Lissone durante la seconda guerra mondiale: 1945 (seconda parte)
Il 29 aprile i lissonesi si ritrovarono nella piazza centrale in occasione del passaggio di alcuni carri armati americani: le autorità cittadine civili e religiose avevano preso posto sulla balconata della Casa del Popolo (l'ex Casa del Fascio).
E il primo maggio 1945, in Piazza Libertà, in quei giorni chiamata Piazza Quattro Martiri a ricordo dei partigiani fucilati nel giugno 1944, si svolse una imponente “festa del lavoro”, la prima festa del lavoro dell’Italia libera, alla quale parteciparono in sfilata le formazioni partigiane oltre ai rappresentanti dei ricostituiti sindacati e dei partiti politici.
Primo maggio 1945: sfilata per la festa del lavoro
La sera del 3 maggio, il CLN insediò ufficialmente la nuova Giunta Municipale. Al sindaco Angelo Arosio si affiancava come vicesindaco Giuseppe Crippa, comunista, all'Amministrazione andò Federico Costa, socialista. La Giunta fu completata da Mario Camnasio (Dc) all'Annonaria, Emilio Colombo (Psi) ai Lavori Pubblici e Giulio Meroni (Pci) all'Assistenza, ai quali si aggiunse il ragionier Giulio Palma, rappresentante del Partito liberale, quale assessore supplente. Nando Vismara fu consigliere dell'Annonaria.
Il giorno dopo sui muri del paese veniva affisso un manifesto a firma del Sindaco con il seguente contenuto:
«Cittadini! Il regime scomparso ci ha lasciato in eredità rovine, lutti, miserie e una situazione alimentare estremamente disastrosa. Questa Amministrazione Comunale si propone di fronteggiarla e superarla; ma, per farlo, ha bisogno della Vostra cooperazione. Voi tutti, o Cittadini, dovete affiancare l’opera di questa Amministrazione per evitare che la gravità eccezionale del momento si trasformi in una calamità pubblica. Tutti coloro che, avendo avuto delle possibilità, posseggono oggi delle scorte di generi alimentari (frumento, granoturco, riso, farine, zucchero, olio, grassi, ecc.) devono conferirle in Comune, dietro pagamento, per il bisogno impellente della popolazione ...»
La situazione del paese era grave: la maggior parte della popolazione rischiava la fame e le casse comunali non erano certamente floride: notevoli erano state le spese sostenute dall'Amministrazione lissonese durante il periodo dell’occupazione tedesca.
Nei giorni seguenti la Liberazione, nonostante i ripetuti appelli alla calma lanciati dal Comitato di Liberazione Nazionale, la rabbia vendicativa, accumulata per mesi, trovò sfogo appena le circostanze lo consentirono. Seguì un mese di giustizia sommaria. Ragazzi di vent'anni o padri di famiglia pagarono con la vita la scelta di continuare a stare dalla parte di chi aveva elevato la violenza e l'efferatezza a sistema, di chi volontariamente e oggettivamente si era asservito ai nazisti divenendo corresponsabile del saccheggio del patrimonio nazionale, delle deportazioni, delle stragi, delle rappresaglie, delle torture, delle impiccagioni e delle fucilazioni.
Anche a Lissone la giustizia sommaria ebbe, nei giorni seguenti il 25 aprile, il suo tragico corso. Ne furono vittime:
Ennio Arzani, impiegato, di anni 29, Luciano Mori, geometra, segretario del Fascio di Lissone, di anni 45, Giuseppe Tempini, maresciallo dei Carabinieri in pensione, di anni 55, Guglielmo Mapelli, meccanico, di anni 37, Fausto Gislon, falegname, di anni 41.
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La guerra aveva avuto un costo umano ed economico di notevoli proporzioni.
I numeri non hanno anima, ma quelli dei lager e della guerra contengono tutto il dolore dell’uomo.
L'Italia ha avuto, tra militari e civili, trecentocinquantamila morti e centotrentamila dispersi. Ottocentomila, tra operai e militari italiani, furono deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943.
Ai morti vanno aggiunte le distruzioni materiali, le devastazioni di incalcolabili ricchezze, di un immenso patrimonio creato dal lavoro e dalla intelligenza dell'uomo. Il Paese era da ricostruire: settecento chilometri di ferrovia distrutti o danneggiati, persi un milione e novecentomila vani, più di diecimila tra ospedali, cinema, alberghi e teatri. Oltre quarantaduemila chilometri di strade sono impraticabili. Diciannovemila ponti risultano abbattuti, novecento acquedotti non funzionano più. Mancano 28 mila chilometri di linee elettriche.
Il totale dell’immane carneficina che è stata la seconda guerra mondiale è spaventoso: oltre 55 milioni di morti, di cui 25 milioni di soldati e 30 milioni di civili.
Nei 12 anni di regime nazista furono sterminati nei campi di concentramento circa 6 milioni di ebrei. Gli internati furono, in totale, 7.500.000.
Molti paesi furono ridotti nella più completa rovina, con le città trasformate in un cumulo di macerie, le strutture economiche e le comunicazioni sconvolte, le popolazioni superstiti affamate.
La lotta contro il regime dittatoriale fascista e per la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista era costata la vita di tanti giovani che hanno scritto con il loro coraggio e perfino con il loro sangue una pagina tragica e magnifica della nostra storia.
La guerra di Liberazione è nata dalla confluenza di due elementi diversi: le correnti antifasciste che si erano opposte alla dittatura durante il ventennio e le masse popolari, in uniforme e non, il cui malcontento verso il fascismo si era manifestato in modo sempre più acuto nel corso della seconda guerra mondiale.
La guerra di Liberazione non scoppiò come una guerra tradizionale, con un atto formale, ma nacque come moto spontaneo.
Resistenti furono i militari italiani che combatterono a Cefalonia e che vennero trucidati dai nazisti, i militari che combatterono al fianco degli Alleati nel Corpo Italiano di Liberazione, gli oltre 600.000 soldati italiani che, rifiutando di combattere a fianco dei nazisti, finirono nei lager tedeschi.
Quarantacinquemila sono stati i partigiani italiani uccisi o caduti in combattimento.
Importante è stato il contributo delle donne: trentacinquemila sono state le donne partigiane.
Vent’anni di oppressione fascista sboccarono non in episodiche rivolte ma nel più grande movimento armato di massa dell’Europa occidentale.
Gli Alleati, che ebbero un peso determinante nella vittoria finale della guerra, al termine del conflitto hanno riconosciuto il grande contributo militare della Resistenza.
La parte migliore del popolo italiano aveva riconquistato, per tutta la Nazione, la dignità perduta dopo venti anni di regime fascista e tre anni di guerra al fianco di Hitler.
L’Italia è così diventata un paese democratico. Questi valori di democrazia e di rispetto della persona umana vennero sanciti nella Costituzione, promulgata nel 1948 e divenuta fondamento della nostra convivenza politica e civile.
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Alle fronde dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Salvatore Quasimodo