condanna all'ergastolo per i dieci ex SS imputati dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema
Il giorno 8 novembre 2007 la Corte di Cassazione Prima Sezione Penale di Roma ha confermato la condanna all'ergastolo per i dieci ex SS imputati dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema del 12 agosto 1944.
Il Sindaco di Stazzema, Michele Silicani, scrive al Presidente della Repubblica Napolitano.
Presidente, sono consapevole che oggi, 8 novembre 2007, attraverso la conferma della sentenza di condanna per gli esecutori materiali dell'Eccidio nazifascista di Sant'Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 , presso la Corte di Cassazione Prima Sezione Penale di Roma, di comunicarLe una notizia di grande sollievo e di partecipazione morale che Lei vorrà esprimere per i Superstiti e le Vittime della nostra Comunità.
Questi giorni per noi densi di preoccupazione ed emozione si sono rivelati in tutta la loro forza nella grande soddisfazione che vede consegnata alla giustizia e verità una pietra miliare del nostro Stato Repubblicano: Sant'Anna di Stazzema.
Sappiamo benissimo, Presidente, quanto sia vicino ai Superstiti e ai familiari delle Vittime e conosciamo l'altissimo rilievo del Suo impegno per mantenere saldi i valori incarnati da quei luoghi per la Resistenza, la Democrazia e la conquistata Libertà.
Le porgo, umilmente, il mio più cordiale saluto e mi auguro di poterla ricevere, quanto prima, a Sant'Anna di Stazzema nel sessantesimo anniversario dell'entrata in vigore della nostra Costituzione Repubblicana.
Il Sindaco di Stazzema
Michele Silicani
La fabbrica del consenso al fascismo
La campagna propagandistica per l’”oro alla patria" e la raccolta del ferro per farne cannoni segnò uno dei momenti di massimo coinvolgimento popolare, di massimo consenso di massa al regime fascista. Siamo alla fine del 1935, da pochi mesi l'Italia è in guerra. Gli italiani sono sollecitati da una massiccia propaganda ad offrire anche le loro fedi nuziali,
sostituite da una fede in acciaio, per far fronte alle spese della guerra e alle sanzioni economiche decretate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia dopo l’aggressione all'Etiopia.
Anche esponenti dell'opposizione, come Croce o Albertini consegnano le loro medagliette di ex parlamentari. Con l'oro si raccoglie anche il ferro: pregevoli ed antiche cancellate sono divelte per essere fuse e trasformate, secondo la propaganda del regime, in cannoni. In realtà l’oro raccolto è poca cosa: fra l'altro molti italiani, specialmente nei ceti medio-alti, donano fedi acquistate per l’occasione, nascondono le fedi vere per un futuro ancora incerto e mettono al dito le fedi d'acciaio. Il ferro delle cancellate è altra cosa da quello dei cannoni. Ma più che il risultato economico contava, agli occhi del regime, il coinvolgimento della popolazione civile nel clima bellico, la conquista del consenso.
Certo è difficile parlare di consenso se per esso si intende una adesione libera, consapevole e critica di una maggioranza della popolazione agli ideali proposti dal regime. Ma un consenso vi fu tuttavia: entusiastico e spesso cieco nella cerchia dei dirigenti del partito e delle organizzazioni fasciste e poi via via, in cerchi concentrici più ampi, un consenso indotto dalla propaganda, imposto dal ricatto del posto di lavoro o dalla minaccia sempre presente della repressione.
A fianco a questo consenso articolato e variegato, vi fu sempre un dissenso che in minoranze ristrette fu consapevole e perfino impegnato e combattivo, fino a iniziative di cospirazione antifascista, e in strati più ampi della popolazione, specie nel mondo contadino, assunse forme spesso distaccate e scettiche ma talvolta anche di protesta e provocò la pronta e dura reazione del regime.
Agli inizi della sua ascesa Mussolini si preoccupò del potere più che del consenso; ma il problema del consenso si pose con urgenza quando, sotto l'impressione provocata dall'assassinio di Matteotti, il potere stesso apparve in pericolo. Fu allora avviata la prassi delle "veline": non essendovi ancora macchine fotocopiatrici le istruzioni alla stampa fedele a Mussolini venivano diramate su fogli dattiloscritti in più copie su carta velina.
La stampa fu sottoposta via via a un crescente controllo e subì un processo di progressiva fascistizzazione: <<In un regime totalitario - dirà Mussolini in un discorso del 10 ottobre 1928, quando il processo sarà sostanzialmente compiuto - la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime… Ecco perché tutta la stampa italiana è fascista e deve sentirsi fiera di militare compatta sotto le insegne del Littorio». La fascistizzazione della stampa avvenne per gradi. Pochi i giornali di proprietà del regime: fra essi, accanto a Il Popolo d'Italia, alcune testate minori come Il Tevere diretto da Telesio Interlandi che si distinguerà nella campagna in favore del razzismo, L'Impero diretto da Carli e Settimelli sempre all'avanguardia nelle campagne giornalistiche più accese, o giornali locali come Cremona nuova di Farinacci e Il Corriere Padano di Balbo che esprimevano le posizioni personali dei rispettivi capi. Ma per i più importanti giornali, come Il Corriere della sera e La Stampa, il fascismo, senza acquistarne la proprietà, intervenne attraverso la nomina di direttori in linea con la politica del regime. Importanza crescente assunse l'Ufficio Stampa del Presidente del Consiglio (poi Capo del Governo) forte di nuove leggi che avevano accentuato il controllo sulla stampa; questo ufficio, attraverso «gli ordini alla stampa» con le ricordate e sempre più numerose veline orientava l'informazione ed elargiva sussidi e contributi a giornalisti per conquistarne il favore.
Nel maggio 1933 losef Goebbels, il mago della propaganda nazista responsabile del Ministero «per la propaganda e la spiegazione al popolo», viene in Italia e visita fra gli altri istituti fascisti, l’Ufficio Stampa: a seguito anche di quella visita e dei consigli del gerarca nazista, l'Ufficio Stampa è trasformato nel settembre 1934 in un sottosegretariato sotto la direzione del genero del Duce Galeazzo Ciano, per essere elevato poi nel giugno 1935, al rango di Ministero per la Propaganda. Ma il controllo della stampa non è sufficiente al regime in un paese come l'Italia in cui i giornali poco diffusi e non raggiungono le grandi masse popolari. Galeazzo Ciano si pone il problema di un rafforzamento delle competenze e della struttura del ministero: alle due direzioni per la stampa sono affiancate quelle per la propaganda, il cinema, il turismo e il teatro. Quando Galeazzo Ciano parte per l'Etiopia per partecipare alla guerra, la direzione del Ministero è assunta dal suo sottosegretario Dino Alfieri che in un discorso al Senato nel 1937 così riassume la funzione del ministero: «Tutto ciò che si presenta alle masse attraverso giornali, libri, radio, teatro e cinema deve essere governato da un chiaro e sincero spirito fascista. Adesso il momento è venuto di superare la fase repressiva per una fase nella quale sarà possibile offrire alla massa popolare un nutrimento spirituale più adatto alle particolari esigenze del nostro tempo».
Nel maggio 1937 il ministero assunse la nuova denominazione di Ministero per la Cultura Popolare (detto il Minculpop): con il termine "popolare" si vuole sottolineare appunto una attenzione e un impegno non riservato agli intellettuali ma rivolto alle masse per una vera rivoluzione culturale. Radio, cinema e arte diventano gli strumenti di questa rivoluzione. Le opere del regime sono esaltate e propagandate con ossessiva insistenza dai notiziari dell'Istituto Luce: nuove strade, interventi urbanistici, bonifica di terre malsane, iniziative per il «restringimento delle distanze sociali» e in favore della maternità e dell'infanzia.
Nel calendario, all'anno dell'era cristiana, si affianca quello dell'era fascista; si cancellano alcune feste civili del passato se ne creano di nuove. Il 21 aprile, natale di Roma, sostituisce il I maggio, festa del lavoro. Il mito della romanità, specie dopo la conquista dell'Impero etiopico, è proposto come elemento di identità collettiva stabilendo una audace continuità ideale fra la Roma dei Cesari e la Roma fascista. I simboli della romanità e il fascio in particolare si moltiplicano sugli edifici pubblici e privati e invadono il paese.
Il 23 settembre 1937 Mussolini inaugura una mostra della romanità in occasione del bimillenario di Augusto, in simbolica coincidenza con la riapertura della mostra dedicata alla rivoluzione fascista: nei discorsi inaugurali è insistente l'accostamento fra la Roma antica e la Roma fascista: «Roma sotto la guida del Duce… ha ripreso la sua fatale missione» di civiltà nel mondo moderno …
Il culto dei caduti della rivoluzione fascista assunse forme religiose; in un opuscolo del 1923 edito dal Partito Nazionale Fascista, dal titolo Fascismo e Religione si legge: «Un popolo o meglio una milizia che affronta la morte per un comandamento, che accetta la vita nel suo purissimo concetto di missione e l'offre in sacrificio, ha veramente quel senso del mistero che è motivo fondamentale della religione ed afferma verità che non discendono da umani ragionamenti, ma sono dogmi di una fede».
Nella sede nazionale del Partito Nazionale Fascista vi è una "cappella votiva" dedicata ai martiri della rivoluzione. In ogni sede del fascio vi è un "sacrario" dove si venerano i caduti e sono custoditi i cimeli del "tempo eroico" della rivoluzione. Il ricordo dei caduti è rinnovato con il rito dell'appello: al nome del caduto si risponde «presente».
Carlo Scorza, segretario federale di Lucca, in una cerimonia fascista a Valdottavo, benedice egli stesso, in assenza di un sacerdote, i gagliardetti. Si diffonde insomma un «Culto del Littorio» che rappresenta una nuova religione secolare. Al centro di questo culto vi è il Duce. Il Duce è ovunque e costantemente presente: inaugura, pone prime pietre di nuove e imponenti opere pubbliche, partecipa fra i contadini alla «battaglia del grano». La "viva voce del Duce" incoraggia, impartisce direttive, indica i sempre nuovi traguardi della rivoluzione fascista. La mistica del capo diventa un motivo dominante della inculturazione popolare e si afferma nell'arte fascista in forme talvolta parossistiche ...
Il culto e l'immedesimazione con il capo è uno degli elementi tipici dei regimi totalitari di massa, un elemento del quale le successive interpretazioni psicologiche del nazismo e del fascismo (ma l'argomento è applicabile anche allo stalinismo) metteranno in luce la forza e il significato: nella immedesimazione con il capo carismatico l'individuo atomizzato della società di massa, che soffre della sua solitudine, si illude di ritrovare la sua identità e la sua sicurezza. «Il fascismo - ha scritto Arturo Carlo Jemolo - riuscì a convertire i complessi di inferiorità in motivi di orgoglio». Il fascismo diventa religione. Tuttavia Mussolini non pretende come Robespierre di sostituire la religione secolare del fascismo al cristianesimo; i simboli del fascismo si mescolano a quelli del cristianesimo; ma sul cristianesimo il fascismo rivendica un suo primato etico, sicché, come scrive Gentile su Il Corriere della sera del 4 settembre 1929, «lo Stato può in un dato momento, contraddire alla religione, specialmente per quel che riguarda l'ideale della pace e la necessità della guerra».
Di fatto il fascismo, ponendosi come una fede religiosa e costituendo un suo mondo di simboli e di riti, si mette in concorrenza con la Chiesa cattolica sul suo stesso terreno. Da parte cattolica non mancano significative reazioni: non solo antifascisti come Luigi Sturzo o Igino Giordani mettono in guardia i cattolici dal credere in possibili connubi fra cattolicesimo universale e paganesimo nazionalista ma il Papa stesso, Pio XI, ammonisce severamente Mussolini attraverso l'ambasciatore in Vaticano De Vecchi di Valcismon sui rischi del suo farsi un semidio.
Ma non bastava al regime muoversi sul terreno della propaganda di massa, di presentarsi come una nuova religione; le masse al fine di un più intenso coinvolgimento dovevano essere inquadrate. Il partito fu lo strumento principe di questo inquadramento.
Il partito fascista, dopo il colpo di Stato del 3 gennaio 1925, che aveva posto fine al caso Matteotti, diventa progressivamente un organismo dello Stato pienamente soggetto al governo.
Attraverso l'inquadramento e la mobilitazione del popolo italiano, le iscrizioni al partito furono rese obbligatorie per chiunque aspirasse a ricoprire uffici pubblici. Il partito divenne una enorme macchina burocratica, priva di ogni reale funzione politica al di fuori di quella di diffondere fra gli iscritti il culto del capo. La penetrazione del partito rimase sempre diseguale e non omogenea nelle diverse regioni italiane: più profonda al nord assai meno al sud; più ampia fra i giovani che fra gli adulti.
L'organizzazione del partito prevedeva a fianco all'articolazione territoriale, fondata sulla figura del federale, quella per fasce di età: i figli della lupa raccoglievano bambini e bambine; per i maschi si andava poi ai balilla, agli avanguardisti, ai giovani fascisti; per le femmine si saliva dalle piccole italiane alle giovani italiane, alle giovani fasciste. Negli ultimi anni del regime si diventava figli della lupa e cioè fascisti al momento stesso della nascita con l'iscrizione all'anagrafe. Ognuno aveva la sua divisa, partecipava alle sue adunate; il sabato pomeriggio sottratto al lavoro e chiamato perciò «sabato fascista» rappresentava lo spazio per le manifestazioni di partito. Lo sport con i saggi ginnici era uno dei campi di maggior impegno per tutta l'organizzazione di partito. Nei reparti maschili già i balilla disponevano di un moschetto, riproduzione in scala ridotta del famoso fucile modello '91 dei fanti italiani nella prima guerra mondiale, per l'addestramento militare.
La mobilitazione raggiungeva il suo apice in occasione delle grandi manifestazioni di rilievo nazionale. Difficile misurare il grado di coinvolgimento e di adesione che il regime ottenne in tali manifestazioni. Certo una udienza particolare la ebbe proprio fra i giovani: fin dagli inizi il fascismo, riprendendo motivi ben radicati nella cultura del primo novecento, aveva posto l'accento sul tema della giovinezza esaltandone la missione in termini di conquista e perciò di lotta e di guerra. I Littoriali della cultura e dell'arte voluti da Bottai e da Alessandro Pavolini, cui si aggiungeranno nel '39 i Littoriali del lavoro e quelli femminili, creano spazi di libertà di espressione che contribuiscono a orientare verso il fascismo molti giovani.
La prospettiva di una adesione al fascismo per condizionarlo e trasformarlo si fa strada in alcuni settori dell'organizzazione giovanile che diventa palestra di formazione di molti futuri antifascisti della nuova generazione. Con gli anni e sotto lo stimolo potente del modello nazista, la fabbrica del consenso si organizza ed estende il suo raggio d’intervento, ma a questo crescente impegno fa riscontro proprio la incrinatura del consenso e poi la sua progressiva caduta: la prima e più forte incrinatura è rappresentata dall'introduzione in Italia delle leggi razziali volute dal nazismo. La mancanza in Italia di ogni tradizione di razzismo provoca di fronte alle discriminazioni introdotte a danno degli italiani di origine ebrea una reazione diffusa di sconcerto e di disapprovazione.
Subito dopo, la partecipazione alla guerra a fianco alla Germania nazista, se suscita all'inizio una superficiale ondata di entusiasmo, apre il periodo tragico delle restrizioni, dei sacrifici, delle sconfitte delle armi italiane, destinato a concludersi con il crollo del consenso e l'ondata spontanea di esultanza popolare al momento della caduta del fascismo il 25 luglio 1943. Quel giorno nessuno si mosse, neppure la Milizia, in difesa di Mussolini arrestato per ordine del Re: il mito del Duce era crollato. (testo di Pietro Scoppola)
Nelle immagini sopra alcuni dei mezzi utilizzati dal regime fascista per conquistarsi il consenso delle masse.

pubblicità dell'E.I.A.R. durante la seconda guerra mondiale
curiosando tra una pubblicazione e l’altra degli anni ‘30

"Tutta la nostra attività associativa si è ispirata ai comandamenti e al pensiero del Capo. Quale forza operante del Regime, abbiamo dato al Partito il nostro contributo di opere e di presenza seguendo in ogni località le direttive degli organi politici responsabili del cui cameratismo e della cui simpatia, largamente dimostrataci, ci siamo valsi per perfezionare l'inquadramento delle nostre Sezioni e rendere il nostro organismo sempre più consono ai compiti patriottici e sociali che ne regolano l'azione."
Tra le attività svolte dall'associazione troviamo:
2 Novembre 1934
Consegna di moschetti ai Balilla di Lissone.
19 maggio 1935
Inaugurazione vessillo del Gruppo di Santa Margherita di Lissone .
E per finire:
"E' con questo spirito che noi inviamo un fraterno saluto, ai soldati e ai legionari che, nell' Africa Orientale, portano le insegne della nostra civiltà rinnovellata dalla Vittoria e dalla Marcia della Rivoluzione Fascista, ed è con questa fede che noi lanciamo l'appassionato grido ,della nostra anima:
Saluto al Re! Saluto al Duce ! "
due giovani donne coraggiose: Iris ed Elisa
Resistere è donna. Dopo l’8 settembre del 1943, la donna s’inserisce nel movimento clandestino e la sua partecipazione attiva è, in molti casi, determinante. Lotta nelle città, nei paesi e nelle campagne come nei monasteri e nelle carceri dove aiuta, rifocilla, trasporta, consola; procura e distribuisce armi, vestiti, cibo, medicinali e munizioni. Combatte anche con le armi con cui ferisce ed uccide. E’ ferita, torturata, uccisa, fucilata, impiccata oppure, per non essere d’ostacolo ai compagni di lotta, si uccide per non cadere viva in mano al nemico. Tutto questo e altro ancora fu la Resistenza delle donne…
Dedicata, da Carla Grementieri, ad Iris Versari, partigiana, medaglia d’oro al Valor Militare.
Vorrei che l’alba illuminasse
i tuoi occhi di smeraldo
Tra il sonno e la veglia
di un dolce sorriso
Si possono dimenticare
i tratti del tuo volto
Non il profumo intenso
del tuo eroismo…
Iris Versari
Nata a Portico San Benedetto (Forlì) il 12 ottobre 1922, morta il 18 agosto 1944 a Cornia di San Valentino (Forlì), contadina, Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria.
La sua famiglia di contadini si era trasferita a Tredozio, nel podere Tramonto (dove, dopo l’armistizio, si sarebbe costituita una delle prime bande partigiane del Forlivese), ed Iris ad un certo punto, come usava allora, era stata "mandata a servizio" presso una famiglia benestante di Forlì. La ragazzina, ricordata come molto carina, aveva dovuto difendersi dalle "insidie" dei "padroni" e anche quest’umiliazione contribuì a formarne il carattere. Tornata dai suoi, li aiutava nei lavori dei campi. Nel settembre del 1943, la ragazza diventa staffetta della banda di “Silvio" Corbari, col quale ha una relazione sentimentale, e nel gennaio del 1944 entra come combattente nella formazione. Iris prende parte a numerose azioni di guerriglia e si distingue per il suo coraggio. Nell’agosto del 1944 la giovane partigiana, che, ferita ad una gamba, si era rifugiata con Corbari e altri compagni in una casa colonica, viene sorpresa da tedeschi e fascisti, accompagnati sul luogo da un delatore. I partigiani oppongono resistenza, la ragazza capisce che, non potendo muoversi, non può tentare la fuga ed è d’impedimento alla salvezza degli altri e si uccide. Dice la motivazione della Medaglia d’oro, concessa nel 1976, sotto la Presidenza di Giovanni Leone: "Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante oppressione dell'invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida, prese parte attiva a numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida combattente. Durante l'ultimo combattimento, circondata con altri partigiani in una casa colonica isolata, ferita ed impossibilitata a muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l'accerchiamento e, impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro sortita. Dopo aver abbattuto l'ufficiale nemico che per primo entrò nella casa colonica, consapevole della sorte che l'attendeva cadendo viva nelle mani del crudele nemico, si diede la morte. Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che aveva nutrito nella sua breve ma gloriosa esistenza.". I fascisti, per spregio, trasportarono il cadavere di Iris da Cornia a Forlì e, in Piazza Saffi, lo appesero, per spregio, accanto a quelli dei suoi compagni di lotta (Sirio Corbari, Adriano Casadei e Arturo Spazzoli), catturati dopo lo scontro a fuoco di Cornia San Valentino.
Al nome di Iris Versari, nel 1978 fu intitolato, con decreto del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, l’istituto tecnico commerciale, ora anche liceo scientifico, di Cesano Maderno.
Poesia dedicata da Riccardo Vinciguerra ad «Elisa Sala» ('nome di battaglia' Anna)
Da borghi scuri a valli, collina e montagna, giovane Monzese coraggiosa 'Anna',
portasti il soffio, di quella primavera,
vita, per quella libertà vera.
Tristi i tuoi giorni ti parean tanti,
ombra della notte d'agguati,
tempo di guerra, morte e distruzione,
attiva, compagna in missione.
Fratelli in nero e grigioverde,
la luce spenger dei compagni in macchia,
colpir, la stella che nella notte splende,
la forza di un sogno, di libertà e di gioia.
Destino ti fù, a breve vita,
vent'anni morir,
abbandono, nefasti in tortura,
l'ombra nera il fratel, la tua gioventù finir.
Ancor le tue carni non sciolte al martirio,
sulle tue strade tracciate dal tuo sudor,
irrompean, i tuoi compagni contro il nemico in delirio,
da contrade, colline e montagne, alla riscossa del tuo dolor;
Anna, oh! dolce Anna,
ricordo di grande fratellanza,
di sacrificio, di tanta sofferenza,
di una battaglia e di tanta speranza.
Elisa Sala: una vita per la libertà.
Elisa è l’unica donna monzese compresa nell'elenco dei partigiani caduti. Elisa Sala era stata arrestata una prima volta il 13 ottobre 1944, ma riuscì a salvarsi dalla condanna a morte riparando nelle montagne del Bergamasco. Il 13 febbraio 1945 volle fare una scappata a casa per salutare i genitori: purtroppo il 16 fu arrestata e, dopo essere stata seviziata alla Villa Reale di Monza, il giorno dopo fu uccisa, poco più che diciannovenne, a Sovico con quattro colpi di rivoltella alla testa.
Raccontava la madre Norma: «In una delle rare lettere pervenutemi clandestinamente da mia figlia, Elisa esprimeva l’ardente desiderio di amor patrio e di libertà dall’oppressore, libertà per cui ha dato la vita.
Purtroppo il giorno in cui cadde torturata ed uccisa in quel di Sovìco la Guardia Repubblicana perquisiva la mia casa e requisiva un album di famiglia in cui custodivo religiosamente queste missive, che erano l’unico e l'ultimo ricordo della mia sventurata figliola».
Ad Elisa Sala è dedicata la Sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Macherio-Sovico.
Perché la Resistenza?
“Adesso quando qualcuno, che evidentemente non ha vissuto la Resistenza, dice che non dovevamo fare azioni di guerra, perché queste hanno portato ritorsioni, vendette, eccidi, la risposta che noi possiamo dare è che se non avessimo fatto niente, i tedeschi e i fascisti per quanto tempo ancora avrebbero occupato il paese? Come ci saremmo presentati davanti a quanti hanno combattuto il nazifascismo? Davanti alle nazioni vincitrici? Alcide De Gasperi si presentò alla Conferenza della Pace di Parigi, dicendo che non tutti gli italiani erano stati fascisti, e poté affermarlo perché c'era stata la Resistenza che legittimava la sua difesa del nostro paese.” Tina Anselmi, staffetta partigiana con 'nome di battaglia' Gabriella, nel 1976 prima donna ministro in Italia.

De Gasperi alla Conferenza della Pace di Parigi nel 1946
i quarantacinque giorni del governo Badoglio
Il periodo che intercorre tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, ricordato nella storia politica nazionale come il governo dei “quarantacinque giorni”, risulta anche alla più rapida analisi fondamentale per comprendere gli sviluppi successivi della situazione sociale e politica nonché l’evolversi degli avvenimenti bellici che interessarono il nostro paese nella seconda guerra mondiale. All’indomani del crollo del fascismo, infatti, escono dalla clandestinità quei partiti politici soppressi uno dopo l’altro dalla legge di PS del 6 novembre 1926, sui quali si fonderanno la lotta politica e, dopo l’annuncio dell’armistizio, l’organizzazione dei Comitati di Liberazione nazionale e la Resistenza. Le ripetute sconfitte dell’esercito italiano avevano minato il già fragile fronte interno, mettendo in luce il divario profondissimo fra il regime fascista, che aveva promesso con enfasi una grandezza imperiale e militare che nei fatti si era rivelata un bluff, e le masse popolari, colpite sempre più duramente nel loro tenore di vita da restrizioni di ogni genere, ormai consapevoli della catastrofe che andava delineandosi sotto i primi bombardamenti alleati alle città del triangolo industriale. Un segno di vibrante protesta contro il regime fascista, furono gli scioperi avvenuti nel marzo del 1943 nella fabbriche dell’Italia settentrionale. Dopo l’incontro di Feltre (19 luglio 1943) tra Hitler e Mussolini, la crisi del regime si profilava sempre più come inevitabile: il re Vittorio Emanuele III intendeva sganciarsi dalle sorti del vacillante regime su una base politico sociale conservatrice, e anche all’interno dei vertici del regime fascista la situazione stava degenerando, al punto che il 24 luglio nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, Dino Grandi assunse l’iniziativa di mettere in minoranza Mussolini, proponendo un programma che convergeva sostanzialmente con quello della monarchia. L’ordine del giorno presentato da Grandi, venne approvato a maggioranza (19 si, 7 no e una astensione; fra i si anche quello di Ciano, il genero di Mussolini) impose la riassunzione immediata da parte del re delle prerogative costituzionali e del comando delle forze armate.
Il 25 luglio 1943 il re messo di fronte alla crisi del regime destituisce Mussolini e lo fa arrestare, mentre il maresciallo Pietro Badoglio viene nominato capo del governo. Il 26 luglio Badoglio forma un nuovo governo (appoggiato dalla monarchia, dalla chiesa e dall’esercito) composto da tecnici e alti funzionari della burocrazia, il quale procedette immediatamente a smantellare gli apparati della dittatura fascista e alla repressione di ogni manifestazione popolare antifascista (il bilancio finale fu di 83 morti e 516 feriti).
Il disegno governativo monarchico-badogliano ambiva a realizzare un ritorno alla situazione pre-fascista, in modo da evitare una nuova costituente, lasciando intatte le strutture conservatrici in campo economico e sociale, impedendo così che la caduta del fascismo mettesse in discussione l’ordinamento monarchico; ma per realizzare tutto questo occorreva innanzitutto sganciare l’Italia dalla Germania, inserendo il paese nella lotta delle potenze antinaziste (il programma del governo Badoglio venne appoggiato con vigore da Churchill, preoccupato di evitare che in Italia si aprisse un processo anti-monarchico, politicamente e socialmente radicale). Nel frattempo i partiti antifascisti (PCI, PSI, PdA) che erano rimasti di fatto estranei al colpo di Stato del 25 luglio, riuniti in un comitato nazionale, premevano per la costituzione di un governo di unità nazionale e per la rottura immediata con la Germania. Le tendenze antimonarchiche insite all’interno del comitato, sfociarono in breve in un’opposizione al governo Badoglio, dal quale si dissociarono ufficialmente con un ordine del giorno approvato il 13 agosto. Mentre l’esercito tedesco si apprestava a mettere in atto l’operazione Achse al fine di assumere il controllo militare dell’Italia, Badoglio avviava a Lisbona (3 agosto) delle trattative segrete con gli alleati, i quali chiesero la resa incondizionata e, per esercitare una pressione maggiore, intensificarono i bombardamenti aerei sulle città italiane. L’armistizio venne agli atti firmato a Cassibile in Sicilia, il 3 settembre 1943, ma la notizia fu resa pubblica solamente alle 19.45 dell’ 8 settembre 1943, attraverso un comunicato radiofonico. La notizia colse completamente impreparati i capi militari e le truppe, lasciati colpevolmente da Badoglio senza istruzioni operative. Il 9 settembre Badoglio e il re fuggono da Roma, dirigendosi dapprima a Pescara e successivamente, via mare, verso Brindisi nella zona occupata dagli Alleati. I giorni successivi segnarono il crollo dell’intera organizzazione dell’esercito italiano. I tedeschi, nel quadro dell’operazione Alarico, catturarono e disarmarono in breve 600.000 soldati italiani (in maggioranza inviati nei campi d’internamento in Germania), dilagando su tutto il territorio italiano non occupato dagli alleati. Per quanto riguarda la sorte delle truppe italiane stanziate all’estero, essa fu tragica: la gran parte vennero fatte prigioniere dai tedeschi e quei pochi presidi che resistettero eroicamente (Corfù e Cefalonia) vennero barbaramente sterminati.
Il governo Badoglio dei “quarantacinque giorni” aveva così portato l’Italia fuori dall’alleanza tedesca, ma in modo così inefficiente da determinare una tragedia per la sorte della popolazione civile, ormai vittima del brutale regime di occupazione tedesca.
La caduta del regime faceva pendere sull’Italia la spada di Damocle rappresentata dalla reazione tedesca. Hitler che diffidava della monarchia e di Badoglio - nonostante questi si fosse affrettato a dichiarare che l’Italia rimaneva fedele alle sue alleanze - già andava maturando il proposito di assumere il controllo militare della nostra penisola.
Alla caduta di Mussolini - divulgata nella tarda serata domenicale del 25 luglio - gli italiani reagiscono con gioia incontenibile; strade e piazze sono attraversate da manifestazioni di giubilo per l'uscita di scena del dittatore. La popolazione spera che con il duce se ne vadano i tedeschi e la nazione esca dalla spirale distruttiva in cui il capo del fascismo l'ha gettata. L'apparato militare del regime - le camicie nere della Milizia - rimane inerte, travolto dagli eventi. Il colpo di palazzo attuato dalla monarchia col sostegno maggioritario del Gran consiglio del fascismo insedia al potere il maresciallo Badoglio, che rassicura i tedeschi sulla fedeltà alle alleanze: «La guerra continua».
Roma, Milano,Torino e le altre città del Regno sono per un giorno nelle mani di una folla festosa che scalpella dagli edifici pubblici l'emblema del fascio littorio, sfregia ritratti e statue del dittatore, irrompe nelle sedi del partito nazionale fascista per distruggere carte e arredi. Badoglio e i suoi collaboratori temono la radicalizzazione antifascista della piazza e il generale Mario Roatta, capo di stato maggiore dell'Esercito, dirama il 26 luglio direttive vincolanti per i militari impiegati in servizio di ordine pubblico: «Muovendo contro gruppi di individui che pertubino ordine aut non si attengano prescrizione autorità militare si proceda in formazione di combattimento et si apra fuoco a distanza anche con mortai et artiglieria senza preavviso di sorta come se si procedesse contro truppe nemiche. Non est ammesso il tiro in aria: si tira sempre a colpire come in combattimento. Il militare che impiegato in servizio di ordine pubblico compia il minimo gesto di solidarietà con i perturbatori dell'ordine aut si ribelli aut non obbedisca agli ordini aut vilipenda superiori et istituzioni venga immediatamente passato per le armi». Il 27 luglio vengono uccisi a Bari una ventina di manifestanti; l'indomani un corteo operaio che sfila a Reggio Emilia al grido di «Basta con la guerra! I tedeschi in Germania!» viene disperso con le armi e sul selciato restano una decina di morti e numerosi feriti.
Per la facciata, il governo Badoglio sciolse le organizzazioni fasciste, eliminò il tribunale speciale, arrestò parecchi gerarchi per poi lasciarli fuggire: Farinacci in Germania e Bastianini a far l'ambasciatore. Ettore Muti fu ucciso, misteriosamente e, se non è provato che sia stato Badoglio per una vendetta personale, è certo che fu lui a ordinarne la cattura, annullò la Carta della scuola e la Carta del lavoro. Revocò le sanzioni disciplinari inflitte agli studenti per cause politiche, mandò a spasso i consiglieri nazionali della Camera e, persino, abolì il ruolo di caporale d'onore della milizia, il fascio littorio sui biglietti di banca, il saluto romano nelle forze armate, le leggi contro il celibato e trovò anche il tempo di pubblicare sulla «Gazzetta Ufficiale» il decreto che radiava dall'Ordine della Corona d'Italia il signor Carlotto Giuseppe fu Giacomo.
Tuttavia, in questa girandola di disposizioni, evitò di affrontare le questioni fondamentali (parlamento, partiti, sindacati) e, incaricando il ministro Guardasigilli di «eliminare dal Codice i tratti caratteristici dell'ideologia fascista», dimenticò il tratto peggiore e più ignobile, quello razzista, sicché non vennero dichiarati nulli i cinque decreti legge, le quattro leggi e i sei articoli introdotti nel codice civile nel 1938 in cui si compendiava la legge razziale. Questa «dimenticanza» peserà in modo non lieve sullo sterminio dei 7642 ebrei italiani nei lager tedeschi.
Milano, già precedentemente bombardata il 24 ottobre 1942, dopo i terribili bombardamenti dell'agosto 1943, era un cumulo di macerie, una «città morta ».
La descrive Salvatore Quasimodo:
«Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
E' morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l'usignolo
è caduto dall' antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
I numeri non hanno anima, ma ...




I numeri non hanno anima, ma quelli dei lager e della guerra contengono tutto il dolore dell’uomo.
La seconda guerra mondiale ha rappresentato il più grave e terrificante conflitto della storia dell'umanità. A descriverlo, prima delle parole, valgano molto di più le cifre.
I militari italiani deceduti in prigionia furono più di 20.000. Se si aggiungono a questi morti i militari italiani che persero la vita durante i trasporti (13.300), 6300 militari trucidati durante le operazioni di disarmo delle truppe italiane, circa 600 uccisi in massacri dell’ultima ora, e 5400 prigionieri di guerra italiani uccisi o dispersi nella zona di operazioni sul fronte orientale, si arriva a circa 45.000 unità.
Il totale di questa immane carneficina che è stata la seconda guerra mondiale è spaventoso: oltre 55 milioni di morti, di cui 25 milioni di soldati e 30 milioni di civili.
Nei 12 anni di regime nazista furono, inoltre, sterminati nei campi di concentramento circa 6.000.000 di ebrei.
Gli internati furono, in totale, 7.500.000.
Ai morti vanno aggiunte le distruzioni materiali, le devastazioni di incalcolabili ricchezze, di un immenso patrimonio creato dal lavoro e dalla intelligenza dell'uomo.
Molti paesi furono ridotti nella più completa rovina, con le città trasformate in un cumulo di macerie, le strutture economiche e le comunicazioni sconvolte, le popolazioni superstiti affamate.
Nel 1945 il costo totale della guerra fu calcolato in 1.154 miliardi di dollari; il costo delle distruzioni provocate dalla guerra in 230 miliardi di dollari. Si è anche calcolato che nella sola Europa occidentale furono completamente distrutti 1.500.000 edifici e danneggiati 7.000.000.
(Dati sulla seconda guerra mondiale tratti da Memoria per la storia e per la pace - Mai più guerra, a cura di Tullio Ferrari, Vol. III, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, Sez. di Modena, 1986, pag. 106)




Anno 1941: La speranza di un anonimo graffitaro milanese in un nuovo risorgimento
Pepin vegn giù che i en anca mo' chì [peppino vieni giù che quelli sono ancora qui].
Scritta comparsa nell'ottobre 1941 sul basamento della statua equestre di Garibaldi in Largo Cairoli a Milano
la statua di Giuseppe Garibaldi in Largo Cairoli a Milano
In tutti i licei della Francia
Lunedì, 3 settembre 2007
In Francia oggi inizia il nuova anno scolastico. Nei licei di Francia verrà letta, per volontà del presidente della Repubblica, Sarkozy, la lettera scritta dal diciassettenne Guy Môquet ai suoi genitori, prima di essere fucilato dai nazisti nell’ottobre 1941.
Far leggere all’inizio di ogni anno scolastico questa lettera, è stata la sua “prima decisione” da presidente della Repubblica. Il 16 maggio 2007, giorno del suo insediamento all’Eliseo, Sarkozy, si è recato al Monumento de la Cascade, al Bois de Boulogne, per rendere omaggio ai 35 giovani resistenti fucilati dai nazisti, alla vigilia dell’insurrezione di Parigi nell’agosto del 1944.
Partiti il 16 agosto 1944 alla ricerca di armi per l’insurrezione di Parigi, caddero in un agguato teso da un agente francese della Gestapo. Furono fucilati nella notte tra il 16 e il 17 agosto da soldati della Wehrmacht ai piedi della cascata nel Bois de Boulogne. I corpi mutilati dai proiettili e dalle granate furono portati il giorno dopo in un garage trasformato in una camera ardente. Di età compresa tra i 17 e i 22 anni, la maggior parte dei fucilati apparteneva alle FFI (Forces Française de l’Interieur) e ai FTP (Francs-Tireurs et Partisanns). Gli altri erano membri dei Jeunes Chrétiens combattants o dell’Organisation Civile e Militare de la Junesse.
Nel suo discorso presso il Monumento de la Cascade, al Bois de Boulogne, il presidente della Repubblica così si è espresso: “Ho voluto fare qui la mia prima commemorazione da presidente della Repubblica, perché credo che sia essenziale spiegare ai nostri figli quello che è un giovane francese, e mostrare loro, attraverso il sacrificio di qualcuno di questi anonimi eroi dei quali i libri di storia non parlano, quella che è la grandeur di un uomo che si dona ad una causa più grande di lui. Voglio, con questo gesto, che i nostri figli si rendano conto dell’orrore della guerra e a quale estrema barbarie può condurre i popoli anche i più civilizzati”.
Durante la cerimonia in onore dei 35 partigiani fucilati, è stata letta la seguente lettera che Guy Môquet ha scritto ai suoi genitori prima di essere fucilato:
"Ma petite maman chérie, mon tout petit frère adoré, mon petit papa aimé, Je vais mourir ! Ce que je vous demande, toi, en particulier ma petite maman, c'est d'être courageuse. Je le suis et je veux l'être autant que ceux qui sont passés avant moi. Certes, j'aurais voulu vivre. Mais ce que je souhaite de tout mon cœur, c'est que ma mort serve à quelque chose. Je n'ai pas eu le temps d'embrasser Jean. J'ai embrassé mes deux frères Roger et Rino. Quant au véritable je ne peux le faire hélas ! J'espère que toutes mes affaires te seront renvoyées elles pourront servir à Serge, qui je l'escompte sera fier de les porter un jour. A toi petit papa, si je t'ai fait ainsi qu'à ma petite maman, bien des peines, je te salue une dernière fois. Sache que j'ai fait de mon mieux pour suivre la voie que tu m'as tracée.Un dernier adieu à tous mes amis, à mon frère que j'aime beaucoup. Qu'il étudie bien pour être plus tard un homme. 17 ans 1/2, ma vie a été courte, je n'ai aucun regret, si ce n'est de vous quitter tous. Je vais mourir avec Tintin, Michels. Maman, ce que je te demande, ce que je veux que tu me promettes, c'est d'être courageuse et de surmonter ta peine.Je ne peux en mettre davantage. Je vous quitte tous, toutes, toi maman, Serge, papa, en vous embrassant de tout mon cœur d'enfant. Courage !
Votre Guy qui vous aime.
Guy
Dernières pensées : Vous tous qui restez, soyez dignes de nous, les 27 qui allons mourir !"
(traduzione)
«Mia cara piccola mamma, mio fratellino adorato, mio amato piccolo papà, Vado a morire! Quello che vi domando, a te in particolare mamma, di essere coraggiosi. Io lo sono e voglio esserlo come coloro che sono passati prima di me. Certo avrei voluto vivere. Ma quello che io mi auguro con tutto il mio cuor, è che la mia morte serva a qualche cosa. Non ho avuto il tempo di abbracciare Jean. Ho abbracciato i miei due fratelli Roger e Rino. Veramente non l’ho potuto fare purtroppo. Spero che tutti i miei indumenti ti saranno restituiti potranno servire a Serge, che sono sicuro sarà fiero di indossarli un giorno. A te papà, se ti ho dato, come alla mia piccola mamma, dei dispiaceri, ti saluto una ultima volta. Sappi che ho fatto del mio meglio per seguire la via che tu mi hai indicato. Un ultimo addio a tutti i miei amici, a mio fratello che io amo molto. Che studi bene per essere più tardi un uomo.
17 anni e mezzo, la mia vita è stata breve, non ho alcun rimpianto se non quello di lasciarvi tutti. Vado a morire con Titin, Michel. Mamma, quello che ti chiedo, quello che ti chiedo, quello che voglio che tu mi prometta, è di essere coraggiosa e di superare il tuo dolore. Non posso trattenermi oltre. Vi lascio tutti, tutte, tu mamma, Serge, papà, abbracciandovi con tutto il mio cuore di bambino. Coraggio!
Il vostro Guy che vi ama.
Guy
Ultimi pensieri: voi tutti che restate, siate degni di noi, i 27 che andiamo a morire!»
Chi era Guy Môquet?
Era figlio di un deputato comunista, Prosper. Essendo stato sciolto il partito comunista da Daladier nel mese di settembre 1939, Prosper Môquet viene arrestato il 10 ottobre 1939; decaduto dal suo mandato di deputato nel febbraio 1940, è deportato in Algeria.
Guy era studente del liceo Carnot di Parigi e un fervente militante della gioventù comunista.
Dopo l’occupazione tedesca di Parigi e l’instaurazione del governo di Vichy, Guy dimostra una grande passione di militante attaccando nel suo quartiere manifesti che denunciano il nuovo governo e chiedono la liberazione degli internati. È arrestato a 16 anni il 13 ottobre 1940, a una fermata del metro, da poliziotti francesi che ricercavano dei militanti comunisti. Lo torturano perché riveli i nomi degli amici di suo padre.
Imprigionato, è trasferito in vari campi, dove sono rinchiusi altri militanti comunisti. Il 20 ottobre 1941 il comandante delle truppe di occupazione della Loire-inferieure viene ucciso a Nantes da tre giovani comunisti. Il ministro degli Interni del governo Pétain sceglie 50 comunisti nelle carceri, tra cui Guy Môquet che è il più giovane, da fucilare per rappresaglia.

Chant des partisans
Parole de chanson Chant des partisans
Ami, entends-tu le vol noir des corbeaux sur nos plaines ?
Ami, entends-tu les cris sourds du pays qu'on enchaîne ?
Ohé, partisans, ouvriers et paysans, c'est l'alarme.
Ce soir l'ennemi connaîtra le prix du sang et les larmes.
Montez de la mine, descendez des collines, camarades !
Sortez de la paille les fusils, la mitraille, les grenades.
Ohé, les tueurs à la balle et au couteau, tuez vite !
Ohé, saboteur, attention à ton fardeau: dynamite...
C'est nous qui brisons les barreaux des prisons pour nos frères.
La haine à nos trousses et la faim qui nous pousse, la misère.
Il y a des pays où les gens au creux des lits font des rèves.
Ici, nous, vois-tu, nous on marche et nous on tue, nous on crève...
Ici chacun sait ce qu'il veut, ce qu'il fait quand il passe.
Ami, si tu tombes un ami sort de l'ombre à ta place.
Demain du sang noir sèchera au grand soleil sur les routes.
Chantez, compagnons, dans la nuit la Liberté nous écoute...
Ami, entends-tu ces cris sourds du pays qu'on enchaîne ?
Ami, entends-tu le vol noir des corbeaux sur nos plaines ?
Oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh...
le vittime del fascismo
I 42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale.
Coloro che subirono 28.000 anni di carcere e confino politico.
Gli 80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica dal generale Graziani.
I 700.000 abissini barbaramente uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive "operazioni di polizia". I combattenti antifascisti caduti nella guerra di Spagna.
I 350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale.
I combattenti degli eserciti avversari ed i civili che soffrirono e morirono per le aggressioni fasciste.
I 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno.
I 640.000 internati militari nei lager tedeschi di cui 40.000 deceduti ed i 600.000 e più prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi tra i reticolati, in tutte le parti del mondo.
I 110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all'estero.
Le migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.
Quei giovani che, o perché privi di alternative, o perché ingannati da falsi ideali, senza commettere alcun crimine, traditi dai camerati tedeschi e dai capi fascisti, caddero combattendo dall’altra parte della barricata.