Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Dedicato ai giovani che si iscrivono all’ANPI

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

«Rappresentare e conservare il patrimonio ideale e programmatico della Resistenza nella coscienza civile e, soprattutto, nella coscienza giovanile d’oggi significa presentarla così come è stata, coglierne le tensioni interne, le elaborazioni politiche a cui il moto pervenne. Significa anche sottrarre la Resistenza al mito, e alla retorica dell’unità per l’unità, quando invece il processo unitario, di cui il Fronte fu un anello importante, non fu il fine ma il mezzo per una politica e per una lotta di popolo».

Primo Lazzari

Primo Lazzari ha preso parte giovanissimo alla Resistenza nel Veneto con la Brigata Garibaldi Tollot-Ferretto.

Giornalista, redattore del periodico dell’ANPI “Patria indipendente”.

 

Di seguito i seguenti articoli:

 

-    Storia del Fronte della Gioventù

 

-     Eugenio Curiel

 

-    I ragazzi di Curiel

 

-     Caduti del Fronte della Gioventù a Monza

 

 

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Storia del Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Era la precisa denominazione del Fronte della Gioventù.

 

Premessa

Per successivi stravolgimenti, per i giovani la denominazione Fronte della Gioventù evoca una ben diversa e opposta formazione, quella neofascista aggregata al Movimento sociale italiano, che se ne appropriò indebitamente nel dopoguerra. Vale a dire l’esatto contrario per ispirazione ideale, programmi politici e sociali, valori etici dell’organizzazione precedente che operò nella Resistenza e fu costruita da Eugenio Curiel, ucciso proprio dai fascisti a Milano nel febbraio 1944.

 

logo FdG logo FdG 2

Oltre a Eugenio Curiel, che ne fu il fondatore, il Fronte della Gioventù ebbe dirigenti di grande valore. Nel Comitato direttivo clandestino del Fronte faceva parte Gillo Pontecorvo, che nella prefazione al libro "Storia del Fronte della Gioventù nella Resistenza" di Primo Lazzari, scrive:

«È essenziale contro il logorio del tempo conservare i documenti del passato, della storia dove sono le nostre radici … è importante riaffermare i valori ideali che spinsero e sostennero tanti giovani spesso neppure ventenni a combattere, in molti casi sacrificando la loro vita appena sbocciata. ... Se mi chiedessero oggi cosa caratterizzava maggiormente la posizione morale del FdG, direi, senza esitazioni: la lotta contro l’indifferenza che, per contro, segna così negativamente il nostro tempo.

Per primo il FdG, durante la Resistenza, rivendicò il diritto di voto per i diciottenni; se si moriva a quell’età, e anche prima, per la libertà di tutti era doveroso concedere quel diritto,che allora sembrava rivoluzionario».

 

La fase costituente e l’esordio del Fronte fu principalmente frutto della disponibilità all’incontro, al dialogo alla collaborazione unitaria di tutti i più consistenti gruppi giovanili del composito schieramento antifascista. Il primo manifesto del “Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà” è redatto da Giancarlo Pajetta. Verso la fine di ottobre del 1943, il manifesto è stampato in volantini e affisso sui muri e sugli alberi di Milano; tra la curiosità e i commenti, desta enorme impressione tra i giovani lavoratori e gli studenti appena affluiti nelle scuole per l’inizio dell’anno scolastico e sancisce praticamente l’apparizione pubblica in Italia del FdG.

Nei giorni del crollo generale, con i tedeschi accampati in casa, la gioventù trovò nel Fronte un richiamo alle più valide tradizioni del Risorgimento, l’indicazione a ribellarsi all’asservimento nazista, l’appello a non rifuggire dalla lotta per conquistare con la liberazione un avvenire frutto di partecipe impegno.

Il FdG volle raccogliere tutti i giovani al di là di ogni distinzione sociale e di ogni tendenza politica, sull’unica piattaforma politica della lotta di liberazione nazionale per un’Italia rinnovata nella quale i giovani potessero porre i problemi del loro presente e del loro futuro.

La base fondamentale fino a quel momento è data dalla convergenza ideale e programmatica dei giovani socialisti e comunisti e di indipendenti e studenti antifascisti.

L’assise istituzionale del Fronte è la riunione che avviene qualche mese dopo nel convento di San Carlo a Milano, con l’adesione dei giovani democratico cristiani e cattolici alla piattaforma di massima delineata dal manifesto. Il decisivo incontro nel convento servita, attiguo alla chiesa, avviene alla fine di gennaio 1944, favorito e auspicato da padre Camillo De Piaz, un religioso che vede con aperta simpatia l’unità giovanile, incoraggiandone la delicata fase iniziale. Insieme a padre De Piaz agisce padre Davide Maria Turoldo, un altro religioso aperto a tutto ciò che di nuovo si agita nel mondo giovanile. In seguito il convento dei Serviti, sempre presenti i padri De Piaz e Turoldo, continua ad essere luogo di incontri del gruppo dirigente del Fronte.

Nell’inverno 1943-44 il centro e i vari gruppi regionali, collegati al centro di Milano, sono impegnati ad estendere il Fronte nelle province e nelle località dell’alta Italia. A Torino, Milano, Genova, Udine, Padova, Bologna, nei primi mesi del 1944 vengono costituiti gruppi del Fronte nelle fabbriche e nelle aziende di pubblica utilità (centrali elettriche). Si tratta di nuclei non numerosi ma che nel marzo successivo daranno un contributo notevole, come riconosceranno i comitati di agitazione di fabbrica, alla preparazione e alla condotta degli scioperi operai per maggiori quantità di pane a favore dei lavoratori e delle loro famiglie e contro i bandi di arruolamento militare. Anche tra gli studenti e nella scuola, spesso con l’aiuto degli insegnanti, vengono costituiti nuclei di giovani aderenti al Fronte.

Diversi comitati provinciali decisero di costituire speciali squadre, collegate con le SAP, incaricate di intensificare al massimo gli attacchi al nemico. In alcune città squadre del Fronte procedono alla identificazione e alla eliminazione sommaria dei più odiati delatori, mentre scritte murali tracciate nottetempo invitano i soldati di più giovane età delle varie armi fasciste a dissociare la responsabilità di un regime che ormai non ha altra alternativa che quella di affrontare la durezza della giustizia partigiana.

Il Fronte pubblicò un suo giornale, “La voce del soldato”, nel quale ai giovani che erano entrati nell’esercito di Graziani era additata la via attraverso la quale redimersi dalla vergogna di militare per gli interessi della Germania.

Il Fronte ha avuto come costante della sua molteplice attività quella di distinguere tra giovani arruolati e capi del fascismo, tra reparti addetti ai servizi territoriali o ausiliari e le più efferate schiere di rastrellatori e persecutori. Fu anche grazie a tale ragionata, lungimirante differenzazione se la divisione alpina Monterosa, formata in Germania da connazionali, si autodisgregò a contatto con i partigiani. Furono centinaia e centinaia gli alpini che, passati alla Resistenza, si batterono con onore e lealtà verso la nuova scelta.

Il FdG si estese in tutte le città e province dell’Italia settentrionale. I giovani vi riconobbero subito il loro organismo di lotta e vi si raccolsero a migliaia.

Fece sentire il suo peso in una vasta opera di propaganda, che, attraverso l’affissione e il lancio di manifesti, le scritte murali, la diffusione di opuscoli e del “Bollettino del Fronte della Gioventù”, affermò davanti a tutti la volontà decisa dei giovani di opporsi al nazifascismo, alle deportazioni in Germania, alle razzie, alle coscrizioni. Diede il suo contributo alla lotta partigiana entrando nelle sue file; entrando nelle sue file, costruirono e guidarono unità nuove, mentre i giovani/e rimasti nelle città raccoglievano armi, indumenti viveri, tutto quanto era necessario alle unità che si andavano formando in montagna. Altri giovani del Fronte penetravano nelle caserme, facevano opera di propaganda tra i giovani che si erano presentati, persuadevano molti a svestire la divisa e a entrare con armi e bagagli nelle file partigiane, inducevano altri a manifestare la propria attività e la propria adesione al Fronte, sabotando la vita nelle caserme, dando informazioni preziose di carattere militare, sottraendo documenti, permessi, esoneri regolari. Migliaia e migliaia di manifestini si diffondevano ovunque assieme ai giornali che si pubblicavano a cura dei comitati provinciali.

L’opera disgregatrice raggiunse ben presto notevoli risultati: nei mesi di giugno, luglio, agosto, settembre 1944, migliaia e migliaia di giovani abbandonarono le file dell’esercito fascista e si avviarono verso la montagna.

Sabotaggio leggero (taglio di fili telefonici e telegrafici, uso di chiodi a quattro punte, interruzione e danneggiamento di linee ferroviaria, stradali) ed azioni di maggiore importanza quali l’assalto ad autocolonne fasciste e tedesche, far saltare depositi di munizioni (qualora non fosse possibile asportarli), danneggiare gravemente linee ferroviarie, ponti, viadotti, gallerie.

 

Il Fronte, riconosciuto dal CLNAI e dai CLN periferici, fu presente in numerosi CLN di fabbrica e di azienda, in centinaia di scuole e in tutte le città dell’alta Italia, e pur avendo passato alle formazioni partigiane migliaia di aderenti, contò numerose squadre armate.

L’azione del Fronte, in occasione dell’insurrezione si ispirò ai seguenti principi:

- porre ogni nucleo armato alle dipendenze operative dei comandi partigiani;

- propagandare al massimo tra i giovani soldati di Salò la parola d’ordine base della Resistenza di “arrendersi o perire”;

- massimo potenziamento alle SAP, mettendovi tutti i giovani in grado di combattere;

- decisivo impegno per la preparazione dello sciopero generale insurrezionale nelle scuole, nelle fabbriche e per la salvezza degli impianti dalle distruzioni.

Le ragazze del Fronte, quando non si batterono con le armi, furono impegnate nell’assistenza ai feriti, e come staffette.

 

 

Bibliografia:

"Storia del Fronte della Gioventù nella Resistenza" di Primo Lazzari – Mursia 1996

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Chi era Eugenio Curiel

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Eugenio CurielCuriel aveva 32 anni essendo nato nel dicembre 1912 a Trieste, città che ha sempre avuto cara, da una agiata famiglia; il padre era ingegnere ai cantieri navali S. Marco. Avviato agli studi scientifici già a 16 anni, studente al liceo Guglielmo Oberdan, sostiene con il padre che lo aveva trovato con dei volantini di carattere politico, una accalorata discussione. Conseguita con un anno di anticipo la maturità classica, nel 1929 si iscrive ad ingegneria all'università di Firenze, alloggiando in casa dello zio materno Ludovico Limentani, docente di filosofia morale presso lo stesso ateneo, firmatario del famoso manifesto degli intellettuali antifascisti redatto nel 1925 da Benedetto Croce.

Sul finire del 1931 si trasferisce al Politecnico di Milano; l'anno successivo ottiene il passaggio al corso di laurea in fisica all'ateneo fiorentino, rivelando subito una straordinaria propensione per le scienze esatte. A Firenze si impegna nella ricerca per una tesi di fisica sperimentale sulle disintegrazioni nucleari. Nel 1933 si trasferisce all'università di Padova dove si laurea il 20 agosto 1933 col massimo dei voti e la lode. A soli 22 anni, diventa assistente universitario. Con altri intellettuali ebrei come lui, costituisce all'università l'embrione di una cellula comunista. Si impegna a fondo nell’attivismo politico. Incaricato di redigere la pagina sindacale del giornale universitario patavino Il Bo, apre un dialogo tra studenti, intellettuali e operai. Utilizza i molteplici incontri occasionati dei Littoriali fascisti della cultura per avvicinare e collegarsi con nuclei di intellettuali, critici verso il regime. Particolarmente intensa in questa
direzione
è l'attività svolta durante i Littoriali del 1938 a Palermo. Nel 1938, in conseguenza delle leggi razziali, viene esonerato dall'insegnamento universitario, ciò che determinerà definitivamente il suo distacco dall'ambiente accademico e la decisione di dedicarsi totalmente alla cospirazione politica. Curiel rifiuta così vantaggiose sistemazioni come insegnante che gli venivano offerte dalla Svizzera e dagli Stati Uniti d'America.

Nel giugno 1939. dopo un breve arresto in Svizzera, torna a Trieste per la morte del padre.

Il suo arrivo a Trieste non sfugge alla polizia che, individuandolo, il 24 giugno lo fa arrestare da agenti dell’OVRA e trasferire a Milano al carcere di S. Vittore; è assegnato poi al confino di Ventotene per 5 anni. Al confino si impegna in discussioni di carattere politico, svolgendo una serie di vere e proprie lezioni ai colleghi detenuti.

Dopo il 25 luglio riesce a lasciare Ventotene con l'ultimo scaglione di confinati il 21 agosto 1943. Raggiunge Padova.

Successivamente trascorre alcune settimane. a Brescia (con lo pseudonimo di prof. Giorgio Sebastiani) in casa di un conoscente, legandosi agli ambienti antifascisti della città, al CLN locale e partecipando a riunioni e incontri anche con sacerdoti. A Brescia si impegna nell'attività cercando di mettere in piedi un rudimentale apparato tipografico per stampare. volantini.

Alla fine di ottobre viene chiamato a Milano dalla direzione del PCI per l'alta Italia e invitato da Luigi Longo a proseguire il lavoro iniziato da Gian Carlo Pajetta, per la costruzione unitaria della nuova formazione giovanile e a collegarsi ai vari gruppi che già si muovevano in tal senso a Milano e in diverse altre città.

Molto alto di statura, con folti capelli neri, Curiel era schivo e riservato. Ma quando la discussione si animava, la sua timidezza lasciava il posto alla logica più stringente. Amava discutere il lavoro clandestino con i suoi collaboratori facendo lunghe camminate per le vie di Milano. Sapeva trovare con gli amici, con i collaboratori, anche di parte politica avversa, momenti di umana confidenza.

Curiel voleva “una democrazia nuova, forte, progressiva, aperta a tutte le conquiste, ad ogni progresso politico e sociale, senz'altro limite che quello della volontà popolare”.

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La morte di Eugenio Curiel

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

La morte di Eugenio Curiel

In memoria di Eugenio Curiel Giorgio»)

 

 

 

In un giorno della vita

ho camminato con Giorgio

a capo scoperto nel cielo.

Giorgio era un compagno

Giorgio era il Partito.

 

Giorgio era il suo cuore

maturo come un frutto

Giorgio era la sua voce

inceppata e sicura,

i denti neri, il tabacco nero

la sigaretta arrotolata

un desiderio di svegliare

il mondo coi suoi pensieri.

Ho udito Giorgio

ho visto Giorgio

alto come le case

nell'orizzonte del cielo.

A maggio lo portammo al cimitero.

Se potevamo camminare,

e coprirlo di fiori e di bandiere

era perchè da morto c'indicava

la grande strada della primavera.

 

                  Alfonso Gatto

 

 

 

 

 

Ormai alle soglie dell'insurrezione vittoriosa il Fronte perde con Eugenio Curiel il capo la guida.

L'uccisione di Curiel avviene il 24 febbraio 1945 a Milano, in via Enrico Toti, tra piazzale Baracca e piazza Conciliazione.

Quel 24 febbraio è un giorno come tutti gli altri per Curiel.

Ha una serie di appuntamenti ed incontri con amici e collaboratori. Sono circa le 14.30 quando Curiel si avvia all'appuntamento con la sorella fissato al caffè· Biffi nello stesso piazzale.

Viene fermato da un drappello di brigate nere le quali, armi alla mano, gli intimano di esibire i documenti. Non eccessivamente preoccupato perché in possesso di buoni documenti, naturalmente falsi, Curiel si avvede soltanto in un secondo momento che uno dei presenti, un delatore, lo indica per nome ai militi. Il tristo individuo era lo stesso che qualche giorno prima lo aveva riconosciuto in una via di Milano e lo aveva salutato senza esitazione, bonariamente, chiedendogli cosa facesse in città. Curiel, sorpreso, come egli stesso raccontò agli amici della redazione del giornale, non aveva potuto far altro che ostentare buon viso a cattiva sorte, precisando di trovarsi a Milano solo di passaggio, diretto a Trieste. Evidentemente il delatore (uno squallido ex confinato a Ventotene, messosi al servizio della polizia, già isolato dagli antifascisti alla colonia di pena, ma che, naturalmente, conosceva bene Curiel) non aveva creduto al racconto di Curiel e aveva subito avvertito i fascisti del fortuito incontro. Questi, senza perdere tempo, avevano organizzato un attento piano di ricerca e, aiutati da chi era in grado di riconoscerlo immediatamente, lo fermano in piazzale Baracca, puntandogli addosso le armi.

Vistosi identificato, consapevole del fatto che ormai i documenti non gli sarebbero serviti a nulla, Curiel, che non si faceva evidentemente illusioni sulla sorte che lo attendeva, tenta la disperata mossa della fuga. Sperava probabilmente di riuscire a confondersi tra il via vai della gente. Con uno spintone si discosta dagli uomini che lo fronteggiano e si lancia di corsa attraverso il piazzale Baracca verso via Enrico Toti. Una raffica di mitra lo colpisce ad una gamba, facendolo stramazzare al suolo. Curiel si rialza e riprende la corsa, ma viene raggiunto da una serie di raffiche che lo abbattono al suolo.

Il caso vuole che a poca distanza si trovi uno dei più autorevoli componenti del CLNAI, Leo Vali ani che assiste così agli ultimi istanti del tragico epilogo.

Il giorno dopo i giornali recano la notizia dell'uccisione di uno sconosciuto.

Ragioni elementari di sicurezza e di vigilanza avrebbero imposto che, vistosi riconosciuto da un antico strumento della polizia, Curiel abbandonasse immediatamente Milano per trasferire la sua attività e l'opera di direzione del Fronte in una nuova e più sicura sede. Erano regole di vita clandestina normalmente osservate dai dirigenti antifascisti, più volte rivelatesi poi efficaci per parare i colpi delle spiate. Curiel però, non aveva voluto dare eccessivo peso all'incontro imprevisto e non aveva voluto lasciare Milano, dove lo trattenevano importanti compiti, primo fra tutti la direzione e il coordinamento delle multiformi attività del Fronte, ingigantite ora che si entrava nella fase della preparazione dell'insurrezione. Il non aver dato l'importanza dovuta all'incontro col delatore e il non aver preso tutte le conseguenti misure di emergenza, gli fu fatale.

  

La sua fiducia ferma in noi

Dov'è ora Giorgio per il nostro affetto? Legato a quello che gli è accaduto, fermo come un orologio a quelle ore tre del pomeriggio, in quel Piazzale Baracca, quel 24 febbraio. Viene da una strada diretto ad entrare in un'altra, attraversa il piazzale, nel sole che è stato di quell'ora, e una cieca scarica di piombo gli becca e trapunge le gambe; Giorgio cade ma non sa perchè sia caduto. Non fanno male le ferite al momento stesso in cui le riceviamo. Giorgio vuole rialzarsi, capire che cosa sia stato, e appoggia in terra le mani, forse si siede. Cerca anche gli occhiali? Certo Giorgio, cadendo, ha perduto gli occhiali. Allora lo percuote nell' addome, la seconda scarica che lo ferma. E questo è ora Giorgio per noi, fermato in quel punto per sempre, e il nostro affetto, che lo vede, diventa in noi qualcosa di più, sicurezza di più che conquisteremo tutto quello in cui Giorgio credeva, una vita migliore infondo a tutta questa lotta, libera per tutti gli uomini, felice per tutti gli uomini. Questo è ora Giorgio per noi. Fermo nell'atto in cui fu assassinato e la sua fiducia ferma in noi, donata da lui a noi pur in mezzo alla nostra perdita.

Elio Vittorini

Il pomeriggio del 26 aprile alla sede del CVL del settore centro in via Meravigli 2 si presenta un uomo alto e magro. Dice di essere il custode dell'obitorio e di aver tenuto nelle celle mortuarie, contrariamente agli ordini dei fascisti, le salme di alcuni partigiani uccisi dai nazifascisti nelle settimane e nei giorni precedenti l'insurrezione. I dirigenti del CLN ringraziano l'uomo per aver contribuito ad evitare che le salme venissero disperse.

Carlo Perasso, comunista, presidente di quel CLN, s'interessa personalmente della questione e invia subito all'obitorio alcuni delegati, tra cui la moglie Ada: è necessario identificare, dare una nome a quei poveri resti e seppellirli degnamente. All'obitorio vengono tolti, uno dopo l'altro, i carrelli che contengono le salme. Sono tutti di sconosciuti e identificarli è difficile. Ada Perasso, comunista, torna un'altra volta davanti a quei corpi martoriati. Di fronte a uno di essi si arresta, sbianca in volto e mormora qualcosa che gli altri non capiscono. La salma è quella di un uomo giovane, alto. «È Curiel! Questo è Eugenio Curiel!» Ada Perasso quasi grida.

La notizia viene subito comunicata al CLN e al sindaco Greppi. I funerali di questi partigiani si svolgono solennemente, a spese del Comune.

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I ragazzi di Curiel

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Eugenio Curiel era entrato giovanissimo nel movimento antifascista iscrivendosi al PCI dopo aver sofferto tutte le contraddizioni della gioventù italiana, ingannata dalla retorica del fascismo e mandata a morire sui fronti d'Africa e d'Europa. Egli era convinto che la riscossa del popolo italiano non poteva avvenire se non con la partecipazione diretta e attiva di grandi masse di giovani. Per dare concretezza a questa aspirazione Curiel aveva creato nel 1943 il Fronte della Gioventù, l'organizzazione clandestina che in breve tempo raccolse un gran numero di ragazzi e ragazze.

Curiel soleva affermare che «la gioventù italiana doveva essere la forza che avrebbe salvato l'Italia e all'Italia avrebbe restituito la libertà e la dignità di nazione civile». Il progetto del Fronte era di difficile attuazione perché doveva far leva sulle forze morali dei giovani, alimentare nei loro animi la volontà di rompere con un mondo violento e corrotto, risvegliare la fiducia nelle loro forze, spronarli a una "scelta" consapevole. Primo obiettivo del Fronte era combattere i nazifascisti per conseguire l'indipendenza del Paese. La forma d'organizzazione era il gruppo in cui si raccoglievano ragazzi di tutte le tendenze politiche, di qualunque religione e di ogni origine sociale. Quando il Fronte della Gioventù lanciò il suo appello alla lotta, migliaia di ragazzi della città e della campagna, aderirono all'appello, un'adesione che rafforzò naturalmente le formazioni partigiane, le squadre GAP e le SAP.

I dirigenti del Fronte tennero le loro prime riunioni a Milano nei locali della sacrestia di San Carlo, aiutati da sacerdoti antifascisti come padre Camillo Da Piaz che dette un grande contributo allo sviluppo del Fronte della Gioventù. Anche se completamente indipendente, il Fronte agiva all'interno dello schieramento antifascista clandestino. Elio Vittorini e Giuliano Pajetta, che fu commissario di guerra nelle Brigate internazionali in Spagna, ebbero numerosi contatti con i dirigenti del Fronte.

Dopo alcuni mesi dedicati all'organizzazione capillare, nell'estate del ‘44 il Fronte dimostrò tutta la sua forza mobilitando una fitta rete di gruppi nelle scuole, nelle officine, nelle università, nei rioni cittadini, nei paesi.

Sotto la guida di Curiel l'attività militare divenne preponderante nel Fronte fino a rendere necessaria la costituzione di una brigata d'assalto e il suo impiego in decine di azioni contro i nazifascisti. Quasi ogni giorno, quasi ogni notte, in questo o quel quartiere di Milano, distaccamenti della brigata del Fronte attaccavano fascisti isolati o in gruppi, s'impadronivano delle loro armi e spesso anche degli indumenti che venivano poi destinati ai partigiani in montagna. Non faceva loro difetto la fantasia: per esempio si deve ai giovani del Fronte "la confisca" di una grande quantità di medicinali, preziosi per la lotta clandestina.

Nei mercati rionali i giovani si rivolgevano alle massaie inducendole ad appoggiare la Resistenza per affrettare la pace, il ritorno dei mariti, dei fratelli, dei padri dispersi in tutte le contrade d'Europa, rinchiusi nei campi di concentramento nazisti o deportati chissà dove dagli stessi Alleati prima dell'8 settembre '43.

FdG 12 luglio 1944 FdG 12 luglio 1944 retro

Molti comizi si tenevano all'improvviso davanti alle fabbriche, sui sagrati delle chiese, negli atri delle scuole, perfino all'interno dei cinematografi: comizi volanti dei giovani del Fronte che sbalordivano anche il nemico per l'audacia degli organizzatori. Oratori e pubblico erano difesi da squadre armate del Fronte. Molti operai anziani ricordano ancor oggi queste squadre in azione alla Borletti, alla Siciliani, alle Trafìlerie, alla Vanzetti, alla Pirelli.

L'8 giugno 1944 una squadra di giovani in divisa da ufficiali e militi repubblichini penetrò nella caserma fascista di Monza dove erano radunati tutti i militi. Fu tenuto loro un comizio con il quale li si invitò a disertare. E trenta di questi giovani, che probabilmente erano stati arruolati di forza dai fascisti, disertarono.

Il 18 settembre 1944 Giuseppe Tortorella, Alberto Grandi e Quinto Bonazzola organizzarono un' azione dimostrativa all'Accademia di Brera, a pochi passi di distanza dal comando tedesco della Piazza di Milano. L'azione fu suggerita dal fatto che quel mattino tre studenti, volontari della famigerata legione Muti si sarebbero presentati per sostenere un esame. Tortorella, Bonazzola e Grandi, protetti da una squadra armata, riuscirono ad entrare nell'aula. Allontanato l'attonito insegnante, mentre Bonazzola disarmava i tre fascisti della Muti, Tortorella e Grandi tennero un breve comizio. Alla fine fu distribuito a tutti gli studenti, che applaudivano entusiasti, il secondo numero del giornale del Fronte. Il clamore suscitato da questa azione fu enorme. Il rettore fu costretto a sospendere esami e lezioni.

Con il trascorrere delle settimane e confermandosi una vera e propria forza combattente, per la sua influenza politica tra i giovani operai e impiegati, il Fronte della Gioventù venne ammesso a far parte attraverso propri rappresentanti, nei CLN aziendali della Pirelli, della Montecatini, della Breda meccanica, della Dalmine, della Magneti Marelli, della Edison di Porta Volta.

Fu sul finire del '44 e durante l'inverno '44·'45 che il Fronte della Gioventù riuscì a potenziarsi più  diffusamente sia nel programma politico che nella guerriglia. Ormai le azioni di disarmo venivano compiute in pieno giorno, come avvenne nell'atrio del cinema Carcano: due giovani del Fronte disarmarono due militi repubblichini di fronte a decine di persone stupefatte. Questo metodo venne intensificato e in pochi giorni i fascisti disarmati anche in pieno centro salirono a centinaia.

L'audacia dei ragazzi del Fronte della Gioventù più d'una volta sfiorò la temerarietà: in collaborazione con una squadra dei SAP, per esempio, occuparono la mensa dell'ILVA per tenere un comizio proprio il 16 dicembre 1944 mentre Mussolini al teatro Lirico parlava ai "fascisti milanesi." La città era stata messa in stato d'assedio; bande di fascisti perlustravano le strade, occupavano le piazze e avevano istituito ogni cento metri posti di blocco dove le mitragliere erano pronte a far fuoco senza preavviso contro chiunque, per una qualsiasi ragione si fosse arrischiato in strada. E qualcuno ci lasciò la pelle.

Una delle manifestazioni più importanti organizzata dal Fronte si svolse all'università Bocconi. IL 14 febbraio 1945 alcuni esponenti del Fronte bloccarono le porte d'ingresso dell'università e invitarono studenti, professori, inservienti, a riunirsi nel grande atrio della segreteria, dove uno studente incitò i presenti a prendere le armi, a combattere fascisti e tedeschi per affrettare la fine della dittatura e dell'occupazione nazista. Una squadra di militi repubblichini arrivò all'università: furono affrontati dai giovani di guardia; un fascista restò ucciso e un altro gravemente ferito.

Il CLN Alta Italia votò una mozione di plauso per gli studenti del Fronte.

Nei giorni dell'insurrezione d'aprile il Fronte fa sentire tutto il suo mordente. Ad affrontare le bande fasciste e i reparti tedeschi armati di mitragliatrici e di cannoni i giovani sono in maggioranza. Ci sono dei ragazzi, addirittura bambini, che fanno da staffetta; corrono da un comando all'altro, sgusciano sotto il naso dei tedeschi e sfuggendo agli agguati dei fascisti.

In quel periodo le squadre del Fronte hanno anche allargato il loro territorio d'azione, andando all'attacco, anche attorno a Milano. I nazifascisti sono ormai veramente allarmati: in ogni ragazzo, in ogni ragazza vedono un nemico.

A Saronno uno studente e una studentessa del Fronte vengono sorpresi mentre stanno scrivendo sui muri frasi d'incitamento alla lotta. Mentre sono scortati in una caserma, lo studente che non è stato perquisito estrae all'improvviso una pistola e apre il fuoco contro  i fascisti. Riesce così a fuggire e a portare in salvo anche la ragazza.

Un altro episodio incredibile di quei giorni: due ragazzi della brigata del Fronte sono bloccati in via Nizza da una pattuglia fascista che piomba alle loro spalle mentre stanno incollando manifesti sui muri. I due ragazzi vengono portati nella caserma di via Asti dove li interrogano e li picchiano, e successivamente caricati su un camioncino diretto alla stazione dov'è in partenza un convoglio per la Germania. Durante il tragitto i due ragazzi aggrediscono i tedeschi della scorta, ne disarmano uno, sparano e uccidono un altro. Ettore Cosce viene ferito dalla scorta che spara su di loro; fugge e si mette in salvo assieme al compagno. A Porta Romana, in uno scontro a fuoco con i fascisti del battaglione azzurro cade Giacinto Palma.

 

Durante la lotta clandestina a Milano non ero nel Fronte della Gioventù. In confronto a loro ero già un “vecchio”. Avevo 26 anni; avevo conosciuto l'esilio in Francia, il confino e il carcere in Italia, la guerra di Spagna nella Brigata Garibaldi. lo stesso non potevo non considerarmi un veterano. Eppure il Fronte lo sentivo estremamente vivo; se un ragazzo doveva entrare nei GAP, temendo che il coraggio e la forza d'animo non potessero reggere alle terribili esperienze che lo aspettavano, chiedevo se venisse dal Fronte della Gioventù, per essere certo che quel ragazzo, nonostante l'età, fosse, consapevole delle proprie convinzioni come lo erano i ragazzi spagnoli che a 15·16 anni parteciparono alla difesa di Madrid, lottando di finestra in finestra, di porta in porta. (Giovanni Pesce)

 

da “Quando cessarono gli spari. 23 aprile-6 maggio 1945: la liberazione di Milano” di Giovanni Pesce - Feltrinelli Editore 2009

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i caduti del Fronte della Gioventù a Monza

2 Octobre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Così racconta Vera Gambacorti Passerini in “Monza nella Resistenza” di Vittorio D’Amico:

«26 gennaio 1945. La neve era alta, a Monza, tanto alta. I pochi mezzi di locomozione rimasti in funzione non riuscivano a muoversi: anche il vecchio tram, sobbalzante da un capo all'altro della città, quel giorno era rimasto a casa

Mi avviavo a piedi, oltre il «Re de sass» verso la Villa Reale, per cercar di sapere. Passai vicino alla cinta esterna della Villa, sulla Via Boccaccio. Il muro portava freschi i segni della scarica assassina.

Il Fronte della Gioventù aveva pagato il suo tributo per la lotta di liberazione. Vittorio Michelini (nato a Monza l'8 maggio 1923), Alfredo Ratti (nato a Carugate il 21 ottobre 1923), Raffaele Criscitiello (nato ad Avellino il 10 giugno 1923),  dopo lo strazio di inaudite torture, erano stati portati al muro e giustiziati il 25 gennaio 1945.

Il Fronte della Gioventù aveva avuto co, in Monza, il suo triste riconoscimento ufficiale da parte degli occupanti nazisti e dei loro servi fascisti. Erano stati affissi dei manifesti in cui si diceva che un tribunale misto italo-tedesco aveva condannato a morte alcuni giovani appartenenti ad un sedicente Fronte della Gioventù. …

Il F. d. G., già da parecchi mesi, aveva iniziato la sua vita anche a Monza e in Brianza, raccogliendo e organizzando, con l'osservanza delle più rigide regole cospirative, giovani e giovanissimi, operai, contadini e anche studenti, che volevano dare il loro contributo per l'affrancamento della loro terra. L'organizzazione a catena del F. d. G. mi aveva impedito di conoscere personalmente e anche per nome i nostri tre eroici caduti, prima che la mano assassina ne fermasse il nome per sempre nella storia.

Michelini e Ratti erano già stati per vario tempo con le formazioni partigiane di montagna ed erano poi scesi al piano, al sopraggiungere dell'inverno '44-'45, per la forzata smobilitazione di parte dei reparti: ma l'amore per la loro terra, il desiderio di continuare la lotta li aveva, appena ritornati a Monza, subito portati a mettersi in contatto con le formazioni partigiane di pianura e di città. Raffaele Criscitiello era una guardia di Pubblica Sicurezza: il suo Corpo era stato aggregato ed asservito al fascismo ed all'occupante tedesco. Ma egli aveva ben saputo trovare la via del riscatto per il suo onore personale di giovane e di italiano. Si era messo in contatto con gli elementi del F. d. G.

Michelini e Ratti, che hanno alle spalle un’esperienza di guerriglia sui monti lecchesi conducono l’azione il 24 gennaio. Viene pianificata un’azione diversiva con lancio di volantini e iscrizioni murali mentre i due penetrano nella caserma. La maggior parte degli agenti è fuori per uno spettacolo, il piantone, Raffele Criscitiello, viene legato e imbavagliato per fingere l’aggressione. Le armi vengono così prelevate e portate in un nascondiglio.

Tutto il piano era stato predisposto e studiato nei minimi particolari, e l'ultimo convegno si era tenuto nella sacrestia di una chiesa di via Volturno, con un prete, antifascista, che funzionava da sentinella, avanti e indietro sulla porta della chiesa.

Nel rientro a casa, Michelini e Ratti transitano imprudentemente però per luoghi non previsti dal piano. I due incappano così in una pattuglia di ronda. Fu subito smascherato e arrestato anche Raffele Criscitiello. Un tribunale italo-tedesco li condannò a morte. Il Gruppo monzese, vistosamente mutilato, spostò la sua attività a Sesto S. Giovanni e poi confluì nella 109° Brigata Garibaldi.

L'azione del F. d. G. segnò per la nostra zona una ripresa dell'attività partigiana che da qualche mese languiva: i posti lasciati vuoti dai caduti furono presto occupati da altri. Una lapide eterna nel luogo del sacrificio i nomi dei martiri.

lapide Monza Michelini-Ratti-Crescitiello 

La caserma della P.S. di Monza si intitola dal '45 a Raffaele Criscitiello».

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