La violenza dei corpi militari della Repubblica Sociale Italiana
17 Juin 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo
Dopo l'8 settembre 1943 le forze occupanti lo Stato italiano sono due, quelle angloamericane e quelle tedesche, le prime operano con ciò che resta dello Stato legittimo, le seconde si adoperano per creare un'altra unità statale sul territorio italiano: la Repubblica Sociale Italiana. Questa istituzione non viene mai riconosciuta dagli Stati neutrali e si profila come un governo di fatto che interrompe temporaneamente la potestà dello Stato legittimo la cui sovranità è impedita ma non soppressa.
Le condizioni strutturali proprie della Repubblica Sociale Italiana permettono e favoriscono l'incontrollabilità della violenza. Tale istituzione è caratterizzata da un centro debole, incapace di esercitare una piena autorità sui vari corpi come di sorvegliare sulle azioni di questi. Manca di conseguenza un coordinamento tra i corpi militari.
Di fatto ogni corpo militare della Rsi risulta a se stante, con comandanti ambiziosi in aperto conflitto fra loro ed ostili ad ogni limitazione dei propri poteri; anche le divise sono diverse, tanto da accentuare la perdita di identità del fronte fascista repubblicano, identità smarrita, resa in altro modo evidente dalle differenze di comportamento dei vari corpi. Sono quattro i corpi militari dellà Repubblica di Salò: le quattro divisioni (Italia, Littorio, Monterosa, San Marco) dell'esercito di Graziani, la Guardia Nazionale Repubblicana di Renato Ricci, le Brigate nere di Alessandro Pavolini, la Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese; quest'ultima si pone inizialmente alle dirette dipendenze operative del comando militare tedesco, ma finisce per assumere le caratteristiche di esercito personale del suo comandante, il quale, secondo rapporti confidenziali inviati a Mussolini, si sarebbe rifiutato di prendere ordini dal Centro arrivando a manifestare, anche apertamente, il proprio disprezzo per i fascisti considerati troppo supini verso i tedeschi. Accanto a questi quattro corpi ve ne sono altri, di dimensioni decisamente minori, noti come squadre autonome; fra queste la più numerosa è la compagnia intitolata a Ettore Muti che, nel momento di maggiore espansione, arriva a contare 2.300 uomini. Le squadre autonome si inseriscono in un processo centrifugo di caotica dispersione delle forze del fascismo repubblicano. Queste squadre finiscono spesso per trovare gerarchi compiacenti che, per accrescere la loro influenza, ne coprono le malefatte garantendo una totale impunità che parte dai furti e arriva alla tortura. Sia le autorità tedesche che quelle della Rsi gradiscono la tortura sistematica svolta da queste squadre. Il ministro degli Interni della Rsi, Guido Buffarini Guidi, oltre a gestire ciò che resta delle forze dell' ordine, è diretto responsabile e protettore di varie squadre autonome, autentiche compagnie di tortura come la banda Koch e la Muti.
Il ministro è ben cosciente dei metodi di questi corpi che sono un'occasione di potere per delinquenti e aguzzini, e l'ultimo approdo per i reietti già cacciati da altre formazioni. Queste compagnie sono quasi sempre stanzlali (soltanto la Muti ha un battaglione mobile), le loro sedi, spesso chiamate nelle varie città, «ville tristi» sono autentiche officine di tortura dove con sadico divertimento si sperimentano su uomini e donne, i limiti umani alla sopportazione del dolore. La pratica della tortura diviene diffusa e nota al punto che a Milano è il cardinale Schuster ad agire, in diversi momenti, nei confronti di Mussolini e di don Luigi Corbella, uomo molto vicino alle gerarchie di Salò invitando entrambi a 'muoversi per porre fine all' azione di queste polizie speciali.
L'attività di questi corpi ha inizio tra il settembre 1943 e il gennaio 1944, ma anche le Brigate Nere e la Decima Mas attuano metodicamente le pratiche della tortura. Questo modo di condurre il conflitto è l'esplicito riconoscimento della propria impotenza a combattere in modo diverso il nemico. Le Brigate Nere, che dovevano essere sotto il profilo della struttura organizzativa l’equivalente fascista. del movimento partigiano, non sono quasi mai in grado, al pari degli altri reparti armati di Salò, di sostenere combattimenti con le formazioni della Resistenza. Dalle stesse fonti tedesche affiora il biasimo per l'arrendevolezza dei corpi fascisti quando si trovano attaccati dai partigiani.
da “La lunga liberazione” di Mirco Dondi - Editori Riuniti/l’Unità - aprile 2008
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