Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

il clero e la Resistenza

28 Septembre 2009 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Il clero italiano, fin dall'inizio dell'occupazione tedesca, aveva dovuto scegliere fra due alternative: la Resistenza patriottica all'invasore, quale ad esempio fu quella condotta in Belgio dal primate belga cardinale Mercier durante la prima guerra mondiale o l’acquiescenza allo stato di fatto, quale si ebbe in Francia durante l’occupazione nazista.

In Italia invece non fu scelta con chiarezza né l'una né l'altra strada, non ci fu una politica vaticana «a senso unico», facilmente definibile nelle sue caratteristiche. L'unica direttiva che arrivò da Roma fu quella di negare il riconoscimento de iure alla repubblica di Salò, pur riconoscendola come un governo di fatto.

Il clero basso, si può dire in ogni regione, offre la sua assistenza agli «sbandati» e continua ad offrirla anche quando essi sono divenuti «ribelli» e poi patrioti: è un'assistenza che travalica facilmente i limiti della carità imposta dai doveri sacerdotali, poiché non si limita, almeno nelle sue manifestazioni più esplicite, a offrire un rifugio, uno scampo alle persecuzioni nazifasciste, ma fornisce un vero e proprio appoggio al consolidarsi delle prime formazioni partigiane e collabora in forme più o meno dirette alla loro efficienza bellica. Numerosi esempi possono essere portati in tal senso risalendo dal Sud al Nord.

A Roma spicca la figura di don Pietro Morosini, fucilato «per l'opera di ardente apostolato fra i militari sbandati... l'acquisto e la custodia delle armi» («se mi lascerete libero ricomincerò da capo», dichiarò orgogliosamente ai suoi giudici). E ancora a Roma è da ricordarsi il coraggioso gesto compiuto da' un sacerdote, don Paolo Pecoraro: il 12 marzo 1944, in occasione della benedizione papale in piena piazza San Pietro, gremita fino all'impossibile, dove abbondavano fascisti ed SS tedesche, non esitò con sprezzo del pericolo e rischiando la propria vita, ad issarsi su uno dei piedistalli dell'obelisco e ad esortare a voce altissima tutti gli italiani a battersi contro gli oppressori, a cacciare il nemico invasore.

Decine e decine di parroci sull'Appennino e sulle Alpi acconsentono a trasformare le loro canoniche in depositi d'armi, e non solo consentono, ma sono essi stessi a suscitare e ad organizzare la guerra di liberazione. Così, ad esempio, fa don Pasquino Borghi nelle zone del Reggiano, fucilato nel gennaio come organizzatore dei primi nuclei di ribelli, il parroco don Agnesi in Piemonte che trasforma la sua canonica in «ufficio d'arruolamento della IV brigata Garibaldi», don Gaggero a Genova al quale fa capo il CLN locale. E gli esempi si
potrebbero moltiplicare. Ci sono anche quelli che assumono direttamente il comando delle formazioni partigiane come «don Pietro» nella provincia di Massa-Carrara e «don Carlo» in quella di Reggio Emilia. Sono questi gli esempi più avanzati, alcuni d'eccezione, ma è indubbio che la gran massa del clero basso si dimostrò favorevole, e non solo a parole, alla Resistenza.

 

La situazione in Brianza

Don Enrico Assi, uno dei sacerdoti che più hanno partecipato alla Resistenza brianzola insegnante al seminario di S.Pietro a Seveso più volte imprigionato dai fascisti, nel suo libro Cattolici e Resistenza afferma:

«Se la Resistenza fu essenzialmente rivolta dello spirito non contro altri uomini, ma contro un'allucinante concezione dell'uomo e della storia .... se la Resistenza fu l'esplosione della grande idea della libertà e anelito verso un mondo nuovo, non poteva che costituire il luogo della presenza e dell'opera dei preti e dei cattolici».

Ma, per il clero, fu veramente così? Il fenomeno del collaborazionismo fra gli ecclesiastici fu ben poca cosa. Si limitò all'ambiente dei cappellani militari, intriso di sentimenti patriottici influenzati dalla fascistizzazione dei reparti.

Vi fu però una profonda diversità del comportamento delle alte gerarchie ecclesiastiche da quello del basso clero.

Per quanto riguarda i vescovi del centro-nord, la maggior parte non diede credito al fascismo repubblichino. Cercarono con un atteggiamento distaccato, di far dimenticare gli anni delle benedizioni ai gagliardetti, dei Te Deum per le conquiste coloniali e del nazional-cattolicesimo. Pochissimi si fecero coinvolgere (sempre comunque marginalmente) nel movimento per la libertà. I due vescovi delle diocesi milanese e comasca che coprivano il territorio brianzolo, il cardinal Ildefonso Schuster e monsignor Alessandro Macchi, non si distaccavano da questo clichè. Non è nota nessuna presa di posizione autorevole, chiara ed espressa a gran voce o sottovoce contro quella “allucinante concezione dell’uomo e della storia” che, giustamente diceva don Assi.

Per il basso clero non fu così. Molti semplici sacerdoti, molti parroci di campagna e di paese che vivevano a stretto contatto con la popolazione e della quale, quindi, conoscevano le privazioni, i lutti determinati da quella guerra ed ora anche le angherie fasciste, meglio comprendevano qual erano le le necessità più elementari da soddisfare, il problema dei giovani renitenti da proteggere con i  tedeschi in casa.

I prevosti e i maturi parroci brianzoli assumono un contegno distaccato e freddo nei confronti della repubblichina, ma alla popolazione per ancestrale senso di rispetto all'autorità costituita o per timore, consigliano con fervore di non muoversi contro gli occupanti, di non compiere gesti ostili per non suscitare rappresaglie, per evitare spargimenti di sangue e mantenere comunque l'ordine. Suggeriscono di attendere con rassegnazione la fine di questo tragico momento e di pregare.

È un dato di fatto, una realtà, è che la Chiesa fu con ciò un elemento di attenuazione dell'opposizione al nazifascismo in Brianza, di freno all'appoggio alla Resistenza, condizionando molto anche l'attività delle formazioni cattoliche.

Chi furono, allora, i sacerdoti più vicini al movimento clandestino? In genere erano i preti dell'ultima generazione, i più recettivi verso la necessità di ritrovare la libertà e verso il bisogno di dare il giusto valore alla politica.

Alcuni esempi di sacerdoti brianzoli impegnati nella Resistenza:

don Aurelio Giussani, di Baruccana di Seveso ed insegnante al collegio S.Carlo di Milano, membro dell'O.S.C.A.R. (Organizzazione di soccorso cattolico degli antifascisti ricercati), che si costituisce proprio all'interno dell'istituto milanese. Ricercato dai fascisti; è costretto nell'ottobre del 1944 a lasciare Milano. Si unirà alle bande partigiane dell' Appennino emiliano divenendo, col nome di padre Carlo da Milano, il cappellano della 2° brigata Julia e poi della Divisione Val di Taro, scendendo dai monti solo dopo la Liberazione;

don Antonio Redaelli, parroco di Barzanò, che incitava i giovani dal pulpito a non aderire ai bandi della Rsi.

O altri appartenenti ufficialmente alla Resistenza come don Fortunato di Monza nella cui casa vi era una base della della brigata liberale Ippocampo, o come don Mario Limonta di Concorezzo, cappellano e medico del gruppo Cinque giornate che combattè al S.Martino nel varesotto e che riparò in Svizzera dopo la battaglia. E ancora:

don Luigi Vantellini di Nova Milanese che era in contatto coi gruppi partigiani della Valtravaglia che riforniva di soldi;

don Bonzi, del collegio Pio XI di Desio che accusato di favorire i partigiani del luogo e di nascondere armi, venne arrestato il 29 aprile 1944, tradotto nelle carceri di Monza e poi a S.Vittore da dove fu inviato a Bolzano Gries e quindi deportato a Dachau. Morì, essendo il suo fisico ormai compromesso dal trattamento riservatogli, a 43 anni nell'aprile del 1947;

don Antonio Bossi, coadiutore al S.Gerardo a Monza, fu cappellano della 52°Brigata del Popolo;

don Giuseppe Orsini, coadiutore a Varedo, teneva i contatti fra la brigata Mazzini del luogo e il distaccamento della Brigata del Popolo;

don Antonio Cazzaniga, parroco di Cederna a Monza, fu arrestato il 7 ottobre 1943 con l'accusa di nascondere armi; non trovandole i fascisti lo incarcerarono a S.Vittore dove fu anche torturato. Fu liberato per l’intervento del cardinale Schuster presso il console tedesco;

don Vittorio Branca, presso la parrocchia di Camnago. Nella canonica della piccola frazione aveva trovato ospitalità prima del tentativo di espatrio sotto il nome di avvocato Martinelli, Concetto Marchesi, direttore dell'Università di Padova, ricercato dopo il discorso del 1° dicembre 1943 in cui aveva invitato gli studenti alla resistenza. Don Vittorio gli divenne ottimo amico pagando questo rapporto con diversi interrogatori a cui fu sottoposto dai fascisti della caserma di Seregno.

Di notevole spessore fu l'apporto al movimento resistenziale offerto da quel centro di antifascismo marcato stretto dalla polizia repubblichina che si era installato nel collegio arcivescovile, il Niccolò Tommaseo di Vimercate. Erano in tresca con il centro di Vimercate anche altre parrocchie limitrofe come quella di Burago Molgora, dove don Alessandro Decio aveva nascosto alcune armi, don Domenico Villa e don Peppino Villa di Arcore, veri fiancheggiatori dei partigiani, e don Virginio Zaroli, coadiutore a Villasanta che protesse numerosi sbandati e renitenti.

Un rancoroso rapporto del gennaio 1945 sulla situazione del ribellismo in Brianza, stilato dal comandante della Brigata Nera di Monza tenente colonnello Zanuso, si accanisce contro la massoneria nera, come viene definito il clero. Rileva una zona particolarmente pericolosa nel vimercatese dove si ritiene che la comunità cattolica influenzi in senso anti-Rsi la popolazione. Dunque anche ai fascisti era nota e dava fastidio l'opera del clero brianzolo. Un clero che, certo, si oppose al nuovo regime e ai tedeschi in gradi diversi, che si espose in un' azione di contrasto al nuovo potere in misura molto varia, ma che in gran parte, con le dovute eccezioni, non fu in questi venti mesi fascista. Uno sbandato, un ebreo, un partigiano bussando ad una canonica poteva, non certo con sicurezza, ma con buone probabilità, trovare ricovero ed assistenza.

 

Elaborazione da:

-       “Storia della Resistenza italiana” di Roberto Battaglia  Einaudi  1964

-       La Resistenza in Brianza 1943-1945” di Pietro Arienti  Bellavite  2006

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