La grande parata di distintivi e uniformi
21 Novembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo
Uno degli aspetti più grotteschi del ventennio fascista fu certo l'orgia di divise e di distintivi elargiti in abbondanza dal regime.
Proviamo a enumerarli. C'erano i semplici fascisti che, pochi per amore e moltissimi per necessità, recavano il comune distintivo all'occhiello e che si affrettarono a liberarsene la mattina del 25 luglio. E c'erano i fascisti autorizzati ad adornarsi di placche, ricami, galloni, cordelle, sciarpe, fazzoletti, alamari, sproni, berretti, pennacchi, cinturoni, gambali e altre buffetterie.
La gente osservava curiosa questa pittoresca coreografia e non riusciva a raccapezzarsi; gli stessi attori si truccavano, come quelli di una grande compagnia di riviste, più secondo la propria che l'altrui fantasia, e se venivano interpellati sarebbero stati imbarazzatissimi a spiegare quali differenze correvano tra un fregio e l'altro. Oltre al distintivo ufficiale smaltato, molti occhielli si ornavano anche di una spilletta con la data del 1919; chi la portava era un «diciannovista», ossia uno dei precursori. I distintivi ufficiali erano tredici; oltre all'ordinario, c'erano quelli del G.U.F., dell'O.L.D. (operaie lavoranti a domicilio, le domestiche, insomma), M.R. con la spiga (massaie rurali), A.F.S. con testa di Minerva su fondo vinoso (Associazione fascista della scuola), A.F.P.I. con piccolo panorama urbano, A.F.A.S. con sfondi di ciminiere, A.F.P. con fili su isolatori e corno da caccia. Gli ultimi tre, rettangolari, smalto azzurro, simboli in oro, erano delle Forze Civili. Altre quattro placchette ovali, oro e nero, al centro una falce fiammante in rosso, contrassegnavano l'A.F.F.C.M.I.F.R. (Associazione fascista famiglie caduti, mutilati, invalidi e feriti per la rivoluzione), nonché i mutilati, invalidi e feriti stessi.
Nella categoria dei distintivi, per così dire, complementari c'era poi quello rosso quadrangolare di squadrista, spavalda affermazione di avere partecipato a spedizioni punitive. Se ne ebbe una fioritura quando fu decretato un premio di mille lire agli squadristi; se ne vedevano sul petto di ometti i quali, si poteva giurarlo, non avevano mai fatto male a una mosca.
Nelle grandiose adunate deliranti come nelle manifestazioni, commemorazioni, inaugurazioni, rapporti minori ma sempre «vibranti», si potevano vedere le sfilate e i campionari delle più diverse, fantasiose uniformi, portate spesso con imbarazzo umiliante da gente che indossava la camicia di Nesso (n.d.r. essere un tormento insopportabile), ed erano professori universitari, vecchi e gravi funzionari, panciuti senatori: una berlina.
I «divi» potevano scegliere, e preferivano l'uniforme della Milizia. C'era il grado eccelso, del primo caporale d'onore, gallone triangolare, aquila rannicchiata dentro lo stemma, il fascio nelle unghie; tutto d'oro se per la divisa nera, rosso per il grigioverde. Unico e assai più modesto il contrassegno degli altri caporali d'onore, senz'aquila. Subito dopo venivano, per benemerenza, i «sansepolcristi» - tanti che il salone di piazza San Sepolcro avrebbe dovuto essere una piazza d'armi - con uno strano scudetto, perché una fiamma divorava sino a metà le verghe d'oro e minacciava la scure d'argento. Bisognava avere occhio per distinguere tra loro i componenti del direttorio, tutti sfoggianti uno scudo orlato di cremisi, un secondo bordo d'oro, fondo cinerino, fascio d'oro, scudo d'argento, stellette d'oro. Se le stellette erano tre e avevano un orlo purpureo si trattava del segretario del partito, e se non avevano l'orlo di un vicesegretario, o componente del Gran Consiglio, o ministro, o sottosegretario. Due stellette competevano ai membri del Direttorio nazionale, una agli ispettori del Partito. Attenti alle stellette anche per i gerarchi delle Federazioni: due orlate di rosso per il federale, una per il direttorio, nessuna per l'ispettore federale.
La fatidica iniziale «M» su tutti gli sfondi, condita nei più diversi modi, era riservata alle gerarchie femminili: Fasci, massaie, lavoranti a domicilio. Simboli di stoffa da applicarsi appartenevano alle diverse Associazioni, con sedici differenti contrassegni. Cerchi azzurri racchiudenti i soliti fasci, stelle e stemmi erano per il C.O.N.I., diciassette in tutto. Sei ce n'erano per gli ufficiali in congedo, altrettanti per la Lega Navale; una infinità per i reparti d'Arma. Persino l'Associazione musulmana del Littorio. Poiché qualche musulmano poteva essere sfornito di divisa, uno ne era stato creato da applicarsi all’abito civile.
Senatori e consiglieri nazionali avevano i loro bravi rettangolini di stoffa da applicarsi sul petto; presidi, vicepresidi, rettori della Provincia, podestà e vicepodestà, i cosiddetti liberi professionisti e artisti, capi e dirigenti di aziende si ornavano di simboli svariati, e grande profusione di azzurro e oro si distribuiva sul berretto, la bustina, le manopole, le spalline dei dirigenti, fiduciari, addetti alle varie sezioni del G.D.F. compresi quei fiduciari di facoltà che, negli atenei, ricevevano spesso il più ossequioso saluto romano del rettore magnifico. La tinta scelta per la G. I. L. era il grigio cenere con profusione d'oro e amaranto un po' dovunque sulla divisa e i berretti: una quarantina di gradi ai quali corrispondevano le più diverse forme e dimensioni. Ultima nota di colore, anzi di più colori: ventidue diversi distintivi di carica per funzionari e impiegati.
Era proibito dire cortei: bisognava dire adunate: si vedevano colonne di uomini in camicie nere o in orbace, ragazzini figli e figlie della Lupa, balilla, lupetti e avanguardisti e Giovani fascisti in grigioverde o in candida tenuta estiva.
Una rivoluzione nel guardaroba fascista si verificò quando al fez nero frangiato venne sostituito il berretto a visiera con un'aquila in mezzo.
Bibliografia:
Gaetano Afeltra - I 45 giorni. che sconvolsero l'Italia – Rizzoli 1993
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