Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Lettera di un insegnante

7 Octobre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #La COSTITUZIONE italiana

Lissone,  7 ottobre 2018

 

Un insegnante di liceo, iscritto alla nostra associazione, l’ANPI di Lissone, ci scrive:

«La scuola è cominciata da meno di un mese. In questo mese ho incontrato diciassette famiglie e diciassette ragazze e ragazzi.

Sono venuti a bussare alla porta della mia scuola. Io avevo il compito di accoglierli. Vengono da lontano: Togo, Senegal, Egitto, Tunisia, Brasile, Perù, Repubblica Dominicana, Venezuela. Si chiamano Adham, Amal, Andres, Asmaa, Brayan, Cari, Elsayed, Jeikol, Yzabel, Misheel, Mamadou, Mohamed, Mohamed, Nashwa, Salaheldin, Tete, Alfonso (nipote di emigranti italiani). Il più piccolo ha 14 anni, il più grande 19.

Sono arrivati in Italia per raggiungere i loro genitori. Ho stretto le loro mani e ho ascoltato le loro storie, talvolta con l'aiuto di una mediatrice linguistica e di miei studenti che conoscono la loro lingua, talvolta usando le lingue che conosco.

Emmanuel Levinas ha detto: “Il volto non è semplicemente una forma plastica, ma è subito un impegno per me”.

Ho vissuto questo. Il volto è un'alterità che mi trascende e che risveglia in me il nostro mistero di essere umani e parte della vita. Quegli occhi e sguardi fuggitivi o pieni di bisogno e desiderio, quelle voci talvolta tremanti talvolta spavalde a nascondere la paura, quei pudori, dubbi, slanci; le mani avvicinate o allontanate; il pensiero al passato, alle cose perdute; il raccogliere gli abiti e le cose della vita e portarle con sé; il sentire che l'arrivo non è come lo si sognava o immaginava; il vedere con occhi nuovi il proprio paese; lo scoramento che rabbuia o la fiducia che illumina: tutto questo abbiamo condiviso in pochi minuti o in qualche ora. Tutto questo si scrive in due parole: speranza e dignità. Solo questo ho voluto far vivere nel poco che ho potuto fare. Non uno di meno. Non uno escluso. 

Incontri, telefonate, messaggi, mail, prove di valutazione, riflessioni, momenti di gioia e di tristezza. Di giorno, di sera, di notte pure. La lotta contro un sistema farraginoso, arbitrario e talvolta sordo.

Quando mi hanno detto grazie, con le parole, con gli occhi, regalandomi una penna o promettendomi un dolce di ringraziamento, io ho sentito un grazie per loro, perché mi hanno fatto rivivere e ricordare chi sono e cosa sono. Io sono un prof e ho fatto solo il mio dovere. Ho fatto il mio lavoro. È questo che professo. La dignità di ognuno.

Nel rincuorare loro e i loro genitori ho sentito in me la forza delle parole della mia Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”. Punto. Non ci sono aggettivi. Non una parola è di troppo, non una parola manca. Così scrive chi sa cosa è la dittatura e cosa è la guerra. E le ripudia.

La forza di queste parole mi ha sorretto e ho sentito i partigiani accanto a me ad accogliere questi ragazzi. Ho pensato a come li avrebbero accolti loro. Ho sentito che noi ora siamo "tutti". Ora che ognuno ha trovato faticosamente un suo spazio a scuola, nella mia e nelle vicine. È la strada giusta. Lo sento e vedo quando li incontro nel corridoio e mi salutano e mi dicono con gli occhi: questa ora è la mia scuola. Questa è la nostra scuola.

Buona fortuna e coraggio ragazzi. Ora possiamo camminare insieme».

                                                                                                       R.P.

Articolo 34 della Costituzione: La scuola è aperta a tutti”

Lettera di un insegnante
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