gli intellettuali italiani dopo l’8 settembre 1943
10 Septembre 2009 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana
La cultura italiana fu colta anch’essa di sorpresa dagli avvenimenti del settembre. Alcune punte avanzate erano già attive nella lotta antifascista, altre erano ancora ferme in un'angosciosa perplessità nei suoi quadri più numerosi, dalle università ai vari gruppi artistici e letterari. La catastrofe nazionale era piombata improvvisa sulla maggioranza degli intellettuali italiani che non aveva aderito al regime o aveva aderito solo formalmente ... che aveva stimato di salvare la cultura insieme alla propria anima, rifugiandosi in un'arte o in una scienza lontana dalla vita e dai suoi problemi reali. ... Tanti intellettuali si trovarono nel momento del crollo isolati e disperati, senza più riparo o rifugio all'incalzare degli avvenimenti, come gli « sbandati» ed i fuggiaschi del nostro esercito. ... In questo stato di disorientamento, di dubbio angoscioso che arrivava fino alla disperazione, intervenne la voce di Giovanni Gentile. ... Era un richiamo, sia pure così camuffato di. parole solenni, all'attivismo cieco e inconsapevole, una tavola di salvezza offerta decisamente ai naufraghi; non una scelta fra « il bene» e ,« il male» perché bene e male - avvertiva il Gentile - sono dappertutto; l'importante è partecipare alla«storia», intendendo per storia - come egli aveva sempre inteso - la soggezione allo Stato o al potere costituito, l'aureola dell'idealismo intorno al manganello di ieri e al bastone tedesco di oggi. ...
Le parole di Gentile sono della fine del '43, pronunciate non a caso dopo quel Natale che avrebbe dovuto concludere nel segno della«concordia nazionale» la repressione della classe operaia nelle fabbriche e dei primi nuclei partigiani sulle montagne.
Circa un mese prima, il 28 novembre 1943, presso l’Università di Padova era accaduto un episodio esemplare durante la solenne ed eccezionale inaugurazione dell'anno accademico alla quale non furono invitati né i tedeschi né le autorità fasciste; ma il ministro Biggini, all'ultimo momento, assieme al prefetto Fumei, volle intervenire, come egli disse, «in forma privata ». Erano pallidi e titubanti. La grande aula magna rigurgitante di folla, era silenziosa, ma quando entrarono alcuni studenti in divisa repubblicana e armati, cominciò un tumulto indescrivibile: abituati alle prepotenze, da molti anni, i militi risposero con minacce, con insulti e occuparono la tribuna degli oratori, tentando di resistere alla dimostrazione ostile che andava assumendo una violenza sempre maggiore. Entrò in quel momento il Senato accademico con Concetto Marchesi in testa. Il rettore e il pro-rettore allontanarono a viva forza dalla tribuna i militi repubblicani e subito dopo il Marchesi cominciava la sua nota orazione che si chiudeva inaugurando l'anno accademico non più a nome del re, ma in nome «dei lavoratori, degli artisti, e degli scienziati». Disse:
«Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria; vi ha gettato tra cumuli di rovine; voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l'impeto dell'azione, e ricomporre la giovinezza e la Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi, insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie e nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto o ha coperto con il silenzio o la codarda rassegnazione, c'è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina. Studenti, mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta insieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l'oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l'Italia dalla ignominia, aggiungete al labaro della vostra università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace del mondo.»
Da allora l'Università di Padova diventa il maggiore centro cospirativo veneto, è il punto d'incontro fra coloro che agiscono nella clandestinità o hanno preso la via della montagna e coloro che sono rimasti al proprio posto non per salvare la cultura in astratto ma per dare a quegli incontri e a quella organizzazione la «copertura legale». A questa funzione principale vengono indirizzati gli studi e le lezioni universitari; lo studio maggiore è come colpire il nazifascismo senza dargli requie e senza risparmio di sacrifici. L'università fornirà i quadri alla brigata guastatori Silvio Trentin, che cosi si denomina dal dirigente antifascista reduce dalla Francia e prematuramente scomparso nella lotta dopo aver dato il primo impulso alla resistenza veneta: la brigata che avrà uccisi tutti e tre i comandanti avvicendatisi alla sua direzione. Fornirà la più lunga e compatta lista di martiri della Resistenza, professori, assistenti, studenti, inservienti, fucilati o morti in combattimento, nelle prigioni, nei campi di concentramento: circa un centinaio.
da “Storia della Resistenza italiana” di Roberto Battaglia Einaudi 1964
Per le attività di liberazione dal nazifascismo l'Università di Padova è stata l'unica in Italia ad essere insignita della medaglia d'oro al valor militare.
A ridosso della solenne inaugurazione dell’anno accademico, il 12 novembre 1945, alla presenza del generale Dunlop, ‘governatore’ alleato per le Venezie, Ferruccio Parri, già presidente del Cln Alta Italia e allora presidente del Consiglio dei ministri, appuntò al gonfalone dell’Università di Padova la medaglia d’oro al valor militare per il contributo dato da studenti, docenti e personale universitario alla Resistenza, con la motivazione dettata da Concetto Marchesi e scolpita alla base dell’elenco dei caduti nell’atrio del palazzo del Bo:
«Asilo secolare di scienza e di pace, ospizio glorioso e munifico di quanti da ogni parte d’Europa accorrevano ad apprendere le arti che fanno civili le genti, l’Università di Padova nell’ultimo immane conflitto seppe, prima fra tutte, tramutarsi in centro di cospirazione e di guerra; né conobbe stanchezze, né si piegò per furia di persecuzioni e di supplizi. Dalla solennità inaugurale del 9 novembre 1943, in cui la gioventù padovana urlò la sua maledizione agli oppressori e lanciò aperta la sfida, sino alla trionfale liberazione della primavera 1945, Padova ebbe nel suo Ateneo un tempio di fede civile e un presidio di eroica resistenza e da Padova la gioventù universitaria partigiana offriva all’Italia il maggiore e più lungo tributo di sangue.»
Padova, 1943-1945
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