Attilio Meroni
13 Août 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #storie di lissonesi
Verso la metà di giugno del 1944, una folta colonna partigiana comandata dal maggiore Superti, Bruno e Adolfo Vigorelli e da Mario Morandi, inseguita e braccata da forze tedesche, sta risalendo le boscose ed infide balze della Val Grande.
(Siamo in Piemonte, sopra Verbania e Mergozzo, ancora più a nord c'è la Val Vigezzo, ed è in atto una violentissima battaglia scatenata dai nazisti per smantellare la Repubblica partigiana dell'Ossola, valle che si apre subito ad ovest). Piove forte da giorni e lungo il corso dei torrenti la grande umidità, che rassomiglia a nebbia, protegge la marcia del gruppo… Giunta in prossimità dell'Alpe Portaiola, si dispone in fila indiana, scende il versante e si avvicina alle baite sperando di trovarvi cibo e ristoro. Qui i tedeschi, prevedendone il passaggio, le hanno teso un'imboscata acquattandosi più a monte, al riparo di alcuni ricoveri. Approfittano di un improvviso diradarsi della nebbia, aprono un micidiale fuoco di mitragliatrici e fanno letteralmente strage di partigiani: tra morti e feriti, subito finiti col colpo di grazia, rimangono sul terreno non meno di trenta uomini. Chi miracolosamente si salva, i feriti leggeri, soprattutto gli ultimi della colonna che, all'apertura del fuoco, si trovavano lontani, ancora al di là del torrente Val Grande, si disperdono in una fuga convulsa. Qualcuno è scovato e finito nei setacciamenti subito messi in atto, qualcun altro vaga disperato alla ricerca di un rifugio, di bacche e di acqua per sopravvivere, tentando di superare i Corni di Nibbio, in direzione dei paesini di Colloro e Premosello, dove può essere aiutato dalla gente del luogo. Un gruppo più numeroso, invece, con i fratelli Vigorelli e il Morandi in testa, raggiunge all'alba del giorno seguente l'alpeggio Casarolo dove già si erano rifugiati quattro scampati al massacro della Portaiola. Mentre tutti assieme si stanno sfamando con latte e formaggio dentro una baita, un reparto tedesco li circonda e piomba loro addosso non lasciando nessuna possibilità di reazione e pochissime vie di scampo. I partigiani escono con le mani alzate, i tedeschi li raggruppano contro un muro e li sterminano.
Tra questi morti giace anche Attilio Meroni (con molta probabilità il suo nome di battaglia è "Carlo"), abitava coi suoi in Via Parini ed ha appena compiuto i 19 anni. Non ha risposto a nessuna chiamata di leva repubblichina, e si è dato alla macchia condividendo la vita dei partigiani sui monti. I documenti ufficiali lo registrano caduto "in combattimento all'Alpe Portaiola di Val Grande il 23 di giugno", ma in quella data si è consumato l'eccidio dell'Alpe Casarolo. Non ha molta importanza, ora, ricercare l'estrema verità, ci basti sapere che è morto lassù, o alla Portaiola o alla Casarolo, nel corso di uno tra i più sanguinosi scontri mai avvenuti tra partigiani e nazisti. Per quanto ne sappiamo, il suo corpo non è mai stato ritrovato. (da “E questa fu la storia” di Silvano Lissoni)
…
Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l'aride montagne,
cercando libertà tra rupe e rupe,
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case, scuole ed officine,
mutammo in caserme le vecchie cascine,
armammo le mani di bombe e mitraglia,
temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.
Siamo i ribelli della montagna,
viviam di stenti e di patimenti,
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell'avvenir.
Ma quella legge che ci accompagna
sarà la fede dell'avvenir.
…
Dalle belle città (Siamo i ribelli della montagna), venne composta nel marzo del 1944 sull'Appennino ligure-piemontese, nella zona del Monte Tobbio, dai partigiani del 5° distaccamento della III Brigata Garibaldi "Liguria" dislocati alla cascina Grilla con il comandante Emilio Casalini "Cini".
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