Considerazioni di Piero Calamandrei sulla Costituzione italiana
24 Août 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il secondo dopoguerra
«Tra il tipo di Costituzione breve, meramente organizzativa dell'apparato dello Stato, e il tipo di Costituzione lunga, che fosse anche ordinativa della società, l'Assemblea costituente scelse un tipo di Costituzione lunga, cioè contenente anche una parte ordinativa: la quale però, invece di esser volta ad effettuare una trasformazione delle strutture sociali, si limitava a prometterla a lunga scadenza, tracciandone il programma per l'avvenire». Piero Calamandrei
I lavori della Costituente, fino alla loro conclusione (dicembre 1947), si svolsero in un clima politico in rapida evoluzione In un articolo del 1955 Piero Calamandrei parla dei risultati apparentemente raggiunti con l'approvazione della Costituzione.
«La Costituzione non fu, come lo statuto albertino, una Costituzione regia, cioè elargita (octroyée) da un sovrano, ma fu una Costituzione popolare, deliberata, quando ormai ogni ingerenza dell’ex sovrano era stata esclusa dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che aveva scelto la forma repubblicana, da un'assemblea rappresentativa eletta dal popolo con metodo rigorosamente democratico. Ma non fu una Costituzione rivoluzionaria, nel senso che consacrasse in formule giuridiche una rivoluzione politicamente già compiuta. La generosa illusione del Partito d'azione che dalla unanimità antifascista della Resistenza potesse immediatamente uscire, subito dopo la liberazione, un rinnovamento delle strutture sociali ed economiche sulla base dei CLN, ebbe corta durata: con le dimissioni del breve governo di Ferruccio Parri, che rappresentò per qualche mese (dal giugno al novembre 1945) le superstiti speranze della Resistenza di dare all'Italia un governo di popolo che non implicasse la restaurazione della vecchia classe dirigente responsabile di aver dato vita al fascismo, la Costituente si aprì in un'atmosfera non più di unanime fervore rivoluzionario, ma di patteggiamento tra i grandi partiti di massa, da una parte i democristiani, dall'altra i socialisti e i comunisti. L'unica rivoluzione effettivamente già compiuta, della quale la nuova Costituzione doveva dare atto in formule giuridiche, era la caduta della monarchia: tutti erano concordi nell'assegnare alla Costituzione il compito di costruire giuridicamente un congegno di governo che avesse la forma repubblicana al luogo di quella monarchica, purché, al disotto di quella nuova forma politica, rimanessero invariate, almeno per il momento, le strutture economiche e sociali dell'Italia prefascista. Qualcuno avrebbe voluto che si desse alla Costituente non solo il compito di ricostruire in forma repubblicana le strutture fondamentali dello Stato, ma anche quello di deliberare almeno alcune fondamentali riforme di carattere economico-sociale, che rappresentassero l'inizio di una trasformazione della società in senso progressivo: avrebbe voluto cioè che la nuova Costituzione dovesse essere non semplicemente “organizzativa” dei congegni di governo (dello Stato-apparato), ma anche “ordinativa” della vita sociale italiana (dello Stato-comunità). Ma questa idea non fu accolta; o per dir meglio fu raccolta a metà, per dare ai suoi sostenitori l'illusione che non fosse stata respinta del tutto. Tra il tipo di Costituzione breve, meramente organizzativa dell'apparato dello Stato, e il tipo di Costituzione lunga, che fosse anche ordinativa della società, l'Assemblea costituente scelse un tipo di Costituzione lunga, cioè contenente anche una parte ordinativa: la quale però, invece di esser volta ad effettuare una trasformazione delle strutture sociali, si limitava a prometterla a lunga scadenza, tracciandone il programma per l'avvenire.
Questo singolare ibridismo fu la conclusione di un compromesso tra quelle forze politiche contrastanti, che, con espressione approssimativa, si possono chiamare le forze conservatrici di destra e le forze riformatrici di sinistra.
Non si può dire che le forze conservatrici si identificassero colla Democrazia cristiana, perché questo partito già fino da allora comprendeva in sé tendenze contrastanti, alcune delle quali nettamente progressive in senso cristiano-sociale; e perché forze nettamente reazionarie, oltreché all'ala destra di quel partito, si trovavano fuori di esso, alla destra. estrema, sotto le etichette del partito liberale o del partito monarchico; né si può dire viceversa che le forze progressive si identificassero coi partiti socialista e comunista, perché in altri gruppi numericamente minori, come il Partito d'azione o il partito repubblicano, o all'ala sinistra della stessa Democrazia cristiana, erano ugualmente sentite le istanze di un profondo rinnovamento sociale. Dall'urto di queste due tendenze venne fuori il compromesso: tutti parvero concordi (o almeno la gran maggioranza, formata dall'incontro dei grandi partiti) nella condanna di quel tipo di plutocrazia capitalistica dalla quale era nato il fascismo, e nel riconoscere la necessità di un profondo rinnovamento delle strutture economiche della società italiana. Ma questa apparente accondiscendenza da parte delle destre a inserire tale riconoscimento, meramente astratto e programmatico, nella Costituzione, fu condizionata a che le sinistre rinunciassero ad ogni tentativo anche parziale di attuazione immediata di questa trasformazione sociale vagheggiata (e quasi si direbbe sognata) per l'avvenire, e accettassero di procedere a questa trasformazione mediante graduali riforme proiettate nel futuro, da concretarsi in leggi ordinarie attraverso i metodi legalitari della democrazia parlamentare. Così, come già fu osservato, “per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa“: purché l'estrema sinistra (e specialmente il partito comunista) accettasse i meccanismi “borghesi” della legalità parlamentare, le forze “borghesi” non si opponevano a lasciare aperta verso l'incerto futuro questa via legalitaria di un graduale e pacifico rinnovamento sociale, di cui già era segnato l'indirizzo e riconosciuta in anticipo la legittimità».
PIERO CALAMANDREI, La Costituzione, in AA.VV., Dieci anni dopo. 1945-1955, Bari, 1955, pp. 212- 215.
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