Festa provinciale A.N.P.I. MONZA e BRIANZA 2025
80 anni dalla Liberazione, è Festa
25 - 29 giugno 2025
Area feste/Velodromo - via S. Eurosia 29, Cesano Maderno
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per il programma completo della festa, vedere:
Leopoldo Gasparotto, un uomo d'Azione
Il 22 giugno 1944, su ordine del Comando delle SS di Verona, Poldo Gasparotto, prelevato dal campo di Fossoli veniva ucciso a tradimento. Nel 81° anniversario della sua fucilazione, l'ANPI di Lissone lo ricorda.
Leopoldo Gasparotto era nato a Milano il 30 dicembre 1902. Educato in una prospettiva laica nei valori della patria e della democrazia, durante gli anni trascorsi al liceo Berchet anima il gruppo studentesco repubblicano; nel 1922 si iscrive al Partito repubblicano e frequenta il Circolo milanese di via Sala, cenacolo del mazzinianesimo lombardo.
Nell'agosto 1923 inizia il servizio militare in artiglieria; si congeda nel novembre dell'anno successivo col grado di sottotenente di complemento. Laureatosi nel 1926 in giurisprudenza all'Università di Milano si specializza come avvocato civilista e coadiuva il padre nello studio legale di via Donizetti 32. Il Partito repubblicano viene disciolto, a fine 1926, insieme alle altre formazioni antifasciste; Gasparotto, contrario al partito dominante rinunzia alla politica, sfiduciato sulla possibilità di rovesciare la dittatura.
Gli anni della gioventù sono rallegrati dalla passione per l’alpinismo. Alle prime impegnative escursioni sulle Dolomiti e sul Brenta, seguono lungo tutto il corso degli anni venti ardite ascensioni sul monte Bianco, sul monte Rosa, sulla Grigna.
Alle escursioni montane Gasparotto unisce dalla metà degli anni trenta il gusto per il volo; conseguito il brevetto di pilota, acquista un piccolo apparecchio Breda 15 S, per il quale utilizza la pista di Taliedo (poi intitolata a Forlanini).
Il matrimonio con Nuccia Colombo nel 1935.
Lina (Nuccia) Colombo (Varese 1913-Pisa 1977) condivide col marito l’impegno antifascista; passata in Svizzera il 12 settembre 1943 col figlioletto Pierluigi (nato il 6 luglio 1936), nel marzo 1944 dà alla luce il secondogenito Giuliano e dopo tre mesi rimpatria clandestinamente per partecipare alla Resistenza, affidando la prole a Ofelia Muradore, tabaccaia di Besso (Lugano), che ospitava Ernesta Battisti, vedova di Cesare, e la sua famiglia. Assunto il nome di battaglia di Adele, Nuccia Gasparotto coopera col Comando di piazza di Milano e tiene i contatti con dirigenti delle Brigate Matteotti.
Gasparotto divenuto tenente di complemento di artiglieria di montagna, nel giugno 1935 frequenta la Scuola di alpinismo di Aosta. In quella circostanza diviene amico del generale Luigi Masini, direttore della scuola (filosocialista).
Nel 1936-38 Gasparotto è istruttore ai corsi per guide alpine organizzati presso la Scuola di Aosta. Secondo la testimonianza del giovane imprenditore Leonida Calamida: “Nell'inverno 1938, Gasparotto mi invitò con altri due o tre amici ad arruolarmi ad un corso straordinario per allievi ufficiali, aperto a coloro che, pur avendone avuto diritto, non avevano voluto durante il servizio militare di leva essere ufficiali. La durata del corso sarebbe stata di un semestre, con frequenza di una ventina di giorni al mese. Era importantissimo - ci disse Poldo - che frequentassimo questo corso, per poi, come ufficiali, svolgere fra i militari opera di proselitismo antifascista. In una eventuale insurrezione, l'appoggio dell'esercito o almeno la sua benevola neutralità sarebbero stati di capitale importanza per noi. Poldo era convincentissimo ed io non potevo che dargli ragione.”
A Milano nel 1942 si stabiliscono i primi contatti clandestini in ambito repubblicano-azionista, intensificati dal gennaio 1943, quando lo studio legale Gasparotto, in via Donizetti 32, diviene il punto di smistamento del foglio clandestino «L'Italia Libera», organo del Partito d'Azione, formazione politica cui Poldo Gasparotto aderisce, partecipando alle riunioni convocate clandestinamente. Caduto il regime, l'attività politica ritorna alla luce del sole. Lo studio legale di Mario Paggi," in via Brera 2, diviene il quartier generale del Partito d'Azione milanese. A metà agosto Milano è colpita da terribili bombardamenti aerei; chi può lascia la metropoli, per sfuggire a una situazione insostenibile. Le distruzioni acuiscono l'odio verso la guerra e alimentano la sensazione di un prossimo rivolgimento di fronte. Nell'estate alcuni azionisti, tra cui Poldo Gasparotto, organizzano una rete informativa, per segnalare agli alleati gli spostamenti delle truppe tedesche; la villa di famiglia in località Cantello Ligurno, a mezza strada tra Varese e la Svizzera, diviene la base logistica dell'attività illegale, avviata nella prospettiva della lotta contro l'occupazione nazista.
La clandestinità, l’arresto e la prigionia
Nei primi giorni di settembre, quando appare imminente il rovesciamento delle alleanze militari, Poldo Gasparotto progetta con Pizzoni la formazione della Guardia nazionale, struttura militare per il reclutamento di volontari decisi a opporsi ai tedeschi. Al mattino dell'8 settembre il generale Ruggero assicura l'esecutivo antifascista dell'imminente consegna di armi, ma prende tempo. In serata Badoglio rende noto l'armistizio. L'indomani mattina si presenta alla sede del Comando di piazza, in via Brera, una delegazione del Comitato di Liberazione Nazionale milanese; accanto al comunista Girolamo Li Causi vi è Luigi Gasparotto, tra i più decisi nell'incalzare il titubante generale Ruggero. Il 9 settembre il Partito d'Azione stampa e distribuisce un volantino inneggiante al binomio Esercito e Popolo: «chiunque tenti di spezzare questa unità è nemico del popolo e della nazione italiana», proclamano gli azionisti, nel rivolgere un appello all'arruolamento della cittadinanza.
L'azionista Giuliano Pischel, partecipe degli eventi, indica la: paternità del progetto e ne sintetizza gli immediati sviluppi: «L'idea che aveva ventilato Poldo Gasparotto, della costituzione di una Guardia nazionale, veniva ripresa dal Comitato interpartiti tramutatosi in Comitato di Liberazione Nazionale. Ma l'unità operativa tra esercito e popolo resta un'utopia.
Il generale Ruggero, timoroso delle ritorsioni tedesche, si è limitato a generiche promesse, senza esporsi a livello operativo. Il suo atteggiamento è influenzato dall'arrivo del tenente colonnello dei Carabinieri Candeloro De Leo, presentatosi quale emissario del Comando supremo. De Leo, dirigente del servizio segreto militare, vanta contatti col generale Ambrosio e induce Ruggero alla passività.
Un episodio illuminante sulla condotta dei vertici militari nei confronti della nascente organizzazione partigiana, è quella che vide protagonista Rino Pachetti, comandante partigiano. La notte del 9 settembre Pachetti organizzò con Poldo Gasparotto un'azione alla Caproni di Milano; autorizzato dal Gen. Ruggero e con la collaborazione di dirigenti della fabbrica, con pochi uomini uomini disarmò i carabinieri di guardia allo stabilimento e prelevò due autocarri su cui caricò 96 mitragliatrici calibro 7,7 con circa 300.000 colpi e 80.000 maglie per nastri. Questo ingente bottino doveva armare gli uomini, di cui Pachetti aveva assunto il comando, che si andavano raccogliendo tra Cernobbio e il ed il confine svizzero. Il Generale Binacchi, comandante del presidio militare di Como, fermati gli uomini di Pachetti e approfittando della sua assenza, sequestrò le armi che furono poi consegnate ai tedeschi.
Il 10 settembre i rappresentanti del comitato cittadino (Gasparotto, Li Causi, Damiani e Pizzoni) consegnano al comandante di Corpo d'armata una lettera programmatica, per indurlo a rompere gli indugi e ad assecondare l'azione patriottica.
Quel medesimo giorno il generale Ruggero incontra emissari del Comando germanico, da lui rassicurati sulla propria disponibilità. Nel pomeriggio un nuovo abboccamento con gli esponenti antifascisti sancisce la rottura dei rapporti: l'alto ufficiale ha infatti concordato coi tedeschi che l'esercito non ostacolerà l'occupazione della città.
Privi di armi, i promotori del CLN tengono un comizio in piazza Duomo e poi passano nella clandestinità. Scontri sporadici con i tedeschi culminano il pomeriggio del 10 settembre nei pressi della stazione centrale: civili armati si oppongono all'occupazione della stazione e negli scontri uccidono tre militari germanici. In serata il generale Ruggero legge alla radio un comunicato in cui informa dell'avvenuta occupazione delle principali città della Lombardia e dell'Emilia Romagna. In sostanza il Comando di piazza, su direttiva di De Leo, ha lasciato agire indisturbati i tedeschi.
Al mattino dell’11 settembre i punti nevralgici della metropoli sono sotto controllo germanico.
Su istruzione di De Leo, il generale Ruggero scioglie la Guardia nazionale, sulla base della normativa che vieta ai cittadini l'uso non autorizzato delle armi. Le dinamiche del capoluogo lombardo si ripetono con impressionante analogia in numerose altre città: da Torino a Firenze a Roma. In Lombardia, quel medesimo giorno, reparti germanici assumono pacificamente il controllo di Brescia e di Cremona. I vertici militari restano inerti, quando non collaborano apertamente con l'occupante. Le modalità dell'armistizio, l'ambiguità del comunicato letto da Badoglio alla radio, la fuga del re e dei ministri gettano le forze armate nella confusione, tanto più che i tedeschi sferrano un'impressionante offensiva nella penisola e nei presidi italiani all'estero. Il comportamento di De Leo si chiarirà con l'immediata adesione alla Repubblica sociale italiana, per la quale dirigerà il Servizio informazione militare (SIM). Il 12 settembre i tedeschi, completata l'occupazione di Milano, perquisiscono i cittadini e fermano i militari, in violazione degli accordi stipulati col generale Ruggero. La popolazione è disorientata e demoralizzata dallo scioglimento dell'esercito, disgregatosi all'apparire del nemico. Lo stesso giorno vengono occupate, senza colpo ferire Varese, Como e Sondrio.
Il 12 settembre Gasparotto organizza il passaggio in Svizzera della moglie e del piccolo Pierluigi, attraverso un varco clandestino nella rete confinaria, nei pressi del valico del Gaggiolo. Nuccia si stabilisce a Lugano (dove 1'8 marzo 1944 darà alla luce il secondo figlio, Giuliano). Espatria anche Luigi Gasparotto, ricercato in quanto vecchio antifascista; da Bellinzona si collegherà ai rappresentanti del governo Badoglio in Svizzera.
Con i familiari al sicuro nell'asilo elvetico, Leopoldo Gasparotto passa alla clandestinità (nome di battaglia: Rey) e assume la guida della struttura militare lombarda del Partito d'Azione, coordinandosi col Comitato militare del CLN di Milano, costituito a metà settembre: «Sostituto e primo collaboratore di Parri fu Poldo Gasparotto, il quale partecipò alle riunioni del Comitato militare con tanta frequenza che in alcune testimonianze compare come membro effettivo».
I tradizionali moduli militari si dimostrano inadatti alla lotta contro l'esercito occupante e i reparti collaborazionisti; gruppi numerosi e poco mobili prestano il fianco ad attacchi micidiali, condotti con uno spiegamento di forze cui non è possibile opporre una resistenza frontale. Gasparotto fa tesoro di questa constatazione e dispiega un'azione su due livelli: in ambito urbano e nelle vallate lombarde; tiene viva a Milano un'organizzazione clandestina e alimenta i gruppi costituitisi in località fuori mano. Tra le realtà periferiche di cui è animatore e catalizzatore vi è la provincia di Bergamo, dove si reca di frequente per impiantare la rete militare.
Rey si sposta di frequente dalla città alle vallate alpine, per coordinare l'attività clandestina delle bande e organizzare depositi di armi: visita la Val Brembana e la Val Codera, il Pian dei Resinelli e il Colle di Zambla, ponendo a buon frutto la conoscenza di quelle zone montuose, frequentate sin dagli anni venti in escursioni alpinistiche.
Il Triangolo Lariano, quella zona che si protende nel lago compresa tra Como, Erba, Lecco e Bellagio, da classico riferimento per le gite e le vacanze dei milanesi divenne un luogo attraversato da un flusso costante di soldati allo sbando, prigionieri alleati, perseguitati politici in fuga. A metà ottobre in un incontro a Pontelambro tra Leopoldo Gasparotto, il Col. Alonzi, incaricato dal Comitato militare del CLN milanese di tenere i collegamenti con il Comasco, il Col. Morandi, il Ten. Fucci e Giancarlo Puecher si esaminano le possibilità di organizzare nuclei stabili di partigiani nella zona del Triangolo e canali di espatrio più sicuri di quelli che spontaneamente erano stati creati nella zona dalla popolazione, dal clero e da esponenti locali dei partiti antifascisti. I fuggiaschi venivano guidati attraverso percorsi secondari per evitare posti di blocco e pattuglie in perlustrazione, trasbordati dalla sponda orientale a quella occidentale del Lario da barcaioli fidati e quindi accompagnati da valligiani, spesso anche contrabbandieri, sui sentieri che si inerpicavano sui monti che separano il Comasco dalla Svizzera.
Il 23 ottobre passa di nascosto il confine per incontrarsi in una villa di Lugano con esponenti del Comitato di liberazione attivi in Svizzera e informare gli Alleati delle caratteristiche e degli sviluppi assunti dalla guerriglia partigiana.
Dal punto di vista politico l’area in cui Gasparotto opera include – con gli azionisti – repubblicani, socialisti e liberali.
Tra le priorità dell'organizzazione azionista vi è l'approntamento di una via di fuga verso la Svizzera per ebrei, ex prigionieri alleati e ricercati politici. La vita clandestina è dura, col frequente abbandono di un rifugio e la ricerca di un nuovo asilo, nel continuo timore di essere segnalati da una spia o di incappare in un posto di blocco. L'esistenza precaria, incalzata da fascisti e tedeschi, preclude i contatti con i familiari. Saltuari biglietti, portati oltre confine da persone sicure, contengono poche righe e sono redatti in modo da non provocare danni se dovessero finire in mani nemiche. Sostenuto da un ottimismo di fondo, Gasparotto vede prossime la liberazione della patria e la fine della dittatura fascista.
A Milano i tedeschi giocano contro il movimento partigiano la carta di Luca Osteria, il «dottor Ugo», l'abile segugio che dopo un quindicennio di lavoro spionistico per conto della polizia fascista è passato al servizio dei nazisti.
A metà pomeriggio di sabato 11 dicembre è programmato, nel nascondiglio di piazza Castello, l'incontro con emissari dei gruppi partigiani del monte Grigna. Si tratta di uno degli appuntamenti periodici per fare il punto della situazione, scambiare notizie e concordare una strategia comune.
Un evento imprevisto scompagina i piani e mette la polizia fascista sulle tracce del ricercato. Alle ore 17 la città è già avvolta dalle tenebre. Gasparotto, appena entrato nel portone di piazza Castello 2, viene afferrato da alcuni poliziotti, che lo gettano per terra, lo immobilizzano e gli chiudono le manette ai polsi.
La vita clandestina si è protratta per tre mesi, dopo la lucida visione della necessità di iniziare senza indugi la lotta armata.
Portato a Porta Nuova, in un grande edificio scolastico divenuto base logistica di formazioni paramilitari fasciste, che lo utilizzavano come carcere e luogo di tortura, Gasparotto viene poi rinchiuso a San Vittore, nella cella 12 del sesto raggio, col numero di matricola 864, a disposizione dei tedeschi. La retata dell’11 dicembre è dovuta alla spiata del sessantottenne Luigi Colombo, proprietario di una farmacia del centro cittadino.
Resistere agli interrogatori non è facile. l tedeschi interrompono la segregazione soltanto per portare la loro vittima nella camera di tortura. La violenza fisica è integrata dalle pressioni psicologiche. A Gasparotto si chiedono i nominativi dei compagni; dai prigionieri sospettati di contatti con lui si pretendono rivelazioni sul suo ruolo. Nessuno dei compagni di lotta di Gasparotto ha subito conseguenze dal suo arresto; nell'estate 1944 Indro Montanelli, riparato in Svizzera, ricorderà con riconoscenza la capacità di serbare il silenzio in circostanze così pesanti: «Quando fu arrestato seppi da Martinelli che Poldo aveva taciuto il mio nome, insieme a quello di tanti altri, nonostante le torture a cui era stato sottoposto.
A Gasparotto viene persino serrata la testa in un cerchio di ferro, senza tuttavia riuscire a farlo parlare del CLN milanese né dei rapporti stabiliti con l'intelligence alleata, tra Lombardia e Svizzera. Le SS, consapevoli dell'importanza del personaggio, cercano in ogni modo di piegarne la tempra. Settimana dopo settimana, il detenuto resiste all'isolamento, immerso nei suoi pensieri e attento ai minimi segnali di vita che gli pervengono dalle altre celle.
Nella primavera del 1944 buona parte del gruppo dirigente del Partito d'Azione milanese è sotto chiave, in condizioni fisiche deplorevoli per il trattamento vessatorio praticato dai tedeschi. Rimangono liberi - oltre a Parri - Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi e Leo Valiani.
Invece della deportazione in un Lager del Reich, il prigioniero viene internato a Fossoli.
Il 22 giugno, su ordine del Comando delle SS di Verona, è prelevato dal campo e ucciso a tradimento.
Bibliografia:
- “DIARIO DI FOSSOLI” di Poldo Gasparotto - a cura di Mimmo Franzinelli - Bollati Boringhieri, Torino 2007
- “Storia del Partito d’Azione” di Giovanni De Luna – Utet Libreria 2006
- “La calma apparente del lago” di Vittorio Roncacci – Macchione Editore 2004
Io so cosa vuol dire non tornare.
A traverso il filo spinato ho visto il sole scendere e morire.
Ho sentito lacerarmi la carne le parole del vecchio poeta:
“Possono i soli cadere e tornare,
a noi, quando la luce è spenta, una notte infinita è da dormire”.
Primo Levi
Leopoldo Gasparotto ritratto da un compagno di prigionia a Fossoli e una pagina del Diario
dal “Diario di Fossoli”
26 aprile
L'autobus corre attraverso Carpi, poi Fossoli e infine [ ... ] scorgiamo un cartello POL-LAGER. Siamo al campo.
Ci inquadriamo, ad libitum, a gruppi di venti, veniamo avviati ad una baracca ...
30 aprile
Il grosso soldato tedesco ha ucciso un ebreo con una rivoltellata, per errore.
Sono andato all'infermeria per farmi fare un'iniezione endovenosa di calcio e, per la prima volta dopo cinque mesi, mi sono guardato allo specchio, avendo il piacere di non riconoscermi. Eppure gli amici dicono che in questi tre giorni sono migliorato.
18 maggio
Ascensione. La bandiera non viene inalberata! Con amici sento il desiderio di ritornare alla baracca. Nella baracca, sono attratto dal mio «castello», finisco nevitabilmente per sdraiarmi sul pagliericcio e rinchiudermi nella mia tana. Cinque mesi di isolamento mi hanno abituato, come molti cani tenuti troppo a lungo alla catena, a non sentirmi me stesso se non sono isolato, nella mia cuccia. Pure, partecipo alla vita del campo: mi sforzo di presenziare, quando vi son chiamato come legale, ai «consigli di campo» e, più raramente, alle serotine assemblee di camerata.
15 giugno
Per la prima volta da oltre vent'anni non sono, in quest'epoca, sulle guglie della Grignetta o della Presolana, sul nudo granito della Val Masino o sugli sterminati ghiacciai dell'Oberland bernese e del Bernina. Quando rivedrò le montagne?
da "Diario di Fossoli" di Leopoldo Gasparotto
18 giugno 1940: l'appello di De Gaulle ai Francesi
Parigi, venerdì 14 giugno 1940: i tedeschi occupano la città.
Londra, martedì 18 giugno 1940: il generale De Gaulle, accompagnato dal suo aiutante di campo, entra, poco prima delle ore 18, nel palazzo della BBC, la radio inglese, situato in Oxford Circus.
Nell’edificio vi sono guardie armate dappertutto: gli inglesi temono un attacco dei paracadutisti tedeschi.
De Gaulle si dirige verso lo studio 4B, al quarto piano. Deve parlare ai Francesi. Ha molte cose da dire. Deve rispondere alle proposte del maresciallo Pétain che, il giorno prima, durante una trasmissione radiofonica, ha dichiarato: «Faccio dono alla Francia della mia persona per alleviare la sua infelicità».
Pétain ha teso la mano al nemico: «Con il cuore in mano vi dico che bisogna cessare di combattere. Questa notte, mi sono rivolto ai nostri avversari per domandare loro se sono pronti a cercare con noi, tra soldati e con onore, i mezzi per mettere fine alle ostilità».
De Gaulle è indignato. Churchill condivide la condanna di Pétain e ha accordato a De Gaulle il privilegio di rivolgersi ai Francesi dai microfoni della BBC.
Entrando nello studio radiofonico De Gaulle, che indossa dei guanti bianchi, ha in mano dei fogli dattiloscritti con il testo dell’appello che leggerà.
De Gaulle incomincia a parlare senza guardare i suoi fogli. Le sue parole cambieranno la sua vita e lui lo sa. “Qualunque cosa succeda la fiamma della resistenza francese non deve spegnersi e non si spegnerà”.
16 e 17 giugno 1944: la fucilazione di 4 partigiani lissonesi
Un uomo muore solo quando più nessuno si ricorda di lui
Lissone 15 giugno 2025: l'ANPI ricorda i quattro giovani partigiani lissonesi fucilati il 16 e 17 giugno 1944.
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Giovedì 15 giugno 1944
Sono ormai quattro anni che l’Italia è in guerra, fino all’ 8 settembre 1943 al fianco dei tedeschi, ora con gli Alleati, che il 4 giugno hanno liberato Roma. Mentre l’avanzata degli Alleati procede lentamente lungo la penisola, il nord Italia è sotto occupazione nazista: i tedeschi, alla fine di settembre 1943, hanno contribuito alla formazione della Repubblica Sociale Italiana con a capo Mussolini, che ha la capitale a Salò, sul lago di Garda.
Da dieci giorni le truppe alleate, formate da americani, inglesi e canadesi, sono sul territorio francese. L’operazione Overlord, che ha portato più di 1.200.000 soldati sulle coste della Normandia, è in corso anche se la resistenza tedesca si sta rivelando più dura del previsto.
A Lissone da un mese si è formato il locale Comitato di Liberazione Nazionale.
Lo sciopero generale del marzo 1944 (a cui avevano partecipato anche gli operai dell’Incisa, che contava circa 1200 dipendenti e dell’Alecta, 500 dipendenti) aveva ottenuto un grande e lusinghiero successo così da scuotere in Lissone l'assenteismo della popolazione, interessandola alla lotta per la liberazione e a coloro che combattevano per ottenerla.
Lissone, Venerdì 16 giugno 1944
Da alcune ore i quattro partigiani lissonesi Remo Chiusi, Mario Somaschini, Pierino Erba e Carlo Parravicini, accusati dell’attentato in Corso Milano contro due militi fascisti (avvenuto in tarda serata di ieri), sono nelle mani dei nazifascisti: Erba e Parravicini sono presso la Casa del Fascio di Lissone (l’attuale Palazzo Terragni), Chiusi e Somaschini in Villa Reale a Monza.
Nell'ora di uscita degli operai dal lavoro, gli altoparlanti chiamano a raccolta la popolazione in piazza Ettore Muti (l'attuale piazza della Libertà) per assistere ad uno spettacolo. La gente, ignara di quanto stava per accadere, si ferma e s'infittisce in una sospettosa attesa. Ad un certo punto, dalla scalinata della Casa del Fascio scendono due giovani quasi incapaci di reggersi in piedi per le torture subite: sono Pierino Erba (di 28 anni) e Carlo Parravicini di anni 23. I due partigiani vengono messi davanti alla fontana e fucilati tra lo sgomento della popolazione.
L'incredulità e lo sbigottimento della folla attonita lasciano il posto all'orrore ed al terrore ed in un attimo la piazza si svuota mentre altre raffiche di mitra solcano l'aria.
Ed inizia una sera impregnata di spavento, la gente si chiude nelle proprie case ed in paese sembra che il coprifuoco sia calato in anticipo tanto le vie sono deserte: si sentono solo le scarpe chiodate delle ronde che perlustrano le strade facendo scoppiare qualche bomba a mano o sventagliando contro l'acciottolato delle raffiche di mitra per il sadico gusto di intimidire maggiormente la gente.
L’indomani alla Villa Reale di Monza, Remo Chiusi e Mario Somaschini, entrambi ventitreenni, subiscono la stessa sorte dei loro amici.
Nei giorni seguenti anche Radio Londra nella trasmissione "La Voce della Libertà" ricordava il tragico episodio esaltando il martirio dei quattro patrioti. Finita la guerra, i solenni funerali dei quattro partigiani lissonesi furono celebrati il 13 Maggio 1945 nella chiesa di San Carlo.
A guerra terminata, sulla tomba a loro dedicata presso il cimitero urbano

i Lissonesi scrissero:
LIBERTÀ E UMANITÀ
FU PER QUESTI MARTIRI
ANELITO DI VITA INSOFFERENZA DI TIRANNIA
ASSASSINATI DA PIOMBO FASCISTA
E DA SEVIZIA NAZISTA
LOR GIOVINEZZA IMMOLATA È MONITO
DI PACE E DI GIUSTIZIA
CITTADINI MEDITATE ED IMPARATE
L’anno successivo fu posta sul luogo della fucilazione una targa commemorativa in marmo, recante la scritta “Parravicini Carlo, Erba Pierino, Chiusi Remo, Somaschini Mario nel nome della libertà caddero trucidati dai nazifascisti il 16 -17 giugno 1944”.
La cerimonia di inaugurazione avvenne alla presenza del Sindaco ing. Mario Camnasio (1946-1951).

La lapide commemorativa originaria, nel 2005, iniziati i lavori di riqualificazione di Piazza Libertà, è stata ricollocata al cimitero urbano.

Inoltre i dipendenti delle O.E.B. Officine Egidio Brugola, a ricordo dei loro colleghi, posero una lapide all’interno dello stabilimento in Via Dante.
Nel 1985, in occasione del 40° anniversario della Liberazione, l’Amministrazione Comunale, Sindaco Angelo Cerizzi, e la Direzione aziendale realizzarono un nuovo monumento in acciaio che reca la scritta ” “Gli operai di questo stabilimento pongono a ricordo dei loro compagni di lavoro SOMASHINI MARIO, ERBA PIERINO, CHIUSI REMO caduti per la libertà”. Ancora oggi nelle ore notturne viene illuminato, a perenne ricordo.


Dopo il 25 Aprile 1945, la piazza principale della nostra città (Piazza Fontana per i lissonesi), per un breve periodo fu chiamata Piazza IV Martiri prima di assumere la denominazione attuale di Piazza Libertà. Nel corso del XX secolo la piazza, ha cambiato nome diverse volte: dapprima Piazza della Chiesa (per la presenza della vecchia chiesa), poi, dopo la I guerra mondiale, Piazza Trento e Trieste, in seguito, dal 1934 Piazza Vittorio Emanuele II, quindi Piazza Ettore Muti.

L’A.N.P.I. lissonese, mentre ricorda il sacrificio di questi quattro giovani concittadini, desidera dedicare anche un pensiero a tutti i lissonesi che in vari modi si opposero al fascismo. Vogliamo ricordare anche chi attuò la cosiddetta Resistenza silenziosa ed i cui nomi non sono riportati nei libri di storia o nei documenti ufficiali, chi lottò nelle file della Resistenza armata, chi fu internato nei campi di concentramento in Germania, tutti coloro che persero la vita perché anche Lissone divenisse una città libera e democratica.
documento originale sulla fucilazione di Pierino Erba e Carlo Parravicini
documento originale sulla fucilazione di Remo Chiusi e Mario Somaschini
Cronologia: giugno 1940 - giugno 1942
I primi due anni di guerra (giugno 1940-giugno 1942)
Con l'intervento dell'Italia nel conflitto, un elemento appare subito chiaro, sconcertante e, per molti aspetti, mortificante: che, mentre la Germania, per due anni ancora proseguì nei suoi strabilianti successi militari accentuando l'impressione d'invincibilità, l'Italia subì invece fin dall'inizio e quasi ininterrottamente, rovesci altrettanto sensazionali e venne .così ad assumere ben presto, malgrado l’originaria alleanza, il ruolo di un Paese quanto meno "protetto”, praticamente dominato come tutti gli altri dell'Europa continentale, dal padrone nazista.
È questo un dato storico che contribuì a rendere, se altri motivi non vi fossero stati, assurda e impopolare (oltreché sciagurata) una guerra che, nonostante le menzognere parole d’ordine della propaganda ufficiale, non aveva altre. prospettive, se non quella, in caso di vittoria, di una servitù anche più trista delle altre, in quanto voluta e accettata dalla classe dirigente del tempo.
E ciò spiega - credo -, tra l'altro, non solo la crescente opposizione delle masse popolari, ma anche lo scarso impegno “combattentistico" dei richiamati che, pur battendosi con valore individuale (tanto maggiore, perché sempre in condizioni d’impreparazione e d'inferiorità) quando si trattò di difendere, in singoli episodi, l'onore del Paese, non poterono, certo, essere sorretti dallo spirito volontaristico che anima un popolo quando si trova a dover sostenere una guerra giusta e sentita.
E vengo all'arida cronaca.
10 giugno '40. Lo schieramento delle forze italiane al comando del principe di Piemonte sull'arco alpino è formato di 22. divisioni, 3 raggruppamenti alpini, 2 raggruppamenti celeri per circa 350.000 uomini. Armamento mediocre; situazione militare notoriamente infelice, di fronte alle posizioni e le fortificazioni francesi.
18 giugno '40. Incontro Mussolini-Hitler a Monaco: poche notizie ufficiali; si dice sia avvenuto per concordare l'armistizio con la Francia. (I tedeschi hanno raggiunto Parigi il 14).
Voci che Mussolini vuole attaccare i francesi, nonostante la palese inutilità.
22 giugno '40. I tedeschi firmano l'armistizio col governo francese di Pétain.
21-24 giugno '40. Per cinque giorni le forze italiane conducono una assurda offensiva sul fronte occidentale, raggiungendo Mentone, sulla costa, e gli avamposti alpini nella regione Ligure-Piemontese. 39 ufficiali morti, 187 feriti, 592 soldati morti, 5311 feriti, di cui 2125 congelati.
24 giugno '40, sera. A Villa Incisa, a Roma, Badoglio e Hutzinger firmano l'armistizio franco-italiano.
29 giugno '40. A Tripoli, Balbo è abbattuto dalla contraerea. Lo sostituisce Graziani.
Giugno-luglio '40. Fin dalle prime settimane, le forze italiane subiscono rovesci in Cirenaica. Si parla di migliaia di prigionieri, tra cui un generale. Nel Mediterraneo i bollettini annunciano “grandi successi”. Le battaglie navali di Punta Stilo (9 luglio) e Capo Spada (19 luglio) si sono risolte con lievi vantaggi italiani. Si sa di contrasti tra marina e aviazione. Si dice che, in un mese, l'aviazione italiana avrebbe perso 250 apparecchi. Si parla di un attacco tedesco contro l'Inghilterra, la cui attuazione è però rinviata di settimana in settimana.
Agosto '40. Violenti bombardamenti tedeschi sulle città inglesi.
Stasi sui fronti italiani, salvo che per il Mediterraneo.
14 settembre '40. Inizia l'offensiva italiana in Libia, voluta da Mussolini per ragioni di prestigio, contro il parere di Graziani. Ripiegamento inglese; occupazione di Sidi-el-Barrani.
27 settembre '40. Ciano firma a Berlino il “patto tripartito" tra Germania, Italia e Giappone. La stampa non nasconde il disegno di dominazione mondiale che ne è alla base.
4 ottobre '40. Incontro Mussolini-Hitler al Brennero. Scarse notizie ufficiali. Si dice sia stato esaminato l'abbandono del piano tedesco di invasione dell'Inghilterra, La guerra si farà più lunga e dura.
Metà ottobre '40. I tedeschi occupano la Romania. In Italia voci di attacco alla Grecia.
29 ottobre '40. Comincia l'attacco alla Grecia.
Inizi novembre '40. Notizie nere dalla Grecia. Da fonte radio si apprende che già il 5 novembre le nostre forze hanno dovuto ripiegare. Specialmente provati i contingenti alpini.
10 novembre '40. A conferma delle sconfitte subite il gen. Visconti Prasca è sostituito dal gen. Soddu in Albania.
12 novembre '40. Aereo-siluranti inglesi attaccano la flotta alla fonda a Taranto: colpite le corazzate "Littorio" Duilio” e "Cavour”.
Metà novembre '40. Continuano i rovesci in Albania. Mussolini annuncia che "spezzeremo le reni alla Grecia”.
18 novembre '40. Incontro Hitler-Ciano a Salisburgo: si parla di un grave rabbuffo del Führer per l'iniziativa italiana nei Balcani.
24 novembre '40. Farinacci attacca duramente, sul Regime fascista, Badoglio .
Inizio dicembre '40. Prosegue la rovinosa ritirata in Albania. Gli attacchi a Badoglio s'intensificano, anche da parte degli ambienti nel partito. Si dice che Mussolini abbia criticato il capo di S.M. accusandolo di aver approvato l'attacco alla Grecia, pur conoscendo la nostra impreparazione. Il maresciallo si sarebbe ritirato in Piemonte. Conflitti si sarebbero verificati tra ufficiali dell'esercito e fascisti a Torino; Asti e Roma.
Metà dicembre '40. Ripiegamento generale in Albania.
Le direttive ormai ufficiali del partito sono di dare tutta la colpa dei disastri militari a Badoglio e alla casta dei generali. Gli inglesi contrattaccano in Libia costringendo le forze italiane a ripiegare su Bardia. Si parla di migliaia di prigionieri, cinque divisioni fuori combattimento, generali arresisi senza battersi.
Ondate di critiche nell'opinione pubblica. Si parla di reazioni anche nell'ambiente militare e della corte. Mussolini, furibondo, avrebbe espresso l'intendimento di "mettere a posto" tutti: il re e i generali. Risbucano gli squadristi, a dare lezioni agli ascoltatori delle radio nemiche ma solo nelle grandi città e sotto la protezione della polizia. Nei centri minori e nel paesi i fascisti non si fanno vedere.
Fine dicembre '40. Anche Soddu è stato richiamato dall’Albania, sostituito da Cavallero. Ordine di Cavallero alle truppe: "Morire sul posto”.
Inizi gennaio '41. Continua la disfatta in Libia: cadono Bardia e, poi, Tobruk; si parla di oltre centomila prigionieri.
L’opinione pubblica è esterrefatta. Si parla di gravi dissensi nelle alte sfere del regime: Grandi, Bottai, Federzoni, Delcroix contro Farinacci, Pavolini, Sforza. Si dice che Mussolini intenda reagire con estrema energia: contro il re i generali la borghesia, il Vaticano, il popolo stesso che considera tutti "traditori".
7 gennaio '41. Al Consiglio dei ministri Mussolini legge l'elenco dei generali e dei colonnelli sostituiti e, in un comunicato pubblico, si fa appello "alle masse profonde dell'Italia proletaria fascista".
18 gennaio '41. Mussolini decide la mobilitazione di gerarchi, ministri, deputati, membri del Gran Consiglio, federali: tutto lo stato maggiore - e minore - del regime dovrà andare al fronte con l'inizio di febbraio.
22 gennaio '41. Incontro Mussolini-Hitler a Salisburgo.
Via radio si apprende che è stato comunicato l'abbandono definitivo del progetto di sbarco in Inghilterra, nonostante la feroce offensiva aerea compiuta fino a questo momento. Hitler avrebbe anche promesso l'intervento tedesco nei Balcani e in Libia. Mussolini dovrebbe intercedere presso Franco per indurre anche la Spagna a intervenire a fianco dell'asse.
12 febbraio '41. Incontro Mussolini-Franco a Bordighera. Nulla di fatto.
Metà febbraio '41. Rommel arriva in Libia, di dove Graziani è venuto via alla chetichella sostituito da Gariboldi.
1° marzo '41. Ha inizio l'intervento tedesco nei Balcani, con l'occupazione della Bulgaria.
1°-20 marzo '41. Mussolini si trasferisce in Albania per presenziare alla "grande controffensiva”.
Aprile '41. In concomitanza con l'intervento tedesco contro la Jugoslavia e la Grecia, Cavallero attacca dall'Albania e Ambrosio occupa Lubiana, la Dalmazia fino ai confini del Montenegro. Il 13 aprile i tedeschi occupano Belgrado, il 27 Atene. Rispettivamente il 18 e il 24 sono firmati gli armistizi con la Jugoslavia e la Grecia.
Giungono notizie, a fine aprile, delle sopraffazioni che, ovunque, i tedeschi compiono, mortificando i militari italiani e imperversando contro le popolazioni locali. Notizie analoghe giungono dalla Libia, dove l'arroganza tedesca si verifica al livello degli alti comandi.
Inizi maggio '41. Dopo una progressiva ritirata su tutti i fronti dell'Impero le forze italiane in Africa orientale abbandonano la resistenza. Il 19 maggio la resa dell'ultimo presidio comandato dal duca d'Aosta segna la fine dell'Impero.
18 maggio '41. Dallo smembramento della Jugoslavia, è creato il regno di Croazia, cui Vittorio Emanuele destina come sovrano Aimone, duca di Spoleto.
Seconda metà maggio '41. Si ha notizia che il numero due del nazismo, Hess, è fuggito in Inghilterra.
10 giugno '41. Mussolini pronuncia alla Camera un penoso discorso nel quale dà per sicure imminenti vittorie e definisce il suo recente soggiorno. in Albania "un premio per le truppe".
22 giugno '41. Inizia l'aggressione tedesca contro l'URSS.
Fine giugno '41. Mussolini decide (sembra contro la stessa resistenza di Hitler) di mandare subito sul nuovo fronte orientale un contingente italiano, che passa in rassegna a Verona il 26 giugno.
La stampa cattolica, finora dimostratasi distaccata, ravvisa nella nuova offensiva un valore ideologico che la porta a un palese avvicinamento al regime. Riserve e "distinguo" si notano invece sulla stampa fascista di sinistra, perfino. su periodici nati come Critica Fascista e Civiltà Fascista.
Luglio '41. Inizio della rivolta in Montenegro. L'attività partigiana si sviluppa in tutta la regione jugoslavo-greco-albanese, fino alla Venezia Giulia.
Settembre '41. L'avanzata tedesca in URSS si sviluppa fino alla occupazione di Kiev e all'assedio di Leningrado. I reparti italiani raggiungano. Stalino.
Le condizioni alimentari in Italia si aggravano sensibilmente.
Circolano, voci di una "occupazione segreta" di agenti tedeschi insediati nelle principali città. Ufficialmente s'installa nella Penisola un comando tedesco diretta da Kesselring.
Ottobre '41. I tedeschi conquistano Karkov e Odessa. Si accentuano in Italia le manifestazioni di fanatismo di Mussolini: il 4 ottobre decide l'allontanamento dalla Sicilia di tutti i funzionari siciliani; a metà mese si apprende che intende inviare in URSS, nonostante le difficoltà prospettate negli ambienti militari, almeno venti divisioni.
è promossa una inchiesta a carico di Graziani; voci attendibili riferiscano sull'intensificazione della sorveglianza di polizia e dell'attività del Tribunale speciale.
Novembre '41. Dopo che negli ultimi mesi i convogli avviati in Libia subiscono affondamenti con ritmo pauroso, ha inizio l'offensiva inglese che costringe le forze italo-tedesche a profondi ripiegamenti.
8 dicembre '41. A seguito dell'attacco giapponese a Pearl Harbour,
gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Tripartito.
21 dicembre '41. Si ha notizia di una crisi militare in Germania: il capo di S.M. Brautchisch è liquidato. Nella seconda metà di dicembre cominciano seri ripiegamenti tedeschi in URSS.
Gennaio' '42. Rommel tenta in Libia una controffensiva riconquistando Bengasi e Derna. Notizie di gravi contrasti tra il maresciallo tedesco e i generali italiani Gambara e Bastico culminano con il siluramento di questi ultimi.
Le restrizioni alimentari in Italia si aggravano: è introdotto, nei pubblici locali, il "rancio unico".
Febbraio '42. S'inasprisce in Italia la polemica fascista "anti-borghese" e contro il Vaticano, "Giri di vite" sono annunziati o effettuati in tutte le direzioni. Il 26 febbraio è decretata la "mobilitazione civile" di tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni, che non si comprende bene cosa significhi. Con il 1° marzo la razione del pane è ridotta a 150 grammi.
Marzo '42. La situazione interna italiana si fa particolarmente tesa. Si ha notizia di dimostrazioni di donne avanti ai forni a Venezia, Matera, Piombino e numerosi altri centri. Corre voce che Mussolini intende colpire i ceti abbienti e commercianti cui attribuisce le condizioni di disagio del Paese.
Sembra che le autorità di P.S. abbiano. denunciato circa 120 mila esercenti per infrazioni annonarie.
Maggio '42. Ha inizio l'offensiva di Rommel in Marmarica che porta, il 21 giugno, alla riconquista di Tobruk, con la cattura di 25 mila prigionieri inglesi. Anche in URSS i tedeschi sono alla controffensiva.
29 giugno '42. Mussolini parte per la Libia per partecipare all'auspicato ingresso delle truppe italo-tedesche in Alessandria d'Egitto.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
6 giugno 1944: operazione Overlord, nome in codice dello sbarco in Normandia
Il luogo dello sbarco dell’operazione Overlord fu scelto durante la conferenza Trident nel maggio 1943 a Washington: venne preferita la Normandia piuttosto che il Pas-de-Calais, in quanto le divisioni tedesche presenti in questa zona erano più numerose e soprattutto perché non vi erano spiagge e porti che consentissero un rinforzo rapido della testa di ponte.
Alla fine del mese di gennaio 1944, Eisenhower stabilì i mezzi che dovevano essere impiegati nell’operazione: tre divisioni aviotrasportate e cinque divisioni trasportate via mare (due americane e tre inglesi). La zona di sbarco si doveva estendere per circa 60 chilometri, dall’estuario del fiume Orne alla costa orientale del Cotentin. Durante la notte precedente l’operazione anfibia, le divisioni aviotrasportate dovevano coprire tutto il settore di sbarco al fine di proteggerlo ai suoi fianchi.
La scelta della Normandia per l’operazione Overlord consentì di ingannare i tedeschi. Con l’operazione Fortitude, lanciata dagli Alleati, si fece credere ai tedeschi ad uno sbarco nel Pas-de-Calais, bloccando così alcune divisioni tedesche in quest’ultimo settore.
D-DAY Sbarco per la vittoria
La decisione di attaccare i nazisti in Normandia porta la data del 6 giugno 1944. Alle 9.33 del mattino le agenzie americane lanciano il primo flash sullo sbarco. Ma per mettere in ginocchio la Germania il prezzo è altissimo: diecimila morti nelle prime 24 ore.
Articolo di Silvio Bertoldi
«Overlord», il Signore: questo è il nome che americani e inglesi hanno scelto per indicare l'operazione di sbarco sul Continente. «Overlord» comincerà quando verrà il momento del D-Day, il Decision Day, o giorno della decisione. Il D-Day viene il 6 giugno 1944, alle 6.30 del mattino, tra nuvole basse e mare di onde lunghe e scure: 2727 navi mercantili, 700 da guerra, 2500 mezzi da sbarco, 1136 aerei inglesi (tra cui una formazione agli ordini del famigerato generale Harris che distruggerà Dresda senza un perché), 1083 aerei americani. Il fronte corre da Le Havre a Cherbourg in Normandia. Una sorpresa per i tedeschi che aspettavano l'attacco sulla Manica, al Pas de Calais, e non vogliono ammettere di essersi sbagliati. Cinque i punti di sbarco, classificati con nomi di fantasia: «Utah» o «Omaha» di pertinenza degli americani a occidente, «Gold», «Judno» e «Sword» per gli inglesi a oriente. Un giorno intero di battaglia sanguinosissima ed è inutile illudersi di salvare il soldato Ryan: di soldati Ryan ne moriranno circa diecimila nelle prime ventiquattr'ore, il prezzo tremendo (peraltro previsto) pagato per una testa di ponte in Europa dopo quattro anni di guerra. Il colpo decisivo per mettere in ginocchio la Germania e sollevare l'Urss dal sostenere da sola il peso del conflitto. Torna alla memoria la promessa di Churchill nella drammatica notte del 2 agosto 1940, quando tutto sembrava perduto: «Ricordate: non ci fermeremo, non ci stancheremo mai, non cederemo mai; l'intero nostro popolo e l'Impero si sono votati al compito di ripulire l'Europa dalla peste nazista e di salvare il mondo dal nuovo Medioevo... e il mattino verrà».
Quel mattino è venuto. È cominciato poco dopo la mezzanotte del 5 giugno, quando sono partiti 60 incursori con il compito di segnalare le zone di atterraggio ai 72 alianti lanciati su Caen, precedendo le divisioni di paracadutisti dei generali Taylor e Ridgway: gli stessi che l'8 settembre sarebbero dovuti scendere su Roma, se un terrorizzato Badoglio non li avesse scongiurati di soprassedere. Poi è toccato alle due Armate, la prima americana di Bradley e la seconda inglese di Dempsey, entrambe agli ordini di Montgomery, l'eroe partito da El Alamein, che ha giurato di concludere la sua corsa solamente a Berlino. Come sarebbe in effetti avvenuto, se ragioni politiche non avessero costretto Eisenhower a imporgli di lasciare la precedenza ai russi.
Alle 9.33 del mattino del 6 giugno le agenzie di stampa americane avevano lanciato il primo flash con l'annuncio dello sbarco, poi era stato letto il proclama di Eisenhower ai soldati. Il generale non aveva fatto economia di parole ed era ricorso a quello che riteneva il tono epico adatto alla circostanza. ...
A Londra, alla Camera dei Comuni, a mezzogiorno Churchill stava illustrando la presa di Roma, avvenuta due giorni avanti. Un segretario gli passò un biglietto, lui lo lesse e, senza alterare il tono della voce, annunciò che la battaglia per liberare l'Europa dal nazismo era cominciata e con l'aiuto di Dio sarebbe continuata fino alla vittoria. Quella sera stessa le truppe alleate erano saldamente attestate nell'entroterra della Normandia e prendeva il via la lunga cavalcata che le avrebbe condotte all'Elba, dopo che Patton ebbe distrutta a Bastogne l'estrema speranza di Hitler di rovesciare la situazione.
Come fu vissuta l'avventura dalle due parti? Il giorno dello sbarco Rommel, capo dell'armata tedesca stanziata in Normandia, non si trovava al suo comando di La Roche-Guyon. Fidando nell'inclemenza del tempo, che lasciava pensare a tutto tranne alla possibilità di uno sbarco, era partito in automobile per la Germania. Andava a festeggiare il compleanno della moglie e le portava in regalo un paio di scarpe francesi. Lo avvertì Speidel, il suo capo di Stato Maggiore e si precipitò verso Parigi a tappe forzate. Capì subito che per tamponare la falla si dovevano spostare le divisioni del Nord verso la zona di Cherbourg, ma per questo occorreva il consenso di Hitler. Il Führer stava dormendo e l’ordine categorico era di non svegliarlo prima di mezzogiorno. Così seppe dello sbarco con dieci ore di ritardo e anzi non volle credere che si trattasse dello sbarco vero, bensì di una manovra degli Alleati, un diversivo a scopo di disturbo. Negò a Rommel di disporre delle truppe richieste e in tal modo diede al nemico una chance di successo mai immaginata. Qualche tempo prima Rommel aveva detto che, quando fosse cominciata la battaglia di Normandia, quello sarebbe stato «il giorno più lungo». Non azzeccò la previsione. Il 6 giugno non fu il giorno più lungo, al cadere della sera era praticamente terminato, con gli Alleati vittoriosi sulla costa.
Per Eisenhower il problema era diverso, legato soprattutto alle condizioni meteorologiche. Dopo una preparazione durata mesi, aveva deciso di attaccare il 5 giugno, perché in quel giorno si presentavano le condizioni ideali di luna, di marea e di vento che, se lasciate passare, si sarebbero ripetute soltanto il mese successivo. Non si poteva restare tanto tempo in sospeso, dunque o subito o chissà quando. Ma una bufera implacabile cominciò a imperversare sulla Manica e rese impossibile la partenza delle navi. Già da venerdì 2 giugno si erano scatenati gli elementi e fu necessario rinviare. Dopo lunghe ore di attesa spasmodica il meteorologo inglese, colonnello Stagg, la sera del lunedì annunciò che il 6 mattina si sarebbe presentata la possibilità di uno spiraglio di qualche ora. Si trattava di cogliere quella problematica occasione, con il pericolo che tutto cambiasse di nuovo. Eisenhower decise di rischiare. Le truppe erano imbarcate da giorni, non era possibile tenerle ancora «prigioniere» nelle navi. Vi fu un'ulteriore consultazione e poi, sulla fede nelle previsioni di Stagg, l'annuncio: «OK si parte». Era il D-Day, il giorno della decisione.
Stagg, l'oscuro eroe della grande avventura, aveva lavorato senza un attimo di sosta per decifrare le sue carte del tempo e indovinare il momento magico per l'attacco. Così era avvenuto, la schiarita c'era stata. Quando le navi furono partite e i comandi svuotati diventarono silenziosi, Stagg si ritirò nel suo accantonamento, si gettò vestito su una branda e dormì dodici ore filate.
Bibliografia:
supplemento del “Corriere della Sera” - dicembre 1999
La liberazione di Roma, 4 giugno 1944
Due giorni dopo la conquista di Cassino e dell'Abbazia, nel settore meridionale del fronte, il II Corpo americano attaccava la linea «Hitler» presso Formia e in direzione di Fondi. Altrettanto facevano algerini e marocchini sui monti Aurunci, mentre nel settore settentrionale il Corpo britannico e quello polacco combattevano aspramente a Pontecorvo e Piedimonte.
Cinque giorni dopo anche la linea «Hitler» era infranta e le Armate alleate potevano avviarsi verso Roma: l'VIII per la via Casilina e la V per la via Appia. Una Divisione americana si dirigeva lungo la costa verso la testa di ponte di Anzio, dove il VI Corpo angloamericano forte come un'Armata, il 23 maggio aveva iniziato l'offensiva.
L'attacco principale venne sferrato verso i Colli Albani e verso Velletri, occupata qualche giorno dopo, mentre Alexander aveva ordinato di tagliare la ritirata nemica sulla via Casilina puntando in forze su Valmontone. Clark invece preferì insistere in direzione di Roma, e Valmontone fu presa solo il 2 giugno, dopo che i tedeschi avevano completato il ripiegamento. La città di Littoria era stata liberata dall'unica colonna americana, appena un reggimento, che dalla testa di ponte di Anzio s'era diretta verso sud, incontro alla V Armata in arrivo dal fronte del Garigliano. Il ricongiungimento avvenne a Borgo Grappa il 25 maggio. Nella gioia dell'incontro si dimenticava ch'esso si era fatto attendere quattro mesi più del previsto.
Clark disponeva di una formidabile piattaforma per il lancio finale su Roma. È alla capitale ch'egli continuava a guardare, più che alla manovra di aggiramento chiesta da Alexander. Voleva arrivarci prima degli inglesi perché la nuova vittoria su Hitler portasse il suo nome. Per i tedeschi fu un colpo di fortuna. Essi non speravano che gli Alleati, per un motivo di prestigio personale, rinunciassero a cogliere, con un colossale accerchiamento, i frutti della vittoria. Scampati alla trappola di Valmontone, i tedeschi abbandonavano Roma con ogni mezzo, mantenendo sgombre le strade su cui si ritiravano le Divisioni di Cassino. Avevano perso molti uomini, ma avevano salvato l'esercito. Proprio l'ultimo giorno vollero lasciare un altro ricordo di sangue. Alle porte della città, in frazione La Storta sulla via Cassia, per alleggerire un automezzo, assassinarono 14 prigionieri politici fra cui il vecchio sindacalista Bruno Buozzi. Poi risalirono sui camion e ripresero più in fretta la ritirata verso nord.
Il generale Clark rievoca il giorno della presa di Roma:
«La maggior parte della gente non collega la data del 4 giugno (giorno in cui entrammo a Roma) con lo sbarco del generale Eisenhower in Normandia, ma le due operazioni erano coordinate, e mi era stato dato l'ordine di conquistare Roma, se fosse stato possibile, subito prima dello sbarco di Eisenhower. Sicché combattemmo con tutto l'impegno e ce la facemmo appena in tempo. Naturalmente, volevamo essere la prima Armata che liberava una delle capitali dell'«asse»; ciò avrebbe sollevato il morale degli Alleati e anche degli italiani. Sicché fu con profonda emozione che ci avvicinammo a Roma, e il giorno in cui vidi le mie truppe marciare verso la città, e fui testimone del modo cordiale con cui vennero accolte dalla popolazione, fu un giorno particolarmente felice. Il 5 giugno entrai anch'io in Roma con la mia "jeep" per la via Casilina. Non eravamo molto pratici della città; il generale Hume, che era con noi, aveva suggerito che il Campidoglio sarebbe stato il luogo adatto per incontrarmi con i miei comandanti di Corpo d'Armata.
Nelle vie erano gaie folle, molti cittadini agitavano bandiere. I romani sembravano impazziti d'entusiasmo per le truppe americane. Il nostro gruppetto di "jeep" errava per le vie, ma non riuscivamo a trovare il colle capitolino. Ci eravamo smarriti. A un tratto ci trovammo in piazza San Pietro e un prete si fermò accanto alla mia "jeep" e disse in inglese: "Benvenuto a Roma. Posso esservi utile in qualche modo?».
«Gli chiesi la strada per il Campidoglio. Là intendevo discutere i nostri piani immediati. Volevamo spingerci immediatamente oltre Roma per inseguire il nemico e prendere il porto di Civitavecchia. Quando fummo in piazza Venezia davanti al balcone dal quale Mussolini soleva fare i grandi discorsi, una folla plaudente ci bloccò. Finalmente ci aprimmo un varco e salimmo sul colle. Il portone del Campidoglio era chiuso; io bussai parecchie volte, non sentendomi molto conquistatore di Roma. Mentre si bussava, pensai che quella era per noi una giornata storica. Avevamo vinto la corsa di Roma per soli due giorni».
Chi nella capitale ha dimenticato quel giorno? Era la libertà, dopo nove mesi di angoscia e di disperazione. S'affacciava un mondo nuovo, si ricominciava a vivere.
A Roma l'appuntamento col Papa è una tacita consuetudine, quando accade qualcosa d'importante. Ma il pomeriggio del 5 giugno i romani andarono da Pio XII anche per un atto di gratitudine. Tutto in quei giorni era all'insegna della fede nell'avvenire. Ogni occasione era buona per affollare le piazze con bandiere, applaudire, gridare e sfilare in corteo proclamando i propri ideali. Gli Alleati assistevano sbalorditi, ed erano come travolti dall'urto caotico delle passioni politiche che esplodevano dopo tanto tempo.
Nella confusione scoppiarono anche disordini. In Piazza Venezia, dove la gente si raccoglieva più folta che altrove, si sfondarono i cancelli del palazzo delle Assicurazioni Generali in cerca di franchi tiratori inesistenti. La polizia alleata fu costretta ad intervenire con bombe lacrimogene.
Il 6 giugno la notizia dello sbarco in Normandia. È finalmente il secondo fronte, che porterà al tracollo della Germania; e intanto in Russia le Armate sovietiche incalzano. Di fronte alla grandezza degli avvenimenti, l'episodio dei franchi tiratori che, da una casa di via Appia Nuova, hanno aperto il fuoco contro i patrioti e i soldati americani, appare un inutile atto di rabbia e di vendetta. Ogni giorno nuove prove della violenza subita vengono alla luce. Finora Roma non sapeva ancora chiaramente delle Fosse Ardeatine, dove in marzo i tedeschi avevano massacrato per rappresaglia 335 detenuti politici. Adesso era un accorrere di parenti, di amici, di compagni di lotta.
L'orrore era pari alla disperazione delle madri.
Il Luogotenente, che intuiva la precarietà del momento, venne a Roma pochi giorni dopo la liberazione. Forse contava su qualche gesto di simpatia da parte dei romani. Ma la sua visita improvvisa passò quasi inosservata, e Umberto tornò a Napoli deluso. Come si era stabilito in aprile, il governo arrivava a Roma dimissionario, e a Badoglio subentrò Ivanhoe Bonomi che raccolse intorno a sé uomini designati dai sei partiti antifascisti. La lotta contro i tedeschi rimaneva il primo punto del programma di governo.
Oltre Roma la guerra continuava senza slancio. Ma Alexander e Clark, tornati amici dopo la contesa per Valmontone, erano ottimisti. Alexander rivolse un proclama alle truppe: «Questa battaglia, di cui è terminata la prima fase, è stata un successo magnifico. Come dicono i francesi: " Une belle victoire". La conquista di Roma è in se stessa naturalmente un grande avvenimento. Ha un grande valore morale, un grande valore politico. Ma come obiettivo militare non ha che scarsa importanza. Ciò che veramente importa è il fatto che noi stiamo compiendo quello che ci eravamo prefissi di fare, e cioè annientare sul campo le Armate tedesche. Il nemico è in uno stato di totale disorganizzazione, avendo subìto gravissime perdite, tanto che i prigionieri sono oltre 20.000 e ci sono 8.000 tedeschi feriti ricoverati a Roma, oggi, in questo momento. Molti di più giacciono morti sui campi di battaglia. Le perdite del nemico sono state dunque molto gravi, esso è disorganizzato. E noi lo stiamo inseguendo».
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
Operazione Overlord
Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944, una flotta gigantesca, la più formidabile mai assemblata nella storia dell’umanità, (21 convogli americani e 38 anglo-canadesi che trasportavano o rimorchiavano 2.000 mezzi da sbarco, scortati da una formazione di 9 corazzate, 23 incrociatori e 104 cacciatorpediniere) levò l’ancora dalle coste meridionali dell’Inghilterra per far rotta verso la Francia.
Le truppe alleate (che contavano nei loro ranghi 1,7 milioni di Americani, 1 milione tra Inglesi e Canadesi e 300.000 altre reclute, divise tra Francesi, Polacchi, Belgi, Olandesi, Norvegesi e Cecoslovacchi) disponevano di circa 2 milioni di tonnellate di materiale e di 50.000 mezzi (carri armati, veicoli semicingolati, automitragliatrici, camion, veicoli).
Mezzo milione di soldati del Reich era dispiegato tra l’Olanda e la Bretagna lungo il “Muro dell’Atlantico”, il sistema di fortificazioni fatto costruire da Rommel. Il grosso delle forze tedesche (la XV armata era disposta nella zona del Pas de Calais, là dove la Manica è più stretta, luogo di un probabile sbarco alleato secondo le previsioni di Hitler. Dieci divisioni blindate sono pronte ad intervenire, ma sono troppo distanti dalla costa.
Lo scarto in mezzi tra le due aviazioni è enorme: gli Alleati dispongono di 3.000 bombardieri e 5.000 caccia contro 320 apparecchi tedeschi.
È il feld-maresciallo Gerd von Rundstedt che prende il comando delle forze tedesche sul fronte occidentale. Al momento dello sbarco, Rommel è in Germania per festeggiare il compleanno della moglie.
Altri fattori rendono più facile la realizzazione del piano di invasione. Un esempio: sette messaggi trasmessi dagli Alleati alla Resistenza francese, benché intercettati dai servizi segreti tedeschi, non vengono mai ritrasmessi ai comandi militari in Francia.
Il comando supremo dell’Operazione Overlord è affidato al generale americano Eisenhower e il comando tattico al generale inglese Montgomery.
Il cattivo tempo sulla Manica provoca un ritardo di ventiquattro ore delle operazioni.
Le condizioni meteorologiche costringono il generale Eisenhower a scegliere la data del 6 giugno. La bassa marea delle prime ore del mattino e il levarsi tardivo della luna facilitano l’atterraggio degli alianti e il lancio dei paracadutisti.
Nella notte dal 5 al 6 giugno, le navi partite da diversi porti inglesi della Manica convergono al loro punto di incontro (“Piccadilly Circus”) per dirigersi sulle coste situate tra la foce della Senna e la penisola del Cotentin.
Il “Giorno più lungo” inizia alle 3 e 14 del mattino del 6 giugno con il bombardamento aereo delle difese costiere tedesche, seguito dall’atterraggio dei paracadutisti alleati (circa 18.000 uomini su 20.000 potranno compiere la missione che a loro era stata assegnata), il cui compito consisteva nell’annientare il sistema logistico del nemico. Due ore più tardi inizia il bombardamento navale alleato. La copertura aerea è impressionante e i tiri dei cannoni della marina micidiali. Pe evitare qualsiasi sorpresa, le navi dei convogli sono precedute da dragamine e protette dallo sbarramento di palloni frenati (potevano ascendere fino a quote di 1.500 m, tendendo i cavi di collegamento che consentivano di interdire ed ostacolare i velivoli ostili a bassa quota).
Alle 6 e 30 i primi segni dello sbarco: la prima ondata d’invasione del gruppo di armate, agli ordini di Montgomery raggiunge le spiagge il cui nome in codice sono “Utah”, “Omaha”, “Gold”, “Sword” e “Juno”.
Questo impressionante spiegamento di forze è seguito dall’arrivo di 145 banchine galleggianti in cemento destinate alla costruzione di porti artificiali per l’attracco di navi fino a 10.000 tonnellate e di elementi di una pipeline prefabbricata “Pluto” (Pipeline-under-the-ocean) che fornirà il carburante necessario all’armata.
I primi soldati a calpestare il suolo delle coste francesi sono gli Americani della I armata del generale Omar Bradley che sbarcano sulle spiagge d’Utah e d’Omaha dove lo stato del mare e la resistenza accanita dei tedeschi li mettono in seria difficoltà. Sulle spiagge di Gold, Sword e Juno, gli inglesi della II armata del generale Miles Dempsey sono più fortunati. Alcune ore dopo, gli Inglesi si ammassano già nei dintorni di Caen, mentre le unità americane si battono ancora contro le fanterie e le Panzer divisioni accorse in tutta fretta sulle colline circostanti.
Alle ore 9 e 33 del 6 giugno 1944, il quartier generale di Eisenhower comunica al mondo intero il seguente messaggio: «Sotto il comando supremo del generale Eisenhower, le forze alleate navali, sostenute dalle potenti forze aeree, hanno incominciato a sbarcare armate alleate sulla costa nord della Francia». È questo l’annuncio che l’operazione “Overlord”, ossia l’invasione della Francia, è riuscita e il mondo libero non può che rallegrarsene.
A mezzogiorno, il primo ministro britannico, Churchill, rivolgendosi alla Camera dei Comuni, annuncia lo sbarco in Normandia: «La prima serie di sbarchi delle forze alleate sul continente europeo è iniziata nel corso della notte. Questa volta, l’assalto liberatore è stato effettuato sulla costa della Francia. L’armonia più completa regna tra le armate alleate».
Hitler sarà informato dell’invasione solamente in tarda mattinata. Quanto a Rommel, riguadagnerà il teatro delle operazioni in serata del giorno J. Ma i tedeschi si ostinano a pensare che non si tratti della grande offensiva alleata attesa da alcuni mesi. Questo errore fatale contribuirà al successo dell’Operazione Overlord. Hitler invia l’ordine tassativo di non spostare verso la zona dello sbarco le divisioni blindate che si trovavano in altri settori e gli Alleati non saranno respinti in mare «durante la notte» come espressamente richiesto dal Führer.
Al calar della notte, al contrario, circa 160.000 uomini calpestano già il suolo francese. Anche se gli Alleati hanno raggiunto solo in parte i loro obiettivi, l’operazione è un successo.
2 giugno: festa della Repubblica
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2 giugno 1946: il primo referendum che ha cambiato l´Italia. Monarchia o Repubblica?
Di fronte al quesito secco, due opzioni antitetiche, oltre 12 milioni di italiani scelsero di cambiare. E con un margine di due milioni di voti sui monarchici nacque la Repubblica Italiana.
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Voti
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MONARCHIA
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10 718 502
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45,70%
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REPUBBLICA
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12 718 641
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54,30%
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bianche/nulle
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