1943-1945: l’organizzazione per la raccolta e il trattamento dei fuggiaschi in territorio svizzero
29 Octobre 2014 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale
Dal libro “Oltre la rete” di Antonio Bolzani:
«Dopo la seconda metà del settembre 1943 l'afflusso dei fuggiaschi ai nostri confini è andato via via scemando e normalizzandosi
La fiumana divenne un rigagnolo e cambiò composizione: trenta, quaranta entrate al giorno: un terzo militari e due terzi borghesi.
Al confine fu stabilita da parte nostra una severa e fitta sorveglianza a mezzo delle truppe di frontiera aggregate alle guardie di dogana e dalla parte opposta si videro comparire soldati della difesa confinaria (Grenzschutz) militi anziani delle truppe tedesche, severi e intransigenti.
Giungere al confine e passare sul nostro territorio fu certamente più difficile, ma non impossibile, specialmente per coloro che avevano l'accortezza di farsi accompagnare dai cosiddetti «passatori» e il denaro per pagare le loro astronomiche tariffe.
La nostra organizzazione per la raccolta e il trattamento dei fuggiaschi andò man mano perfezionandosi.
Tutti, civili e militari, una volta ammessi in via provvisoria dagli organi della dogana, venivano accompagnati al lazzaretto di Chiasso o a Lugano o a Locarno e di là, per ferrovia e in vetture speciali, a Bellinzona dove, nella Casa d'Italia, fu stabilita la Centrale di raccolta, con uffici per la visita medica, gli interrogatori di polizia, la compilazione dei complessi e molteplici formulari biografici, la presa delle impronte digitali e della fotografia, il deposito dei valori. Da questa centrale, tutti passavano allo stabilimento per le docce e la disinfezione personale e del bagaglio. Quindi i rifugiati venivano trasferiti nei campi di quarantena e gli internati militari trasportati oltre Gottardo, dopo una sosta di tre o quattro giorni nelle baracche rizzate nel cortile dell'Istituto Soave.
Furono aperti campi di quarantena, per gli uomini, a Bellinzona, nell'oratorio di S. Biagio, nelle scuole di Ravecchia e di Pedemonte e nel castello d'Unterwalden; a Lugano, nella Casa d'Italia: per le donne e i bambini, nell'asilo di Bellinzona, nello stabilimento balneare di Agnuzzo e nella nuova casa di vacanze dell' Ala materna, a Rovio.
Dopo la quarantena (della durata di tre settimane) le famiglie venivano riunite nei campi dell'albergo Majestic a Lugano e della villa vescovile di Balerna.
Intanto il Dipartimento federale di polizia decideva, per i civili, in via definitiva, l'ammissione o meno delle domande per l'internamento e le richieste di messa in libertà, che venivano di regola accettate se il postulante offriva sufficienti garanzie per il proprio sostentamento e, eventualmente, per quello dei familiari.
Gli altri rifugiati che non avevano chiesto di essere liberati, passavano dai campi di quarantena ai campi di soggiorno, rispettivamente ai campi di lavoro, dove potevano godere di una certa libertà e guadagnare qualche franco.
In altri campi o ricoveri venivano raggruppati gli inabili al lavoro; in altri, ancora, i giovani studenti, come fu il caso del liceo di Trevano.
L'organizzazione e la condotta dei campi di soggiorno, di lavoro di cura .e di studi, non dipendeva più dal Comando territoriale, ma dalla Centrale dei campi di lavoro con sede a Zurigo, organismo apposito creato dal Dipartimento federale di polizia.
A tutta questa rete di campi bisogna aggiungere i ricoveri, come il «Solarium » di Gordola e l'«Immacolata» di Roveredo (Grigioni) nonchè gli ospedali di tutto il Cantone; che accolsero. complessivamente oltre duecento rifugiati vecchi o bisognosi di cure già fin dai primi giorni dell’afflusso del settembre 1943 e mantennero questa media fino all'aprile del 1945.
Il rigagnolo continuò a scorrere per tutto l'inverno 1943-1944 e fu alimentato specialmente dagli ebrei e dai fuggiaschi per ragioni politiche. I militari italiani dell'esercito smobilitato andarono via via diminuendo fino a scomparire.
Costante fu, invece, il·giornaliero arrivo di prigionieri inglesi, jugoslavi, greci, sudafricani evasi dai campi di concentramento, cui si aggiungevano, di quando in quando gruppetti di russi, polacchi e francesi che trasportati in Italia dalla Germania e addetti all'organizzazione Todt, riuscivano a tagliare la corda.
Dopo l'inverno 1943-1944 il rigagnolo cambiò ancora composizione, almeno rispetto ai militari, e si alimentò di soldati della repubblica neofascista, che si squagliavano come la neve al sol d'aprile, i quali, a loro volta, dopo la caduta del Governo della Val d'Ossola, cedettero il posto ai partigiani,.
E a tutto questo costante movimento in entrata venne ad aggiungersi, già a cominciare dal mese di dicembre 1943, un movimento di uscita, alimentato esclusivamente dai militari italiani della fiumana del settembre che, dopo qualche mese di campo, punti dalla nostalgia o d'altro, chiedevano di ritornare al loro paese.
Passavano da Bellinzona, e si avviavano verso la Casa d'Italia divenuta per antonomasia la casa della benedizione, della salvezza per avere il viatico del ritorno nella patria tormentata».
Bibliografia:
Antonio Bolzani, “Oltre la rete”, Società Editrice Nazionale, Milano 1946
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