Mussolini si incontra con Hitler
22 Mars 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #II guerra mondiale
Al Nord Mussolini otteneva intanto di incontrarsi con Hitler che non vedeva dal settembre, e che finora aveva sempre eluso le sue richieste di colloquio. Mussolini avrebbe voluto essere riconosciuto come un vero alleato e chiedeva che la Germania lasciasse maggiore autonomia all'Italia fascista e aiutasse il suo riarmo.
Questa volta Hitler ascoltò il suo interlocutore; non per questo modificò il suo atteggiamento elusivo e diffidente. Egli contava soltanto sulle armi tedesche e su se stesso.
Il convegno durò due giornate. Poi Mussolini andò a visitare il campo di Grafenwohr dove una prima unità fascista, la Divisione «San Marco» di dodicimila uomini, stava ultimando l'addestramento.
Mussolini sentì finalmente di riavere un pubblico. Agli uomini schierati disse che la patria contava su di loro, parlò come al solito di vittoria, poi parti riconfortato, illuso come sempre dalle sue stesse parole e dalle calorose strette di mano di Hitler.
I «Lager» degli internati militari italiani in Germania e in Polonia erano ben diversi dal campo di Grafenwohr. Ospitavano non 12.000, ma 600.000 uomini che non volevano ascoltare le prediche e le minacce dei propagandisti nazisti. Sarebbe bastato poco per uscire da quei recinti di filo spinato, controllati da guardiani spietati sempre all'erta sulle torrette, dove era già trascorso un inverno lunghissimo, mentre il corpo si indeboliva e l'animo era turbato da altre parole, da altri richiami.
Queste frasi di una lettera scritta da una madre al figlio prigioniero, bastano a rievocare la drammaticità di certi dilemmi:
« ... semplicemente se tu volessi prestare attenzione a questa preghiera. Ho ottant'anni, sono sola al mondo, non ho che te. Ti scongiuro, ti prego in ginocchio di tornare, di firmare qualsiasi cosa, ma di tornare. È tua madre che ti prega, è tua madre che ha diritto di rivederti prima di morire. Adesso non potrai dire che ci sono ancora dei doveri, con tutta la confusione che è nata ... ».
Sarebbe bastato firmare un breve modulo per arruolarsi nell'esercito fascista o anche soltanto nei servizi del lavoro, e voltare le spalle a quel mondo di morte.
Furono poche migliaia quelli che accettarono, una percentuale minima. Eppure gli appelli continuavano, incalzanti, mentre le condizioni di vita nei campi diventavano sempre più dure e tristi. La fame, il freddo, il tempo che non passa. Ogni giorno uguale all'altro con le stesse operazioni, gli stessi gesti, le stesse parole, e lo stesso sentimento d'attesa, mentre la speranza e la memoria svaniscono. E ad ogni ora la vista degli stessi simboli di schiavitù e di morte.
La resistenza degli internati militari s'aggiungeva così a quella dei partigiani e dei perseguitati politici che finivano nei campi di sterminio, o che aspettavano le torture e la morte nelle celle delle prigioni nazifasciste. Uomini e donne emersi in gran parte dall'anonimato, operai, contadini e borghesi, uniti in un'identica lotta.
Tra di essi gli ebrei ritrovavano il loro posto nella comunità nazionale da cui una legge servile e impopolare li aveva crudelmente divisi.
Tutta l'Italia resisteva sopportando il peso della guerra che si faceva sempre più gravoso.
Sulle città del Nord infierivano i bombardamenti. Gli attacchi alleati erano diretti contro le linee di comunicazione dei tedeschi, come avvenne in marzo a Firenze, ma spesso interi quartieri andavano in rovina, case e monumenti scomparivano.
In quel periodo, il bombardamento più micidiale e inaspettato si ebbe a Treviso il 7 aprile, venerdì santo. I morti furono migliaia e il centro storico rimase interamente distrutto. Mai una città italiana era stata colpita con tanta violenza. Ci vollero settimane per disseppellire le vittime dalle macerie. E si ripetevano le scene di miseria, di avvilimento, di dolore.
Pochi giorni dopo, nel palazzo municipale di Salerno, si riuniva il nuovo governo del Sud, uscito dalla crisi determinata dalla decisione del re di trasferire i suoi poteri al figlio con la liberazione di Roma. Ne facevano parte alcuni «leaders» antifascisti, tra cui Togliatti, rientrato il mese prima dalla Russia, che aveva contribuito alla crisi dichiarandosi subito disposto a collaborare con la monarchia, contrariamente a tutti gli altri partiti.
Era ancora un governo di guerra, che aveva per scopo principale l'intensificazione della guerra contro i tedeschi; ma le sue basi poggiavano sulle forze democratiche, quelle che si ispiravano alla tradizione e quelle che venivano dalla Resistenza.
Badoglio restava primo ministro.
Il giorno stesso, a Ravello, il maresciallo presentò al re i nuovi ministri con una generica dichiarazione che sostituiva la consueta formula di giuramento.
Il sovrano fu particolarmente cordiale con Benedetto Croce. Il vecchio filosofo, che rappresentava l'Italia liberale, era per molti la persona che garantiva la continuità dello Stato.
Non lontano da Salerno, proprio in quel tempo il Vesuvio aveva dato spettacolo.
La lava che scendeva alla velocità di 300 metri all'ora, su un fronte molto largo, investì il paese di San Sebastiano e vi passò sopra distruggendolo. Nuovi profughi si aggiungevano a quelli della guerra, ancora tribolazioni per chi abitava sulle pendici del vulcano.
Udendo i primi rimbombi durante la notte, chi si trovava a Napoli aveva creduto che i tedeschi, sfondato il fronte a Cassino, stessero tornando in città.
Fu l'ultima eruzione del Vesuvio, uno spettacolo indimenticabile per gli Alleati. Di lì a poco, più a nord, altre esplosioni e altri boati si sarebbero fatti sentire.
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
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