25 Aprile 2014 a Lissone
Siamo oggi qui riuniti per celebrare la festa della Liberazione dell’Italia dalla dominazione nazista e la caduta definitiva del regime fascista.
69 anni sono trascorsi dalla fine della guerra, una guerra inutile e sciagurata in cui l’Italia era stata trascinata dal fascismo, che aveva fatto della guerra un dato fondamentale della propria azione politica e dell'educazione dei giovani.
La seconda guerra mondiale ha rappresentato il più grave e terrificante conflitto della storia dell'umanità. A descriverlo, prima delle parole, valgono molto di più le cifre.
Il totale di questa immane carneficina è spaventoso: oltre 55 milioni i morti, di cui 25 milioni i soldati e 30 milioni i civili.
Nei 12 anni di regime nazista furono sterminati nei campi di concentramento 6.000.000 ebrei.
Le vittime italiane della guerra furono 330.000 militari di cui 40.000 nei campi di internamento in Germania.
70.000 furono i civili deceduti in seguito ai bombardamenti e alle azioni di guerra.
100.000 tra civili e reduci morirono in seguito a malattie contratte nel periodo bellico.
700.000 tra operai e militari furono deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943.
La guerra aveva avuto un costo umano ed economico di grandi proporzioni.
Le condizioni materiali del nostro Paese, ridotto per tanto tempo ad un campo di battaglia degli opposti eserciti, si rivelarono tragiche. Circa un quinto dell’intero patrimonio nazionale era andato distrutto; i maggiori centri urbani erano disseminati di rovine; le strade erano in uno stato pietoso; la produzione agricola era ridotta a poco più della metà di quella dell’anteguerra; la svalutazione, per effetto dell’emissione di moneta da parte delle armate di occupazione, galoppava a ritmi vertiginosi.
Un gran numero di edifici scolastici aveva problemi di stabilità e agibilità; molti non c’erano più, altri erano semidistrutti dai bombardamenti, altri erano adibiti ad alloggi per famiglie.
Anche a Lissone la guerra aveva lasciato una pesante situazione. Gravi erano i problemi che le Amministrazioni comunali del dopoguerra dovettero affrontare; problemi acuiti dalla situazione finanziaria del Comune, che presentava un bilancio in deficit dovuto anche alle notevoli spese sostenute dal paese durante il periodo di occupazione tedesca.
Numerose erano le famiglie in difficoltà economiche da assistere: i bisognosi ammontavano a circa mille persone.
ANGELO AROSIO GENOLA fu il primo sindaco dopo la Liberazione: era stato il Comitato di Liberazione Nazionale lissonese a nominarlo.
Il Comitato di Liberazione Nazionale lissonese era composto da: Attilio Gelosa (nome di battaglia Carlo) democristiano, Agostino Frisoni (Ottavio) comunista, Federico Costa (Franco) socialista, poi sostituito da Gaetano Cavina (Volfango). Leonardo Vismara, conosciuto come Nando da Biel (nome di battaglia Raimondo), era incaricato dei collegamenti col comando militare.
Il CLN lissonese si era costituito nella primavera del 1944; i suoi compiti erano stati:
La propaganda, il reclutamento e la raccolta di mezzi finanziari; l’assistenza alle famiglie bisognose dei perseguitati politici, dei richiamati, dei renitenti e dei prigionieri militari e civili; la preparazione dei quadri dell'amministrazione comunale provvisoria che alla Liberazione avrebbe assunto i poteri.
Angelo Arosio Genola rimase in carica dall’aprile 1945 ad aprile 1946.
Dopo di lui, MARIO CAMNASIO sarà il primo sindaco di Lissone eletto nell’aprile del 1946.
Lissone era allora un paese di 15.000 abitanti. Oltre ai caduti e ai dispersi i cui nomi abbiamo visto incisi sul monumento al cimitero, 670 furono i militari lissonesi prigionieri nei campi di concentramento in Germania e in quelli americani ed inglesi, se catturati nei primi tre anni di guerra.
Gli anniversari combinano storia e memoria.
Per questo oggi desidero ricordare anche quei Lissonesi che furono fucilati dai nazifascisti o morirono nei lager nazisti.
Non erano degli eroi. Erano persone, con un nome, un volto, desideri e speranze:
ARTURO AROSIO falegname, partigiano di anni 19 fucilato a Sestri Levante; dotato di una profonda fede religiosa, consapevole del destino che lo attendeva ha scritto nell’ultima lettera alla madre «muoio contento di aver fatto il mio dovere di vero soldato e di vero italiano».
REMO CHIUSI, patriota, operaio alle Officine Egidio Brugola, di anni 23 fucilato a Monza in Villa Reale da SS naziste e militi repubblichini;
PIERINO ERBA, patriota, operaio alle Officine Egidio Brugola, aveva compiuto da pochi giorni 28 anni fucilato qui in piazza;
ERCOLE GALIMBERTI partigiano, mancavano pochi giorni a compiere 19 anni, fucilato a Susa;
DAVIDE GUARENTI, antifascista monzese di 36 anni, era stato vigile urbano a Lissone prima di entrare nelle fila della Resistenza, fucilato a Fossoli. Durante la sua permanenza a Lissone abitava in via Besozzi. Era il capo degli antifascisti lissonesi che si ritrovano presso il bar della stazione.
ATTILIO MERONI, partigiano, mancava una settimana avrebbe compiuto 19 anni fucilato in Val d’Ossola. Abitava coi suoi genitori in Via Parini;
CARLO PARRAVICINI, patriota, di professione sarto, di anni 23 fucilato qui in piazza;
MARIO SOMASCHINI, patriota, operaio alle Officine Egidio Brugola di 23 anni fucilato a Monza in Villa Reale da SS naziste e militi repubblichini.
Sono morti di stenti e per le angherie a cui furono sottoposti nei lager nazisti, e sono passati per il camino dei forni crematori:
AMBROGIO AVVOI, antifascista comunista, era un bravo falegname di 50 anni morto nel lager di Flossemburg; era un deportato politico; all’arrivo nel lager gli fu riservato un “trattamento particolare” per aver tentato la fuga dal treno che lo portava in Germania;
MARIO BETTEGA, antifascista comunista, operaio alla Breda di Sesto San Giovanni di 26 anni morto a Mauthausen; era un valido calciatore della Pro Lissone.
FERDINANDO CASSANMAGNAGO di anni 20 è morto nel lager di Dachau; di lui abbiamo poche notizie: era nato a Lissone nel 1924; sua madre si chiamava Rivolta Maria; fu arrestato a San Remo.
GIULIO COLZANI lucidatore 34 anni fu ucciso da una guardia tedesca a colpi di mitra a Buchenwald in una cosiddetta “marcia della morte”: con l’avanzata degli Alleati, i nazisti spostavano i prigionieri in altri campi di concentramento.
GIANFRANCO DE CAPITANI DA VIMERCATE impiegato aveva appena compiuto 19 anni, morto nel lager di Ebensee. Non si era presentato alla leva fascista della Repubblica Sociale.
ATTILIO MAZZI commerciante di legnami; morto a Gusen; aveva uno stabilimento per la tranciatura del legno in Via Roma, aveva 59 anni. In una lettera alla moglie dal campo di concentramento di Fossoli, prima di essere portato in Germania, ha scritto: «Qualunque cosa avvenga, tu dovrai essere fiera del nome che porti. Io non mi sono mai pentito d'essere stato e lo sarò sempre, un vero italiano – lo dissi e lo ripetei ai miei inquisitori con la testa alta».
ALDO FUMAGALLI, internato Militare figlio di Carlo e Maria Tremolada, aveva 23 anni; era un Geniere del III Reggimento di Pavia. Non è noto dove fu catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943; morto nel lager di Dora. Il campo di concentramento di Dora, era quel complesso industriale nelle cui gallerie sotterranee venivano costruiti i missili V1 e V2.
Destino volle che da questo lager di Dora riuscisse a tornare il lissonese ORESTE PARMA. Era uno dei pochi superstiti di questo lager. Durante i 20 mesi trascorsi nel Lager di Dora, a causa del suo deperimento fisico dovuto alla scarsa alimentazione, rischiò di essere fucilato non avendo prontamente risposto agli ordini di un Kapò.
125.000 sono stati gli italiani riconosciuti patrioti, ma accanto a loro centinaia di migliaia furono gli operai che resistettero ai nazifascisti difendendo le fabbriche, sabotando la produzione o con gli scioperi. Ricordo gli scioperi della primavera 1944 a cui parteciparono anche gli operai delle due fabbriche lissonesi, l’INCISA e l’ALECTA.
Angelo Cerizzi, Sindaco di Lissone dal 1975 al 1985, che aveva partecipato giovanissimo alla Resistenza, ha segnalato in “Appunti su uomini e fatti dell’antifascismo lissonese” quei lissonesi Partigiani, Patrioti e Benemeriti che in misura diversa ed in vari modi hanno dato il loro valido contributo alla lotta per la Liberazione.
Oltre ai componenti del CLN locale, essi sono:
Consonni Luigi - Camnasio Mario - Donghi Luigi - Foglieni Luigi - Piatti Attilio - Casati Erino - Parravicini Giuseppe - Perego Franco - Tassinato Tiziano - Vavassori Luigi - Zappa Pierino - Arosio Alfredo - Arosio Giulio (Tan) - Arosio Luigi (American) - Beggio Giovanni - Beretta Alfredo - Besana Celestino - Brambilla Gerolamo - Carabelli Casimiro - Casati Bruno - Cerizzi Angelo- Cesana Carlo - Colombo Emilio - Colzani Francesco - Colzani Luigi - Crippa Arturo - Crippa Giuseppe - Donghi Giuseppe - Donghi Luciano - Erba Andreina - Erba Luigi - Erba Natale - Fedeli Lino - Ferrario Isacco - Foglieni Risveglia - Fumagalli Giovanni - Fusi Attilio - Galli Nino - Galimberti Giancarlo - Gelosa Giuseppe - Lambrughi Santino - Lissoni Santino - Meroni Ezio - Meroni Fausto - Meroni Giulio (Tricil) - Molteni Carlo - Muschiato Bruno - Mussi Mario (Griset) - Mutti Celeste - Negrelli Mario - Nespoli Augusto - Parma Anna – Parravicini Oreste, Perego Francesco, Perego Augusto - Pirola Gabriele - Pozzi Alfredo - Pozzi Pierino - Redaelli Attilio - Riva Augusto - Rovati Carlo - Rovati Giulio - Sala Felice - Sala Mario - Sacchetti Luciano - Scali Edoardo - Sironi Chiara - Terenghi Felice - Tromboni Eugenio - Ziroldo Augusto.
Inoltre, ricordiamo i lissonesi che dopo l'8 Settembre 1943, rimasti nell'Italia meridionale, combatterono per la Liberazione dell'Italia nel Corpo Italiano di Liberazione e nei Gruppi di Combattimento:
Arosio Ennio - Arosio Giuseppe - Galimberti Renzo - Mussi Mario - Paltrinieri Bruno - Rivolta Franco - Rovera Massimiliano - Sala Giulio - Ballabio Oreste (tuttora vivente)».
Resistenti vanno considerati i 600.000 soldati italiani che, dopo l’8 settembre 1943, rifiutando di combattere a fianco dei nazisti, furono deportati in Germania e utilizzati come lavoratori coatti nelle industrie del Reich per 20 lunghi mesi. Tra loro desidero ricordare i lissonesi: EVELINO e LUIGI MAZZOLA, mio padre ARNALDO e SALVATORE LAMBRUGHI, che è ancora vivente. Salvatore Lambrughi, subito dopo l’8 settembre 1943, venne fatto prigioniero dai tedeschi. Venne inviato sul fronte orientale a scavare trincee anticarro per impedire l’avanzata dei russi. Finì poi a Berlino costretto alla rimozione delle macerie. Venne liberato dai russi e riuscì a tornare a Lissone nel settembre 1945 dopo innumerevoli peripezie.
In questo giorno di festa desidero mandare un saluto a GABRIELE CAVENAGO che è presidente onorario della nostra Sezione dell’ANPI. Nato a Caponago il 3 aprile 1920, da oltre 60 anni risiede a Lissone. Partecipa come artigliere alla campagna di Russia. Sbandato dopo l’8 settembre 1943, entra nelle fila della Resistenza armata operante nel Vimercatese come membro delle SAP (Squadre di Azione Patriottica). Il 24 aprile 1945, ad un posto di blocco organizzato dai partigiani, viene ferito ad un braccio da un tedesco in fuga, fortunatamente senza gravi conseguenze.
Desidero ricordare anche tre sacerdoti nati a Lissone impegnati nella Resistenza: questi ed altri sacerdoti sono stati definiti “ribelli per amore”. Sono:
don LUIGI BRUSA: nato a Lissone nel 1899, fu ordinato sacerdote a Milano nel 1925; negli anni dal 1943-45 era Rettore del Santuario della Vittoria a Lecco. Don Luigi ebbe collegamenti con la Resistenza lecchese e per la sua attività rischiò la deportazione. Nella cripta del Santuario e nel salone sottostante la chiesa, organizzò un magazzino di rifornimento di viveri e vestiario coi quali aiutò i gruppi partigiani che operavano intorno a Lecco. Con grande rischio personale ospitò anche ricercati.
don ENRICO CAZZANIGA: nato a Bareggia di Lissone nel 1898, fu ordinato sacerdote a Milano nel 1927; negli anni 1943-45 fu Parroco di Liscate (MI). Diede aiuto agli sfollati della vicina Milano bombardata, ai ricercati politici, agli sbandati renitenti alla leva repubblichina, ai partigiani.
FOSSATI PADRE MARIO: nato a Lissone nel 1906, fu ordinato sacerdote nel 1934, durante la Resistenza era Parroco di Onno. Un suo intervento evitò che i tedeschi bruciassero alcuni paesi della zona di Bellagio e deportassero tutti gli uomini in Germania.
Importante è stato il contributo delle donne italiane alla lotta di Liberazione: delle 35.000 donne impegnate tra le fila della Resistenza, più di 4.000 subirono l’arresto, 2.750 la deportazione nei campi di concentramento, 2.800 la pena capitale; a queste si aggiungono le 1000, circa, che trovarono la morte sui campi di battaglia. C'erano le staffette, le informatrici, le infermiere, le addette alla stampa, le portatrici d'armi. C'era insomma intorno al movimento partigiano, sia in città che sui monti, una fitta ragnatela di donne che facevano di tutto, fronteggiando le situazioni più impensate. In questo giorno in cui celebriamo la Liberazione del nostro Paese, vorrei mandare un saluto a tre donne lissonesi ancora viventi: sono Carlotta Molgora, Piera Casati e Giovanna Erba. Carlotta e Piera, sono state staffette partigiane.
PIERA CASATI, oltre al mantenimento dei contatti tra la famiglia e il fratello Bruno, partigiano in Val d’Ossola, il suo compito principale era quella di postina.
CARLOTTA MOLGORA, nell’aprile 1945, forse in seguito a una delazione, viene fermata da alcuni repubblichini presso la chiesa dei frati di Monza, al ritorno di una missione di postina. Le sequestrano la bicicletta e la portano alla caserma San Paolo nel centro di Monza. Carlotta viene picchiata da alcuni giovani della Guardia Nazionale Repubblicana. Si ritrova con altri ventidue tra uomini e donne agli arresti all’interno della caserma. Rimane in balìa dei fascisti per due giorni. Il 25 Aprile del 1945 i partigiani monzesi danno l’assalto alla caserma dai tetti delle case circostanti, così Carlotta viene liberata.
GIOVANNA ERBA: il 16 giugno del 1944 sviene dentro Palazzo Terragni vedendo le condizioni in cui era ridotto il fratello Pierino prima della sua fucilazione qui in Piazza Libertà vicino alla fontana. Nel novembre 1944, il marito di Giovanna, Umberto Viganò, che era operaio alla Pirelli di Sesto San Giovanni, fu prelevato dai fascisti dopo uno sciopero e portato in Germania al lavoro coatto in una fabbrica di gomma. Giovanna Erba, questa donna coraggiosa, rimase a Lissone con due figlie piccole.
Tante famiglie hanno nascosto i partigiani, gli ebrei ed i perseguitati, li hanno curati quando erano feriti, hanno procurato loro cibo e assistenza. Anche a Lissone ci sono state famiglie che hanno nascosto i renitenti alla leva della Repubblica di Salò o i militari alleati fuggiti dai campi di prigionia.
Altri lissonesi hanno nascosto una famiglia di origine ebrea rifugiata nel nostro paese. Mentre alcuni componenti di questa famiglia riuscirono a mettersi in salvo in Svizzera, Elisa Ancona, vedova di Achille Rossi, venne arrestata a Lissone nell’estate del 1944 da militi della Guardia Nazionale Repubblicana. Prima di rifugiarsi a Lissone abitava a Milano ed era iscritta alla locale Comunità israelitica. L’anziana donna, venne rinchiusa a San Vittore. Fu inclusa in un trasporto con destinazione Auschwitz dove arrivò ad il 6 agosto 1944; Elisa Ancona, come avveniva per tutti gli anziani, fu avviata subito alle camere a gas; aveva 80 anni.
Da Auschwitz riuscì invece a tornare un giovane lissonese: Giuseppe Parravicini. Era un sindacalista comunista. Ricercato dopo la fucilazione dei quattro antifascisti lissonesi, il 3 luglio 1944 veniva arrestato a Milano e sottoposto a pesanti interrogatori. Tradotto al carcere di San Vittore, il 15 luglio 1944 veniva deportato ad Auschwitz. Nel mese di gennaio del 1945, quando il lager fu liberato dai Russi, Giuseppe Parravicini si trovava ricoverato nel lazzaretto del lager per pleurite. Da un ospedale all’altro, finisce all’Ospedale di Gemona del Friuli. In seguito ad un miglioramento di salute, esce dall’ospedale e con mezzi di fortuna arriva a Lissone il 22 marzo 1945. Ristabilisce i contatti con le forze della Resistenza e diventa membro del Comitato di Liberazione Nazionale lissonese. Alla fine della guerra diventa segretario della Camera del Lavoro di Lissone e la dirige per tre anni. Era riuscito a tornare vivo da Auschwitz ma sarà debilitato per sempre nel fisico.
Con il mio intervento ho voluto evidenziare come molti lissonesi abbiano dato il loro contribuito durante la guerra di Liberazione. È questo anche uno dei compiti dell’ANPI: ricordare alle giovani generazioni quanto sia costato al popolo italiano il riscatto del Paese dalla servitù tedesca e la riconquista della libertà.
Renato Pellizzoni