Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

i guerra mondiale

4 Novembre

30 Octobre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #I guerra mondiale

Giorno dell'Unità d'Italia e Festa delle Forze Armate  

Il 4 novembre del 1918, il giorno della Vittoria dell’Italia sull'Austria nella Prima guerra mondiale, simbolicamente si completò il processo dell'unificazione italiana. Un processo lungo e difficile, che aveva avuto i suoi albori con l'età napoleonica e si era sviluppato attraverso cospirazioni, movimenti politici, moti rivoluzionari e guerre. Dagli otto stati pre-unitari nasceva una nazione indipendente. Dai moti del 1820-21 a quelli del 1831, dalle insurrezioni del 1848 alla campagna dello stesso anno ed a quella dell'anno successivo, poi la II Guerra d'Indipendenza, i plebisciti, la spedizione dei Mille, l'Esercito Meridionale, l'intervento nelle Marche e nell'Umbria fino alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. E poi i successivi tasselli per completare l'unità, con la guerra del 1866 e la presa di Roma. La Prima guerra mondiale diventa quindi la tappa conclusiva dell’unità dell’Italia. E per questo il 4 novembre è stato scelto come giorno in cui si celebrano le Forze armate e appunto l’Unità della nazione. I numeri della Prima guerra mondiale furono questi: oltre 5 milioni di mobilitati, di cui oltre 4 milioni assegnati all'esercito, 680.000 caduti, 270.000 mutilati, un milione di feriti, 600.000 prigionieri, 64.000 dei quali morti per stenti in mano nemica. Nato come "festa della Vittoria", con il tempo il 4 Novembre è diventato "Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate" ».

Anniversario di Vittorio Veneto

 “Vittorio Veneto” è la località nei cui pressi si svolse l'ultimo scontro armato tra Italia e impero austro-ungarico durante la prima guerra mondiale, con la vittoria dell'esercito italiano e segnò la fine della guerra sul nostro fronte.

Nel 1914 l'Europa appariva ormai come una polveriera sul punto di esplodere, ma l'opinione pubblica europea sembrava del tutto inconsapevole del pericolo imminente.

1914 luglio Sarajevo

Sarebbe bastata una piccola scintilla - il 28 giugno del 1914, l'assassinio a Sarajevo in Serbia dell'erede al trono degli Asburgo, l'arciduca Francesco Ferdinando, e di sua moglie - per innescare il grande incendio della prima guerra mondiale.

L'Europa nel 1914 risultava divisa in due schieramenti contrapposti che facevano capo ad altrettante alleanze militari: la Triplice Intesa e la Triplice Alleanza. La prima vedeva l'adesione di Francia, Inghilterra e Russia; la seconda quella di Germania, Austria e Italia. Le aree di maggior tensione nello scenario europeo erano: l'Alsazia-Lorena tra Francia e Germania, il Trentino e la Venezia-Giulia tra Italia e Austria. Ma la vera zona calda erano i Balcani, verso i quali si concentravano le mire espansionistiche delle grandi nazioni.

Le dichiarazioni di guerra: Austria contro Serbia (28 luglio 1914), Germania contro Russia (1° agosto 1914), Germania contro Francia (3 agosto 1914), Gran Bretagna contro Germania (4 agosto 1914), Austria contro Russia (6 agosto 1914), Francia contro Austria (11 agosto 1914), Gran Bretagna contro Austria (12 agosto 1914).

Dopo alcuni mesi dall'inizio della guerra il conflitto si estende a buona parte dell'Europa, coinvolgendo anche paesi extra-europei come il Giappone. A scendere in guerra a fianco degli Imperi centrali furono Impero ottomano e Bulgaria, mentre con l'Intesa si schierarono Grecia, Romania e, nel 1915, l'Italia.

Quei fatidici quindici giorni dell'estate del 1914, che segnarono l'avvio e il dilagare delle ostilità, sarebbero rimasti impressi nella memoria degli europei.

Il 1914 rimane una data che marca profondamente la storia del mondo ed ecco perché il primo conflitto mondiale viene correntemente definito la Grande Guerra: iniziava in quel momento un processo destinato a cambiare il destino non solo delle popolazioni del vecchio continente, ma anche dei popoli colonizzati nel resto del pianeta.

la "Grande" Guerra

Nel novembre 1918 fa finiva la prima guerra mondiale. Nel mondo niente era più come prima della guerra. All’est la rivoluzione bolscevica aveva trionfato, la Germania era in ginocchio, l’Austria-Ungheria era scomparsa, nasceva una nuova Europa con nuovi paesi: gli Stati baltici, la Polonia, la Cecoslovacchia; a sud l’impero ottomano era disintegrato, ad ovest la Francia aveva ripreso l’Alsazia e la Lorena, passavano all’Italia il Trentino-Alto Adige e Trieste.

Più di 9 milioni di uomini avevano perso la vita sui campi di battaglia.

La guerra in Europa, iniziata nell’estate 1914, è stata la prima "guerra totale" che aveva opposto diverse nazioni, coinvolgendo le forze economiche.

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Una guerra totale è una guerra dove la distinzione tra militari e civili tende a ridursi e dove i civili ci vanno di mezzo come i soldati. Certo le atrocità commesse dalle truppe tedesche in Belgio e nel nord della Francia nell’estate del 1914 o ancora i bombardamenti di Reims sono diverse da quelle di Hiroshima e della distruzione di Desdra, ma la differenza tra le due guerre mondiali è una differenza di scala, dovuto ai limiti della tecnologia. Se i tedeschi avessero disposto di più “Grande Bertha”, i Parigini avrebbero sofferto di più. D’altro canto il genocidio degli Armeni preannuncia in un certo senso quello degli Ebrei.

Una novità della prima guerra mondiale é la nozione del "fronte". Nel XIX secolo le guerre erano fatte da armate in movimento. La guerra, 1914-1918, all’inizio era come quelle dell’800, con delle armate mobili che si cercano, ma nel giro di qualche settimana, il fronte si stabilizza su centinaia di chilometri.

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Si ha dapprima la trincea, che è la conseguenza di questa guerra di "fronte". Poi entra in gioco l’artiglieria: la novità sta nell'uso massiccio dell'artiglieria.

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Nessuna guerra nella storia aveva avuto un tale impiego esagerato di artiglieria: nella battaglia di Verdun (su un fronte di 17 Km di lunghezza e 3 di laghezza) è caduto un obice di grosso calibro (105 mmm o più) su ciascun metro quadrato. Per trasportare un così ingente quantitativo di munizioni erano stati necessari 872 treni e 26.000 vagoni. L’artiglieria distrugge tutto e stravolge completamente  il paesaggio.

Alcune innovazioni fanno di questa guerra la prima guerra industriale: le mitragliatrici, i gas, i lanciafiamme, ma anche i carri armati, i sottomarini e gli aeroplani, con i quali si entra veramente nel XX secolo.

 

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La morte in massa non si era mai vista prima: i morti raggiungeranno la cifra di 9.400.000, di cui 1.397.000 in Francia (pari a una media di 829 morti al giorno nei 1560 giorni di guerra), a cui si devono aggiungere altrettanti feriti e prigionieri, la maggior parte catturati nel 1914 e a Verdun). In Italia i morti furono 578.000 (mediamente 460 morti al giorno in 1258 giorni di guerra).

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Con la prima guerra mondiale si entra nell’era della violenza industriale, di una violenza cieca. La guerra del 1914-1918 è una guerra dove è raro che si uccida guardandosi negli occhi. La “pulizia delle trincee” sicuramente é esistita, ma resta marginale in quanto l’arrivo dei soldati in una trincea nemica è preceduto da una tale preparazione dell’artiglieria che gli uomini, di fatto, sono già morti o non sono in grado di opporre resistenza.

Nel 1918 il mondo non assomiglia più a quello del 1914: la principale conseguenza della Grande Guerra è lo spostamento del centro di gravità dell’economia mondiale dall’Europa verso gli Stati Uniti d’America. Nel 1914 l’Europa era il banchiere del mondo; nel 1918 non più. Per finanziare la guerra i paesi europei si erano indebitati: ormai Wall Street supera la City di Londra o la borsa di Parigi.

Gli Stati Uniti d’America erano entrati in guerra contro la Germania nell’aprile del 1917, al fianco dell’Intesa: per questo intervento fu ristabilita la coscrizione obbligatoria che era stata abolita dopo la guerra di secessione (1861-1865) . I soldati americani arrivarono in massa sul continente europeo: 300.000 nel marzo 1918, un milione nel mese di luglio, il doppio alla vigilia dell’armistizio. 114.000 caddero sui campi di battaglia.

Oltre all’apporto dei militari statunitensi alla vittoria dell’Intesa, non va dimenticato l’aiuto americano nel  campo economico: durante la guerra, gli alleati ricevettero materie prime, alimenti, macchine utensili, materiale ferroviario, benzina.

(Liberamente tratto da un’intervista al prof. Antoine Prost, insegnante alla Sorbona di Parigi, esperto in Storia dell’Educazione e di Storia sociale)

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La Grande Guerra: una guerra totale

30 Octobre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #I guerra mondiale

La Grande Guerra: una guerra totaleLa Grande Guerra: una guerra totale
La Grande Guerra: una guerra totale

1918 – 2024. A 106 anni dalla fine della “Grande Guerra” , riportiamo alcune considerazioni di Marcello Flores sulla prima Guerra mondiale, tratte dal suo libro “Il genocidio degli Armeni”.

La “Grande Guerra” è la prima guerra “totale”, che anticipa, prefigura e apre la strada alle violenze più drammatiche dell'intero XX secolo.

Quando la guerra del 1914 non riuscì a produrre rapidamente un risultato, quando diventò una forma di guerra d'assedio tra potenze industriali i cui domini si estendevano da un capo all'altro del pianeta, questa si trasformò in un altro tipo di guerra, più grande, più letale e più corrosiva di qualsiasi conflitto precedente. È a questa nuova tipologia di guerra che si applica propriamente l’etichetta di «guerra totale».

                                                                    ****

C’è larga convergenza tra gli storici, ormai, sul carattere di cesura epocale rappresentata dalla prima guerra mondiale.

In poco più quattro anni muoiono nove milioni di persone, quasi tutte fra i venti e i trent'anni, tanto che si darà il nome di «generazione perduta» ai giovani nati nell'ultimo decennio dell'Ottocento e che erano entrati nell'adolescenza mentre il mondo festeggiava con fiducia l'ingresso nel XX secolo.

È un risultato che nessuno, neppure i più pessimisti, aveva minimamente ipotizzato, mentre era largamente diffusa, in entrambi gli schieramenti, la convinzione che il conflitto sarebbe stato breve.

Le intere economie dei paesi in guerra si piegano alle necessità militari, la mobilitazione della società perché partecipi allo sforzo bellico è continua e si cerca di ottenerla con la forza della propaganda e dell'infiammazione patriottica o, quando entrambe si dimostrano inefficaci, con irreggimentazione e la disciplina coatta, la limitazione delle libertà e la minaccia della repressione.

Se questo avviene nelle democrazie più evolute - dove ogni principio, interesse, istituzione sono subordinati al «valore» dell’efficacia bellica -la situazione negli Stati autocratici o semidittatoriali è ancora più drammatica, in modo particolare e tragico per le minoranze nazionali, considerate in blocco inaffidabili e pericolose.

Il ruolo e il peso dei militari nelle decisioni politiche si accompagna alla creazione di un clima plumbeo nell'intera vita sociale e culturale. L'amor di patria si presenta spesso con caratteristiche del sacrificio convinto e accettato delle proprie e altrui libertà.

Siamo di fronte, come è stato ripetuto più volte e come è orma quasi diventato un luogo comune che non suscita particolare emozione, alla prima guerra “totale”, che anticipa, prefigura e apre la strada alle violenze più drammatiche dell'intero XX secolo.

È l’intreccio della produzione industriale con la società di massa a generare un nuovo tipo di guerra, anche se la guerra totale non è mai letteralmente totale. È «totalizzante» nel senso che, quanto più si prolunga, tanto più cresce l'ammontare delle risorse umane e materiali inesorabilmente inghiottite nel suo vortice.

Quando la guerra del 1914 non riuscì a produrre rapidamente un risultato, quando diventò una forma di guerra d'assedio tra potenze industriali i cui domini si estendevano da un capo all'altro del pianeta, questa si trasformò in un altro tipo di guerra, più grande, più letale e più corrosiva di qualsiasi conflitto precedente. È a questa nuova tipologia di guerra che si applica propriamente l’etichetta di «guerra totale».

Il primo anno di guerra si dimostra il più costoso, in termini di vite umane e di battaglie sanguinose, perché entrambi gli schieramenti sono ancora convinti della possibilità di vincere rapidamente il conflitto.

Le regole di guerra, che pure in passato non avevano certo impedito spargimento di sangue e inutili carneficine, sembrano cambiate per sempre.

Il fatto che circa la metà degli uomini tra i diciotto e i quarantanove anni fosse coinvolta nella guerra e che la mobilitazione raggiungesse l'80 per cento di quella fascia l'età - il cuore pulsante e produttivo di ogni nazione - spiega adeguatamente il sentimento di novità - speranza prima e paura dopo - che accompagna il conflitto.

La percentuale dei morti, al termine, fu ancora più impressionante. Più di un serbo su tre che aveva indossato l'uniforme venne ucciso, e per bulgari, rumeni e turchi la percentuale fu di uno su quattro, per tedeschi e francesi di uno su sei e per gli italiani e per gli inglesi di uno su otto.

L'ingresso in questo che si sarebbe dimostrato un massacro collettivo fu accompagnato all'inizio da una mobilitazione in gran parte spontanea ed entusiasta. La volontà bellica degli alti comandi e di non pochi politici fu rafforzata dalla spinta dal basso che ebbe la partecipazione alla guerra, l'entusiasmo patriottico per entrarci, il disprezzo e l'oltraggio per chiunque mostrasse qualche ragionevole dubbio o auspicasse la pace o la neutralità.

Il processo di demonizzazione del nemico, che costituisce uno degli aspetti salienti della guerra mondiale, rende particolarmente virulento il concreto scatenamento di quell' educazione all'odio che i diversi nazionalismi stavano diffondendo da anni in ogni paese.

È la guerra che crea le condizioni perché un sentimento come l’odio nazionale, etnico e razziale - più o meno presente ad ogni latitudine - possa trasformarsi in massacri e crimini di guerra e sia capace di innalzare oltre misura il livello di tolleranza alla violenza delle popolazioni coinvolte.

Nel contesto del conflitto ogni gruppo nazionale o etnico si sente - ed è realmente, visto che la guerra coinvolge e sconvolge tutti - vittima, ed è incapace di guardare alla realtà altrimenti che con il filtro del nazionalismo, del proprio interesse collettivo o della propria paura.

 

Bibliografia:

Marcello Flores – Il genocidio degli Armeni – Società Editrice il Mulino

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La Grande Guerra, “immenso impero regno della morte”

30 Octobre 2024 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #I guerra mondiale

Le ricorrenze, quando non sono occasioni vuote o retoriche, possono servire da stimolo al ricordo e alla riflessione.

Costretti a morire per quella che papa Benedetto XV nel 1917 aveva definito "Un'inutile strage"

 

Ad centodieci anni dall'inizio della Prima guerra mondiale, l’orrore racchiuso nei numeri a cinque zeri, riguardanti le vittime i cui nomi restano, in ogni piccola frazione, incisi sui gelidi monumenti ai caduti, sembra dissolversi in una dimensione della memoria dai contorni sfuocati; come se quella tragedia in bianco e nero appartenesse alla storia di un altro pianeta, nonostante che abbia investito violentemente il passato di ogni famiglia e comunità, segnando l’esistenza di milioni di individui risucchiati dentro quello spazio estremo che nel 1917 un caporale dei bersaglieri di Asti definì «immenso impero, regno della morte», venendo condannato a due mesi di carcere per lettera denigratoria.

La Grande Guerra, “immenso impero regno della morte”
La Grande Guerra, “immenso impero regno della morte”
La Grande Guerra, “immenso impero regno della morte”
La Grande Guerra, “immenso impero regno della morte”
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smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale

30 Octobre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #I guerra mondiale

«Ogni due o tre generazioni, quando la memoria si indebolisce e gli ultimi testimoni dei massacri precedenti scompaiono, la ragione si offusca e degli uomini ricominciano a diffondere il male». (Olivier Guez)

Il 4 novembre 1918, in Italia finiva la prima guerra mondiale.

A “Vittorio Veneto” si svolse l'ultimo scontro armato sul nostro fronte, tra Italia e impero austro-ungarico, con la vittoria dell'esercito italiano.

La prima guerra mondiale è conosciuta anche con il termine di “Grande Guerra” perché così apparve alle popolazioni che vi si trovarono coinvolte. Fu una guerra “Grande” non solo per estensione dei fronti e per numero degli stati coinvolti: mai prima c'erano stati tanti soldati in trincea, tante armi in dotazioni agli eserciti, tante industrie impegnate a sostenere lo sforzo bellico.

Quella carneficina insanguinò l’Europa, un’Europa che, dalla sua fondazione negli anni Cinquanta, ci ha consentito di vivere anni di pace; un’unità europea che ora è minacciata dal rinascere dei nazionalismi, nazionalismi che furono una delle cause della Grande Guerra.

Benché avesse fatto parte della Triplice Alleanza, con la Germania e l’Austria-Ungheria fino allo scoppio del conflitto e fosse entrata in guerra contro i suoi ex alleati, l’Italia fu tra i vincitori della Prima Guerra mondiale.

Per avere un’idea della dimensione di quel conflitto che stravolse il mondo dal 1914 al 1918, caratterizzato da una violenza senza precedenti, si devono citare dei numeri: i numeri non hanno un’anima, ma quelli della guerra contengono tutto il dolore degli uomini.

smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale
smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale
smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale
smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale
smitizzare il mito della Prima Guerra Mondiale

Le cifre sono implacabili: complessivamente 9,7 milioni di uomini trovarono la morte, circa due milioni di tedeschi, un milione e ottocento mila  russi, un milione e quattrocentomila francesi, un milione e centomila austroungarici, 885.000 britannici, 650.000 italiani e 116.000 americani e tanti di altri stati belligeranti.

20 milioni furono i feriti (12 milioni per i paesi dell’Intesa e 8 milioni per quelli della Triplice Alleanza).

L’Italia ebbe un milione di feriti, tra cui 500.000 mutilati, 74.620 storpi, 21.200 rimasti senza un occhio, 1.940 senza occhi, 120 senza mani, 3260 muti, 6.760 sordi, invalidi la cui vita fu definitivamente spezzata.

I civili che persero la vita raggiunsero la considerevole cifra di 8,9 milioni.

Dal 1915, a causa di ogni sorta di penuria, la vita diventò difficile in Europa.

In tutte le nazioni coinvolte nel conflitto, le donne, incoraggiate dalla propaganda ufficiale, sostituirono gli uomini, partiti per il fronte, nelle loro occupazioni professionali d’anteguerra.

La durata del lavoro aumentò, le condizioni igieniche si degradarono, i bisogni per il riscaldamento diventarono insoddisfacenti e le epidemie aumentarono di intensità.

La tubercolosi, malattia legata alla degradazione delle condizioni di vita, ancora virulenta all’inizio del XX secolo, guadagnò terreno in tutta Europa.

Le malattie veneree aumentarono anch’esse di intensità a causa delle numerose truppe sui territori dei paesi belligeranti, creando preoccupazioni sull’avvenire delle future generazioni.

Nel 1918 scoppiò una gigantesca epidemia di influenza spagnola che agendo su organismi indeboliti, fece circa 20 milioni di morti nel mondo.

350.000 furono gli italiani morti di spagnola, 500.000 se si considerano le complicazioni legate all’influenza.

Alla fine delle ostilità si contarono circa 7,5 milioni di soldati prigionieri e dispersi.

La Prima guerra mondiale generò un fenomeno inedito nella storia dei conflitti: 4,2 milioni di vedove. Il numero degli orfani si aggirò sugli 8 milioni.

La fine della guerra vide una pace precaria e un’Europa destabilizzata: il carattere radicale dei trattati conclusi con gli imperi centrali, in piena disintegrazione, generò dei sentimenti di rancore e di rivincita che faranno da substrato ai movimenti estremistici di sinistra e di destra.

La carta dell’Europa venne profondamente ridisegnata per la creazione di nuovi paesi, come la Polonia, la Cecoslovacchia, il regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, nocciolo della futura Jugoslavia.

I ritagli territoriali produssero grandissimi spostamenti di popolazioni e un numero considerevole di rifugiati.

Le perdite in vite umane durante la guerra produssero anche un deficit di natalità.

Le economie dei paesi belligeranti uscirono devastate dalla guerra. L’inflazione subì un’impennata catastrofica.

L’Italia, firmataria dei trattati con gli imperi centrali vinti, rimase delusa dei compensi territoriali ottenuti. Gabriele D'Annunzio coniò il termine “vittoria mutilata”, definizione che diventò un vero e proprio mito politico. All’Italia resterà un sentimento di amarezza e di frustrazione che in parte sarà la causa dell’ascesa del fascismo di Mussolini.

Appena conclusa la guerra, prese il via una sorta di “frenesia commemorativa” fatta di monumenti ai caduti, grandi sacrari militari, fino alla trasformazione del Vittoriano in monumento al Milite Ignoto. In un primo momento la necessità dell’elaborazione del lutto, anche collettiva, da parte dei famigliari e degli amici delle vittime ha avuto un ruolo importante, e lapidi e monumenti ai caduti hanno svolto anche questa funzione. Ma subito dopo, e in particolare dopo la presa del potere da parte del fascismo, è stata attuata una vera e propria “politica della memoria” per costruire una sorta di religione della patria fondata sul “sacrificio eroico” dei soldati.

A partire dal 1928, poi, il regime iniziò la progettazione e la costruzione di grandi monumenti e sacrari nazionali. Il sacrario militare di Redipuglia è l’emblema di questo uso politico della morte e della memoria: 22 giganteschi gradoni di marmo bianco, che contengono le spoglie di oltre 100mila soldati, su ciascuno dei quali è scolpita ossessivamente la parola «Presente», come nel rito dell’appello durante i funerali o le commemorazioni dei cosiddetti “martiri fascisti”.

sacrario di Redipuglia

sacrario di Redipuglia

Demistificare la narrazione apologetica e celebrativa della Prima guerra mondiale significa porre le basi per creare una più solida coscienza critica non solo del perché fu orrore quella guerra, ma di come lo sono state anche altre guerre.

Bibliografia:

AA. VV.- La guerre des affiches - Editions Prisma Paris 2018

Aldo Cazzullo - La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie – Mondadori 2017

Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella - La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla I guerra mondiale - Ed. Dissensi, Viareggio 2015

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Anni da Apocalisse

11 Mars 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #I guerra mondiale

Nella cittadina siriana di Kafr Zita la nuvola è arrivata all'improvviso, subito dopo l'esplosione di alcune granate. Silenziosa, invisibile, soltanto l'odore acre ne ha tradito la presenza. A quel punto però era troppo tardi per scappare: almeno due persone sono morte e altre duecento hanno dovuto farsi curare per i danni ai polmoni. In quel venerdì di aprile l'aria è diventata veleno: l'effetto di una singola bomba riempita di cloro, sganciata tra le case, che ha scatenato un'onda di terrore. Nell'aprile 1917 furono 150 tonnellate di cloro affidate al vento belga di Ypres a segnare la nuova frontiera della capacità omicida: l'arma chimica. E come se l'eco dello stesso urlo disperato avesse continuato a risuonare lungo tutto un secolo: «Gas! Gas!». «Improvvisamente il grido terrificante "Gas!" percorse le fila», ha scritto il soldato britannico Gladen nel diario della primavera 1917. «Il nemico stava cannoneggiando con granate chimiche che uggiolavano in alto per poi infrangersi sul terreno con il loro caratteristico tonfo soffocato. Un odore disgustoso incominciò ad arrivare alle narici. La paura del gas era la più grande delle paure».

Non è l'unica che la prima guerra mondiale ci ha lasciato in eredità. È stato anche il primo conflitto dell'era industriale, con una gara tra scienza, tecnologia e aziende per migliorare senza sosta qualità e quantità degli strumenti di morte: aerei, carri armati, sottomarini, corazzate ma soprattutto cannoni e mitragliatrici sempre più letali.

Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse
Anni da Apocalisse

La rivoluzione è proprio nella velocità degli aggiornamenti e nel volume della produzione. Nel 1915 si usano su tutti i fronti solo 3.600 tonnellate di sostanze chimiche belliche, quasi sempre composti derivati del cloro a bassa tossicità; l'anno dopo diventano 15 mila con una predominanza di testate all'arsenico, molto più aggressive; nel 1917 le tonnellate sono 35 mila e negli arsenali entra l'iprite, capace di uccidere attraverso la pelle, e prima che le ostilità cessino le forniture salgono al record di 59 mila tonnellate. Quando sono cominciati i combattimenti, gli aeroplani erano macchine volanti per temerari: trabiccoli di legno e tela, scarsamente affidabili e con prestazioni modeste.

Anni da Apocalisse

I bombardamenti dal cielo li avevamo inventati noi italiani, durante lo sbarco in Libia del 1911: quattro granate a mano da due chili ciascuna, tirate contro i turchi dal tenente Giulio Gavotti. Nel 1918 invece tut­te le potenze avevano squadriglie di plurimotori come il Gotha o il Caproni in grado di sganciare più di una tonnellata di ordigni a 500 chilometri di distanza. La linea del fronte si era allargata a dismisura, trasformando le città in bersagli: da Parigi a Milano, da Liegi a Londra, duramente colpita per mesi con centinaia di vittime civili. Non esistono più zone franche. Con un'antici­pazione del futuro, piovono bombe su metropoli lontanissime dalle trincee, persino su Napoli, centrata da un dirigibile Zeppelin germanico.

Anni da Apocalisse

Con i progressi della meccanica tutto può trasformarsi in campo di battaglia, anche la profondità del mare. I sommergibili, fino ad allora, erano stati vascelli dalle incerte prestazioni: fantasie da Jules Verne, buone più per i feuilleton che per combattere. I cantieri del Kaiser li rendono mezzi micidiali, affidandoli il compito di stroncare i rifornimenti diretti in Gran Bretagna: l'assedio che non era riuscito a Napoleone viene tentato colpendo senza emergere. Con risultati clamorosi: solo negli ultimi due anni di ostilità i 345 U-Boote in servizio colarono a picco 9,5 milioni di tonnellate di naviglio alleato. Tra le prede, la più nefasta rimane il transatlantico americano Lusitania, il cui affondamento provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti.

 

Anni da Apocalisse Anni da Apocalisse

La minaccia proveniente dagli abissi - oltre ai sommergibili, le mine ma anche i siluri dei motoscafi d'assalto - ha cambiato la natura degli scontri marini. Nel 1915 la poderosa flotta anglo britannica spedita davanti a Gallipoli perse tre corazzate senza nemmeno vedere una nave nemica. L'orgoglio della marina austro-ungarica rimase intrappolato nei porti adriatici con i piccoli Mas. italiani pronti ad aggredirla come quello di Luigi Rizzo che affondò prima la Wien e poi la Szent Istvàn. Le colossali navi da battaglia, mostri d'acciaio irti di batterie di grosso calibro, persero il ruolo di dominatori dei mari e furono costrette a rimanere sulla difensiva.

D'altronde con nuovi strumenti ed esplosivi avanzati si arrivò a stravolgere anche le profondità della terra, decapitando le montagne: sfruttando gli antenati dei martelli pneumatici, italiani e austriaci scavarono nella roccia fino a posizionare mine gigantesche sotto i capisaldi nemici costruiti sulle vette. Lo scoppio era sconvolgente: massi enormi venivano scagliati in aria, le fiamme si infilavano nelle reti di gallerie, tutto il paesaggio veniva sconvolto con voragini larghe cinquanta metri. «L'intero massiccio sembrò un mare di fiamme, dal quale emergevano vampe fino a trenta metri d’altezza», scrisse il generale Moritz Brunner descrivendo la detonazione sul Pasubio, chiamata "la montagna dei diecimila morti".

Alcune innovazioni restarono d'importanza poco più che psicologica, finché non si riuscì a sviluppare le tattiche per renderle determinanti. La forza dei primi carri armati era tutta nell'immagine di macchine demoniache: parallelepipedi di metallo rumorosi e lenti (la velocità era inferiore ai quattro chilometri l'ora), da cui spuntavano cannoni e mitragliatrici, che grazie ai cingoli superavano qualunque ostacolo. Lunghi poco meno di dieci metri, pesanti più di 27 tonnellate, stritolavano i reticolati e varcavano le trincee. La loro apparizione il 15 settembre 1915 nella Somme fu uno choc, sessanta Mark 1 britannici che travolgevano ogni cosa: pareva che nulla potesse fermarli. Ma lo spavento è durato poco: i bestioni di metallo andavano in panne facilmente e avevano troppi punti deboli. Solo nell’estate 1918 inglesi e francesi cominciarono a inscenare offensive coordinate di carri e aeroplani, creando il binomio che ha poi dominato i campi di battaglia.

Anni da Apocalisse Anni da Apocalisse

I caccia smisero di duellare tra loro, come nelle tenzoni tra nobili del medioevo: la leggen­da alata delle sfide tra biplani, come il mito delle ottanta vittorie del Barone Rosso Manfred von Richthofen e l'epopea nazionale dci Cavallino Rampante di Francesco Baracca, fu sostituita da un impiego di massa degli stormi, con intere formazioni che agivano compatte. Spiega il celebre storico militare Basil Liddell Hart: «In tal modo gli aerei divennero la cavalleria dell'aria, e la somiglianza fu accentuata dall'ennesimo tipo di azioni adottato con grande efficacia nelle ultime fasi della guerra: l'attacco contro truppe di terra. Fintantoché gli eserciti rivali erano al riparo delle trincee, l’attacco aereo aveva scarse possibilità di incidere sulla situazione. Ma quando nel marzo del 1918 il fronte britannico fu travolto, tutti i gruppi da caccia disponibili furono concentrati per colpire il nemico in avanzata».

Eppure tutte queste invenzioni e questa tecnologia hanno dato un contributo assolutamente secondario al massacro della Grande Guerra, che ha provocato otto milioni di morti e ventitré milioni di feriti. Aerei sommergibili, carri armati sono stati carnefici minori. Persino le bombe chimiche hanno avuto bassa letalità: considerando gli eserciti francese, britannico, tedesco e americano gli vengono attribuiti circa 20 mila caduti e meno di mezzo milione di feriti, ossia il 3,4 percento delle vittime.

La strage è figlia di armi più semplici; mitragliatrici e cannoni, però costantemente perfezionate e prodotte in stock mai visti prima. È grazie a loro che il fronte viene letteralmente inondato di pallottole d'ogni calibro. Questo volume di fuoco stravolge qualunque tradizione militare, annienta i tradizionali schieramenti, rende suicida l'azione della cavalleria e finisce per obbligare le armate a rintanarsi nelle trincee.

Anni da Apocalisse
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Na­scono le mimetizzazioni, gli ufficiali nascondono gradi e simboli: un'ideale del guerriero scom­pare dopo millenni di retorica bellica. Come ha raccontato Sandro Pertini, tenente decorato per azioni eroiche e poi ferito dai gas: «Ricordo quei massacri. Per prendere una collina, mandavano all'assalto i battaglioni inquadrati, ufficiali in testa con la sciabola sguainata. La sciabola brilla­va alla luce del sole e quegli ufficiali diventavano sagome per un tragico tiro al bersaglio. Ma in luogo di adottare una più intelligente tattica di assalto, fu deciso di brunire le sciabole». Ogni offensiva è un'ecatombe: 600 mila tra morti e feriti a Verdun, 280 mila solo nell'undicesima delle battaglie dell'Isonzo. «La raffica della mitragliatrice è l'unica che non risparmia letteralmente nessuno», sentenziò Marcel Bloch. In Italia nel 1915 se ne producevano 600 l'anno, al momen­to di Vittorio Veneto il ritmo delle fabbriche era arrivato a quasi 20 mila. Ognuna era in grado di sparare tra i 400 e i 600 proiettili al minuto.

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Ancora peggio hanno fatto i cannoni, diventati a "tiro rapido". In un singolo attacco del luglio 1916 gli inglesi scaricano sui tedeschi un milione e mezzo di granate: una pioggia ininterrotta di schegge, a cui viene attribuito il 70-80 per cento dei feriti e una proporzione appena inferiore di caduti. Negli ultimi mesi di guerra si confrontano batterie sterminate di obici: in ogni offensiva vengono schierati dagli alleati tra i 5 e gli 8 mila pezzi. Il cannone da 75 francese, forse il migliore costruito nel conflitto, sparava otto colpi al minuto: potete immaginare che tempesta di tritolo e metallo arrivava sulle trincee nemiche. Qualcosa di infernale. Il tiro di sbarramento faceva impazzire. Gabriel Chevalier ne La Paura ricorda: «Gli uomini non furono più altro che prede, animali senza dignità, il cui corpo si muoveva inseguendo l'istinto. Ho visto i miei compagni, pallidi e con gli occhi folli, spingersi e ammucchiarsi per non essere colpiti da soli, o, scossi come marionette dai soprassalti della paura, strisciare al suolo, nascondendosi il viso».

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4 Novembre 2018

2 Novembre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #I guerra mondiale

100° anniversario di Vittorio Veneto

Giorno dell'Unità d'Italia e Festa delle Forze Armate  

Il 4 novembre del 1918, il giorno della Vittoria dell’Italia sull'Austria nella Prima guerra mondiale, simbolicamente si completò il processo dell'unificazione italiana. Un processo lungo e difficile, che aveva avuto i suoi albori con l'età napoleonica e si era sviluppato attraverso cospirazioni, movimenti politici, moti rivoluzionari e guerre. Dagli otto stati pre-unitari nasceva una nazione indipendente. Dai moti del 1820-21 a quelli del 1831, dalle insurrezioni del 1848 alla campagna dello stesso anno ed a quella dell'anno successivo, poi la II Guerra d'Indipendenza, i plebisciti, la spedizione dei Mille, l'Esercito Meridionale, l'intervento nelle Marche e nell'Umbria fino alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. E poi i successivi tasselli per completare l'unità, con la guerra del 1866 e la presa di Roma. La Prima guerra mondiale diventa quindi la tappa conclusiva dell’unità dell’Italia. E per questo il 4 novembre è stato scelto come giorno in cui si celebrano le Forze armate e appunto l’Unità della nazione. I numeri della Prima guerra mondiale furono questi: oltre 5 milioni di mobilitati, di cui oltre 4 milioni assegnati all'esercito, 680.000 caduti, 270.000 mutilati, un milione di feriti, 600.000 prigionieri, 64.000 dei quali morti per stenti in mano nemica. Nato come "festa della Vittoria", con il tempo il 4 Novembre è diventato "Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate" ».

100° anniversario di Vittorio Veneto

 “Vittorio Veneto” è la località nei cui pressi si svolse l'ultimo scontro armato tra Italia e impero austro-ungarico durante la prima guerra mondiale, con la vittoria dell'esercito italiano e segnò la fine della guerra sul nostro fronte.

Nel 1914 l'Europa appariva ormai come una polveriera sul punto di esplodere, ma l'opinione pubblica europea sembrava del tutto inconsapevole del pericolo imminente.

1914 luglio SarajevoSarebbe bastata una piccola scintilla - il 28 giugno del 1914, l'assassinio a Sarajevo in Serbia dell'erede al trono degli Asburgo, l'arciduca Francesco Ferdinando, e di sua moglie - per innescare il grande incendio della prima guerra mondiale.

L'Europa nel 1914 risultava divisa in due schieramenti contrapposti che facevano capo ad altrettante alleanze militari: la Triplice Intesa e la Triplice Alleanza. La prima vedeva l'adesione di Francia, Inghilterra e Russia; la seconda quella di Germania, Austria e Italia. Le aree di maggior tensione nello scenario europeo erano: l'Alsazia-Lorena tra Francia e Germania, il Trentino e la Venezia-Giulia tra Italia e Austria. Ma la vera zona calda erano i Balcani, verso i quali si concentravano le mire espansionistiche delle grandi nazioni.

Le dichiarazioni di guerra: Austria contro Serbia (28 luglio 1914), Germania contro Russia (1° agosto 1914), Germania contro Francia (3 agosto 1914), Gran Bretagna contro Germania (4 agosto 1914), Austria contro Russia (6 agosto 1914), Francia contro Austria (11 agosto 1914), Gran Bretagna contro Austria (12 agosto 1914).

Dopo alcuni mesi dall'inizio della guerra il conflitto si estende a buona parte dell'Europa, coinvolgendo anche paesi extra-europei come il Giappone. A scendere in guerra a fianco degli Imperi centrali furono Impero ottomano e Bulgaria, mentre con l'Intesa si schierarono Grecia, Romania e, nel 1915, l'Italia.

Quei fatidici quindici giorni dell'estate del 1914, che segnarono l'avvio e il dilagare delle ostilità, sarebbero rimasti impressi nella memoria degli europei.

Il 1914 rimane una data che marca profondamente la storia del mondo ed ecco perché il primo conflitto mondiale viene correntemente definito la Grande Guerra: iniziava in quel momento un processo destinato a cambiare il destino non solo delle popolazioni del vecchio continente, ma anche dei popoli colonizzati nel resto del pianeta.

 

la "Grande" Guerra

Nel novembre di 100 anni fa finiva la prima guerra mondiale. Nel mondo niente era più come prima della guerra. All’est la rivoluzione bolscevica aveva trionfato, la Germania era in ginocchio, l’Austria-Ungheria era scomparsa, nasceva una nuova Europa con nuovi paesi: gli Stati baltici, la Polonia, la Cecoslovacchia; a sud l’impero ottomano era disintegrato, ad ovest la Francia aveva ripreso l’Alsazia e la Lorena, passavano all’Italia il Trentino-Alto Adige e Trieste.

Più di 9 milioni di uomini avevano perso la vita sui campi di battaglia.

La guerra in Europa, iniziata nell’estate 1914, è stata la prima "guerra totale" che aveva opposto diverse nazioni, coinvolgendo le forze economiche.

   artiglieria-tedesca-I-guerra-mondiale.jpg  proiettile-grande-Berta.jpg

Una guerra totale è una guerra dove la distinzione tra militari e civili tende a ridursi e dove i civili ci vanno di mezzo come i soldati. Certo le atrocità commesse dalle truppe tedesche in Belgio e nel nord della Francia nell’estate del 1914 o ancora i bombardamenti di Reims sono diverse da quelle di Hiroshima e della distruzione di Desdra, ma la differenza tra le due guerre mondiali è una differenza di scala, dovuto ai limiti della tecnologia. Se i tedeschi avessero disposto di più “Grande Bertha”, i Parigini avrebbero sofferto di più. D’altro canto il genocidio degli Armeni preannuncia in un certo senso quello degli Ebrei.

Una novità della prima guerra mondiale é la nozione del "fronte". Nel XIX secolo le guerre erano fatte da armate in movimento. La guerra, 1914-1918, all’inizio era come quelle dell’800, con delle armate mobili che si cercano, ma nel giro di qualche settimana, il fronte si stabilizza su centinaia di chilometri.

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Si ha dapprima la trincea, che è la conseguenza di questa guerra di "fronte". Poi entra in gioco l’artiglieria: la novità sta nell'uso massiccio dell'artiglieria.

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Nessuna guerra nella storia aveva avuto un tale impiego esagerato di artiglieria: nella battaglia di Verdun (su un fronte di 17 Km di lunghezza e 3 di laghezza) è caduto un obice di grosso calibro (105 mmm o più) su ciascun metro quadrato. Per trasportare un così ingente quantitativo di munizioni erano stati necessari 872 treni e 26.000 vagoni. L’artiglieria distrugge tutto e stravolge completamente  il paesaggio.

Alcune innovazioni fanno di questa guerra la prima guerra industriale: le mitragliatrici, i gas, i lanciafiamme, ma anche i carri armati, i sottomarini e gli aeroplani, con i quali si entra veramente nel XX secolo.

 

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DIRIGIBILE-TEDESCO-I-guerra-mondiale.jpg sottomarino-francese--I-guerra-mondiale.jpg

La morte in massa non si era mai vista prima: i morti raggiungeranno la cifra di 9.400.000, di cui 1.397.000 in Francia (pari a una media di 829 morti al giorno nei 1560 giorni di guerra), a cui si devono aggiungere altrettanti feriti e prigionieri, la maggior parte catturati nel 1914 e a Verdun). In Italia i morti furono 578.000 (mediamente 460 morti al giorno in 1258 giorni di guerra).

effetti-gas-I-guerra-mondiale.jpgCon la prima guerra mondiale si entra nell’era della violenza industriale, di una violenza cieca. La guerra del 1914-1918 è una guerra dove è raro che si uccida guardandosi negli occhi. La “pulizia delle trincee” sicuramente é esistita, ma resta marginale in quanto l’arrivo dei soldati in una trincea nemica è preceduto da una tale preparazione dell’artiglieria che gli uomini, di fatto, sono già morti o non sono in grado di opporre resistenza.

Nel 1918 il mondo non assomiglia più a quello del 1914: la principale conseguenza della Grande Guerra è lo spostamento del centro di gravità dell’economia mondiale dall’Europa verso gli Stati Uniti d’America. Nel 1914 l’Europa era il banchiere del mondo; nel 1918 non più. Per finanziare la guerra i paesi europei si erano indebitati: ormai Wall Street supera la City di Londra o la borsa di Parigi.

Gli Stati Uniti d’America erano entrati in guerra contro la Germania nell’aprile del 1917, al fianco dell’Intesa: per questo intervento fu ristabilita la coscrizione obbligatoria che era stata abolita dopo la guerra di secessione (1861-1865) . I soldati americani arrivarono in massa sul continente europeo: 300.000 nel marzo 1918, un milione nel mese di luglio, il doppio alla vigilia dell’armistizio. 114.000 caddero sui campi di battaglia.

Oltre all’apporto dei militari statunitensi alla vittoria dell’Intesa, non va dimenticato l’aiuto americano nel  campo economico: durante la guerra, gli alleati ricevettero materie prime, alimenti, macchine utensili, materiale ferroviario, benzina.

(Liberamente tratto da un’intervista al prof. Antoine Prost, insegnante alla Sorbona di Parigi, esperto in Storia dell’Educazione e di Storia sociale)

 

In Italia
1917 ritirata CaporettoLa guerra era terminata. Dopo la disfatta di Caporetto, nell'ottobre del 1917 (40 mila morti, 600 mila fra prigionieri e sbandati), sui socialisti si riversarono gli strali della borghesia interventista. Un rigurgito di nazionalismo si diffuse nel Paese individuando nel "disfattismo rosso" la causa del disastro. In realtà la disfatta di Caporetto non fu determinata dall'azione dei socialisti, ma dalla cattiva situazione strategica dell'esercito italiano e dagli errori del comando d'armata. Solo sul Piave si potè fermare l'avanzata di tedeschi e austriaci. Sì, la guerra era terminata, ma il prezzo era stato alto. Erano morti in battaglia 600.000 italiani, migliaia e migliaia i feriti. Vi erano state 870.000 denunce all'autorità giudiziaria militare,
470.000 persone non avevano risposto alla chiamata, 400.000 denunciati per diserzione, 100.000 le sentenze del Tribunale militare, 4.000 le sentenze di condanna a morte delle quali 750 eseguite, 141 le esecuzioni sommarie. Per la prima volta gli eserciti avevano usato armi chimiche.

Eppure in mezzo a tanti dolori, altri si erano arricchiti. Bisognava fornire l'esercito di cannoni, vestire e calzare milioni di persone. Tutte le industrie lavorarono a pieno ritmo: la produzione di automobili che nel 1914 era di 9.200 unità all'anno, nel 1920 raggiunse le 20.000 unità. Il consumo di energia elettrica raddoppiò cosÌ come la produzione nell'industria siderurgica. La Fiat aumentò il proprio capitale: dai 17 milioni del 1914 ai 200 del 1919. L'Ilva, l'Ansaldo, le grandi banche - Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma, Banco di sconto - dettavano legge allo Stato.

I contadini, sbattuti nelle trincee, si erano comportati bene e avevano fatto il loro dovere con la stessa rassegnata determinazione con cui attendevano alla loro quotidiana fatica.

Trieste 4 novembre 1918

In Brianza
In tutta la Brianza si potevano contare 5000 caduti.

A Lissone
Anche Lissone aveva fatto il proprio dovere e 167 erano i morti della prima guerra mondiale.
 I loro nomi 

caduti lissonesi prima guerra mondiale

Secondo quanto scrive Luzzatto in Storia economica dell'età moderna e contemporanea:

“si fanno oscillare fra i 9 e i 10 milioni i morti in guerra; ai quali, aggiungendo l'aumento della mortalità (valutato in 5 milioni) e la diminuzione della natalità che si fa salire a 20 milioni, si arriva ad una perdita totale della popolazione di circa 35 milioni... Alle perdite umane si aggiungono le perdite non meno gravi di ricchezza per la distruzione quasi totale di intere regioni, per l'affondamento di un numero enorme di navi con tutto il loro carico, per i danni recati ad un grande numero di stabilimenti industriali, ai lavori di bonifica e a molta parte dell'attrezzatura agricola, la fortissima diminuzione del patrimonio zootecnico e soprattutto le enormi spese che gli Stati belligeranti dovettero sostenere per causa, diretta o indiretta, della guerra. Le sole spese di guerra vere e proprie ammontavano, secondo fonti attendibili, ad un totale di 210 miliardi di dollari vecchi, di cui 156 furono spesi dalle potenze dell'Intesa e soli 63 dalle potenze centrali.”

Le conseguenze economiche della guerra si riversarono sui Paesi più deboli economicamente. L'Italia uscì dalla guerra con un debito verso gli Stati Uniti pari a 8.537 milioni di lire-oro e verso l'Inghilterra di 15.405 milioni di lire-oro dopo aver sopportato ingenti spese di guerra.

L'illusione che la guerra avrebbe portato l'equilibrio economico e maggior benessere, restò, appunto, un'illusione. I prezzi aumentarono, l'inflazione, iniziata nei primi mesi del 1919, continuò aggravandosi, vennero alla luce episodi inquietanti sulla guerra. I militari esonerati appartenevano tutti alla borghesia, quei pochi che andavano a militare, erano subito nominati ufficiali. Non a caso si cantava una canzone di anonimo autore, Gorizia, che recitava: "Sian maledetti quei giovani studenti / che hanno studiato e la guerra han voluto".

da "4 strade" di Adriano Todaro  - Comune di Nova Milanese - aprile 1995

 

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

È il mio cuore

il paese più straziato

 

Valloncello dell'Albero Isolato

il 27 agosto 1916

 

Un poeta in trincea

Il poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970) fu tra i volontari che combatterono sul Carso e vissero in prima persona la durezza della guerra di trincea. In questa lirica, intitolata San Martino del Carso, Ungaretti esprime con grande forza comunicativa il sentimento dell'animo umano lacerato di fronte alle terribili distruzioni della guerra.


Luoghi e monumenti dedicati ai caduti lissonesi nella Grande Guerra

Al cimitero

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particolare del monumento  e monumento dedicato all'aviatore Corino

particolare monumento caduti monumento aviatore Corino

 

Nella torre di Palazzo Terragni (ex Casa del fascio) e nella piazza della Bareggia 

 

sacrario della Torre pal Terragni   monumento caduti Bareggia 15 18

 

Nella Chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo:

sulla parete di sinistra della cappella del Crocefisso vi è una lapide in marmo che riporta i nomi dei caduti nelle guerre del Risorgimento, in quelle coloniali e nella Grande Guerra.

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Porta d'ingresso della chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo

Sulle formelle in legno della porta di ingresso sono scolpiti i nomi dei caduti della guerra '15-'18

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Porta d'ingresso della chiesa dell'Oratorio Maschile e altare che si trovava all'interno ora nella chiesa dell'Oratorio femminile

porta chiesa oratorio maschile intera    monumento-ligneo-1955-nella-chiesa-Oratorio 

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Centenario della fine della Grande Guerra

21 Octobre 2018 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #I guerra mondiale

alcune fotografie del concertoalcune fotografie del concerto
alcune fotografie del concerto

alcune fotografie del concerto

4 Novembre 1918 – 4 Novembre 2018

L’ANPI lissonese, per il centenario della fine della Prima Guerra mondiale, ha proposto un concerto multimediale:

“IL VIOLINO DEL SOLDATO” Musica e musicisti raccontano la Grande Guerra (1914-1918)

A cura dell’Accademia Viscontea. Violinista/relatore Maurizio Padovan

Sabato 3 novembre 2018 ore 16.00 BIBLIOTECA CIVICA DI LISSONE Sala Polifunzionale - Piazza IV Novembre

Con il patrocinio e il contributo dell’Amministrazione comunale di Lissone

 

Centenario della fine della Grande Guerra
Centenario della fine della Grande GuerraCentenario della fine della Grande Guerra
Centenario della fine della Grande Guerra

Durante la Prima guerra mondiale la musica era parte integrante della vita militare. Le canzoni accompagnavano le truppe nelle lunghe ore in trincea, nel corso delle marce o durante il riposo nelle seconde linee. I soldati cantavano per sconfiggere la nostalgia degli affetti familiari, per farsi coraggio nelle ore precedenti un assalto o per scordare i patimenti del fronte o della prigionia. Ma non mancarono le canzoni di protesta che denunciavano la drammaticità di una guerra trasformatasi in una gigantesca carneficina in cui migliaia di giovani venivano sacrificati per la conquista di pochi metri di terreno.

Il violino delle due guerre

il violino del maestro Maurizio Padovan durante il concerto

Lo strumento utilizzato nel corso del concerto appartenne a Juzep da' Rous (Giuseppe Galliano,1888-1980), contadino nativo dj Sampeyre (Val Varaita, CN) che partecipò alla Guerra di Libia (1911-12) e successivamente alla Grande Guerra. Durante il primo conflitto fu ferito a un braccio e decorato con la Medaglia di bronzo al valor militare.

Lo strumento fu costruito a Mirecourt (Francia) nei primi decenni dell'Ottocento e acquistato da Juzep da' Rous a Parigi all'inizio del secolo successivo.

Alla scomparsa del suonatore, che fu l'ultimo testimone della tradizione violinistica degli Occitani d'Italia, il violino venne restaurato e dato in uso a Maurizio Padovan, autore delle pubblicazioni editoriali e discografiche dedicate all'antico repertorio del violinista di Sampeyre.

pieghevole con tema del concerto

Centenario della fine della Grande Guerra
monumenti ai caduti a Lissone
monumenti ai caduti a Lissone
monumenti ai caduti a Lissone
monumenti ai caduti a Lissone
monumenti ai caduti a Lissone

monumenti ai caduti a Lissone

Porta d'ingresso della chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Sulle formelle in legno della porta di ingresso sono scolpiti i nomi dei caduti lissonesi della guerra 1915-1918
Porta d'ingresso della chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Sulle formelle in legno della porta di ingresso sono scolpiti i nomi dei caduti lissonesi della guerra 1915-1918Porta d'ingresso della chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Sulle formelle in legno della porta di ingresso sono scolpiti i nomi dei caduti lissonesi della guerra 1915-1918

Porta d'ingresso della chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Sulle formelle in legno della porta di ingresso sono scolpiti i nomi dei caduti lissonesi della guerra 1915-1918

i nomi dei caduti della Prima guerra mondiale sulla parete di sinistra dell'altare della Santa Croce nella  chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Negli anni Venti del Novecento, la Prima Guerra mondiale era chiamata dai contemporanei "guerra europea"
i nomi dei caduti della Prima guerra mondiale sulla parete di sinistra dell'altare della Santa Croce nella  chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Negli anni Venti del Novecento, la Prima Guerra mondiale era chiamata dai contemporanei "guerra europea"

i nomi dei caduti della Prima guerra mondiale sulla parete di sinistra dell'altare della Santa Croce nella chiesa prepositurale SS. Pietro e Paolo. Negli anni Venti del Novecento, la Prima Guerra mondiale era chiamata dai contemporanei "guerra europea"

porta della chiesa dell'Oratorio maschile
porta della chiesa dell'Oratorio maschileporta della chiesa dell'Oratorio maschile

porta della chiesa dell'Oratorio maschile

Nella palestra della Pro Lissone, una targa ricorda gli atleti caduti nella Prima Guerra mondiale

Nella palestra della Pro Lissone, una targa ricorda gli atleti caduti nella Prima Guerra mondiale

monumento all'aviatore Mario Corino, alfiere della Pro Lissone calcio, posto nel "Campo della Memoria" nel cimitero urbano

monumento all'aviatore Mario Corino, alfiere della Pro Lissone calcio, posto nel "Campo della Memoria" nel cimitero urbano

programma delle celebrazioni per il centenario della fine della Grande guerra a Lissone

programma delle celebrazioni per il centenario della fine della Grande guerra a Lissone

programma delle celebrazioni per il centenario della fine della Grande guerra a Lissone

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Caduti lissonesi nella "Grande Guerra"

24 Octobre 2013 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #I guerra mondiale

Caduti lissonesi nella GUERRA 1915-1918

AGOSTONI GUGLIELMO

CASTOLDI GUIDO

FOSSATI FLAVIO

ALIPRANDI PIETRO

CASTOLDI MARIO

FOSSATI GIOVANNI

AROSIO ADOLFO

CAVINA ANTONIO

FUMAGALLI ORESTE

AROSIO AMBROGIO

CERIZZI FELlCE

FUSI ACHILLE

AROSIO ANGELO

CERIZZI GIUSEPPE

GALBIATI GIUSEPPE

AROSIO ANGELO

CHIUSI ANTONIO

GALBIATI ORESTE

AROSIO ANTONIO

COLLA ANGELO

GALIMBERTI ANGELO

AROSIO FERMO

COLOMBO ALFREDO

GAUMBERTI GIOVANNI

AROSIO GAETANO

COLOMBO MARCO

GALIMBERTI LUIGI

AROSIO GIOVANNI

COLOMBO ORESTE

GALIMBERTI PIETRO

AROSIO GIUSEPPE

COLZANI ANGELO

GATTI ALFREDO

AROSIO LUIGI

COLZANI LUIGI

GATTI ANGELO

AROSIO ORESTE

COLZANI MAURO RINALDO

GATTI ANTONIO

AROSIO PAOLO

COMI CARLO

GATTI GIOVANNI

AROSIO RODOLFO

CONFALONIERI DIAMANTE

GATTI PIETRO

AROSIO VITTORIO

CONSONNI FERDINANDO

GATTI RICCARDO

AROSIO VITTORIO

CONSONNI GIOSUE'

GAVAZZI GIUSEPPE

ASEGA ORESTE

CORINO MARIO

GELOSA CARLO

BAIONI GIULlO

DASSI ANGELO

GELOSA GIUSEPPE

BALLABIO MODESTO

DASSI CARLO

GIARDINI ANTONIO

BARZAGHI ANGELO

DASSI RODOLFO

GRANATA GIOVANNI

BEACHI LUIGI

DASSI SIRO

GRENATI GIOVANNI

BERETTA PASQUALE

DE CAPITANI ANGELO

LUCCHINI EMILIO

BORGONOVO STEFANO

DOSSI ERNESTO

MARlANI ALFONSO

BRIVIO GIOVANNI

DOSSI FRANCESCO

MARlANI ANDREA

BUGAm DOMENICO

DUBINI CARLO

MARIANI ANGELO

CASATI AMBROGIO

ERBA LUIGI

MARlANI ANGELO

CASATI ANTONIO SANTO

ERBA UMBERTO

MARlANI A TTIUO

CASATI CARLO

FEDELI PASQUALE

:rvIARIA.~1 CARLO

CASATI CARLO

FERRARIO ANTONIO

MARIANI CARLO

CASATI RODOLFO

FERRARIO CLETO

MARIANI DAVIDE

CASPANI GIUSEPPE

FOSSATI AMBROGIO

MARIANI FERDINANDO

CASPANI MAURO

FOSSATI ANGELO

MARIANI GIOVANNI

CASSAMAGNAGO ALESSANDRO

FOSSATI ANGELO NAPOLEONE

MARIANI GIUSEPPE

MARIANI GIUSEPPE

PEREGO ARCANGELO

SALVIONI GIUSEPPE

MARIANI MARCO

PEREGO GIUSEPPE

SANGALLI VITTORlO

MARIANI JvIARIO

PEREGO UMBERTO

SANTAMBROGIO ENRICO

MARlANI RAINERI

PEZZINI FEDERICO

SANTAMBROGIO GRAZIANO

MARlANI RODOLFO

PIRO LA ARTURO

SPINELLI GIUSEPPE

MARIANI SILVIO

PIROTTA CARLO

STUCCHI ADOLFO

MAURI ANGELO

PORRO AMBROGIO

TAGLlABUE GIOVANNI

MAURI GIUSEPPE

POZZI ACHILLE

TANZI FRANCESCO

MAURI LUIGI

POZZI CESARE

TENTORIO PASQUALE

MENTASTI FRANCESCO

POZZI COSTANTE

TRABATTONI ANGELO

MERONI GIOVANNI

POZZI GASPARE

TRABATTONI LUIGI

MIRACOLI GIUSEPPE

POZZI LUIGI

VERGANI ALESSANDRO

MOGUZZI ANGELO

POZZI LUIGI

VIGNALI MARIO

MONGUZZI ARTURO

RIVOLTA EDOARDO

VILLA BALDASSARRE

MONGUZZI FERDINANDO

RIVOLTA EUGENIO

VILLA EDOARDO

MONGUZZI LEONARDO

RIVOLTA FELICE

VILLA ENRICO

MONGUZZI PAOLO

RIVOLTA LUIGI

VILLA LUIGI

MONTRASIO ALBERTO

RONZONI UMBERTO

VILLA PAOLO

MUSSI AGOSTINO

SALA ANGELO

VILLA VINCENZO

MUSSI MARIO

SALA FRANCESCO

VILLA VITTORIO

ODOLI BERNARDO

SALA GIUSEPPE

ZAPPA DIAMANTE

PANZERI ENRICO

SALA GIUSEPPE CARLO

 

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