Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

accadeva a Lissone durante la seconda guerra mondiale

20 Décembre 2009 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

I primi segni premonitori della guerra comparvero in Brianza durante gli anni Trenta, accompagnati dalle numerose iniziative di protezione antiaerea dei vari comuni.

Anche il Comune di Lissone e la locale sezione dell'UNPA (Unione nazionale protezione antiaerea) si diedero da fare, organizzando il primo esperimento di protezione antiaerea sul territorio comunale nel 1933.

Dal “Giornale di classe” della classe V della scuola elementare "Vittorio Veneto" di Lissone nell’anno scolastico 1940-1941

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f1 20 dic 1940 prova per incursione aerea
f1 20 dic 1940 prova per incursione aerea continuaz

Al timore dei bombardamenti si aggiunse subito la paura di attacchi con gas tossici per questo il Comune provvide nel 1938 ad acquistare maschere antigas, constatato che anche in altri paesi della Brianza era stato adottato il medesimo provvedimento. Fu così che tra l'erogazione di contributi per la colonia elioterapica
 
e per le cure marine e salsoiodiche, tra l'istituzione degli ormai noti premi di natalità

 

 

 e di nuzialità e le numerose altre iniziative «popolari» del podestà Cagnola, trovasse posto la delibera d'acquisto di trenta maschere antigas, la cui motivazione era quella di «volgarizzare l'uso della maschera antigas con esperimenti tra la cittadinanza, specie nelle scuole elemetari.


Dal “Giornale di classe” della classe V della scuola elementare di Lissone nell’anno scolastico 1939-1940

1939 e 7 dic antigas


In seguito, nel corso del 1939, comparvero nuovamente le tessere annonarie, mentre cominciavano a registrarsi fenomeni legati all'accaparramento dei generi alimentari e al razionamento della benzina.

Il controllo dei generi alimentari, che i lissonesi avevano già conosciuto durante la Grande Guerra, impose a tutti nuovi sacrifici. Divennero rapidamente rari i prodotti alimentari di prima necessità come il pane, gli articoli da minestra, i grassi, lo zucchero, la pasta, il riso, la farina di frumento, mentre il sapone e l'abbigliamento subirono, di lì a poco, la stessa sorte. Per avere un'idea di quello che stava accadendo, si pensi che negli ultimi mesi del 1940 il personale comunale cominciò a preparare 17.000 carte annonarie per il pane e i generi da minestra da distribuire l'anno successivo.

Seguirono le disposizioni prefettizie affinché non avesse più luogo l'illuminazione di gala dei pubblici edifici in nessuna delle ricorrenze nelle quali essa era disposta (18 maggio 1940). Insomma alla vigilia della Seconda guerra mondiale, il futuro non offriva grandi speranze ad un Paese di circa 16.000 abitanti, dei quali quasi 15.000 concentrati nel capoluogo.

La guerra giunse il 10 giugno del 1940 e con essa arrivarono le prime direttive richieste dalla nuova condizione del Paese, alle quali Lissone si adeguò prima con l'adozione del razionamento e in seguito con la realizzazione dell'Ente comunale legna da ardere (novembre del 1941), finalizzato a disciplinare la distribuzione e i consumi in previsione dell'inverno. Contemporaneamente furono incoraggiati gli allevamenti domestici (pollame, conigli e piccioni) e nacquero i primi orti di guerra. Così il piazzale IV Novembre, posto di fronte alle scuole Vittorio Veneto, divenne un ampio campo di grano.

 

Lo stato di guerra aveva delle necessità inderogabili che prevedevano anche la raccolta dei metalli necessari alla produzione bellica.

 

Il comune nel giugno del 1941 provvide al censimento delle campane. Esso fu il primo passo verso la requisizione di tali oggetti nei confronti della quale il prevosto, don Angelo Gaffuri, mantenne un atteggiamento apparentemente neutrale. Il dissenso da parte del più importante prelato lissonese era in linea con la posizione assunta dalle autorità ecclesiastiche, che dovettero, loro malgrado, fornire i dati relativi al numero e al peso delle campane.

 

In base al censimento effettuato il 19 giugno 1941 si apprende che il numero di campane esistenti a Lissone era di nove campane di bronzo, poste sul campanile della chiesa del capoluogo, fabbricate nel 1926 per un peso complessivo di 11,506 quintali e di 5 campane di bronzo posizionate sul campanile della parrocchia della frazione Bareggia, fabbricate nel 1904 per un peso complessivo di un quintale. Nessuna campana era stata ritenuta di eccezionale pregio artistico o storico.

 

Cinque delle nove campane costituenti il concerto della chiesa prepositurale vennero infine requisite; ad esse si aggiunse anche la campana del vecchio campanile demolito con la Chiesa prepositurale nel 1933 e destinato all'erigenda chiesa dell'oratorio maschile.

Incaricata dell'asportazione fu la ditta Ottolina di Seregno; le campane asportate furono la 2a, la 3 a, la 5 a, la 7 a, la 9 a.

Per raggiungere il quantitativo di peso stabilito dalla requisizione si dovette consegnare anche una campana residuata dalla Chiesa vecchia e che si conservava perché destinata all'erigenda chiesa dell'Oratorio maschile. Il peso complessivo delle campane consegnate è stato di q.li 59,86 più kg. 95 di materiale in ferro (attacchi delle campane). Lasciò pessima impressione nei lissonesi il fatto che le campane aspor­tate furono lanciate dalla cella campanaria. La 2a e la 9 a si spezzarono.


Il concerto
delle nove campane era in la bemolle grave: era uno dei più grandi della diocesi raggiungendo il peso complessivo di oltre 115 quintali. Era stato fuso dalla fonderia Barigozzi ed era dedicato a Cristo Re. Il concerto, portato a Lissone il 10 ottobre 1926, era stato benedetto da Mons. Adolfo Pagani il giorno 17 ottobre 1927 ma non potè essere collocato sul campanile fino ai primi dell'ottobre dell'anno seguente. Per la fusione era stato usato in parte il bronzo delle tre campane maggiori che nel settembre precedente erano state calate dal vecchio campanile. Le campane vennero tutte donate da generosi cittadini.

Alla requisizione delle campane seguì, nel febbraio del 1942, la raccolta del rame che il Comune dispose sia ricevendo le denunce obbligatorie dei cittadini sia dando luogo alle operazioni di raccolta.

Ovviamente anche a Lissone aumentarono notevolmente le preoccupazioni e le ansie per gli arruolati, alimentate dalla pressoché totale mancanza di notizie sulla loro sorte.
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Come testimonianza, restano le molte cartoline dell'ufficio prigionieri della Croce rossa italiana indirizzate ai lissonesi per segnalare la presenza di compaesani nei campi di prigionia tedeschi e americani. Alle ricerche spesso partecipavano anche i programmi radiofonici dell'EIAR (Ente italiano audizioni radiofoniche), ma non sempre con esito positivo.
EIAR Radio Mosca prigionieri 

In compenso i vuoti provocati dagli assenti vennero presto colmati dall'afflusso sempre più consistente dei primi sfollati, soprattutto milanesi, diretti verso i comuni della Brianza. In paese, nel corso del conflitto, furono tantissime le famiglie che trovarono alloggio in seguito ai bombardamenti alleati su Milano.

Le prime persone giunsero proprio da lì nel gennaio del 1943, pochi mesi dopo il terribile attacco aereo del 24 ottobre;

 
va aggiunto che quello dello sfollamento da Milano, ma anche da Monza che registrò una diminuzione del 8,73% della popolazione, fu in ogni modo un fenomeno che continuò in tutta la Brianza sino al 1945. Tra i paesi maggiormente colpiti dall'esodo milanese troviamo Seregno con 6.510 sfollati, Carate Brianza con 6.000, Besana Brianza con 5.128.


Anche a Lissone venne preparato dal Comune un regolamento per la protezione antiaerea: 
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Lissone alla fine del 1944 giunse a contare circa 1.800 sfollati per la maggior parte provenienti da Milano. Non si dimentichi che la quantità di rifugiati che il comune poteva ospitare secondo la disponibilità di alloggi registrata nel 1938 era di 1.500 unità, per cui, sin dal dicembre 1942, le autorità si preoccuparono di rendere obbligatoria la denuncia degli alloggi e dei locali non usufruiti e adattabili ad abitazione. Molte famiglie cercarono di reperire ricoveri per i nuovi venuti, arrivando spesso ad ospitarli nei locali occupati da parenti e famigliari. Gli sfollati portarono anche notizie sul reale andamento della guerra; informazioni che velocemente si diffusero in paese e quando, nel marzo del 1943, sopraggiunsero gli scioperi delle industrie dell'Italia settentrionale; ad essi parteciparono anche gli operai dell'Incisa (1200 dipendenti) e dell' Alecta (500 dipendenti), contribuendo attivamente alla crisi delle istituzioni che doveva portare alla caduta del fascismo il 25 luglio.

  

Lissone salutò la fine del Ventennio con manifestazioni spontanee di piazza, animate dalla comune speranza di pace, presto vanificata dal governo Badoglio.

 

Il telegramma inviato dal prefetto Uccelli ai podestà e ai commissari prefettizi della Provincia era estremamente chiaro: “Italiani, dopo l'appello di S.M. il Re e Imperatore degli italiani e il mio proclama, ognuno riprenderà il suo posto di lavoro e di responsabilità. Non è il momento di abbandonarsi a manifestazioni che non saranno tollerate. L'ora grave che volge impone ad ognuno serietà, disciplina patriottismo fatto di dedizione ai supremi interessi della Nazione. Sono vietati gli assembramenti e la forza pubblica ha l'ordine di disperderli inesorabilmente”.

Ma l'atteggiamento del governo Badoglio, volto a non allarmare l'alleato tedesco, attenuò di poco le speranze che i lissonesi, come tutti gli italiani, riponevano in una pace immediata. Auspici presto frustrati dall' occupazione tedesca di buona parte della Penisola, seguita in settembre dalla nascita della Repubblica sociale italiana.

Da quel momento la guerra entrò direttamente nelle case dei lissonesi, attraverso gli avvisi alla popolazione controfirmati dall'ing. Aldo Varenna che l'undici agosto del 1943 (pochi giorni dopo la caduta di Mussolini) aveva sostituito il podestà Angelo Cagnola, dimissionario per «diplomatici» motivi di salute.

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Si diffusero i bandi minacciosi del comando tedesco di stanza a Monza che comminavano la pena di morte per atti di sabotaggio,
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che vietavano ogni assembramento e che imponevano il coprifuoco dalle ore 9 di sera sino alle 5 del mattino.

Il re Vittorio Emanuele III, accusato dai fascisti del tradimento del 25 luglio, scomparve dai documenti ufficiali e addirittura dalla piazza principale che dal 3 marzo 1944 verrà intitolata ad Ettore Muti.

Nella nuova piazza, presso il palazzo Mussi tra il febbraio e il marzo del 1944 troverà alloggio anche un comando antiaereo tedesco che, con i militi della GNR alloggiati nei locali di palazzo Magatti in via Garibaldi, garantiva un controllo più capillare del paese volto in particolar modo a contrastare la Resistenza. La locale sezione della GNR, dipendente dal comando di Desio, verrà soppressa nel Novembre 1944; al suo posto resterà sino agli ultimi giorni di guerra un distaccamento di militi delle Brigate nere.

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Intanto al problema degli sfollati si aggiunse quello dei profughi delle terre occupate dagli alleati, anche loro bisognosi di ospitalità. I nuovi arrivati, che nel febbraio del 1945 superavano di poco le cento unità, vennero ospitati in buona parte nei locali della scuola elementare di via Aliprandi e presso alcuni privati, mentre nel cine-teatro Impero della Casa del fascio si organizzarono spettacoli per raccogliere gli aiuti necessari al loro sostentamento.

Nel dicembre del 1944 il numero degli sfollati ammontava a 1.738 persone. A maggio il numero era salito a 1.804.

Anche la locale sezione del Fascio repubblicano, nell'aprile 1944, intervenne nella questione costruendo il villaggio per sinistrati «Giuseppe Mazzini». Si trattava di tre baracche di legno di m. 30 di lunghezza e 7 di larghezza ciascuna, ognuna dotata di 4 appartamenti di tre locali e due di due. D'altra parte, stando alle parole del Commissario straordinario del fascio repubblicano: «E' ormai cosa arcinota che la crisi degli alloggi nel comune di Lissone ha assunto una forma vastissima, anche per il continuo affluire di italiani sinistrati per opera dei bombardamenti nemici e l'impossibilità di costruire case». Il terreno in questione, di proprietà del comune, si trovava nei pressi del cimitero e apparteneva all'Opera pia Riva (attuale via Leopardi).


Ma intanto il Comando Militare germanico si occupa anche dei piccioni viaggiatori: il 10 luglio 1944 invia la seguente comunicazione a tutti i podestà della provincia di Milano:

“In sostituzione delle precedenti disposizioni che prevedevano la consegna e l’abbattimento dei colombi viaggiatori, per mantenere in vita questi preziosi animali si dispone che a tutti i piccioni viaggiatori vengano tagliate le ali e che i proprietari e allevatori si notifichino ...”

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I bombardamenti ferivano le principali città dell'Italia settentrionale, ma non colpirono mai Lissone, fatta eccezione per un mitragliamento avvenuto nei pressi della stazione (novembre 1944), senza gravi conseguenze, al di là del comprensibile spavento dei presenti. Le condizioni della popolazione destavano sicuramente apprensioni maggiori, considerato che tra il 1944 e la primavera del 1945 nelle relazioni mensili sull'attività amministrativa e politica del Comune, le preoccupazioni del Commissario prefettizio erano più di natura sociale che politica. L'inquietudine delle locali autorità era generata specialmente dalla penuria di alimenti, particolarmente aggravate dall'insufficienza o totale mancanza dei mezzi di trasporto necessari per ritirare i generi dalle località lontane. La distribuzione alimentare per la popolazione era garantita dai grossisti e dai dettaglianti posti sotto il controllo del Comune che gestiva l’ufficio tesseramento ma non impediva alla borsa nera di prosperare. Tra il novembre del '44 e il marzo del '45 la situazione si aggravò, in quanto vennero a mancare rispettivamente la farina gialla, il riso, i generi da minestra e il sapone, mentre tutti gli altri prodotti arrivavano con sensibile ritardo. Alla fame si aggiunse presto il freddo causato dalla mancata distribuzione della legna da ardere.

A febbraio si toccò il punto più critico ben sottolineato dalle parole del commissario prefettizio Giovanni Ruffini: «Dei generi contingentati sono stati distribuiti solo il formaggio duro e molle. E' necessario provvedere se le disponibilità lo consentono a qualche distribuzione di carne bovina e conserva di pomodoro».

Giovanni Ruffini sostituì il 26 luglio del 1944 il funzionario milanese Eugenio Campo, che era restato al suo posto meno di un mese, e che era subentrato a sua volta all'ing. Aldo Varenna il 17 giugno.

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A tal proposito non si dimentichi che il giugno del 1944 fu il periodo più drammatico per gli abitanti del paese. In particolare il 16 vennero fucilati due dei quattro partigiani arrestati a Lissone il 15 giugno in seguito all'uccisione di due militi fascisti. Gli altri due partigiani catturati, furono fucilati il giorno seguente dietro la Villa Reale di Monza sede del comando delle SS.


In marzo venne istituita la quarta mensa di guerra ospitata in territorio comunale e se con la primavera giunse finalmente la Liberazione, di certo la fame resistette più dei tedeschi.

La guerra, d'altra parte, aveva avuto un costo umano ed economico di notevoli proporzioni. Si pensi che solo le spese sostenute dall'Amministrazione comunale durante il periodo di occupazione germanica ammontarono a L. 214.893,40 .


I lissonesi che furono prigionieri durante la seconda guerra mondiale furono 670.
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Bibliografia

- Documenti conservati negli Archivi Comunali

- S. Missaglia, Lissone racconta

- Appunti di Samuele Tieghi

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