Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Politica ed emigrazione dopo l’unità

26 Juin 2006 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #L'ITALIA tra Ottocento e Novecento

Dopo l’unità, il nuovo regno si trova a dover fronteggiare enormi difficoltà. A un paese rurale, diviso tra un Nord e un Sud, l'unificazione ha dato unicamente una facciata monarchica. Tutto dipenderà dallo sviluppo economico e dalle iniziative politiche. Le trasformazioni sono ancora più urgenti a causa della crescita demografica che fa passare la popolazione da venticinque milioni nel 1866, a trentuno milioni nel 1887. Il territorio non è sufficiente e le famiglie conoscono la povertà e persino la fame. Vanno verso i porti dove le navi cominciano a trasportare gli emigranti nei continenti nuovi e lontani - l'America - o nella vicina Africa settentrionale. Altri emigrano in Francia.

1906 emigranti italiani

 

A questo popolo manca la possibilità d'imporsi, perché il suffragio è censuario. Bisognerà aspettare il 1882 perché una riforma elettorale faccia passare il numero degli elettori dal due al sette per cento! In simili condizioni la vita politica si svolge dentro un mondo isolato nel quale gli uomini politici non hanno da rendere conto che a minoranze di elettori e le «combinazioni» si elaborano «in ambito ristretto».

Nel parlamento la Sinistra parlamentare è in minoranza fino al 1876.

Agostino Depretis

Agostino Depretis: presidente del Consiglio del primo governo della Sinistra del nuovo Regno d'Italia

 

Col suo arrivo al potere, essa governa mettendo in atto il "trasformismo", pratica politica dal duplice aspetto. In Parlamento, essa implica che il capo del governo si assicuri una maggioranza "trasformando" i capi dell'opposizione in alleati. Ciò avviene alla fine di lunghi negoziati, maneggi e compromessi spregiudicati. Per più di dieci anni, le «pastette» - caricatura della «combinazione» - assicurano il potere alla Sinistra.

L'altro aspetto del trasformismo, nella nazione questa volta, è una specie di patto tra gli ambienti borghesi dell'Italia settentrionale e i «galantuomini» del Mezzogiorno. Questi ultimi hanno licenza di continuare a gestire i propri averi a piacimento, sfruttando le masse di contadini analfabeti che non votano, esclusi come sono dalla riforma elettorale. In cambio i proprietari meridionali consentono ai rappresentanti della borghesia settentrionale di riformare lo Stato e di sviluppare un'economia moderna fra Torino, Milano e Genova, così da consolidare il loro potere nella società lombarda e piemontese sul modello delle altre nazioni dell'Europa occidentale. Questo compromesso sacrifica il Mezzogiorno, ma i privilegiati di Napoli, di Palermo, delle Puglie o della Calabria ci trovano un sicuro tornaconto.

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