La Resistenza non ha colore
2 Octobre 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana
Ufficiale medico sudafricano? Partigiano «negro-americano»? Yankee di origine africana? Tutti indizi veri, ma imprecisi: non era facile decifrare l’enigma del cadavere di un civile dalla pelle scura rinvenuto tra le vittime della strage nazista in Val di Fiemme, avvenuta a ostilità concluse il 2 maggio 1945. Chi era quel giovane «mulatto» sul cui corpo esanime vennero rinvenute le insegne dei prigionieri del campo di concentramento di Bolzano, come attestò Giuseppe Morandini, inviato sul luogo del massacro dal Comitato di Liberazione Nazionale?
Merita più di un racconto la vicenda di Giorgio Marincola, partigiano di colore della Resistenza: ne dà conto la densa biografia Razza partigiana (Iacobelli, pp. 174, euro 14,90), volume in cui due giovani storici – Carlo Costa e Lorenzo Teodonio – ricostruiscono tramite documenti d’archivio, riferimenti storiografici e testimonianze dirette la parabola di vita dell’unico partigiano «nero» d’Italia. Figlio di un italiano residente in Somalia, maresciallo di fanteria di stanza a Mahaddei Uen, 50 chilometri a nord di Mogadiscio, Giorgio nasce nel 1923 e ben presto dice addio all’Africa: a differenza di tanti altri commilitoni, infatti, il padre Giuseppe riconosce il pargolo avuto da una donna locale e porta con sé Giorgio e la sorella Isabella in patria nel 1926. Qui l’uomo si sposa con una sarda e i Marincola si stabiliscono a Roma, ma il piccolo Giorgio va dai nonni paterni a Pizzo Calabro dove riceve il soprannome di «Yo-yo». Rientrato a Roma per gli studi, frequenta il liceo Umberto I: qui subisce l’influsso di Pilo Albertelli, docente di filosofia, antifascista, che indirizza il giovane italo-somalo sulla via del dissenso al regime. Valore quanto mai sentito dal mulatto Marincola: le leggi razziali del 1938 impedivano i rapporti tra italiani e «sudditi dell’Africa orientale italiana», ovvero i somali, mentre una nuova norma del 1940 impediva il riconoscimento dei meticci da parte del genitore italiano, sbarrando la strada per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Albertelli, membro del Partito d’Azione, ispirò Marincola con abbondanti dosi di antifascismo liberale: leggeva Benedetto Croce, il giovane mulatto, e appuntava stringenti riflessioni sulla libertà politica: «La concezione liberale presuppone dei valori morali a base delle libertà politiche da essa richieste, quali la libertà di pensiero e di stampa, di discussione e di associazione. E quali valori morali che possano veramente far sviluppare e rendere degna della loro funzione le libertà sopracitate, noi crediamo essenziali l’onestà, la lealtà, il rispetto verso le istituzioni e le leggi dello Stato e verso il prossimo».
Proprio dall’educazione ricevuta sui banchi Marincola decise di entrare nelle file della Resistenza dopo l’ 8 settembre: si arruolò in una squadra di «Giustizia e Libertà» e partì per il Viterbese nel febbraio 1944 coi libri di medicina sottomano perché nel frattempo si era iscritto alla facoltà di Medicina: «Voleva ritornare in Somalia e lo studio gli serviva per apportare aiuto alle popolazioni di laggiù» , ricorda un compagno. Dopo la partecipazione all’azione partigiana nelle campagne laziali, Marincola venne ingaggiato dagli inglesi: con il nome di battaglia di Mercurio fu assoldato per la missione Bamon e paracadutato nelle campagne di Biella quale agente di collegamento con le truppe anglo-americane dirette a Nord. Il suo impegno fu così convincente che il capitano di Sua Maestà Jim Bell lo lodò così: «Era l’unico della Bamon che desiderava realmente fare qualcosa e non sprecare il suo tempo e denaro a divertirsi». Ferito in un assalto ad un reparto nazista, Marincola viene arrestato nel gennaio 1945 con il nome di Renato Mariano, quindi picchiato dai fascisti perché inneggiò alla Resistenza anche da prigioniero, durante una trasmissione di propaganda fascista cui fu costretto. Mandato a Torino e quindi a Bolzano, venne rinchiuso nel locale campo di concentramento che fungeva da smistamento verso la Germania. Il 30 aprile 1945 viene liberato ma si dirige verso la Val di Fiemme dove, arruolandosi ancora tra i partigiani, incappa nella furia nazista di Stramentizzo: il 4 maggio 1945 Giorgio il mulatto cade colpito alle spalle dai tedeschi in ritirata.
di Lorenzo Fazzini da Avvenire
nella foto Marincola (a destra) con un compagno d’armi
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