gli Italiani e l’8 settembre del 1943
2 Septembre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #il fascismo
L’8 di settembre 1943 la collettività italiana usciva da vent’anni di fascismo e di diseducazione politica, con l’aggravante, non secondaria, di una guerra irresponsabilmente mossa in uno scenario internazionale che congiurava a sfavore del nostro paese, intrapresa in condizioni estremamente precarie sul piano militare e con un consenso passivo, manifestato sotto il balcone del palazzo di piazza Venezia, da una folla incosciente del baratro che andava così aprendosi.
L’8 settembre è sospeso tra la tragedia di un collasso politico-istituzionale e la farsa che fece da corredo al disfacimento di quel che rimaneva di un regime che si voleva totale e totalitario.
Una intera generazione ne visse più direttamente gli effetti: i giovani coscritti, impegnati nella leva e dislocati nei diversi reparti militari, operanti in tutto lo scenario del Mediterraneo, subirono per primi le conseguenze del cambiamento di alleanze e della vacanza di comando.
Avviene lo sbandamento dei militari, il concreto esautoramento e il dissolversi delle figure di comando, la comprensione che i vecchi alleati diventavano i nuovi invasori, l’avvio di una vendetta per parte tedesca che sarebbe durata fino alla conclusione della guerra e che si sarebbe esercitata in prima battuta contro l’esercito ed immediatamente dopo contro la stessa popolazione.
Vi è come una linea di continuità tra date diverse: il periodo tra settembre e novembre del 1938, con l’emanazione e l’introduzione dei provvedimenti legislativi e amministrativi meglio conosciuti come “leggi razziali”, che segnarono la radicalizzazione del regime fascista; il 10 di giugno 1940, che segna l’entrata in guerra dell’Italia; il marzo del 1943 con i ripetuti scioperi, a carattere corale e con spiccata connotazione politica, nelle fabbriche del Nord; il 25 luglio 1943, con il ribaltone nel Gran Consiglio del fascismo, la caduta di Mussolini e l’eclissi del regime, l’abbandono e il tradimento che le classi dirigenti operarono nei confronti di coloro che avevano considerato sempre e solo come sudditi.
La fuga del re e dei suoi più stretti collaboratori, preceduta dalla scomparsa del fascismo-regime, l’abbandono al suo destino di Roma capitale per parte delle Forze Armate fu il totale fallimento di una politica di guerra faticosamente perseguita da Mussolini e dalla casa regnante.
Una varietà di reazioni ebbero reparti e uomini, chiamati dalla latitanza colpevole dei governanti alla scelta individuale: la resistenza o la resa, la collaborazione con i tedeschi o la fedeltà al re.
Da una parte vi è l’inettitudine e l’irresponsabilità di quanti erano alla guida politica e militare del paese, dal basso un esercito lasciato sì allo sbando, ma pronto in molti casi ad assumersi il peso delle scelte e, come nell’eccidio di Cefalonia o in tanti altri episodi, a pagarle fino in fondo. La reazione armata di questi militari si rivela una componente fondamentale della Resistenza italiana.
L’8 settembre è un vero e proprio spartiacque nella coscienza nazionale con episodi quali il rifiuto per parte delle nostre truppe di arrendersi all’ex-alleato, la reazione popolare contro la presenza tedesca in Roma, negli stessi giorni – soprattutto a Porta San Paolo, dove si ebbero scontri armati tra paracadutisti germanici e elementi militari e civili nostrani.
Il rapporto che i tedeschi stabilirono con il nostro paese dopo l’8 settembre fu l’asservimento della popolazione civile, lo sfruttamento e la rapina sistematica delle risorse e l’eliminazione fisica degli individui presi in ostaggio in totale spregio di qualsivoglia residuo diritto.
Due gli schieramenti che si formarono, interni alla guerra che era in atto nella nostra penisola: i neofascisti repubblichini da un lato, i partigiani dall’altro.
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