ii guerra mondiale
Cronologia: giugno 1940 - giugno 1942
I primi due anni di guerra (giugno 1940-giugno 1942)
Con l'intervento dell'Italia nel conflitto, un elemento appare subito chiaro, sconcertante e, per molti aspetti, mortificante: che, mentre la Germania, per due anni ancora proseguì nei suoi strabilianti successi militari accentuando l'impressione d'invincibilità, l'Italia subì invece fin dall'inizio e quasi ininterrottamente, rovesci altrettanto sensazionali e venne .così ad assumere ben presto, malgrado l’originaria alleanza, il ruolo di un Paese quanto meno "protetto”, praticamente dominato come tutti gli altri dell'Europa continentale, dal padrone nazista.
È questo un dato storico che contribuì a rendere, se altri motivi non vi fossero stati, assurda e impopolare (oltreché sciagurata) una guerra che, nonostante le menzognere parole d’ordine della propaganda ufficiale, non aveva altre. prospettive, se non quella, in caso di vittoria, di una servitù anche più trista delle altre, in quanto voluta e accettata dalla classe dirigente del tempo.
E ciò spiega - credo -, tra l'altro, non solo la crescente opposizione delle masse popolari, ma anche lo scarso impegno “combattentistico" dei richiamati che, pur battendosi con valore individuale (tanto maggiore, perché sempre in condizioni d’impreparazione e d'inferiorità) quando si trattò di difendere, in singoli episodi, l'onore del Paese, non poterono, certo, essere sorretti dallo spirito volontaristico che anima un popolo quando si trova a dover sostenere una guerra giusta e sentita.
E vengo all'arida cronaca.
10 giugno '40. Lo schieramento delle forze italiane al comando del principe di Piemonte sull'arco alpino è formato di 22. divisioni, 3 raggruppamenti alpini, 2 raggruppamenti celeri per circa 350.000 uomini. Armamento mediocre; situazione militare notoriamente infelice, di fronte alle posizioni e le fortificazioni francesi.
18 giugno '40. Incontro Mussolini-Hitler a Monaco: poche notizie ufficiali; si dice sia avvenuto per concordare l'armistizio con la Francia. (I tedeschi hanno raggiunto Parigi il 14).
Voci che Mussolini vuole attaccare i francesi, nonostante la palese inutilità.
22 giugno '40. I tedeschi firmano l'armistizio col governo francese di Pétain.
21-24 giugno '40. Per cinque giorni le forze italiane conducono una assurda offensiva sul fronte occidentale, raggiungendo Mentone, sulla costa, e gli avamposti alpini nella regione Ligure-Piemontese. 39 ufficiali morti, 187 feriti, 592 soldati morti, 5311 feriti, di cui 2125 congelati.
24 giugno '40, sera. A Villa Incisa, a Roma, Badoglio e Hutzinger firmano l'armistizio franco-italiano.
29 giugno '40. A Tripoli, Balbo è abbattuto dalla contraerea. Lo sostituisce Graziani.
Giugno-luglio '40. Fin dalle prime settimane, le forze italiane subiscono rovesci in Cirenaica. Si parla di migliaia di prigionieri, tra cui un generale. Nel Mediterraneo i bollettini annunciano “grandi successi”. Le battaglie navali di Punta Stilo (9 luglio) e Capo Spada (19 luglio) si sono risolte con lievi vantaggi italiani. Si sa di contrasti tra marina e aviazione. Si dice che, in un mese, l'aviazione italiana avrebbe perso 250 apparecchi. Si parla di un attacco tedesco contro l'Inghilterra, la cui attuazione è però rinviata di settimana in settimana.
Agosto '40. Violenti bombardamenti tedeschi sulle città inglesi.
Stasi sui fronti italiani, salvo che per il Mediterraneo.
14 settembre '40. Inizia l'offensiva italiana in Libia, voluta da Mussolini per ragioni di prestigio, contro il parere di Graziani. Ripiegamento inglese; occupazione di Sidi-el-Barrani.
27 settembre '40. Ciano firma a Berlino il “patto tripartito" tra Germania, Italia e Giappone. La stampa non nasconde il disegno di dominazione mondiale che ne è alla base.
4 ottobre '40. Incontro Mussolini-Hitler al Brennero. Scarse notizie ufficiali. Si dice sia stato esaminato l'abbandono del piano tedesco di invasione dell'Inghilterra, La guerra si farà più lunga e dura.
Metà ottobre '40. I tedeschi occupano la Romania. In Italia voci di attacco alla Grecia.
29 ottobre '40. Comincia l'attacco alla Grecia.
Inizi novembre '40. Notizie nere dalla Grecia. Da fonte radio si apprende che già il 5 novembre le nostre forze hanno dovuto ripiegare. Specialmente provati i contingenti alpini.
10 novembre '40. A conferma delle sconfitte subite il gen. Visconti Prasca è sostituito dal gen. Soddu in Albania.
12 novembre '40. Aereo-siluranti inglesi attaccano la flotta alla fonda a Taranto: colpite le corazzate "Littorio" Duilio” e "Cavour”.
Metà novembre '40. Continuano i rovesci in Albania. Mussolini annuncia che "spezzeremo le reni alla Grecia”.
18 novembre '40. Incontro Hitler-Ciano a Salisburgo: si parla di un grave rabbuffo del Führer per l'iniziativa italiana nei Balcani.
24 novembre '40. Farinacci attacca duramente, sul Regime fascista, Badoglio .
Inizio dicembre '40. Prosegue la rovinosa ritirata in Albania. Gli attacchi a Badoglio s'intensificano, anche da parte degli ambienti nel partito. Si dice che Mussolini abbia criticato il capo di S.M. accusandolo di aver approvato l'attacco alla Grecia, pur conoscendo la nostra impreparazione. Il maresciallo si sarebbe ritirato in Piemonte. Conflitti si sarebbero verificati tra ufficiali dell'esercito e fascisti a Torino; Asti e Roma.
Metà dicembre '40. Ripiegamento generale in Albania.
Le direttive ormai ufficiali del partito sono di dare tutta la colpa dei disastri militari a Badoglio e alla casta dei generali. Gli inglesi contrattaccano in Libia costringendo le forze italiane a ripiegare su Bardia. Si parla di migliaia di prigionieri, cinque divisioni fuori combattimento, generali arresisi senza battersi.
Ondate di critiche nell'opinione pubblica. Si parla di reazioni anche nell'ambiente militare e della corte. Mussolini, furibondo, avrebbe espresso l'intendimento di "mettere a posto" tutti: il re e i generali. Risbucano gli squadristi, a dare lezioni agli ascoltatori delle radio nemiche ma solo nelle grandi città e sotto la protezione della polizia. Nei centri minori e nel paesi i fascisti non si fanno vedere.
Fine dicembre '40. Anche Soddu è stato richiamato dall’Albania, sostituito da Cavallero. Ordine di Cavallero alle truppe: "Morire sul posto”.
Inizi gennaio '41. Continua la disfatta in Libia: cadono Bardia e, poi, Tobruk; si parla di oltre centomila prigionieri.
L’opinione pubblica è esterrefatta. Si parla di gravi dissensi nelle alte sfere del regime: Grandi, Bottai, Federzoni, Delcroix contro Farinacci, Pavolini, Sforza. Si dice che Mussolini intenda reagire con estrema energia: contro il re i generali la borghesia, il Vaticano, il popolo stesso che considera tutti "traditori".
7 gennaio '41. Al Consiglio dei ministri Mussolini legge l'elenco dei generali e dei colonnelli sostituiti e, in un comunicato pubblico, si fa appello "alle masse profonde dell'Italia proletaria fascista".
18 gennaio '41. Mussolini decide la mobilitazione di gerarchi, ministri, deputati, membri del Gran Consiglio, federali: tutto lo stato maggiore - e minore - del regime dovrà andare al fronte con l'inizio di febbraio.
22 gennaio '41. Incontro Mussolini-Hitler a Salisburgo.
Via radio si apprende che è stato comunicato l'abbandono definitivo del progetto di sbarco in Inghilterra, nonostante la feroce offensiva aerea compiuta fino a questo momento. Hitler avrebbe anche promesso l'intervento tedesco nei Balcani e in Libia. Mussolini dovrebbe intercedere presso Franco per indurre anche la Spagna a intervenire a fianco dell'asse.
12 febbraio '41. Incontro Mussolini-Franco a Bordighera. Nulla di fatto.
Metà febbraio '41. Rommel arriva in Libia, di dove Graziani è venuto via alla chetichella sostituito da Gariboldi.
1° marzo '41. Ha inizio l'intervento tedesco nei Balcani, con l'occupazione della Bulgaria.
1°-20 marzo '41. Mussolini si trasferisce in Albania per presenziare alla "grande controffensiva”.
Aprile '41. In concomitanza con l'intervento tedesco contro la Jugoslavia e la Grecia, Cavallero attacca dall'Albania e Ambrosio occupa Lubiana, la Dalmazia fino ai confini del Montenegro. Il 13 aprile i tedeschi occupano Belgrado, il 27 Atene. Rispettivamente il 18 e il 24 sono firmati gli armistizi con la Jugoslavia e la Grecia.
Giungono notizie, a fine aprile, delle sopraffazioni che, ovunque, i tedeschi compiono, mortificando i militari italiani e imperversando contro le popolazioni locali. Notizie analoghe giungono dalla Libia, dove l'arroganza tedesca si verifica al livello degli alti comandi.
Inizi maggio '41. Dopo una progressiva ritirata su tutti i fronti dell'Impero le forze italiane in Africa orientale abbandonano la resistenza. Il 19 maggio la resa dell'ultimo presidio comandato dal duca d'Aosta segna la fine dell'Impero.
18 maggio '41. Dallo smembramento della Jugoslavia, è creato il regno di Croazia, cui Vittorio Emanuele destina come sovrano Aimone, duca di Spoleto.
Seconda metà maggio '41. Si ha notizia che il numero due del nazismo, Hess, è fuggito in Inghilterra.
10 giugno '41. Mussolini pronuncia alla Camera un penoso discorso nel quale dà per sicure imminenti vittorie e definisce il suo recente soggiorno. in Albania "un premio per le truppe".
22 giugno '41. Inizia l'aggressione tedesca contro l'URSS.
Fine giugno '41. Mussolini decide (sembra contro la stessa resistenza di Hitler) di mandare subito sul nuovo fronte orientale un contingente italiano, che passa in rassegna a Verona il 26 giugno.
La stampa cattolica, finora dimostratasi distaccata, ravvisa nella nuova offensiva un valore ideologico che la porta a un palese avvicinamento al regime. Riserve e "distinguo" si notano invece sulla stampa fascista di sinistra, perfino. su periodici nati come Critica Fascista e Civiltà Fascista.
Luglio '41. Inizio della rivolta in Montenegro. L'attività partigiana si sviluppa in tutta la regione jugoslavo-greco-albanese, fino alla Venezia Giulia.
Settembre '41. L'avanzata tedesca in URSS si sviluppa fino alla occupazione di Kiev e all'assedio di Leningrado. I reparti italiani raggiungano. Stalino.
Le condizioni alimentari in Italia si aggravano sensibilmente.
Circolano, voci di una "occupazione segreta" di agenti tedeschi insediati nelle principali città. Ufficialmente s'installa nella Penisola un comando tedesco diretta da Kesselring.
Ottobre '41. I tedeschi conquistano Karkov e Odessa. Si accentuano in Italia le manifestazioni di fanatismo di Mussolini: il 4 ottobre decide l'allontanamento dalla Sicilia di tutti i funzionari siciliani; a metà mese si apprende che intende inviare in URSS, nonostante le difficoltà prospettate negli ambienti militari, almeno venti divisioni.
è promossa una inchiesta a carico di Graziani; voci attendibili riferiscano sull'intensificazione della sorveglianza di polizia e dell'attività del Tribunale speciale.
Novembre '41. Dopo che negli ultimi mesi i convogli avviati in Libia subiscono affondamenti con ritmo pauroso, ha inizio l'offensiva inglese che costringe le forze italo-tedesche a profondi ripiegamenti.
8 dicembre '41. A seguito dell'attacco giapponese a Pearl Harbour,
gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Tripartito.
21 dicembre '41. Si ha notizia di una crisi militare in Germania: il capo di S.M. Brautchisch è liquidato. Nella seconda metà di dicembre cominciano seri ripiegamenti tedeschi in URSS.
Gennaio' '42. Rommel tenta in Libia una controffensiva riconquistando Bengasi e Derna. Notizie di gravi contrasti tra il maresciallo tedesco e i generali italiani Gambara e Bastico culminano con il siluramento di questi ultimi.
Le restrizioni alimentari in Italia si aggravano: è introdotto, nei pubblici locali, il "rancio unico".
Febbraio '42. S'inasprisce in Italia la polemica fascista "anti-borghese" e contro il Vaticano, "Giri di vite" sono annunziati o effettuati in tutte le direzioni. Il 26 febbraio è decretata la "mobilitazione civile" di tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni, che non si comprende bene cosa significhi. Con il 1° marzo la razione del pane è ridotta a 150 grammi.
Marzo '42. La situazione interna italiana si fa particolarmente tesa. Si ha notizia di dimostrazioni di donne avanti ai forni a Venezia, Matera, Piombino e numerosi altri centri. Corre voce che Mussolini intende colpire i ceti abbienti e commercianti cui attribuisce le condizioni di disagio del Paese.
Sembra che le autorità di P.S. abbiano. denunciato circa 120 mila esercenti per infrazioni annonarie.
Maggio '42. Ha inizio l'offensiva di Rommel in Marmarica che porta, il 21 giugno, alla riconquista di Tobruk, con la cattura di 25 mila prigionieri inglesi. Anche in URSS i tedeschi sono alla controffensiva.
29 giugno '42. Mussolini parte per la Libia per partecipare all'auspicato ingresso delle truppe italo-tedesche in Alessandria d'Egitto.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
6 giugno 1944: operazione Overlord, nome in codice dello sbarco in Normandia
Il luogo dello sbarco dell’operazione Overlord fu scelto durante la conferenza Trident nel maggio 1943 a Washington: venne preferita la Normandia piuttosto che il Pas-de-Calais, in quanto le divisioni tedesche presenti in questa zona erano più numerose e soprattutto perché non vi erano spiagge e porti che consentissero un rinforzo rapido della testa di ponte.
Alla fine del mese di gennaio 1944, Eisenhower stabilì i mezzi che dovevano essere impiegati nell’operazione: tre divisioni aviotrasportate e cinque divisioni trasportate via mare (due americane e tre inglesi). La zona di sbarco si doveva estendere per circa 60 chilometri, dall’estuario del fiume Orne alla costa orientale del Cotentin. Durante la notte precedente l’operazione anfibia, le divisioni aviotrasportate dovevano coprire tutto il settore di sbarco al fine di proteggerlo ai suoi fianchi.
La scelta della Normandia per l’operazione Overlord consentì di ingannare i tedeschi. Con l’operazione Fortitude, lanciata dagli Alleati, si fece credere ai tedeschi ad uno sbarco nel Pas-de-Calais, bloccando così alcune divisioni tedesche in quest’ultimo settore.
D-DAY Sbarco per la vittoria
La decisione di attaccare i nazisti in Normandia porta la data del 6 giugno 1944. Alle 9.33 del mattino le agenzie americane lanciano il primo flash sullo sbarco. Ma per mettere in ginocchio la Germania il prezzo è altissimo: diecimila morti nelle prime 24 ore.
Articolo di Silvio Bertoldi
«Overlord», il Signore: questo è il nome che americani e inglesi hanno scelto per indicare l'operazione di sbarco sul Continente. «Overlord» comincerà quando verrà il momento del D-Day, il Decision Day, o giorno della decisione. Il D-Day viene il 6 giugno 1944, alle 6.30 del mattino, tra nuvole basse e mare di onde lunghe e scure: 2727 navi mercantili, 700 da guerra, 2500 mezzi da sbarco, 1136 aerei inglesi (tra cui una formazione agli ordini del famigerato generale Harris che distruggerà Dresda senza un perché), 1083 aerei americani. Il fronte corre da Le Havre a Cherbourg in Normandia. Una sorpresa per i tedeschi che aspettavano l'attacco sulla Manica, al Pas de Calais, e non vogliono ammettere di essersi sbagliati. Cinque i punti di sbarco, classificati con nomi di fantasia: «Utah» o «Omaha» di pertinenza degli americani a occidente, «Gold», «Judno» e «Sword» per gli inglesi a oriente. Un giorno intero di battaglia sanguinosissima ed è inutile illudersi di salvare il soldato Ryan: di soldati Ryan ne moriranno circa diecimila nelle prime ventiquattr'ore, il prezzo tremendo (peraltro previsto) pagato per una testa di ponte in Europa dopo quattro anni di guerra. Il colpo decisivo per mettere in ginocchio la Germania e sollevare l'Urss dal sostenere da sola il peso del conflitto. Torna alla memoria la promessa di Churchill nella drammatica notte del 2 agosto 1940, quando tutto sembrava perduto: «Ricordate: non ci fermeremo, non ci stancheremo mai, non cederemo mai; l'intero nostro popolo e l'Impero si sono votati al compito di ripulire l'Europa dalla peste nazista e di salvare il mondo dal nuovo Medioevo... e il mattino verrà».
Quel mattino è venuto. È cominciato poco dopo la mezzanotte del 5 giugno, quando sono partiti 60 incursori con il compito di segnalare le zone di atterraggio ai 72 alianti lanciati su Caen, precedendo le divisioni di paracadutisti dei generali Taylor e Ridgway: gli stessi che l'8 settembre sarebbero dovuti scendere su Roma, se un terrorizzato Badoglio non li avesse scongiurati di soprassedere. Poi è toccato alle due Armate, la prima americana di Bradley e la seconda inglese di Dempsey, entrambe agli ordini di Montgomery, l'eroe partito da El Alamein, che ha giurato di concludere la sua corsa solamente a Berlino. Come sarebbe in effetti avvenuto, se ragioni politiche non avessero costretto Eisenhower a imporgli di lasciare la precedenza ai russi.
Alle 9.33 del mattino del 6 giugno le agenzie di stampa americane avevano lanciato il primo flash con l'annuncio dello sbarco, poi era stato letto il proclama di Eisenhower ai soldati. Il generale non aveva fatto economia di parole ed era ricorso a quello che riteneva il tono epico adatto alla circostanza. ...
A Londra, alla Camera dei Comuni, a mezzogiorno Churchill stava illustrando la presa di Roma, avvenuta due giorni avanti. Un segretario gli passò un biglietto, lui lo lesse e, senza alterare il tono della voce, annunciò che la battaglia per liberare l'Europa dal nazismo era cominciata e con l'aiuto di Dio sarebbe continuata fino alla vittoria. Quella sera stessa le truppe alleate erano saldamente attestate nell'entroterra della Normandia e prendeva il via la lunga cavalcata che le avrebbe condotte all'Elba, dopo che Patton ebbe distrutta a Bastogne l'estrema speranza di Hitler di rovesciare la situazione.
Come fu vissuta l'avventura dalle due parti? Il giorno dello sbarco Rommel, capo dell'armata tedesca stanziata in Normandia, non si trovava al suo comando di La Roche-Guyon. Fidando nell'inclemenza del tempo, che lasciava pensare a tutto tranne alla possibilità di uno sbarco, era partito in automobile per la Germania. Andava a festeggiare il compleanno della moglie e le portava in regalo un paio di scarpe francesi. Lo avvertì Speidel, il suo capo di Stato Maggiore e si precipitò verso Parigi a tappe forzate. Capì subito che per tamponare la falla si dovevano spostare le divisioni del Nord verso la zona di Cherbourg, ma per questo occorreva il consenso di Hitler. Il Führer stava dormendo e l’ordine categorico era di non svegliarlo prima di mezzogiorno. Così seppe dello sbarco con dieci ore di ritardo e anzi non volle credere che si trattasse dello sbarco vero, bensì di una manovra degli Alleati, un diversivo a scopo di disturbo. Negò a Rommel di disporre delle truppe richieste e in tal modo diede al nemico una chance di successo mai immaginata. Qualche tempo prima Rommel aveva detto che, quando fosse cominciata la battaglia di Normandia, quello sarebbe stato «il giorno più lungo». Non azzeccò la previsione. Il 6 giugno non fu il giorno più lungo, al cadere della sera era praticamente terminato, con gli Alleati vittoriosi sulla costa.
Per Eisenhower il problema era diverso, legato soprattutto alle condizioni meteorologiche. Dopo una preparazione durata mesi, aveva deciso di attaccare il 5 giugno, perché in quel giorno si presentavano le condizioni ideali di luna, di marea e di vento che, se lasciate passare, si sarebbero ripetute soltanto il mese successivo. Non si poteva restare tanto tempo in sospeso, dunque o subito o chissà quando. Ma una bufera implacabile cominciò a imperversare sulla Manica e rese impossibile la partenza delle navi. Già da venerdì 2 giugno si erano scatenati gli elementi e fu necessario rinviare. Dopo lunghe ore di attesa spasmodica il meteorologo inglese, colonnello Stagg, la sera del lunedì annunciò che il 6 mattina si sarebbe presentata la possibilità di uno spiraglio di qualche ora. Si trattava di cogliere quella problematica occasione, con il pericolo che tutto cambiasse di nuovo. Eisenhower decise di rischiare. Le truppe erano imbarcate da giorni, non era possibile tenerle ancora «prigioniere» nelle navi. Vi fu un'ulteriore consultazione e poi, sulla fede nelle previsioni di Stagg, l'annuncio: «OK si parte». Era il D-Day, il giorno della decisione.
Stagg, l'oscuro eroe della grande avventura, aveva lavorato senza un attimo di sosta per decifrare le sue carte del tempo e indovinare il momento magico per l'attacco. Così era avvenuto, la schiarita c'era stata. Quando le navi furono partite e i comandi svuotati diventarono silenziosi, Stagg si ritirò nel suo accantonamento, si gettò vestito su una branda e dormì dodici ore filate.
Bibliografia:
supplemento del “Corriere della Sera” - dicembre 1999
La liberazione di Roma, 4 giugno 1944
Due giorni dopo la conquista di Cassino e dell'Abbazia, nel settore meridionale del fronte, il II Corpo americano attaccava la linea «Hitler» presso Formia e in direzione di Fondi. Altrettanto facevano algerini e marocchini sui monti Aurunci, mentre nel settore settentrionale il Corpo britannico e quello polacco combattevano aspramente a Pontecorvo e Piedimonte.
Cinque giorni dopo anche la linea «Hitler» era infranta e le Armate alleate potevano avviarsi verso Roma: l'VIII per la via Casilina e la V per la via Appia. Una Divisione americana si dirigeva lungo la costa verso la testa di ponte di Anzio, dove il VI Corpo angloamericano forte come un'Armata, il 23 maggio aveva iniziato l'offensiva.
L'attacco principale venne sferrato verso i Colli Albani e verso Velletri, occupata qualche giorno dopo, mentre Alexander aveva ordinato di tagliare la ritirata nemica sulla via Casilina puntando in forze su Valmontone. Clark invece preferì insistere in direzione di Roma, e Valmontone fu presa solo il 2 giugno, dopo che i tedeschi avevano completato il ripiegamento. La città di Littoria era stata liberata dall'unica colonna americana, appena un reggimento, che dalla testa di ponte di Anzio s'era diretta verso sud, incontro alla V Armata in arrivo dal fronte del Garigliano. Il ricongiungimento avvenne a Borgo Grappa il 25 maggio. Nella gioia dell'incontro si dimenticava ch'esso si era fatto attendere quattro mesi più del previsto.
Clark disponeva di una formidabile piattaforma per il lancio finale su Roma. È alla capitale ch'egli continuava a guardare, più che alla manovra di aggiramento chiesta da Alexander. Voleva arrivarci prima degli inglesi perché la nuova vittoria su Hitler portasse il suo nome. Per i tedeschi fu un colpo di fortuna. Essi non speravano che gli Alleati, per un motivo di prestigio personale, rinunciassero a cogliere, con un colossale accerchiamento, i frutti della vittoria. Scampati alla trappola di Valmontone, i tedeschi abbandonavano Roma con ogni mezzo, mantenendo sgombre le strade su cui si ritiravano le Divisioni di Cassino. Avevano perso molti uomini, ma avevano salvato l'esercito. Proprio l'ultimo giorno vollero lasciare un altro ricordo di sangue. Alle porte della città, in frazione La Storta sulla via Cassia, per alleggerire un automezzo, assassinarono 14 prigionieri politici fra cui il vecchio sindacalista Bruno Buozzi. Poi risalirono sui camion e ripresero più in fretta la ritirata verso nord.
Il generale Clark rievoca il giorno della presa di Roma:
«La maggior parte della gente non collega la data del 4 giugno (giorno in cui entrammo a Roma) con lo sbarco del generale Eisenhower in Normandia, ma le due operazioni erano coordinate, e mi era stato dato l'ordine di conquistare Roma, se fosse stato possibile, subito prima dello sbarco di Eisenhower. Sicché combattemmo con tutto l'impegno e ce la facemmo appena in tempo. Naturalmente, volevamo essere la prima Armata che liberava una delle capitali dell'«asse»; ciò avrebbe sollevato il morale degli Alleati e anche degli italiani. Sicché fu con profonda emozione che ci avvicinammo a Roma, e il giorno in cui vidi le mie truppe marciare verso la città, e fui testimone del modo cordiale con cui vennero accolte dalla popolazione, fu un giorno particolarmente felice. Il 5 giugno entrai anch'io in Roma con la mia "jeep" per la via Casilina. Non eravamo molto pratici della città; il generale Hume, che era con noi, aveva suggerito che il Campidoglio sarebbe stato il luogo adatto per incontrarmi con i miei comandanti di Corpo d'Armata.
Nelle vie erano gaie folle, molti cittadini agitavano bandiere. I romani sembravano impazziti d'entusiasmo per le truppe americane. Il nostro gruppetto di "jeep" errava per le vie, ma non riuscivamo a trovare il colle capitolino. Ci eravamo smarriti. A un tratto ci trovammo in piazza San Pietro e un prete si fermò accanto alla mia "jeep" e disse in inglese: "Benvenuto a Roma. Posso esservi utile in qualche modo?».
«Gli chiesi la strada per il Campidoglio. Là intendevo discutere i nostri piani immediati. Volevamo spingerci immediatamente oltre Roma per inseguire il nemico e prendere il porto di Civitavecchia. Quando fummo in piazza Venezia davanti al balcone dal quale Mussolini soleva fare i grandi discorsi, una folla plaudente ci bloccò. Finalmente ci aprimmo un varco e salimmo sul colle. Il portone del Campidoglio era chiuso; io bussai parecchie volte, non sentendomi molto conquistatore di Roma. Mentre si bussava, pensai che quella era per noi una giornata storica. Avevamo vinto la corsa di Roma per soli due giorni».
Chi nella capitale ha dimenticato quel giorno? Era la libertà, dopo nove mesi di angoscia e di disperazione. S'affacciava un mondo nuovo, si ricominciava a vivere.
A Roma l'appuntamento col Papa è una tacita consuetudine, quando accade qualcosa d'importante. Ma il pomeriggio del 5 giugno i romani andarono da Pio XII anche per un atto di gratitudine. Tutto in quei giorni era all'insegna della fede nell'avvenire. Ogni occasione era buona per affollare le piazze con bandiere, applaudire, gridare e sfilare in corteo proclamando i propri ideali. Gli Alleati assistevano sbalorditi, ed erano come travolti dall'urto caotico delle passioni politiche che esplodevano dopo tanto tempo.
Nella confusione scoppiarono anche disordini. In Piazza Venezia, dove la gente si raccoglieva più folta che altrove, si sfondarono i cancelli del palazzo delle Assicurazioni Generali in cerca di franchi tiratori inesistenti. La polizia alleata fu costretta ad intervenire con bombe lacrimogene.
Il 6 giugno la notizia dello sbarco in Normandia. È finalmente il secondo fronte, che porterà al tracollo della Germania; e intanto in Russia le Armate sovietiche incalzano. Di fronte alla grandezza degli avvenimenti, l'episodio dei franchi tiratori che, da una casa di via Appia Nuova, hanno aperto il fuoco contro i patrioti e i soldati americani, appare un inutile atto di rabbia e di vendetta. Ogni giorno nuove prove della violenza subita vengono alla luce. Finora Roma non sapeva ancora chiaramente delle Fosse Ardeatine, dove in marzo i tedeschi avevano massacrato per rappresaglia 335 detenuti politici. Adesso era un accorrere di parenti, di amici, di compagni di lotta.
L'orrore era pari alla disperazione delle madri.
Il Luogotenente, che intuiva la precarietà del momento, venne a Roma pochi giorni dopo la liberazione. Forse contava su qualche gesto di simpatia da parte dei romani. Ma la sua visita improvvisa passò quasi inosservata, e Umberto tornò a Napoli deluso. Come si era stabilito in aprile, il governo arrivava a Roma dimissionario, e a Badoglio subentrò Ivanhoe Bonomi che raccolse intorno a sé uomini designati dai sei partiti antifascisti. La lotta contro i tedeschi rimaneva il primo punto del programma di governo.
Oltre Roma la guerra continuava senza slancio. Ma Alexander e Clark, tornati amici dopo la contesa per Valmontone, erano ottimisti. Alexander rivolse un proclama alle truppe: «Questa battaglia, di cui è terminata la prima fase, è stata un successo magnifico. Come dicono i francesi: " Une belle victoire". La conquista di Roma è in se stessa naturalmente un grande avvenimento. Ha un grande valore morale, un grande valore politico. Ma come obiettivo militare non ha che scarsa importanza. Ciò che veramente importa è il fatto che noi stiamo compiendo quello che ci eravamo prefissi di fare, e cioè annientare sul campo le Armate tedesche. Il nemico è in uno stato di totale disorganizzazione, avendo subìto gravissime perdite, tanto che i prigionieri sono oltre 20.000 e ci sono 8.000 tedeschi feriti ricoverati a Roma, oggi, in questo momento. Molti di più giacciono morti sui campi di battaglia. Le perdite del nemico sono state dunque molto gravi, esso è disorganizzato. E noi lo stiamo inseguendo».
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
Operazione Overlord
Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944, una flotta gigantesca, la più formidabile mai assemblata nella storia dell’umanità, (21 convogli americani e 38 anglo-canadesi che trasportavano o rimorchiavano 2.000 mezzi da sbarco, scortati da una formazione di 9 corazzate, 23 incrociatori e 104 cacciatorpediniere) levò l’ancora dalle coste meridionali dell’Inghilterra per far rotta verso la Francia.
Le truppe alleate (che contavano nei loro ranghi 1,7 milioni di Americani, 1 milione tra Inglesi e Canadesi e 300.000 altre reclute, divise tra Francesi, Polacchi, Belgi, Olandesi, Norvegesi e Cecoslovacchi) disponevano di circa 2 milioni di tonnellate di materiale e di 50.000 mezzi (carri armati, veicoli semicingolati, automitragliatrici, camion, veicoli).
Mezzo milione di soldati del Reich era dispiegato tra l’Olanda e la Bretagna lungo il “Muro dell’Atlantico”, il sistema di fortificazioni fatto costruire da Rommel. Il grosso delle forze tedesche (la XV armata era disposta nella zona del Pas de Calais, là dove la Manica è più stretta, luogo di un probabile sbarco alleato secondo le previsioni di Hitler. Dieci divisioni blindate sono pronte ad intervenire, ma sono troppo distanti dalla costa.
Lo scarto in mezzi tra le due aviazioni è enorme: gli Alleati dispongono di 3.000 bombardieri e 5.000 caccia contro 320 apparecchi tedeschi.
È il feld-maresciallo Gerd von Rundstedt che prende il comando delle forze tedesche sul fronte occidentale. Al momento dello sbarco, Rommel è in Germania per festeggiare il compleanno della moglie.
Altri fattori rendono più facile la realizzazione del piano di invasione. Un esempio: sette messaggi trasmessi dagli Alleati alla Resistenza francese, benché intercettati dai servizi segreti tedeschi, non vengono mai ritrasmessi ai comandi militari in Francia.
Il comando supremo dell’Operazione Overlord è affidato al generale americano Eisenhower e il comando tattico al generale inglese Montgomery.
Il cattivo tempo sulla Manica provoca un ritardo di ventiquattro ore delle operazioni.
Le condizioni meteorologiche costringono il generale Eisenhower a scegliere la data del 6 giugno. La bassa marea delle prime ore del mattino e il levarsi tardivo della luna facilitano l’atterraggio degli alianti e il lancio dei paracadutisti.
Nella notte dal 5 al 6 giugno, le navi partite da diversi porti inglesi della Manica convergono al loro punto di incontro (“Piccadilly Circus”) per dirigersi sulle coste situate tra la foce della Senna e la penisola del Cotentin.
Il “Giorno più lungo” inizia alle 3 e 14 del mattino del 6 giugno con il bombardamento aereo delle difese costiere tedesche, seguito dall’atterraggio dei paracadutisti alleati (circa 18.000 uomini su 20.000 potranno compiere la missione che a loro era stata assegnata), il cui compito consisteva nell’annientare il sistema logistico del nemico. Due ore più tardi inizia il bombardamento navale alleato. La copertura aerea è impressionante e i tiri dei cannoni della marina micidiali. Pe evitare qualsiasi sorpresa, le navi dei convogli sono precedute da dragamine e protette dallo sbarramento di palloni frenati (potevano ascendere fino a quote di 1.500 m, tendendo i cavi di collegamento che consentivano di interdire ed ostacolare i velivoli ostili a bassa quota).
Alle 6 e 30 i primi segni dello sbarco: la prima ondata d’invasione del gruppo di armate, agli ordini di Montgomery raggiunge le spiagge il cui nome in codice sono “Utah”, “Omaha”, “Gold”, “Sword” e “Juno”.
Questo impressionante spiegamento di forze è seguito dall’arrivo di 145 banchine galleggianti in cemento destinate alla costruzione di porti artificiali per l’attracco di navi fino a 10.000 tonnellate e di elementi di una pipeline prefabbricata “Pluto” (Pipeline-under-the-ocean) che fornirà il carburante necessario all’armata.
I primi soldati a calpestare il suolo delle coste francesi sono gli Americani della I armata del generale Omar Bradley che sbarcano sulle spiagge d’Utah e d’Omaha dove lo stato del mare e la resistenza accanita dei tedeschi li mettono in seria difficoltà. Sulle spiagge di Gold, Sword e Juno, gli inglesi della II armata del generale Miles Dempsey sono più fortunati. Alcune ore dopo, gli Inglesi si ammassano già nei dintorni di Caen, mentre le unità americane si battono ancora contro le fanterie e le Panzer divisioni accorse in tutta fretta sulle colline circostanti.
Alle ore 9 e 33 del 6 giugno 1944, il quartier generale di Eisenhower comunica al mondo intero il seguente messaggio: «Sotto il comando supremo del generale Eisenhower, le forze alleate navali, sostenute dalle potenti forze aeree, hanno incominciato a sbarcare armate alleate sulla costa nord della Francia». È questo l’annuncio che l’operazione “Overlord”, ossia l’invasione della Francia, è riuscita e il mondo libero non può che rallegrarsene.
A mezzogiorno, il primo ministro britannico, Churchill, rivolgendosi alla Camera dei Comuni, annuncia lo sbarco in Normandia: «La prima serie di sbarchi delle forze alleate sul continente europeo è iniziata nel corso della notte. Questa volta, l’assalto liberatore è stato effettuato sulla costa della Francia. L’armonia più completa regna tra le armate alleate».
Hitler sarà informato dell’invasione solamente in tarda mattinata. Quanto a Rommel, riguadagnerà il teatro delle operazioni in serata del giorno J. Ma i tedeschi si ostinano a pensare che non si tratti della grande offensiva alleata attesa da alcuni mesi. Questo errore fatale contribuirà al successo dell’Operazione Overlord. Hitler invia l’ordine tassativo di non spostare verso la zona dello sbarco le divisioni blindate che si trovavano in altri settori e gli Alleati non saranno respinti in mare «durante la notte» come espressamente richiesto dal Führer.
Al calar della notte, al contrario, circa 160.000 uomini calpestano già il suolo francese. Anche se gli Alleati hanno raggiunto solo in parte i loro obiettivi, l’operazione è un successo.
8 maggio 1945: in Europa la guerra è finita
C'è una fotografia che ritrae dei bambini intenti a giocare con armi e proiettili sparsi sul terreno, nel cortile di un grande caseggiato. E' finita.
Nel bunker della Cancelleria, a Berlino, Hitler ha ucciso Eva Braun, poi si è sparato. Ha voluto che anche il suo cane prediletto, Blondi, venisse abbattuto. Poi, i camerati hanno bruciato i corpi di Adolf e della moglie.
La Repubblica di Salò non ha vissuto che diciotto mesi.
Mussolini non ha molte illusioni; confida al prefetto Nicoletti: «I tedeschi perdono sempre un'ora, una battaglia, un'idea». Il cardinale Schuster, che riceve Mussolini in Arcivescovado, lo descrive come «un uomo senza forza di volontà che muove incontro al suo fato senza reazione».
Alle 16.20 del 28 aprile, a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello arrugginito di una villa, cadono fucilati Benito Mussolini e la sua amante Clara Petacci, che ne ha voluto condividere il destino.
Il 7 maggio il Grande Reich firma l'atto di resa senza condizioni: al posto del Führer comanda l'ammiraglio Donitz, eletto suo successore.
A Berlino si contano cinquemila suicidi. Sono arrivati quelli dell'Armata Rossa e non guardano tanto per il sottile, ma dicono le donne che ricordano i terribili bombardamenti: «Meglio un russo sulla pancia che un americano sulla testa».
Il 6 agosto, gli americani sganciano la prima atomica su Hiroshima, tre giorni dopo tocca a Nagasaki: due lampi accecanti, che sviluppano una temperatura di milioni di gradi, diecimila volte più del sole.
Si contano le perdite: l'URSS raggiunge la cifra enorme di 37 milioni, di cui 12 sono i caduti. Più di settantamila città e villaggi risultano distrutti, 30 mila fabbriche sono in rovina, 25 milioni di persone sono senza casa.
Gli americani non arrivano, tra morti e dispersi, a 400 mila; i francesi, tra prima e dopo l'armistizio, 275 mila; gli inglesi 330 mila; l'Italia ha avuto, tra militari e civili, 309.453 morti e 135.070 dispersi. Le perdite tedesche sarebbero state di 2.250.000 caduti e di un milione e mezzo di dispersi. Il Giappone, tra feriti, dispersi e deceduti, circa 1.500.000 uomini; la Polonia oltre un milione di soldati uccisi, e cinque milioni di cittadini, dei quali tre sono ebrei.
L'Italia ha avuto tra militari e civili trecentocinquantamila morti e centotrentamila dispersi, settecento chilometri di ferrovia sono distrutti o danneggiati, ha perso un milione e novecentomila vani e più di diecimila tra ospedali, cinema, alberghi e teatri, più di quarantaduemila chilometri di strade sono impraticabili, 19 mila ponti risultano abbattuti, novecento dieci acquedotti non funzionano più. Mancano 28 mila chilometri di linee elettriche.
Secondo una stima americana, il costo totale della seconda guerra mondiale sarebbe stato di 1.154.000.000.000 di dollari, di cui 94.000.000.000 pagati da noi. Sono pochi i mutamenti territoriali: la Cecoslovacchia cede all'Unione Sovietica l’Ucraina Sub-carpatica, la Polonia raggiunge l’Oder Neisse, e divide la Prussia orientale con Mosca, alla quale cede una zona di confine, compresa Brest-Litovsk.
Un orologio di Hiroshima,
coi numeri quasi cancellati, fuso dal calore, e le lancette che segnano le 8.16.
Un marinaio a Manhattan, sulla Times Square, si butta su un'infermiera della Croce Rossa per baciarla, e celebrare così la sconfitta del Giappone.
Poi, una frase di Georges Bernanos, che vale per tutti i superstiti: «Ci sono tanti morti nella mia vita, ma più morto di tutti è il ragazzo che fui io».
Finita la guerra: i bambini giocano con i residuati bellici. Il progresso tecnologico non ha reso il conflitto meno feroce. E sembrato anzi che, insieme agli aerei velocissimi, all'atomica, ai missili, al radar sia stata la barbarie la protagonista su tutti i fronti.
Da “la Seconda guerra mondiale – Parlano i protagonisti” di Enzo Biagi – Corriere della Sera 1980
ATTO DI RESA MILITARE TEDESCA
Firmato a Reims alle ore 2:41 del 7 Maggio 1945
Noi sottoscritti, in virtù dell'autorità conferitaci dall'Alto Comando Tedesco, dichiariamo al Supremo Comando delle Forze di Spedizione Alleate e contemporaneamente all'Alto Comando Sovietico, la resa incondizionata di tutte le forze armate di terra, di mare e dell'aria che a questa data sono sotto il controllo Tedesco.
L'Alto Comando Tedesco invierà immediatamente a tutte le proprie autorità militari terrestri, navali ed aeree e a tutte le forze sotto il suo controllo, l'ordine di cessare ogni operazione militare attualmente in atto a partire dalle 23:01, ora dell'Europa Centrale, dell' 8 Maggio e di rimanere nelle posizioni in cui si trovano in quel momento. Nessuna nave dovrà essere deliberatamente affondata, né dovranno essere arrecati danni agli scafi, alle macchine o alle attrezzature di bordo e nessun aereo dovrà essere volontariamente distrutto o danneggiato.
L'Alto Comando Tedesco provvederà attraverso i propri Comandanti, ad assicurare che venga prontamente eseguito ogni ulteriore ordine impartito dal Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e dall'Alto Comando Sovietico.
Questo atto di resa militare potrà essere integrato da successive condizioni di resa globale da imporre alla Germania per conto delle Nazioni Unite.
Nel caso in cui l'Alto Comando Tedesco od ogni altra forza militare sotto il suo controllo non ottemperi a quanto stabilito da questo Atto di Resa, il Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e l'Alto Comando Sovietico adotteranno i provvedimenti che riterranno più opportuni.
Firmato a REIMS, in Francia, alle ore 02:41 del 7 Maggio 1945
In rappresentanza dell'Alto Comando Tedesco: Alfred JODL
ALLA PRESENZA DI:
In rappresentanza del Comando Supremo Alleato: Walter Bedell SMITH
In rappresentanza dell'Alto Comando Sovietico: Ivan SOUSLOPAROV
In qualità di Testimone: François SEVEZ (Generale dell'Esercito Francese)


Operation Sunrise. La resa tedesca in Italia 2 maggio 1945
29 aprile 1945: a Caserta, le forze tedesche in Italia firmano segretamente la resa incondizionata, divenuta operante alle 14.00 del 2 maggio. Giunge così a conclusione l'operazione Sunrise, nome in codice delle lunghe trattative condotte in Svizzera tra l'OSS, il servizio segreto americano, diretto da Allen Dulles, e il comandante delle SS in Italia, Karl Wolff. È la prima capitolazione dell'esercito hitleriano, che segna la fine delle ostilità sul fronte italiano.
Si evitò così un'inutile resistenza finale lungo l'arco alpino e ulteriori distruzioni vennero risparmiate. I tesori della Galleria degli Uffizi, che erano stati trafugati dai nazisti, furono immediatamente recuperati e Ferruccio Parri, prigioniero della Gestapo, venne riconsegnato agli americani in Svizzera, sano e salvo, già nel marzo 1945. Ma fino all'ultimo l'esito dell'operazione (denominata in codice Sunrise, cioè «Alba») restò in bilico. Wolff, che aveva condotto il negoziato a Berna con l'agente dei servizi segreti americani (allora la sigla era OSS) e futuro direttore della Cia Allen Dulles, inizialmente non riuscì a convincere Kesselring e rischiò di essere arrestato e fucilato. Solo le notizie provenienti da Berlino, dove Hitler si era sparato il 30 aprile nel bunker della Cancelleria, sbloccarono la situazione e consentirono di attuare la resa firmato il giorno prima a Caserta da due emissari tedeschi.
Nel salone di palazzo Reale, Caserta, a sinistra i delegati tedeschi, di fronte l'estensore del verbale delle tre firme e l'interprete tedesco, a destra il Generale Morgan e alle sue spalle anche il Generale Kislenko (con gli stivali)

1943-1945: la “campagna d’Italia”
Quasi due anni è durata la “campagna d’Italia”, dallo sbarco degli Alleati in Sicilia alla liberazione di tutta la penisola dall’occupazione nazista e dal regime fascista: due anni che hanno causato al nostro Paese ancora lutti e rovine. Militarmente hanno dato il loro contributo gli Alleati, che ebbero un peso determinante nella vittoria finale della guerra, il Corpo Italiano di Liberazione, le Divisioni partigiane.
Nei seguenti articoli vengono descritti i momenti salienti di questa fase della seconda guerra mondiale:
Il convegno di Tarvisio: fine della collaborazione fra italiani e tedeschi
Dalla Sicilia, attraverso lo stretto, inizia l'attacco alla penisola
11 settembre 1943: la battaglia di Salerno
11 settembre 1943: il regno del Sud comincia a vivere
18 settembre 1943: Mussolini da radio Monaco
1° ottobre 1943: Napoli è libera
La difficile avanzata degli Alleati verso Roma e la nostra guerra a fianco degli Alleati
Il bombardamento di Montecassino
Cassino, la più terribile battaglia della “Campagna d'Italia”
Mussolini si incontra con Hitler
Dicembre 1944: il fronte si arresta
Il bando Alexander e l’accordo Wilson
Partigiani e Gruppi di combattimento in azione
Il proclama Alexander
Il 13 novembre 1944 la radio «Italia combatte» trasmetteva il proclama del generale Alexander dedicato ai «patrioti al di là del Po»: «La campagna estiva, iniziata l'11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea gotica, è finita. Inizia ora la campagna invernale». In conseguenza di questa nuova fase bellica i patrioti avrebbero dovuto «cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno» e avrebbero dovuto eseguire le seguenti istruzioni:
1) Cessare le operazioni organizzate su larga scala;
2) conservare le munizioni e i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini;
3) attendere nuove istruzioni che verranno date o a mezzo radio «Italia combatte» o con mezzi speciali o con manifestini. Sarà cosa saggia non esporsi in azioni troppo arrischiate: la parola d'ordine è: stare in guardia, stare in difesa ...
Il proclama non diceva esplicitamente di «tornare a casa», è vero; anzi nella conclusione accennava all'«opportunità» di continuare nella guerriglia e nel sabotaggio «purché il rischio non fosse troppo grande». ... il modo era il più infelice: un proclama radio che annunciava non solo ai partigiani, ma anche al nemico l'intenzione di rinviare ogni azione offensiva a primavera e di lasciarlo indisturbato sul fronte. Riguardo al momento, non si poteva sceglierne uno meno adatto, poiché il proclama giungeva nel pieno della controffensiva tedesca. ...
il generale Alexander, non solo dava «mano libera» ai tedeschi verso la Resistenza italiana, ma suscitava nell'interno di questa i più gravi dubbi sulle prospettive future ...
Nel giro di una settimana non rimase più un angolo dell'Italia partigiana che non fosse sconvolto, messo a ferro e a fuoco dai rastrellamenti: almeno la metà delle forze tedesche e tutte le forze repubblichine, furono impegnate contemporaneamente e in tutti i settori per schiacciare la Resistenza.
Alla fine di novembre 1944 viene catturato l'intero Comando GL piemontese, ucciso Duccio Galimberti; la stessa sorte subiva il Comando regionale veneto, e poi quello ligure. In Lombardia cadeva il comandante della piazza di Milano Sergio Kasman, venivano arrestati quasi tutti i tecnici militari del CVL e infine gli stessi dirigenti: il rappresentante liberale (Argenton) quello dc (Mattei) e lo stesso Parri. In Emilia, l'intero CLN di Ferrara viene arrestato dai fascisti e consegnato alle SS tedesche. Solo nel '46 le sette salme dei suoi componenti verranno ritrovate in una fossa comune, in località Caffè del Doro.
il Generale Harold Alexander (a destra) e il Generale Oliver Leese (a sinistra) con Winston Churchill (Italia Agosto 1944)
20 ottobre 1944: Milano, quartiere di Gorla


Il bombardamento aereo del 1944 distrusse la locale scuola elementare uccidendone tutti gli alunni e gli insegnanti.



Se sono scarse, sui giornali, le notizie dei bombardamenti, mancano del tutto servizi che spieghino alla popolazione cosa fare in caso di bombardamenti pesanti. La stampa su indicazione dell'apposito ministero, preferisce non affrontare l'argomento. Bisogna, contro ogni evidenza, che la gente sia convinta che tutto va, ancora, per il meglio. La “Domenica del Corriere” come l' “Illustrazione Italiana” non ospitano mai fotografie di macerie né tantomeno di cadaveri, ma soltanto immagini rassicuranti, di monumenti protetti da impalcature, muretti di mattoni e sacchi di sabbia.
Il tentativo di «minimizzare» acquista toni di inaudito cinismo nelle parole di alcuni commentatori. Su “Critica Fascista” del dicembre del 1942 Emilio Canevari scrive: «Quale danno è stato poi prodotto dai famosi bombardamenti? Lo ha detto Mussolini: sono state buttate a terra alcune centinaia di case e ciò favorirà il rinnovamento edilizio contro il cattivo gusto antico e nuovo e sono state uccise meno di duemila persone. È doloroso perché si tratta in genere di donne, vecchi e bambini. Ma dobbiamo anche ricordare che queste cifre valgono sì e no alle perdite per incidenti automobilistici di un anno nelle metropoli moderne. Ma se il timore bombardamenti riuscisse a frenare l'urbanesimo con tutte le sue piaghe, ciò sarebbe certo un beneficio. Finalmente i borghesi se ne andranno nei loro poderi e li cureranno maggiormente».
Cassino, la più terribile battaglia della “Campagna d'Italia”
La conquista del Monte Marrone da parte del battaglione alpini “dell’esercito del Sud” Il 18 aprile 1944, il Raggruppamento motorizzato italiano si trasforma in C.I.L. (Corpo italiano di liberazione).
S'avvicinava la primavera: il paese di Cassino e sul monte lo scheletro dell'Abbazia sbarravano ancora agli Alleati la strada di Roma. Il maresciallo Kesselring si sentiva padrone della situazione. Aveva schierato sulla «Gustav» i paracadutisti del generale Heidrich, i terribili «diavoli verdi» che gli inglesi avevano già conosciuto in Sicilia e ad Ortona. A Cassino avrebbero confermato la loro fama.
Alla vigilia del nuovo attacco, la V Armata ebbe un ospite di riguardo: il generale De Gaulle, capo della Francia libera, che teneva moltissimo alla presenza in prima linea delle truppe francesi. Un loro successo in battaglia avrebbe rinforzato la posizione del generale nei confronti degli Alleati e il suo prestigio agli occhi dei francesi.
Nelle retrovie del fronte i primi ad accorgersi dell'offensiva imminente furono gli abitanti rimasti nei paesi da evacuare. Non c'è requie per chi viene a trovarsi sulla strada della guerra. E sul fronte di Cassino la guerra camminava molto piano.
Si sgombera, si va più a sud e chissà quando si potrà tornare. I paesi che si vuotano sono condannati. Il 15 marzo i comandi alleati decisero di distruggere Cassino per poi conquistare di slancio la città diventata la tomba dei suoi difensori. Nelle immediate retrovie i comandi alleati presero gli ultimi accordi in vista dell'operazione. Sotto la tenda, attorno ad una carta topografica furono scambiate queste parole:
Generale americano: «Signori, sappiamo tutti lo scopo di questa operazione contro Cassino».
Ufficiale americano: «Le cose andranno così, signore. L'attacco sarà iniziato dai bombardieri medi, cominciando con "B 25" dell'aviazione tattica. Seguiranno, a ondate successive, i bombardieri pesanti con intervalli di 15 minuti. Dopo i bombardieri, i "B 26" completeranno l'attacco ».
Ufficiale inglese: «C'è solo un altro punto che vorrei mi fosse chiarito, signore, e cioè: l'esercito sa con precisione quando si deve ritirare da Cassino prima dell'attacco?».
Altro ufficiale americano: «Sì, intendiamo ritirarci dalla periferia della città questa sera. La linea del bombardamento sarà press'a poco qui e noi saremo bene al di qua di essa prima che faccia buio».
In prima linea c'era ancora il Corpo neozelandese il cui comandante, generale Freyberg, aveva chiesto il bombardamento giudicandolo indispensabile per la conquista di Cassino. Un mese prima egli aveva detto la stessa cosa per giustificare la richiesta di distruggere l'Abbazia.
Dall'osservatorio di Cervaro, distante quattro chilometri, Alexander, Clark e Freyberg assistevano al terrificante bombardamento.
L'attacco aereo finì a mezzogiorno, e in quello stesso momento cominciarono le artiglierie.
Mai dall'inizio della guerra in Italia c'era stata una così massiccia preparazione di fuoco. 1.300 tonnellate di bombe, 200.000 colpi d'artiglieria caddero in sette ore su Cassino. I crateri delle esplosioni erano tanto profondi che i carri «Sherman», mandati ad aprire la strada alle fanterie, dovettero arrestarsi in periferia.
Un profondo silenzio avvolgeva Cassino quando le avanguardie neozelandesi giunsero alle prime case della città. I tedeschi erano stati decimati dal bombardamento, ma alcuni reparti si erano salvati. Nelle cantine più resistenti e nei «Bunker» d'acciaio e di cemento molti veterani della Divisione paracadutisti erano ancora ai loro posti e aspettavano l'assalto.
In tre giorni i neozelandesi occuparono quasi due terzi dell'abitato. Ma non avevano più la forza per il balzo conclusivo. I bombardamenti, se ne aveva la conferma, non bastavano per espugnare una città difesa da gente risoluta.
Il 23 marzo, con i reparti ormai stremati, Freyberg fece un ultimo tentativo contro i caposaldi ancora occupati dai tedeschi. Il generale Heidrich ordinò un'altra volta il contrattacco, anche con carri armati.
Come a Stalingrado ci si batté di strada in strada, di casa in casa.
I paracadutisti rioccuparono alcuni caposaldi e i neozelandesi non insistettero.
Al tramonto la terza battaglia di Cassino era finita.
Heidrich poteva dirsi soddisfatto: le sue truppe erano riuscite a tenere il margine della città a ridosso del monte.
Era il momento di andare a raccogliere i morti e i feriti.
Freyberg aveva fidato troppo sulla potenza dei bombardamenti: poi aveva mandato avanti un reparto dietro l'altro, invece di sviluppare l'azione simultaneamente in più punti. In otto giorni le sue Divisioni avevano perduto 1.600 uomini. I tedeschi molti di più, ma continuavano a tenere il terribile monte e a sbarrare la strada di Roma.
Dal 15 al 23 marzo gli attacchi delle Divisioni neozelandese e indiana si erano sanguinosamente infranti di fronte alla disperata resistenza tedesca. Una settimana più tardi, nel gruppo delle Mainarde a nord di Cassino, entrava nuovamente in azione il Raggruppamento motorizzato italiano, tornato in linea ai primi di febbraio nel settore di contatto tra V e VIII Armata, alle dipendenze del Corpo di spedizione francese e poi del II Corpo polacco. Obiettivo assegnato ai soldati del Raggruppamento era la conquista di Monte Marrone.
Alto quasi 2.000 metri e coperto di neve, il monte ha l'aspetto di un massiccio alpino, roccioso e tormentato. La sua conquista avrebbe assicurato il controllo di una strada di rifornimento per Cassino.
All'alba del 31 marzo gli alpini del Raggruppamento mossero all'attacco scalando la montagna come i loro padri nel Trentino durante la prima guerra mondiale.
I tedeschi non si aspettavano un attacco da quella parte; così gli alpini, conquistata la cima, ebbero tutto il tempo di organizzarvi un caposaldo.
Qualche giorno dopo un contrattacco nemico venne respinto con molte perdite. La battaglia di Monte Marrone fu breve, ma non inutile. Gli italiani impararono ad avere maggior fiducia in se stessi.
Il generale Boschetti, riassume così la situazione del nostro esercito di quell'epoca:
«Dopo la conquista del Monte Marrone da parte del battaglione alpini, gli Alleati si decisero finalmente ad autorizzare la nuova denominazione del Raggruppamento motorizzato che si trasformò, il 18 aprile, in Corpo italiano di liberazione.
Non era semplicemente un cambio di nome, perché questa trasformazione aveva un duplice significato: da una parte era il riconoscimento ufficiale dello sforzo militare fatto dall'esercito italiano per la guerra di liberazione, dall'altra questa nuova denominazione permise il rafforzamento del CIL che passò da circa 8.000 uomini a 16.000 uomini. Il generale Utili, che già comandava il Raggruppamento motorizzato, assunse anche il comando del Corpo italiano di liberazione».
La partecipazione italiana alla guerra cominciava ad avere una sua consistenza. Nella seconda metà di aprile il CIL passò definitivamente all'VIII Armata, inquadrato nel Corpo britannico del generale Mac Creery. Il comando era a Colli nell'alta valle del Volturno, dove il generale Utili ebbe, pochi giorni dopo, la visita del comandante d'Armata generale Leese. Ora il settore affidato agli italiani andava dalle Mainarde a Castel San Vincenzo.
Qualche settimana più tardi il principe Umberto andò a ispezionare il fronte italiano e le truppe del Corpo di liberazione.
Era un segno di grandi mutamenti nel governo e in Casa Savoia.
Il re aveva finalmente deciso di rinunciare al trono e Umberto si preparava ad assumere il titolo di Luogotenente. Visitava il fronte nella sua veste di comandante del nuovo esercito regio.
Per la battaglia decisiva i capi alleati raccolsero a Cassino ed a Anzio un impressionante concentramento di forze.
Ai primi di maggio la V Armata e quasi tutta l'VIII erano pronte per l'offensiva: oltre 28 Divisioni alleate contro 23 tedesche. Soltanto davanti alla linea «Gustav» erano allineate 2.000 bocche da fuoco, una ogni 20 metri. Fino a quel giorno, il più grande spiegamento d'artiglieria della guerra in Italia.
Nel settore dell'VIII Armata due Corpi britannici e il Corpo polacco avevano il compito di attaccare sull'alto Rapido, verso il colle dell'Abbazia e nella valle del Liri e di sfondare la «Gustav» e la retrostante linea «Hitler» puntando quindi su Roma lungo la via Casilina.
Nella parte meridionale del fronte, verso il Tirreno, la V Armata doveva attaccare con il Corpo di spedizione francese e il II Corpo americano sui Monti Aurunci e sul basso Garigliano, per avanzare poi sulla via Appia verso Roma e lungo la costa in direzione di Anzio.
Il piano operativo generale prevedeva inoltre, a distanza di pochi giorni, un'offensiva in forze sulla testa di ponte di Anzio. Obiettivo principale di questo attacco combinato era la conquista di Velletri sulla via Appia e di Valmontone sulla Casilina, per tagliare al nemico le vie di rifornimento e di ritirata, e impedirgli di attestarsi sulla linea «C» ultimo sbarramento davanti a Roma.
Alle ore 23 dell'11 maggio Radio Londra diede il segnale dell'attacco.
Il compito di conquistare l'Abbazia di Montecassino spettava ora ai polacchi del generale Anders.
Avevano chiesto di battersi nel tratto più infuocato del fronte perché tutto il mondo sapesse della loro presenza e del loro coraggio.
All'alba del 12 maggio essi andarono all'assalto.
I paracadutisti di Heidrich erano ancora alloro posto, fra le macerie del Monastero, con le armi puntate. La famosa quota 593, il monte Calvario, fu ancora una volta teatro di terribili combattimenti. Polacchi e tedeschi se la contesero fino all'estremo, poi Anders fu costretto a ritirare i suoi soldati.
Nella valle del Liri l'artiglieria tedesca tentava di reagire.
Tutto il fronte era in fiamme, da Cassino al mare.
Al centro, lungo il basso Rapido, inglesi, canadesi e indiani attaccarono contemporaneamente ai polacchi, entrando, due giorni dopo, a Sant'Angelo.
Davanti a questo villaggio in gennaio gli americani del Texas avevano avuto tante perdite. Adesso erano vendicati.
Oltre Sant'Angelo, nella valle, la resistenza continuava accanita. La linea «Gustav» non era ancora infranta.
Lo sfondamento avvenne in un punto che sorprese i tedeschi: a sud del fiume Liri, sui dossi brulli degli Aurunci, dove i marocchini avevano attaccato con furia selvaggia.
A quaranta ore dall'inizio della battaglia il cardine meridionale della porta di Cassino, che a nord i polacchi si preparavano ad attaccare di nuovo, stava già saltando. La breccia era aperta.
La sera del 13 maggio Castelforte e Santi Cosma e Damiano caddero nelle mani dei francesi del generale Juin, che poi si lanciarono avanti per prendere alle spalle il nemico che fronteggiava gli inglesi nella valle del Liri.
La manovra ebbe successo.
Nel fondovalle i tedeschi dovettero arretrare per non essere tagliati fuori, e i soldati del XIII Corpo britannico poterono avanzare sulla via Casilina, minacciando sul fianco i difensori dell'Abbazia.
Colti di sorpresa dalla violenza dell'attacco, i tedeschi cedevano.
Proprio in quei giorni i loro comandanti, generali Vietinghoff e Von Senger, erano in licenza in Germania. Questo accrebbe la confusione.
Quando tornarono, la battaglia era ormai perduta. L'ultimo assalto al Monastero fu sferrato dai polacchi il 17 maggio. Ci si batté ancora disperatamente sul Monte Calvario e sulla Cresta del Fantasma.
I paracadutisti tennero tutta la giornata. Ma la notte seguente dovettero ritirarsi.
Quando la mattina del 18 i polacchi del reggimento Podolski entrarono nell'Abbazia, vi trovarono solo dei morti e dei feriti. La lotta per Montecassino era durata quasi cinque mesi ed era costata alle due parti decine di migliaia di vite. Sulle rovine silenziose sventolava la bandiera bianca e rossa dei polacchi, ma senza allegria.
La stessa mattina anche Cassino cadeva in mano agli Alleati. Vi entrarono gli inglesi del XIII Corpo.
In quel mare di rovine c'erano ben pochi superstiti, ormai.
Per ritardare fino all'ultimo la marcia dei vincitori, i tedeschi avevano lasciato indietro alcuni uomini. Affranti, inebetiti, che cosa sapevano ormai della guerra, e del perché si trovavano fra quelle rovine?
Proprio davanti all'Abbazia ricostruita, nel luogo dei combattimenti più sanguinosi, si trova il cimitero militare polacco.
A Montecassino, sulla collina del Calvario detta anche Quota 593, due grandi aquile di marmo dominano l'ingresso del cimitero polacco di guerra e sulla stele di travertino, che ricorda i mille e più morti, c'è scritto: «Noi, soldati polacchi / per la nostra libertà e la vostra / abbiamo dato le anime a Dio / i corpi all'Italia / i cuori alla Polonia».
Il generale Anders, morto a Londra il 12 maggio 1970, è seppellito, secondo la sua volontà, nel cimitero militare polacco di Montecassino, a fianco dei suoi compagni caduti in battaglia.
Nel '44 era un generale giovane, animoso e brillante.
Per i polacchi sfuggiti al giogo tedesco, era un eroe, rappresentava le speranze della patria. Come i suoi soldati qui raccolti, aveva fatto un lungo cammino per venire a combattere in Italia. Da Varsavia, attraverso i campi di prigionia della Russia, fino a Montecassino. Dice la leggenda dei soldati polacchi di Anders: «Abbiamo dato la nostra fede a Dio, il nostro cuore alla Polonia, il nostro sangue all'Italia».
Il generale così rievocava, vent’anni dopo, i giorni della battaglia, in visita al cimitero polacco:
«È molto difficile, oggi, immaginare quel che succedeva qui attorno, in questo posto. È rimasto soltanto un cimitero. Non c'erano alberi, c'era l'inferno, c'era il fuoco.
La sera del 17 maggio del '44, i tedeschi furono sconfitti. Abbiamo avuto perdite enormi e queste vite perdute sono sepolte qui. Abbiamo sotterrato anche 900 tedeschi che giacevano sul campo, morti gli ultimi due giorni.
Vi erano state prima tre grandi battaglie vinte dai tedeschi. Alla quarta battaglia, cui partecipò anche il II Corpo polacco (quando già l’Abbazia era stata distrutta), noi dovevamo aprire le porte della strada per Roma. I combattimenti furono eccezionalmente aspri, ma non poteva essere diversamente perché avevamo di fronte soldati molto bravi.
Soltanto il 17 maggio i tedeschi furono sconfitti e si ritirarono sulla seconda posizione in direzione di Roma».
Ora Cassino non era altro che un nodo stradale sulla contesa via Casilina, dove s'incrociavano le autocolonne alleate che portavano uomini e rifornimenti sulle nuove linee di combattimento.
Passando fra quelle rovine, i soldati non riuscivano a capacitarsi come in quel breve spazio bianco di polvere si fosse svolta la più terribile battaglia della Campagna d'Italia.
Bibliografia:
Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966