e l'unico responsabile della politica italiana, Mussolini, non vollero accettare la dura realtà della sconfitta: loro sopravvivenza politica diventava incompatibile con il bene supremo dei due paesi.
Le masse popolari avevano sensazione istintiva che la guerra fosse ormai perduta e desideravano solamente la pace; ma non potevano far valere le loro istanze, perché le organizzazioni di massa facevano tutte capo ai gerarchi del Partito Unico.
Per cessare la guerra bisognava liquidare i due regimi e la difficoltà maggiore non era l'estromissione di Mussolini o l'eliminazione di Hitler con un attentato, ma la possibilità di neutralizzare istantaneamente tutti i reparti della Milizia fascista in Italia, tutti i reparti delle SS in Germania: solo gli eserciti regolari potevano tanto.
Il 25 luglio, appena caduto Mussolini, Hitler dette immediata esecuzione al piano già preordinato per neutralizzare le conseguenze strategiche di una nostra possibile pace separata. Oltre alle otto divisioni tedesche già in Italia, la notte del 26 cominciarono ad affluire un’altra diecina, tante quante furono giudicate sufficienti a neutralizzare istantaneamente le forze italiane dislocate nella Penisola. Così le nostre Autorità politiche e militari tra il 25 luglio e l'8 settembre agirono sapendo che l'alleato da cui si stavano dissociando era di fatto padrone della situazione.
Quando gli Alleati proclamarono al mondo l’avvenuto armistizio, l'Alto Comando fu in grado di impartire ordini operativi di reale consistenza solo alle forze capaci di movimento autonomo: la Marina e l'Aeronautica. Che ubbidirono raggiungendo Malta e gli aeroporti dell'Italia liberata. Per le forze terrestri le possibilità strategiche erano pressoché nulle; ai vertici della gerarchia non vi erano personalità di eccezione capaci di affrontare il disastro incombente, e l'esercito si dissolse.
Solo a livello dei minori reparti, eccezionalmente di Divisione, si verificarono ovunque resistenze cruente contro i tedeschi che procedevano al nostro disarmo. Furono episodi fatalmente di breve durata, ed irrilevanti sul piano strategico; ma di enorme importanza sul piano psicologico e politico. Quei fatti d'arme spontanei, ed ancor più il rifiuto di tutti i militari italiani di proseguire la guerra accanto ai tedeschi, furono la conferma plebiscitaria che le masse avevano aderito alle decisioni di vertice di scindere il nostro destino dal destino dell'alleato nazista.
Secondo le clausole dell'armistizio gli Alleati affiancarono al Governo italiano una Commissione di controllo che era arbitra di ogni nostra attività politica: era composta da rappresentanti di Russia, Inghilterra e Stati Uniti d'America. Al nostro Stato Maggiore affiancarono una Commissione di controllo che era arbitra di ogni nostra attività politica: era composta da rappresentanti di Russia, Inghilterra e Stati Uniti d'America. Al nostro Stato Maggiore affiancarono una Missione, che era arbitra di ogni nostra attività militare: composta da ufficiali inglesi, aveva la sigla MIIA e noi la chiamammo subito “Mammamia”.
Era stato promesso un trattato di pace più o meno duro a seconda del nostro apporto alla guerra contro la Germania, e subito sollecitammo l'impiego sul fronte italiano delle quattro Divisioni che in Sardegna ed in Corsica si erano salvate dal crollo generale. “Mammamia” rifiutò le nostre offerte, altrimenti l'alleanza di fatto si sarebbe fatalmente trasformata in alleanza di diritto, sarebbe stato impossibile a fine guerra imporci un trattato di pace punitivo.
Ma la politica inglese tendeva pure a mantenere pure in piedi le strutture fondamentali dello Stato italiano, per assicurare alla fine del conflitto una certa stabilità politica generale nell'area del Mediterraneo; cosi in seno alla Commissione politica sosteneva la Corona, e non poté esimersi dal concederci almeno di far entrare in linea, nel novembre 1943, il I Raggruppamento Motorizzato.
Si trattava solo di pochi Battaglioni e di qualche Gruppo di artiglieria raggranellati in Puglia, che, inseriti nella V Armata americana sul fronte di Cassino, portarono a termine con grande sacrificio di sangue l'azione tattica della conquista di Montelungo.
Quel primo nucleo dell'esercito italiano che si ricostituì nel Sud sotto la guida di ufficiali di stato maggiore del governo Badoglio, era composto inizialmente da 10.000 uomini e in seguito, sia per il buon rendimento che per altre ragioni di ordine politico, portato a 25.000 e infine a 50.000 con armi ed equipaggiamenti "made in USA."
Il primo nucleo di combattenti del CIL era formato in genere da soldati lombardi e bergamaschi della divisione Legnano, reduci quasi tutti dai fronti russo, africano, greco-albanese, che l'armistizio aveva sorpreso nelle Puglie.
Frattanto gli Stati Uniti perseguivano in Italia una politica diametralmente opposta a quella dell'Inghilterra. Essi erano favorevoli all'impiego massiccio di nostre Grandi di Unità per farci poi ottenere lo status di alleati, ma temporaneamente davano il loro appoggio a quelle correnti politiche che tendevano a liquidare le Forze Armate, ancora legate alla Corona dal loro giuramento di fedeltà.
A sua volta la Russia perseguiva in Italia una politica diversa sia dall'Inghilterra sia dall'America. Essa da tre anni stava sopportando il maggior peso della macchina bellica tedesca, ed era sottoposta ad uno sforzo sovrumano: le incombenti necessità militari condizionavano ogni sua scelta politica. Era suo interesse che contro i tedeschi entrassero subito in linea le maggiori possibili forze Non aveva nessuna importanza che sul bianco delle bandiere ci fosse o non ci fosse lo scudo sabaudo, e poiché l’efficienza dell'esercito era in quel tempo naturalmente condizionata dalla Corona, Stalin, meno ambiguo di Churchill e più razionale di Roosevelt, ne aveva tratto tutte le logiche conseguenze.
Nel marzo 1944 Togliatti sbarcava a Napoli e dichiarava che il problema istituzionale doveva essere accantonato per costituire un Governo capace di creare un esercito il più forte possibile, che entrasse al più presto in linea contro i tedeschi. Cosi furono i russi e il ricostituito Partito Comunista a dare il più incondizionato appoggio politico e morale alle nostre Forze Armate regolari, che si andavano faticosamente ricostituendo tra inenarrabili difficoltà.
Nel gennaio 1944 il giovane generale di Brigata Utili fu inviato ad assumere il comando del I Raggruppamento, che "Mammamia" aveva già deciso di sciogliere inviando i suoi 5000 uomini a reparti lavoratori nelle retrovie. Utili non si rassegnò, saltò tutta la gerarchia, e riuscì a farsi ricevere dal generale Clark, comandante della V Armata americana. Il colloquio fu lungo e a momenti drammatico, ma alla fine ad Utili fu consentito di fare il tentativo di mettere in piedi validi reparti combattenti, se in quelle condizioni era un'impresa ai limiti delle possibilità umane.
Alle truppe, Utili chiese il massimo che potevano dare ed affrontò combattimenti a mano a mano più impegnativi, nella misura in cui il morale dei reparti andava migliorando, anche se i disagi materiali seguitavano ad essere gravi, specie per l'insufficiente equipaggiamento.
Nel marzo 1944, a sottolineare la positiva valutazione del comportamento bellico dei nostri reparti, fu consentito che il complesso delle forze italiane combattenti assumesse il nome di Corpo Italiano di Liberazione, CIL. La nostra estrema debolezza politica non era in grado di smuovere l’Italia dalla equivoca posizione di "cobelligerante," ma i militari, con chiara visione degli obiettivi politici della nostra partecipazione alla guerra, riuscivano a porsi, almeno nel nome, sullo stesso piano degli alleati.
A fine maggio 1944 il CIL venne trasferito nel settore adriatico, e per tre mesi consecutivi fu impiegato senza soste all'inseguimento del nemico che con perfetta manovra ripiegava sulla linea Gotica, imbastendo successive valide linee di resistenza. Così molte genti d'Abruzzo, delle Marche e della Romagna ebbero il privilegio di non essere liberate da truppe straniere.
A fine agosto il CIL fu ritirato dalla linea di combattimento mento, ed il generale Browing, capo in testa di "Mammamia," venne a farci un discorso: " ... Voi del CIL avete reso un grande servizio all'Italia; se voi non aveste combattuto bene, gli Alleati non avrebbero mai accettato di costituire una più numerosa forza combattente italiana". Si trattava finalmente, di sei Divisioni.
Friuli" e "Cremona," che l'8 settembre si erano validamente battute contro i tedeschi in Sardegna ed in Corsica, erano già in approntamento; con il CIL si costituirono la "Legnano" e la "Folgore"; successivamente si sarebbero armate la "Mantova" e la "Piceno." Ma poi agli Alleati sembrò di aver concesso troppo: le Divisioni italiane si sarebbero chiamate Gruppi di Combattimento, e non sarebbero stati impiegati riuniti in un'Armata italiana, ma suddivisi alle dipendenze di Corpi d'Armata alleati. Tutto per attenuare le conseguenze politiche del nostro concorso allo sforzo bellico comune.
Tra gennaio e marzo 1945, Cremona, Friuli, Folgore e Legnano furono schierate sulla linea Gotica. Tutte presero parte all'offensiva generale che iniziò il 9 aprile sul fronte dell'VIII Armata inglese; il 14 entrò in azione la V Armata americana; il 21 aprile cadeva Bologna, saltava tutto il sistema difensivo tedesco, e sul piano strategico la guerra in Italia era conclusa e vinta.
Due Armate, centinaia di migliaia di tedeschi in armi si arresero con i loro comandi di Corpo d'Armata e di Divisione, perché sopravanzati dalle colonne corazzate che precludevano ogni via di ritirata aprendosi a ventaglio su tutta la Valle Padana.
Le nostre Forze Armate regolari avevano concorso vittoria con:
60.000 soldati del CIL e dei Gruppi di Combattimento
75.000 marinai che con le navi battenti bandiera italiana dopo l'8 settembre avevano compiuto cinquantamila azioni di guerra;
30.000 aviatori che con gli apparecchi italiani salvati dalla catastrofe avevano effettuato undicimila voli nel cielo nemico;
38.000 militari che al di là delle linee avevano combattuto nella quinta colonna, in formazioni partigiane “Autonome”, non alle dipendenze di questo o quel partito, ma riconoscendosi solo parte integrante delle Forze Armate regolari.
180.000 militari, infine, erano in forza alle Divisioni ausiliarie aggregate alla V e all'VIII Armata, o erano presenti nei reparti territoriali per gli indispensabili servizi delle retrovie.
Tra il settembre 1943 e l'aprile 1945 caddero in combattimento, o morirono nei lager tedeschi, o furono fucilati come partigiani, oltre 86.000 militari con le stellette.
Ma il più massiccio, il più martoriato, il più incredibile contributo alla Resistenza, fu dato dai seicentomila militari catturati dai tedeschi nel settembre 1943. Essi rimasero nei lager fino all'aprile 1945.
Bibliografia:
1945/1975 ITALIA. Fascismo antifascismo Resistenza rinnovamento.
Conversazioni promosse dal Consiglio regionale lombardo nel trentennale della Liberazione.
Feltrinelli Editore aprile 1975