Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

La conferenza di Potsdam

23 Juin 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale

Al presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, morto il 12 aprile 1945, successe il suo vicepresidente Harry Truman, già senatore del Missouri, tipico democratico del Sud, di stampo conservatore, dunque pragmatico, diffidente, incline a considerare Stalin un dittatore comunista e non il «vecchio zio Joe» della retorica, o delle illusioni, dei rooseveltiani.

Fu Truman a presentarsi a Potsdam, un sobborgo di Berlino, il 17 luglio 1945, alla terza conferenza tripartita, dopo Teheran e Jalta.

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Il tema principale era ovviamente la Germania, ormai arresasi, dopo il suicidio di Hitler: le zone di occupazione, i confini con la Polonia, e della Polonia con l'Urss. E poi, in generale, gli sviluppi della situazione nell'Europa centro-orientale.

La conferenza durò fino al 2 agosto, anche perché nel frattempo si svolsero le elezioni politiche in Gran Bretagna e, sorprendentemente, Winston Churchill, il solo vero «eroe» europeo nella lotta contro il nazismo, fu sconfitto, a vantaggio del Partito laborista: il suo posto fu preso da Clement Attlee.

Ma la vera novità di Potsdam fu un'altra. Il 16 luglio, il giorno dopo il suo arrivo, Truman ricevette dal segretario alla Guerra, Henry Stimson, «lo storico messaggio della prima esplosione di una bomba atomica», come egli stesso annotò nelle Memorie.

I preparativi della bomba atomica erano cominciati a livello teorico, già nel 1939. È del 2 agosto la celebre lettera che Albert Einstein inviò a Franklin Delano Roosevelt: «Signor Presidente, recenti lavori di Enrico Fermi e di Leo Szilard ( ... ) mi portano a supporre che l'elemento uranio possa nell'immediato futuro trasformarsi in una nuova e importante fonte di energia». La preoccupazione degli scienziati, che avevano lasciato l'Europa per sfuggire al nazifascismo, era che la Germania hitleriana potesse arrivare per prima ad imbrigliare, ad uso militare, la nuovissima e imprevedibile fonte energetica. Una preoccupazione nutrita anche dagli inglesi. E così Stati Uniti e Gran Bretagna avevano unito gli sforzi, sul piano delle ricerche scientifiche e delle prove di laboratorio, finché Roosevelt non diede il via, nel 1943, al cosiddetto «Progetto Manhattan», cioè alla fase operativa, guidata da Robert Oppenheimer. Il tutto nella più grande, totale segretezza. Lo stesso Truman ammise che, come vice presidente, aveva saputo poco o nulla di ciò che si andava preparando nel New Mexico e che solo dopo la morte improvvisa di Roosevelt ne era stato messo compiutamente al corrente.

Il segreto fu strettamente mantenuto anche a Potsdam, salvo che per Churchill, che naturalmente sapeva del «progetto», ma non dell'imminenza di un'esplosione sperimentale. Solo otto giorni dopo, il 24 luglio, Truman accennò «casualmente» a Stalin che gli Stati Uniti disponevano di «una nuova arma di una forza distruttiva particolare». La bomba atomica fu effettivamente impiegata, a Hiroshima il 6 agosto e a Nagasaki il 9.

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Anche Stalin aveva capito benissimo la straordinaria, decisiva importanza, strategica e politica, della nuova arma: l’Unione Sovietica ne potè disporre a sua volta nel 1949.

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l’ANPI lissonese li ricorda

15 Juin 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #storie di lissonesi

Lissone, 17 giugno 1944

Nel giugno 1944 piombo nazifascista stroncava le giovani vite di cinque lissonesi : Attilio Meroni, fucilato in Valdossola, di anni 19, Pierino Erba, di anni 28 e Carlo Parravicini, di anni 23, fucilati a Lissone nell’attuale Piazza Libertà, Remo Chiusi e Mario Somaschini, di anni 23, fucilati a Monza in Villa Reale.

Nel 67° anniversario del loro sacrificio per la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista, l’ANPI lissonese li ricorda.

 

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In seguito ad alcune nostre ricerche presso gli Archivi di Stato di Milano, abbiamo rinvenuto i documenti originali che attestano l’avvenuta esecuzione dei nostri concittadini, operata da membri delle SS naziste e squadristi della Repubblica Sociale Italiana.

 

 

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La conferenza di Jalta

15 Juin 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale

Roosevelt, Stalin e Churchill si incontrarono a Jalta, stazione climatica della Crimea, dal 4 all' 11 febbraio 1945.

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I cosiddetti «tre Grandi», cioè appunto Roosevelt, Stalin e Churchill, si erano già incontrati a Teheran dal 28 novembre al 1° dicembre 1943, per decidere l'attacco finale alla Germania, la cui sconfitta appariva ormai certa, ma era ancora lontana. Quasi un anno dopo, dal 9 al 19 ottobre 1944, c'era stato un altro incontro a Mosca, questa volta tra Stalin e Churchill, con gli Stati Uniti rappresentati dall'ambasciatore Averell Harriman, in qualità di «osservatore». E semmai proprio in quell'occasione ci fu qualcosa di simile a un mercanteggiamento tra Est e Ovest sulle future aree d'influenza (il famoso appunto di Churchill sul 90 per cento d'influenza sovietica in Romania contro il 90 per gli occidentali in Grecia, più il 75 per l'Urss in Bulgaria e il 50 a testa in Ungheria e Jugoslavia, appunto che Stalin approvò con un tratto di matita blu).

A quel tempo, vigeva ancora la promessa o l'impegno di Roosevelt, secondo cui le truppe americane si sarebbero ritirate dall'Europa entro due anni dalla fine della guerra; e quindi, in teoria, era la Gran Bretagna la più diretta interessata a quel che sarebbe successo nel continente, una volta chiusa la partita col nazismo.

Dominante, per Roosevelt, era quello di un'organizzazione internazionale capace di tenere sotto controllo le crisi future in tutto il mondo, e tale anche da essere approvata dal Congresso di Washington, fugando il pericolo di un nuovo isolazionismo, come quello che si era manifestato, col rifiuto della Società delle Nazioni, dopo la prima guerra mondiale.

Il presidente americano, nonostante le sue declinanti condizioni di salute, si sottopose a un lungo viaggio per mare,. con una tappa a Malta, per definire con Churchill una posizione comune, per poi proseguire insieme in aereo da Malta a Jalta.

 

Diverse furono le decisioni prese, dal 4 all'11 febbraio, a Jalta.

Sulla Germania, ormai prossima alla disfatta, fu abbandonata di fatto !'idea di uno «smembramento» e prevalse quella di una divisione in zone di occupazione, in attesa di definire lo status futuro (una zona, ricavata da quelle anglo-americane, fu accordata anche alla Francia).

Il tema centrale fu la Polonia, che era già interamente occupata dalle truppe sovietiche. Il suo governo in esilio, a Londra, il governo antinazista, era stato sconfessato da Mosca, che aveva concesso il suo riconoscimento al cosiddetto Comitato di Lublino, filocomunista, trasformato in governo provvisorio. L'obiettivo occidentale, scartata l'ipotesi di resuscitare il governo in esilio, era quello di dare vita a una formazione politica nuova e diversa. Il compromesso consistette in questo, che il Comitato-governo di Lublino sarebbe stato «riorganizzato su base più ampia», includendovi anche elementi «dell'emigrazione polacca» (Londra) e avrebbe quindi preparato libere elezioni «con tutti i partiti democratici e antinazisti». L'accettabilità del compromesso era rafforzata da una «Dichiarazione sull'Europa liberata», che prevedeva per tutti i Paesi usciti dal tunnel nazifascista «l'istituzione, il più presto, mediante libere elezioni, di governi rappresentativi della volontà della popolazione».

Un altro tema fu l'Onu, la cui conferenza istitutiva si sarebbe aperta a San Francisco il 25 aprile. Come sistema di voto nel Consiglio di sicurezza, venne stabilito che sarebbe stato necessario il voto unanime dei membri permanenti.

Infine, la conferma di Stalin dell'imminente entrata in guerra (peraltro strategicamente ormai inutile) contro il Giappone.

Roosevelt e Churchill ripartirono da Jalta molto soddisfatti. La delusione fu rapida. Passato un mese, si cominciò a vedere in che conto Stalin tenesse l'accordo sulla Polonia.

Il presidente degli Stati Uniti, ormai alla vigilia della morte, scrisse a sua volta a Stalin che, se fosse continuato il tentativo sovietico di dare tutto il potere al governo filocomunista di Lublino, «il popolo americano avrebbe considerato l'accordo di Jalta un fallimento».

Franklin Delano Roosevelt morì il 12 aprile, due mesi dopo la chiusura a Jalta.

Sotto la sua guida, (eletto quattro volte alla Casa Bianca, fu considerato un grande presidente per ragioni di politica interna oltre che estera, per aver salvato il sistema economico americano e anche occidentale dalla grande crisi degli anni Trenta, prima di portare definitivamente la potenza d'oltreoceano nell'agone mondiale), gli Stati Uniti sperarono in una ragionevole intesa post-bellica con l'alleato sovietico. E infatti lasciarono che l'Armata Rossa, che certo veniva da prove tremende e che aveva dato un contributo enorme al rovesciamento delle fortune hitleriane, dilagasse nell'Europa centro-orientale fin nel cuore della Germania, a Berlino.

Con la sua morte si aprì una nuova fase, molto più acuta, del confronto russo-americano, sulla testa dell'Europa, mentre stava per uscire di scena lo stesso Churchill.

 

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Il massacro di Katyn

9 Juin 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale

Katyn si trova a 14 chilometri da Smolensk (città della Russia, 362 chilometri a sudovest di Mosca). Nella primavera del 1940 le truppe dell'NKVD (Narodny Kommisariat Vnutrennikh Del, Commissariato del popolo agli affari interni, la polizia segreta sovietica) uccisero oltre 4000 ufficiali polacchi internati nel 1939 nell'URSS (dopo l'attacco simultaneo della Germania e dell'Unione Sovietica alla Polonia).

 

Il 23 agosto 1939 fu firmato a Mosca il tristemente celebre patto Ribbentrop-Molotov; Ribbentrop era ministro degli Esteri tedesco, Molotov era il capo del Governo sovietico.

Il 1° settembre, la III armata tedesca, venuta da nord, si ricongiunge ad est di Varsavia con la X, venuta dalla Slesia. La capitale polacca è messa sotto assedio. Tre giorni dopo, anche l’Armata Rossa di Stalin entra in Polonia, senza dichiarazione di guerra, in virtù del Patto di non aggressione concordato con Hitler, che prevedeva una divisione dello sfortunato Paese. Varsavia cade il 27 settembre, dopo una eroica resistenza.

Con la divisione della Polonia, l’URSS ricevette il 52% del territorio e un terzo degli abitanti del Paese, di cui circa 250.000 soldati e ufficiali dell’esercito polacco.

A differenza dei semplici soldati, gli ufficiali dell’esercito polacco, gli agenti di polizia, gli agenti dei servizi segreti e così pure i dipendenti e i funzionari dei tribunali furono internati nei campi di concentramento nei pressi di Kozielsk, Starobielsk e Ostachkov.

Oltre 15.000 furono i prigionieri di guerra polacchi uccisi nell’aprile del 1940 per fucilazione da parte di truppe speciali del NKVD.

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Nell’Europa del 1940, quando l’URSS stalinista, dopo aver spartito la Polonia, invase e sconfisse la Finlandia, annesse i Paesi Baltici, e mentre la Germania nazista occupava i Paesi dell’Europa del Nord, costringendo la Francia a capitolare, e preparava l’invasione dell’Inghilterra, il destino dei prigionieri di guerra polacchi finì pressoché dimenticato dalla pubblica opinione. Solo alcune famiglie di ufficiali polacchi detenuti, che fortunatamente non erano state deportate, notarono che, nel marzo-aprile 1940, la corrispondenza con i loro parenti internati nei campi sovietici s’interruppe bruscamente e che le lettere ritornavano ai mittenti con un timbro postale “destinatario trasferito”.

Da un rapporto di Beria, ritrovato negli archivi segreti sovietici, «gli ufficiali prigionieri di guerra e gli agenti di polizia che si trovano nei campi tentano di continuare l’attività controrivoluzionaria, conducendo delle agitazioni antisovietiche ...». Il capo del NKVD dichiarò che «gli ufficiali dell’esercito polacco, gli agenti di polizia erano tutti nemici giurati del potere sovietico, pieni di odio verso il sistema sovietico»

La conclusione logica era che lasciarli in vita avrebbe gravemente nuociuto alla sicurezza dello Stato e che la loro eliminazione era la sola soluzione possibile.

Oltre a queste considerazioni riguardanti la sicurezza dello Stato, il massacro di Katyn è un caso di imperialismo e rientra nei tentativi secolari da parte dei russi di dominare la Polonia. L’URSS stava per invadere più della metà del territorio polacco e i dirigenti sovietici erano determinati a eliminare quei membri della nazione che, in futuro, avrebbero potuto condurre la lotta per la resurrezione della loro patria. Inoltre, non si deve sottovalutare un fattore psicologico: secondo diversi indizi, Stalin nutriva una avversione e una diffidenza particolare verso i Polacchi, ricordando l’umiliante sconfitta subita dall’Armata Rossa vicino a Varsavia nel 1920, nella quale egli aveva avuto una responsabilità diretta.

Il 22 giugno 1941, la Germania invase l’Unione Sovietica e, nel luglio e agosto dello stesso anno, i territori in cui si trovavano i campi degli ufficiali polacchi furono occupati dai tedeschi.

 

Il massacro di Katyn è esemplare per due caratteristiche comuni a tutti i sistemi totalitari moderni del XX secolo: l’utilizzo sistematico del terrore di massa come mezzo di ordinaria amministrazione e il ruolo dell’ideologia come guida del terrore.

I sistemi totalitari tentano, così di creare una nuova società, utilizzando i metodi «scientifici» dell’igiene sociale e della «purificazione» dal «contagio borghese».

Il terrore ideologico, fondato sull’idea della purificazione della società dai corpi estranei e nocivi, dei parassiti sociali, definiti in base all’appartenenza di classe sociale antagonista o al gruppo etnico nemico, e l’uso della violenza rappresentano il denominatore comune del regime nazista e del regime stalinista. Ai loro inizi, si posero come obiettivo l’eliminazione fisica non solamente degli oppositori politici, ma anche di intere categorie di cittadini, considerati come avversari per la loro stessa esistenza: la distruzione di «nemici oggettivi» o dei «nemici del popolo», gli uni individuati in base alla loro provenienza etnica, gli altri dallo loro classe di provenienza.

Nel dibattito ancora aperto sui totalitarismi, il massacro di Katyn rappresenta un caso emblematico della politica di «pulizia di classe» come Auschwitz fu una «pulizia etnica».

 

Nella primavera del 1943, una commissione tecnica della Croce Rossa polacca giunse alla conclusione che il massacro era avvenuto nella primavera del 1940. La commissione polacca decise comunque di non pubblicare le sue conclusioni per non fare il gioco della propaganda nazista. L’unica copia del rapporto fu trasmesso al governo inglese che dichiarò il documento ultrasegreto e lo tenne nascosto per quarantacinque anni. Il rapporto venne pubblicato solamente nel 1989.

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Dopo la guerra, a Norimberga, la corte, composta da giudici delle forze alleate vincitrici, decretò che, tenendo conto che il crimine non era stato eseguito dai tedeschi (il pubblico ministero sovietico si trovò di fronte una difesa agguerrita, capace di provare che il massacro di Katyn non era opera dei tedeschi), non aveva il mandato per eseguire una nuova inchiesta. Inoltre, il governo sovietico non riuscì a chiudere l’affare di Katyn, perché il tribunale lo escluse dalla sentenza finale per mancanza di prove.

 

Solamente nel 1990 Mikhail Gorbachev ammise la responsabilità sovietica del massacro.

 

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