I cappellani militari internati in Germania
16 Décembre 2013 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana
Furono circa 400 i cappellani che subirono la medesima sorte dei militari che assistevano religiosamente: una sessantina di loro fu rilasciata nei primi giorni dopo la cattura, 339 invece furono internati nei lager: successivamente anche a loro fu proposta l'adesione alla RSI, ma la maggior parte rifiutò e rientrò in Italia solo dopo la fine del conflitto.
Il dramma della deportazione degli "internati militari" è stato a lungo misconosciuto e la loro testimonianza non è stata adeguatamente valorizzata nel contesto della Resistenza. Eppure essi appartengono pienamente alla vicenda resistenziale, perché - come risulta dai loro diari o dalle loro memorie autobiografiche - anche ad essi fu chiesto di fare una scelta a favore o contro il nazifascismo, la scelta di ritornare subito liberi o di restare reclusi e sfruttati nei lager. Anzi, su circa 25 milioni di prigionieri del Reich, gli italiani furono gli unici a cui fu offerta la possibilità del rimpatrio. Ma, in grande maggioranza (80-85%) scelsero di rimanere prigionieri, nonostante avessero già sperimentato le condizioni di disagio, di vessazione, di violenza tipiche dei lager. Il loro è stato un consapevole No alla guerra e al fascismo che la guerra l'aveva voluta e voleva ancora continuarla: ha impedito alla RSI sia di acquisire credibilità di fronte ai tedeschi e alla popolazione italiana sia di sconfiggere sul nascere la Resistenza armata in Italia. Il loro No ha rappresentato il distacco definitivo di una generazione dal fascismo, anticipando il fenomeno di massa della renitenza dei diciottenni chiamati alla leva della RSI. Infine gli "internati militari" hanno scritto una pagina alta della Resistenza per la dignità e la forza con cui hanno vissuto l'esperienza del lager a fronte di quotidiane privazioni, umiliazioni, violenze; anche i diari che alcuni di loro scrissero con costanza e con fatica per conservare memoria precisa della vita nei lager costituiscono un atto di resistenza di particolare valore.
Accanto ai soldati catturati dai tedeschi rimasero anche molti cappellani militari: preferirono, anche quando fu offerta loro la possibilità di mettersi in salvo, condividere la sorte dei propri reparti. Don Olindo Pezzin, al generale tedesco che gli dava la possibilità di andarsene: rispose: "Con che coscienza lascio i miei soldati? Sono tre anni che viviamo insieme". E don Giuseppe Carrara, che aveva avuto l'offerta da un ufficiale della Marina di scappare con lui in aereo, declinò l'invito: "Sono qui per assistere i soldati, non per fuggire". Furono circa 400 i cappellani che subirono la medesima sorte dei militari che assistevano religiosamente: una sessantina di loro fu rilasciata nei primi giorni dopo la cattura, 339 invece - secondo lo storico Maurilio Guasco - furono internati nei lager: successivamente anche a loro fu proposta l'adesione alla RSI, ma "la maggior parte rifiutò e rientrò in Italia solo dopo la fine del conflitto". Tra di loro padre Onorino Marcolini, dell'Oratorio della Pace di Brescia, ingegnere, cappellano degli Alpini; lo scrittore Mario Rigoni Stern, suo compagno di prigionia, ha ricordato che l'8 settembre, catturati dai tedeschi a Colle Isarco, incolonnati a piedi verso Innsbruck, padre Marcolini camminava con i suoi soldati, "l'unico ufficiale"; Rigoni Stern gli confidò che era determinato a tentare la fuga:
Padre Marcolini incominciò a parlarmi sottovoce, in dialetto, come si fa per calmare un bambino irritato. 'Non andare' mi diceva. 'E i tuoi compagni? E le reclute che sono qui con noi? Non puoi abbandonarle anche tu ... Vedi, anch'io ho scelto questa sorte perché loro hanno bisogno di me ... Non dobbiamo lasciarli'.
Condivise la sorte dei suoi soldati ogni giorno, rinunciando ai gradi di ufficiale, rifiutando ogni agevolazione, difendendo i diritti degli altri, assistendo gli ammalati, dando pietosa sepoltura ai morti, cercando di convincere i compagni che, "malgrado tutto, dobbiamo sentirci più liberi di quei soldati che ci puntano le armi contro".
Bibliografia:
Ercole Ongaro, Resistenza nonviolenta 1943-1945, I Libri di Emil Editore
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