L'antifascismo costituzionale
15 Avril 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #La COSTITUZIONE italiana
Disposizione XII della Costituzione Italiana
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
La Costituzione italiana è il frutto di un grande sforzo politico collettivo per rigenerare la vita politica su basi costituzionali dopo la tragedia della dittatura fascista e le drammatiche dissoluzioni operate sulla vita materiale e spirituale del Paese. Ciò spiega l'impostazione antifascista della nostra Costituzione sia nei principi, più profondi e più importanti, antiautoritari e democratici, sia nelle norme più esplicite, come la Disposizione XII che vuole essere non un elemento di rivalsa o di vendetta ma solo, e giustamente, un'ulteriore garanzia per la democrazia italiana. Soprattutto allora, a guerra appena finita, quando il pericolo di un rigurgito fascista era ancora molto forte e vivo il ricordo della trasformazione da regno democratico-liberale a dittatura. Si capisce chiaramente, allora, il timore che spinse i padri costituenti a deliberare tale disposizione, anche perché una delle condizioni dell'armistizio dell'8 settembre 1943, imposte dagli alleati angloamericani all'Italia, era stata l'introduzione di sanzioni contro il fascismo e i suoi esponenti
La volontà evidente degli alleati, come della classe politica al Governo, era quella della defascistizzazione dello Stato. Così, già dal 1945 vennero emanate norme penali (poi modificate nel 1947, nel 1952 e nel 1975) miranti a colpire la ricostituzione del partito fascista e le attività neofasciste, secondo queste tipologie
• repressione dei fatti di promozione, organizzazione e partecipazione al regime fascista nel periodo monarchico e poi durante la Repubblica sociale italiana;
• punizione dei reati di intelligenza e di collaborazione con i tedeschi durante l'occupazione militare del Paese;
• repressione della ricostituzione del disciolto partito fascista e delle attività neofasciste.
Truppe della milizia fascista che, nel gennaio 1938, si addestrano al passo romano.
Vennero così emanati dei provvedimenti di epurazione nei confronti dei pubblici impiegati delle amministrazioni civili e militari dello Stato. In realtà, i provvedimenti di epurazione ebbero scarsa efficacia perché prevalse l'orientamento verso una generale pacificazione degli animi.
Di particolare rilievo le misure penali contro gli alti gerarchi, che prevedevano l'ergastolo e, nei casi più gravi, la pena di morteper i membri del governo fascista e i gerarchi fascisti, colpevoli di avere annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del paese condotto alla attuale catastrofe(art. 2, Decreto legislativo n. 159/1944). Erano inoltre previste pene per chi aveva organizzato squadre fasciste, compiuto atti di violenza e di devastazione, promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922 o il colpo di Stato del 3 gennaio 1925.
Più pesanti le norme penali che colpivano il collaborazionismo militare o politico con i tedeschi dopo l'8 settembre, a cui si applicarono le sanzioni previste dal codice penale militare di guerra. In realtà, la punizione di questi gravissimi reati fu intensa solo nei primi mesi dopo la liberazione e nelle zone del nord d'Italia; successivamente, vari provvedimenti di amnistia cancellarono gli effetti penali della maggior parte dei processi contro i collaborazionisti.
Così, anche se mancava una destra politicamente attiva, molti erano gli uomini implicati con il fascismo e con la Repubblica di Salò in circolazione. Infatti, già nel dicembre del 1946 si costituì il Movimento sociale italiano (Msi), direttamente collegato, per ideologia e per uomini. al disciolto Partito nazionale fascista. Ci fu chi sostenne che, Disposizione XII alla mano, anche l'Msi dovesse essere sciolto. In realtà, esso ebbe i suoi parlamentari regolarmente eletti, tenne congressi regolari e svolse regolare attività politica. Ma l'insurrezione di Genova, nel luglio del 1960, contro un congresso dell'Msi che cercava di legittimarsi come partito di governo senza nascondere la sua continuità ideologica col passato, dimostra quanto vivo fosse il sentimento antifascista in Italia e quanto previdente sia stato il divieto della disposizione.
L’attuale disciplina (legge n. 152, del 22 maggio 1975) stabilisce che si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un'associazione, un movimento o un gruppo di almeno cinque persone perseguono finalità antidemocratiche, esaltando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o svolgendo propaganda razzista, ovvero esaltando esponenti o metodi del partito fascista o compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Le pene previste sono:
• promotori e organizzatori dell'associazione neofascista: reclusione da 5 a 12 anni;
• partecipanti: reclusione da 2 a 5 anni.
Le pene sono raddoppiate se l'associazione assume il carattere di organizzazione armata o paramilitare.
La legge punisce, inoltre, l'apologia di fascismo come la propaganda volta alla costituzione di un associazione neofascista, la pubblica esaltazione di principi, esponenti e metodi del fascismo, l'attuazione di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero proprie del nazismo in occasione di pubbliche riunioni. Per tali reati sono previste pene che possono arrivare fino a 5 anni di reclusione.
Bibliografia:
Mauro Albera e Giovanni Missaglia – Professione cittadino – Ed. Hoepli Milano 2008
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