Giuseppe Parravicini, un giovane lissonese ad Auschwitz
Nel seguente articolo ho ricostruito alcuni fatti salienti della vita di Giuseppe Parravicini, deportato politico ad Auschwitz, grazie ai documenti conservati dal figlio Ermes nell’archivio di famiglia. Ad Ermes Parravicini l’ANPI di Lissone ha consegnato la tessera ad honorem alla memoria del padre nel “Giorno della Memoria” 2010.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come "Giorno della Memoria".
Giuseppe Parravicini nasce a Lissone il 7 febbraio 1921 da Protasio e Giuditta Morganti. Frequenta la scuola elementare presso il collegio Pio XI di Desio. Si iscrive poi alla scuola secondaria di avviamento professionale con indirizzo commerciale presso lo stesso collegio, conseguendone il diploma nell’agosto del 1935.
Inizia a lavorare come garzone, all’eta di quattordici anni, presso una ditta di Lissone, poi, dal luglio del 1939, presso la concessionaria della Fiat a Desio.
Svolge il servizio militare e viene congedato il 23 febbraio 1940 con destinazione ai servizi sedentari.
Viene assunto alla Garelli di Sesto San Giovanni in qualità di apprendista motorista addetto alla sala prove.
Dopo l’8 settembre 1943, entra a fa parte della 107ma Brigata Garibaldi SAP (Squadre di azione patriottica).
Nelle fabbriche sestesi e in Brianza dopo l’8 settembre non regnò la rassegnazione assoluta verso ciò che stava accadendo. Ci furono persone che cercarono di opporsi alla nuova realtà e si organizzarono per agire.
Le SAP erano piccoli gruppi di uomini che vivevano generalmente nelle loro cittadine, svolgendo il proprio lavoro e che venivano chiamate clandestinamente a svolgere azioni di propaganda, come volantinaggi notturni e distribuzione di stampa antifascista, atti di sabotaggio, fino ad azioni di recupero di armi sottratte a militi colti in solitudine e ad azioni più complesse, terminate le quali il sappista tornava ad inserirsi nel tessuto di sempre.
Le Sap, scriverà Luigi Longo, Comandante Generale delle Brigate d’assalto “Garibaldi”, sono state «il tentativo - in gran parte riuscito - di giungere a mobilitare, via via, in modo organico, la maggior parte della popolazione». E crediamo si possa aggiungere, che esse sono state, per la concezione e la portata del fenomeno, uno strumento di lotta originale e forse unico nella Resistenza europea nonché il fattore decisivo e insostituibile nella preparazione e nell'affermazione dell'insurrezione nel capoluogo lombardo. La denominazione di “Brigate Garibaldi” era stata assunta in ricordo della guerra antifranchista di Spagna.
Il ventiduenne Giuseppe Parravicini svolge funzioni di proselitismo antifascista tra i lavoratori della Garelli, l’azienda in cui presta la sua opera. Come attivista politico antifascista, gli vengono assegnati diversi incarichi, tra cui la costituzione di comitati di agitazione nelle fabbriche di Lissone e di Sesto San Giovanni e la creazione di GAP, Gruppi di Azione Patriottica. Aveva inoltre funzione di collegamento con altri centri in cui si stavano sviluppando le prime forme di resistenza al regime fascista e all’occupazione nazista.
Il 16 giugno 1944, anche in seguito ai tragici avvenimenti lissonesi (arresto e fucilazione dei quattro antifascisti lissonesi, Pierino Erba, Remo Chiusi, Mario Somaschini e Carlo Parravicini, suo cugino), Giuseppe Parravicini veniva ricercato.
Abbandonava il suo posto di lavoro e si dava alla macchia. Il 3 luglio 1944 veniva arrestato dalla Polizia speciale politica di Via Copernico di Milano e sottoposto a pesanti interrogatori. Era poi tradotto al carcere di San Vittore.
Il 15 luglio 1944 veniva deportato ad Auschwitz (il lager era ubicato a nord-est di Cracovia, in Polonia).
Incalzati dal dilagare della lotta partigiana nei territori occupati della Polonia e della Russia, i nazisti decisero la creazione di un Lager che, oltre a quelli già esistenti e che si dimostravano inadatti alle bisogna, potesse ospitare un gran numero di deportati insieme ad una complessa infrastruttura di imprese ed industrie alle quali adibire la manodopera concentrazionaria. Questo campo doveva inoltre rendere possibile la effettiva, efficiente e sollecita attuazione della «soluzione finale» del problema ebraico, cioè lo sterminio degli ebrei europei.
Nei pressi del villaggio polacco di Oswjecim fu individuato un vasto terreno demaniale che circondava una caserma d'artiglieria in disuso. Questo complesso di 32 edifici poteva costituire il nucleo ideale per l'installazione del Lager, che entrò in funzione nel maggio 1940.
Il campo aveva una capacità di almeno 100.000 persone. Nello stesso tempo fu anche deciso di costruirvi uno stabilimento per la produzione di gomma sintetica della IG Farben, che avrebbe assorbito i primi contingenti di deportati. Rigorosamente isolato dal resto del mondo, brulicava di deportati, uomini e donne, provenienti da tutti i paesi invasi ed occupati dai nazisti. Auschwitz era una vera e propria zona industriale, in pieno fervore di attività. La manodopera non mancava, continuamente sostituita da nuovi arrivi dato che la disciplina, la denutrizione, il clima, la fatica contribuivano alla falcidia dei deportati.
Nella foto buoni per ritirare del pane e della zuppa durante i turni di lavoro alla Farben, rimasti a Giuseppe Parravicini al suo rientro in Italia.
Dopo il suo arresto avvenuto il 3 luglio 1944, i parenti erano all’oscuro della sua sorte. In una testimonianza manoscritta, del luglio 1944, conservata nell’archivio personale di famiglia, la madre di Giuseppe Parravicini, Giuditta, rimasta vedova da sei mesi (il marito Protasio era deceduto nel gennaio all’età di 56 anni), così racconta:
«Dopo l’arresto di mio figlio, il mio cuore non aveva più pace, né giorno né notte. Lavoravo allora alla Brugola di Lissone da dove ho iniziato le mie ricerche. Prima a Monza, alla Villa Reale, poi al Comando tedesco, al Commissariato delle prigioni in Piazza Trento e Trieste, al Palazzo della G.I.L.: inutilmente. Allora mi recai a Milano: alla sede della questura di via Copernico, poi alla caserma nei pressi della stazione Centrale, al carcere di San Vittore ed infine al Palazzo di Giustizia dove seppi da un impiegato che mio figlio era in Germania ad Auschwitz. Era una giornata di bombardamenti su Milano tanto che dubitai di far ritorno a casa».
Il 12 dicembre 1944 Giuseppe Parravicini è ricoverato nel lazzaretto del lager per pleurite.
Il 17 gennaio 1945 le armate russe avanzano decisamente in direzione di Cracovia: il campo viene sgombrato.
In seguito all’avanzata dei Russi, Giuseppe Parravicini viene trasferito a Bielitz (Alta Slesia, vicino al confine cecoslovacco) e poi all’ospedale San Vincenzo di Linz, in Austria.
Documento rilasciato dall’ospedale austriaco
Nel marzo 1945 riesce a farsi rimpatriare per malattia; passata la frontiera a Tarvisio, stremato, il 7 marzo si fa ricoverare all’Ospedale civile “San Michele” di Gemona del Friuli. Diagnosi pleurite. Dopo le prime cure, il 21 marzo 1945, in seguito ad un miglioramento, esce dall’ospedale.
Con mezzi di fortuna arriva a Lissone il 22 marzo 1945. Ristabilisce i contatti con le forze della Resistenza. Entra a far parte della 119ma Brigata Garibaldina Di Vona.
La 119a Brigata Garibaldi era intitolata a Quintino Di Vona insegnante, nato a Buccino (Salerno) il 30 novembre 1894, fucilato a Inzago (Milano) il 7 settembre 1944.
Militante socialista, , il professor Di Vona aderì, nel 1921, al Partito comunista. Il professore, inquadrato nella 119ma Brigata Garibaldi, partecipò a numerosi atti di guerriglia.
Catturato in seguito a delazione da militi della Brigata Nera di Monza (che giunsero a Inzago all'alba del 7 settembre), Di Vona fu, per ore ed ore, picchiato a sangue. Dalle sue labbra non uscì una parola che potesse danneggiare la Resistenza. Nel primo pomeriggio i fascisti, al comando di un sottufficiale delle SS germaniche, trasportarono con un camion l'insegnante nella piazza principale del paese. Qui Di Vona fu fucilato da un manipolo di imberbi militi in camicia nera.
A Lissone Giuseppe Parravicini entra a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale lissonese.
L’attestazione, datata 26 aprile 1945, è firmata da Gaetano Cavina, Attilio Gelosa e Agostino Frisoni, i tre dirigenti del CLN lissonese, socialista, democristiano e comunista, oltre a Riccardo Crippa del Comando Militare di Piazza di Lissone.
Nella foto del 27 aprile 1945 i membri del CLN lissonese, il Sindaco con i componenti della prima Amministrazione comunale straordinaria dopo la liberazione dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista (Giunta e Consiglio comunale). Giuseppe Parravicini è seduto, il primo a destra.
Il I maggio a Lissone si svolge una grande manifestazione, in occasione della festa dei lavoratori. È la prima dopo la Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista: il fascismo aveva abolito la festa del primo maggio e aveva accorpato la festa del lavoro con il natale di Roma, il 21 aprile.
Nella foto di destra in primo piano (da sinistra): Giuseppe Parravicini, Gaetano Cavina, Attilio Gelosa, Agostino Frisoni e Leonardo Vismara.
Dal balcone di palazzo Terragni membri del CLN lissonese, il Sindaco con i componenti della Giunta e del Consiglio comunale durante la manifestazione del I maggio 1945: oratore ufficiale è Ettore Reina, fondatore della Camera del Lavoro di Monza nel 1893. Si noti la scritta Piazza Quattro Martiri: prima di diventare Piazza Libertà, così fu chiamata per qualche giorno, in memoria dei 4 partigiani lissonesi fucilati nel giugno 1944.
Riconoscimento qualifica partigiano
e diploma in riconoscimento del valore militare e del grande amore di patria
L’attestato rilasciato a Giuseppe Parravicini, firmato dal Commissario delle Brigate “Garibaldi” Pietro Secchia e dal Comandante Luigi Longo.
Alla fine della guerra ritorna alla Garelli di Sesto come collaudatore.
Continua però il suo impegno civile. Diventato segretario della Camera del Lavoro di Lissone, la dirige per tre anni.
Il 4 marzo 1946 partecipa alla stipulazione del contratto dei lavoratori del legno tra l’Associazione Industriali di Monza e Brianza e la Camera del Lavoro di Monza.
A Roma l’8 maggio 1946 partecipa al primo convegno nazionale dei lavoratori del legno: viene eletto segretario e ne redige il verbale. Inoltre nel suo intervento, a difesa dei lavoratori del legno, espone le incongruenze sorte per il divieto di esportazione del Governo segnalando che Lissone ha ricevuto da diverse nazioni ordinazioni che potrebbero dare lavoro per diversi anni ai lavoratori non solo di Lissone ma anche della Brianza. Chiede perciò l’intervento della CGIL presso gli organi competenti.
Il primo convegno nazionale dei lavoratori del legno termina inneggiando alla Repubblica dei lavoratori e alla Costituente (manca un mese al referendum in cui gli Italiani dovranno scegliere tra monarchia e repubblica e contemporaneamente eleggere i “padri costituenti” che dovranno scrivere la nuova Costituzione).
Il 2 luglio 1949 Giuseppe Parravicini si sposa, a Lissone, con Pierina Secchi.
Giuseppe Parravicini si impegna per il settore del mobile lissonese e il 1° ottobre 1951 diventa rappresentante della Camera del Lavoro di Lissone nell’Ente Comunale per il potenziamento del mercato mobiliero e della lavorazione del legno, partecipando alla stesura dello Statuto. Svolge tale incarico fino al marzo 1953.
Il 10 giugno 1959 nasce il figlio Ermes.
I mesi trascorsi ad Auschwitz lo hanno provato nel fisico: deve subire diversi ricoveri per sottoporsi a continue cure. Nel 1971 muore in ancor giovane età.
Un particolare ringraziamento va ad Ermes Parravicini: con la sua collaborazione e dalla consultazione del suo archivio di famiglia abbiamo potuto ricostruire la vita, breve ma intensa, di suo padre del quale può essere sicuramente fiero.
(Renato Pellizzoni)