il fascismo
L'identità nazionale
Le conseguenze della dittatura fascista e della seconda guerra mondiale sull'identità italiana.
Dopo un secolo e mezzo di storia nazionale, il problema di ridefinire i tratti distintivi dell'identità italiana è tornato in primo piano.
Quali fattori costituiscono ai giorni nostri il cemento del nostro Stato unitario? Che cosa ci fa sentire italiani? In verità non è da oggi che ci si domanda se gli italiani si sentano effettivamente partecipi di una comunità nazionale, identificandosi con la storia, le memorie, la cultura del loro paese. Non da oggi ci si chiede se l'Italia sia un vero Stato e una vera nazione, e quali siano i suoi valori fondanti. Non c'è dubbio che il ritardo della nostra unificazione nazionale, rispetto ad altri paesi europei, e il modo con cui essa avvenne per iniziativa di alcune minoranze politiche più attive e consapevoli, abbiano lasciato il segno. Giacché si trattò più di un' annessione territoriale e sociale. Sicché, fatta l'Italia, rimaneva da fare gli italiani, come dicevano Massimo D'Azeglio e tanti patrioti con lui.
Oltretutto, a rendere più difficile quest'impresa stavano non solo le profonde differenze economiche, di leggi e di costumi, fra le varie contrade d'Italia. C'era di mezzo anche l'opposizione della Chiesa allo Stato liberale sorto dalle lotte del Risorgimento, nonché la carica sovversiva delle plebi più diseredate che costituivano la maggior parte della popolazione.
Il regime fascista, bloccando il pur faticoso percorso del paese verso un sistema di democrazia liberale, non solo mise al bando della vita pubblica una parte degli italiani, ma impose una concezione dei princìpi e degli interessi nazionali che avevano a che fare con un'aggressiva politica di potenza e un'ideologia imperialistica, di superiorità verso altri popoli. Inoltre, il fascismo finì per fagocitare le istituzioni nell'ambito di uno Stato totalitario e per irreggimentare ogni aspetto della vita collettiva nelle maglie di un ordinamento autoritario e cesarista. Fu dunque un consenso estorto, o comunque pianificato dall'alto, quello su cui si basò la nazionalizzazione delle masse nel ventennio mussoliniano.
La guerra in cui il regime fascista precipitò il paese nel 1940, conclusasi con una pesante disfatta militare, non solo annullò d'un colpo molti dei risultati conseguiti fra mille difficoltà dalle precedenti generazioni, ma determinò anche una grave crisi d'identità. Insieme alla disgregazione delle strutture dello Stato, vennero infatti allentandosi i reciproci legami fra le varie parti della penisola a causa dell'estrema diversità delle esperienze vissute dopo l'armistizio del settembre 1943 dalle popolazioni nei territori del sud lasciati dagli anglo-americani, dove aveva trovato rifugio la Monarchia insieme al governo Badoglio, e in quelli del centro-nord sotto il dominio nazifascista.
Ma a creare un solco profondo e lacerante fra gli italiani fu soprattutto la lunga e sanguinosa guerra fra la Repubblica di Salò, ultima incarnazione del regime fascista, e le forze antifasciste della Resistenza impegnatesi nella lotta armata contro l'occupante tedesco. Unitamente a questa spaccatura, s'era andata determinando un'altra scissione, quella dovuta al disimpegno di una massa consistente della popolazione restia quando non del tutto refrattaria, a schierarsi per una delle due parti. Era travolta da una guerra il cui fronte risaliva lentamente l'intera penisola, e si sentiva estranea non solo alle mire degli eserciti contrapposti, ma anche e soprattutto all'universo, alle ideologie tanto dell'una che dell'altra fazione italiana. O perché preoccupata della propria integrità per le eventuali conseguenze di una precisa scelta di campo. Insomma, una sorta di "zona grigia", vasta e multiforme, diffusa per lo più tra la piccola e media borghesia, ma anche in alcuni ambienti intellettuali, il cui attendismo politico e psicologico si sarebbe sciolto soltanto negli ultimi mesi di guerra, in coincidenza con il ripiegamento dalla "linea gotica" dei tedeschi, travolti dall'avanzata degli alleati e con lo sbandamento delle forze ancora fedeli a Mussolini.
All'indomani della lotta di liberazione nazionale e del ritorno dell'Italia alla democrazia, Benedetto Croce e Gaetano Salvemini, i più autorevoli eredi della tradizione risorgimentale (nelle sue due componenti, quella moderata e quella progressista), ritenevano che sarebbe spettato in primo luogo alle élite (come era avvenuto ai tempi dell'unificazione nazionale) illuminare e guidare il cammino dell'Italia sulla via della rinascita, in ragione di un forte senso di responsabilità e di un'alta ispirazione civile e morale. Ma in quel drammatico frangente, a imporsi sulla scena furono i partiti popolari di massa (n.d.r. la Democrazia Cristiana, i partiti Comunista e Socialista), gli unici soggetti che potessero assicurare la più ampia mobilitazione politica e sociale necessaria ad affrontare la situazione d'emergenza in cui versava la penisola.
Da un articolo di Valerio Castronovo pubblicato in “Storie d’Italia dall’unità al 2000”
I 600 giorni di Salò
Salò è il nome del luogo che resta nella memoria associato all’ultimo atto del fascismo italiano.
Salò, piccola località sulle rive del lago di Garda, non ebbe affatto più importanza nella storia politica della Repubblica sociale italiana di Bogliaco, sede della Presidenza del Consiglio, o di Maderno, dove s’installò il ministero degli Interni, o di Cremona dove vi era il ministero della Difesa, o ancora Verona, Padova o Treviso, che ospitavano altri ministeri. La vicinanza della residenza di Mussolini fece di Salò, per diciotto mesi, un surrogato di capitale di un regime collaborazionista alla deriva.
La dispersione dei centri di potere è significativa della delicata posizione in cui si trovò il governo della Repubblica sociale italiana, diviso tra le esigenze dei tedeschi e la volontà di condurre a termine una rivoluzione fascista radicale, a causa soprattutto di una doppia mancanza di legittimità, sia nei confronti della popolazione italiana che presso gli alleati tedeschi.
Il 18 settembre 1943, da Monaco, Mussolini annuncia la rinascita del fascismo (il duce era stato liberato il 12 settembre 1943 da un commando di SS).
Il debito di Mussolini verso Hitler è considerevole: a lui deve non solamente la sua liberazione, ma anche la possibilità di ricominciare a governare una parte del territorio italiano, quello che fu occupato dall’esercito tedesco l’8 settembre 1943, ossia il centro e il nord della penisola. Non sorprende, di conseguenza, che il nuovo governo cede immediatamente sul terreno della sovranità nazionale: rifiuto del Reich di ristabilire Roma come capitale; amministrazione diretta dell’esercito tedesco di due vaste zone dell’Italia del Nord (il «litorale adriatico» OZAK (acronimo di Operationszone Adriatisches Küstenland) comprendente la provincia di Udine, Gorizia, Pola, Trieste, Fiume e Lubiana; le «Prealpi» (Operationszone Alpenvorland o OZAV) l'area che comprendeva le province di Bolzano, Trento e Belluno, che furono annesse al Terzo Reich; il rifiuto di liberare i 650.000 soldati italiani catturati dopo l’8 settembre e avviati verso i campi di concentramento.
Ormai l’Italia è passata dal rango di principale alleato a quello di paese occupato, territorio di operazioni militari. Tollerando l’esistenza di un governo avente un’apparente sovranità, le autorità germaniche pensano di poter controllare più facilmente la popolazione, sfruttando le risorse nazionali. Se il duce ha accettato, su pressione di Hitler, di tornare al comando, egli ritorna in Italia con un progetto politico che si supponeva rivoluzionario. Nel suo discorso del 18 settembre 1943, dichiara di voler instaurare uno Stato nazionale e sociale, ispirato al fascismo delle origini. Lanciando l’anatema contro le «plutocrazie parassitarie», non vuole solamente ritrovare il sostegno delle masse, ma punire le élite borghesi, sospettate di averlo tradito al momento del colpo di stato del 24 luglio.
Nel nuovo regime, la dimensione punitiva e repressiva occupa subito un posto essenziale. Così, uno dei primi compiti del governo è l’organizzazione del processo ai diciannove dignitari fascisti che hanno deposto il duce. Sei di loro sono giudicati da un tribunale speciale. Tra i cinque che vengono fucilati l’11 gennaio 1944 vi è Ciano, il genero di Mussolini ed ex ministro degli Esteri.
Diverse formazioni armate operano per ricercare antifascisti e resistenti: la Guardia nazionale repubblicana (150.000 uomini); le Brigate nere, una sorta di milizia del partito fascista repubblicano; l’esercito, diretto dal maresciallo Graziani, comprendente circa quattro divisioni addestrate nel Reich.
L’appello al sangue versato è il leitmotiv del nuovo regime. Con l’esaltazione della violenza, il regime di Salò, è impregnato di cultura di guerra.
I ranghi intorno al duce sono radi. Pochi responsabili del vecchio regime fascista: il maresciallo Graziani, l’eroe della guerra d’Etiopia; Roberto Farinacci molto vicino alla Germania e antisemita convinto; Guido Buffarini Guidi, sottosegretario agli Interni dal 1933 al 1943; Alessandro Pavolini, ministro della propaganda dal 1939 al 1943. Nello stesso tempo, il partito fascista repubblicano non riunisce che una frazione minoritaria degli iscritti del vecchio partito nazionale fascista. Gli uomini che aderiscono al PFR provengono da orizzonti differenti: militanti o quadri in posizione marginale che intendono sfruttare la nuova occasione; gioventù cresciuta nella mitologia del primo fascismo che sogna di ripetere le gesta dei suoi eroi; difensori di una certa idea di onore nazionale tradito ai loro occhi con l’armistizio.
Le basi ideologiche e propagandistiche del regime sono enunciate durante il congresso del PFR di Verona, il 14 novembre 1943. Un manifesto di 18 punti, preparato da Pavolini, segretario del nuovo partito, e approvato da Mussolini, proclama decaduta la monarchia.
Il lavoro è considerato come il fondamento del regime che riconosce la proprietà privata a condizione che sia compatibile con gli «interessi» collettivi. La dimensione razziale dell’ideologia fascista è riaffermata, gli ebrei sono considerati come degli stranieri appartenenti, durante la guerra, ad una «nazione nemica». Benché l’accento sia posto sulle riforme sociali, è proprio su questo terreno che le realizzazioni saranno le più modeste. Nel Gennaio 1944, la nazionalizzazione di qualche settore chiave dell’economia viene preso in considerazione insieme all’esproprio dei terreni incolti. Tuttavia, il governo si scontra con l’ostilità degli industriali, mentre si trova ad affrontare il vasto movimento degli scioperi dei lavoratori nel marzo 1944. Soprattutto si trova di fronte al rifiuto dei tedeschi. A loro interessa mantenere un’economia italiana al meglio delle sue capacità produttive. Nel 1944, la maggior parte dei prodotti sono inviati nel Reich. E davanti alle resistenze degli italiani a partire per lavorare in Germania, l’occupante procede con le deportazioni di massa. La caccia all’uomo minaccia sia i partigiani che i lavoratori in sciopero, i detenuti comuni o i civili.
Bloccato nelle sue velleità di socializzazione, costretto ad assistere al saccheggio dell’economia italiana, il governo di Salò andrà fino in fondo nell’alleanza con il Reich, impegnandosi in una politica di collaborazione sfrenata.
Il controllo del territorio e la lotta contro la Resistenza finiscono per impegnare tutte le sue energie e quelle delle sue truppe, che raggruppano circa 300.000 uomini, nell’estate del 1944. In realtà, le forze dei partigiani e antifascisti ammontano con il passare delle settimane: sono italiani che sfuggono al lavoro coatto in Germania e giovani appartenenti alle classi 1923, 1924 e 1925 che si rifiutano di rispondere alla chiamata alle armi della RSI. Oltre ad avere fascisti e nazisti lo stesso nemico, anche le loro pratiche di repressione assomigliano sempre di più: esecuzioni sommarie di detenuti, rappresaglie contro civili. La persecuzione contro gli ebrei è un’altro terreno d’intesa tra l’occupante e i fascisti, tanto più che nel governo, i fautori di un antisemitismo ad oltranza sono in posizioni di comando.
Il 6 marzo 1945, Mussolini pronuncia un discorso in forma di orazione funebre davanti a 400 ufficiali della Guardia nazionale repubblicana; «I governi antifascisti potranno fare tutto quello che vorranno nell’Italia occupata, ma quello che fa parte della storia non si cancella e noi abbiamo lasciato dei solchi troppo profondi per pensare che questi antifascisti resuscitati potranno vincere le nostre idee e che incarneranno il futuro della patria». Prevedendo la sconfitta del regime e la sua propria fine, Mussolini non poteva che arrendersi all’evidenza: l’avanzata degli Alleati e l’estrema impopolarità del governo di cui era ancora il capo lo condannavano.
Contrariamente alle sue previsioni, e nonostante la sua vera ossessione di apparire come un Quisling in Italia, la memoria collettiva non conserverà della Repubblica sociale italiana che il ricordo di un governo fantoccio interamente dominato dall’occupante tedesco.
Traduzione di un articolo di Marie-Anne Matard-Bonucci, docente di Storia contemporanea all’Università di Grenoble, pubblicato su Histoire nel mese di gennaio 2011
Il fascismo degli anni dal 1932 al 1935
Il fascismo degli anni dal 1932 al 1935 visto da un giovane universitario di allora.
Il giorno dell'annuncio delle ostilità contro l'Etiopia e quello della proclamazione dell'Impero, Mario Alicata, Enzo Molajoni, Bruno Zevi, Carlo Cassola, qualche altro e io eravamo in piazza Venezia, a "studiare" il comportamento della gente. Ne venimmo via angosciati. Non perché non ci spiegassimo l'entusiasmo della folla, ma perché esso ci faceva paura, perché - pur senza comprenderne, forse, fino in fondo le ragioni - intuivamo che quella per cui ci si era incamminati era una strada pericolosa per il Paese ...
Come noi tanti altri, diciottenni o ventenni compirono, a cavallo tra il '35 e il '36, la prima concreta esperienza che l'essersi scoperti antifascisti, in un momento come quello, restava. si un'acquisizione di coscienza risolutiva: una conquista di verità. Ma aspra, amara, irta di ostacoli e di responsabilità. Una coscienza e una verità alle quali si rischiava di non essere capaci di conservarsi fedeli ...
Se ci fu un tempo in cui il fascismo poté dispiegare tutte le sue lusinghe verso i giovani, con una forza di penetrazione quale non aveva potuto esserci in precedenza (per l'eco ancor viva delle sue origini) e quale sarebbe in seguito declinata (per l’inizio dell'avventura spagnola e dell'alleanza con il nazismo) quel tempo fu tra il 1932 e il 1936 ...
Sul finire del '32 il fascismo celebrò il decennale della rivoluzione.
Fu una sagra di festeggiamenti, sfilate, manifestazioni di tripudio. Per chi aveva, allora, intorno ai 15 anni, parve davvero si trattasse di un grande avvenimento nazionale, che consacrava l'unità e la concordia.
Nel quadro di quelle celebrazioni, Mussolini decise di concedere una amnistia politica. E, ai primi di novembre, fu reso; noto che, in virtù di essa, i condannati per antifascismo rimasti in carcere erano in tutto 337 ...
Poco o niente sapevamo dei fuorusciti, degli esuli in Patria., o dei "bigi,'" verso i quali ultimi, comunque, non nutrivamo simpatia poiché le loro posizioni non sembravano abbastanza nette, come piacciono ai giovani. E poi per il sospetto, efficacemente insinuato dalla scuola, di scarso patriottismo che su essi gravava.
Con il decennale, intanto, la "rivoluzione" era entrata nella fase delle "realizzazioni. "
Era già stato dato, da tempo, il via alla "battaglia del grano".
Ma in quegli anni, fra il '31 e il '35, vuoi per l'entusiastico impegno del clero, basso e alto, sempre in prima fila nelle, premiazioni, vuoi per i fertilizzanti della "Montecatini," che cominciarono ad essere impiegati su vasta scala ("Con la calciocianamide - il villano se la ride", diceva un diffuso slogan) e vuoi, infine, per il sudore dei contadini, si raggiunse una produzione di 73 milioni di quintali annui, con una punta, di 81 milioni nel '33.
C'era in corso, non meno entusiasmante, un'altra battaglia: quella per la bonifica delle terre acquitrinose. L'offensiva era scattata nel basso Piave, nel Maremmano, a Maccarese, a Metaponto, nella piana di Catania, in Sardegna. Ma ciò che più appassionava la gente, sorprendeva i visitatori stranieri, commuoveva i poeti, era il prosciugamento delle paludi Pontine. Nel '32 e '33 tra i monti e il mare, dove prima era squallore e malaria, sorsero due nuove città, Littoria e Sabaudia, e vennero ad abitarle coloni che giungevano dal Veneto e dall'Emilia ...
Una “battaglia" che i giovani non capivano troppo (ma che doveva, essere utile, a giudicare dagli incitamenti e dagli elogi che esperti e giornali continuavano a fare) era quella della lira. All'ingrosso, richiamava l'idea della previdenza e del risparmio su scala nazionale. E quelle erano virtù che le famiglie, allora, insegnavano fiduciosamente.
Sempre in quegli anni, tra il '32 e il '35, si verificarono eventi, iniziative, imprese che, senza assumere la definizione di "battaglie", davano la sensazione di solide conquiste.
Qualche esempio: lo sviluppo dell'aviazione civile, con le note trasvolate e crociere atlantiche, che resero popolari i nomi di Ferrarin, Del Prete, De Pinedo, Balbo. Successi della cinematografia italiana, posta in condizione di produrre su scala industriale. L'incremento delle attività sportive.
Talune manifestazioni che potevano anche infastidire per la retorica "romanistica" e il cerimoniale delle troppe inaugurazioni, come gli scavi antichi, gli svecchiamenti e gli sventramenti
(che accendevano polemiche, quali quelle per l'apertura della via della Conciliazione, a Roma, o per l'"azzardo " della stazione ferroviaria di Firenze) e la lunga nota serie delle opere pubbliche e stradali che - imparammo molti anni dopo - è tipica delle dittature. Ma, intanto, in quel tempo, ai giovani romani fece buona impressione, ad esempio, l'''invenzione" del Lido di Roma, collegato con autostrada, e l'apertura della Città Universitaria, avvenuta nel '34.
Più in generale, superata la crisi economica, del 1929-'31, si verificò, in quegli anni, un notevole incremento nella produzione industriale, specie delle industrie nuove o autarchiche: chimiche, tessili, elettriche, automobilistiche, ecc. In effetti, penso si sian gettate allora le fondamenta o, in alcuni casi, create le condizioni per la nascita degli attuali
monopoli ...
Nel novembre '33, parlando al Consiglio delle Corporazioni della crisi economica mondiale e condannando il capitalismo americano che vi aveva dato origine, Mussolini asseriva che la crisi non era nel sistema, ma del sistema, onde - diceva - "oggi possiamo affermare che il modo di produzione capitalistico è superato"...
L'anno dopo, il 6 ottobre, tornando in un discorso pronunciato a Milano sul motivo della "crisi del capitalismo" come "trapasso da una fase di civiltà a un'altra", il duce additava quale soluzione più avanzata quella corporativa: "l'autodisciplina della produzione affidata ai produttori". "E quando dico produttori" ammoniva, "intendo anche gli operai!" ...
Il 10 novembre '34, Mussolini avvertiva ancora: "Il secolo scorso proclamò l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Il secolo fascista mantiene, anzi consolida questo principio , ma ve ne aggiunge un altro, non meno fondamentale: l'eguaglianza degli uomini dinanzi al lavoro ... "
La politica estera del fascismo sembrava allora orientata verso la stabilizzazione dell'equilibrio europeo.
Nel luglio '33, si era stipulato a Roma, il "patto a quattro (tra Inghilterra, Francia, Italia e Germania), giudicato anche all’estero un successo della politica mussoliniana volta a scongiurare contrasti acuti, scosse e pericoli di conflitto tra i maggiori Paesi europei. Nel settembre di quell'anno il duce e Litvinov firmavano, a palazzo Venezia, un patto di non aggressione tra Italia e URSS .
C'era poi stato, nel giugno successivo il primo incontro tra Mussolini e Hitler, che aveva creato qualche allarme anche tra i giovani, ai quali la vera natura della "rivoluzione" nazionalsocialista non era ignota. E non piaceva. Ma allora in materia di razzismo, il regime si mostrava apertamente polemico verso Berlino.
Nel luglio '34 le prospettive di un avvicinamento alla Germania nazionalsocialista erano state troncate sul nascere dal putsch tentato dai nazisti in Austria con l’ uccisione del cancelliere Dollfuss.
Mussolini aveva immediatamente spedito al Brennero, per impedire la minaccia dell'Anschluss, sessantamila uomini.
Dopo quell'energica mossa, l'arrivo a Roma del presidente del Consiglio francese Laval, nel gennaio '35, parve un sintomo indubbio di più stretta alleanza tra i due paesi latini.
Nell'aprile di quello stesso anno e sempre nel quadro di una politica di contenimento dell'espansione tedesca, infine, si ebbe l'accordo di Stresa, con il quale l'Italia fascista si legava, senza preconcetti ideologici, alle due maggiori democrazie europee: l'Inghilterra e la Francia.
Grazie a questi precedenti, anche l'impresa d'Abissinia, quando cominciò a prospettarsi, tra la primavera e l'autunno del '35, non parve ai più un'avventura coloniale ma il legittimo sforzo per creare a un popolo giovane e prolifico un'area di espansione e portare l'Italia al livello delle grandi potenze europee.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
Cronologia: maggio - dicembre 1936
Dall'Impero alla Spagna (maggio-dicembre 1936)
Perché al lettore riesca più agevole comprendere e collocare in un tempo reale diversi eventi descritti nel sito, penso che possa tornare utile una sommaria cronologia dei principali avvenimenti del periodo cruciale del regime fascista, dal 1935 al 1940, e dei primi due anni di guerra.
Seguendone lo svolgimento, egli potrà cogliere alcune indicazioni. La prima riguarda l'atteggiamento dell'Inghilterra, di pieno favore verso l'Italia fascista.
Prima ne appoggia la politica di potenza nell'area danubiano-balcanica. Poi, anche quando non fu più lecito supporre che tale politica potesse esser vista come un contrappeso all'aggressività tedesca, dopo il consolidamento dell'alleanza tra Roma e Berlino e il palese intervento nazifascista in Spagna, Londra sembra voler chiudere gli occhi e giunge a stipulare con Mussolini un "accordo tra gentiluomini”.
Tanta acquiescenza inorgoglisce e rende temerari tutti gli ambienti fascisti, che si mostrano molto sicuri, dà al popolo italiano l'impressione che il regime sia forte e temuto e scoraggia i pochi che vedono - o intuiscono - i pericoli dell'espansionismo italo-tedesco.
Altra indicazione riguarda l'abilità con cui il fascismo, dal '36, accompagna la politica estera di “revisione" dello status quo di Versailles e di Ginevra e l'intensificazione della stessa preparazione militare con una più accentuata demagogia sociale.
Il fascismo e le democrazie
5-12 maggio '36. Mussolini proclama la vittoria sull'Etiopia e la fondazione dell'Impero. Vittorio Emanuele accetta il titolo di Imperatore. Il Gran Consiglio conferisce al duce quello di "Fondatore dell'Impero”. Il Consiglio dei Ministri nomina Badoglio viceré d'Etiopia. (Il 12 giugno '36, Badoglio cede la carica a Graziani e accetta in cambio, il titolo di «Duca di Addis Abeba, una villa monumentale, in via Bruxelles a Roma, un congruo appannaggio e la tessera ad honorem del PNF.
Metà maggio '36. Commenti stranieri (riferiti dalla stampa fascista). Parigi: "Le truppe italiane, solo argine alla ferocia etiopica". Berlino: "L'opera di civiltà degli italiani in Etiopia corona la pace romana imposta dalle armi fasciste all'impero della barbarie". Londra: "Tanto Chamberlain che Churchill si pronunciano con molta energia, ai Comuni, contro le sanzioni". Stati Uniti (dichiarazione dell'ambasciatore americano a Roma): “La vittoria italiana ha il valore di una nuova garanzia di pace in Europa".
15 maggio '36. Il vescovo cattolico di Harrar bacia e benedice gli ufficiali italiani, salutandoli come liberatori.
18 maggio '36. In una grande adunata di giovani fascisti, in piazza del Duomo a Milano, il cardinale Schuster esalta la vittoria in Africa e invoca "la benedizione dell'Augusta Triade sopra i gerarchi magni e minori".
30 maggio '36. Il ministro degli Esteri inglese Eden riferisce al Gabinetto sul colloquio avuto con l'ambasciatore d'Italia a Londra. Tutta la stampa inglese rileva "la migliorata atmosfera tra i due Paesi".
9 giugno '36 . Galeazzo Ciano è nominato ministro degli Esteri.
12 giugno '36. Chamberlain pronuncia ai Comuni un discorso molto amichevole per l'Italia. Eden annuncia che l'Inghilterra sosterrà l'abrogazione delle sanzioni.
4 luglio :36. L'Assemblea della Società delle Nazioni vota quasi all'unanimità la cessazione delle sanzioni, a partire dal 15 luglio. (In realtà nessuno dei Paesi legati da traffici commerciali all'Itala, applicò, infatti, con rigore le clausole che avrebbero dovuto interromperli. Gli Stati Uniti si rifiutarono di accoglierle, anche in linea di principio. L'URSS continuò a spedire in Italia i suoi carichi di nafta e così avvenne per altre materie essenziali di varia provenienza che, direttamente o meno (attraverso la Germania. il Brasile, la Svizzera), seguitarono a giungere. Perfino dall'Inghilterra, il Paese apparentemente più rigido, partirono per l'Italia materiali bellici. In definitiva, l'infelice iniziativa servi unicamente ad offrire un argomento di grande efficacia “patriottica" alla propaganda fascista).
9 luglio '36. Le domande di iscrizione alla milizia hanno raggiunto la cifra di 715.244.
25 luglio '36. L'Assemblea degli industriali vota un indirizzo di devozione al duce per "le grandiose prospettive aperte nell'Impero". (Nelle precedenti settimane, i giornali avevano annunciato un grandioso programma di lavori pubblici per Addis Abeba e l'Impero: mille tecnici, 30.000 operai bianchi, 100.000 indigeni si accingevano a costruire le strade fasciste in Etiopia, con una spesa prevista in un miliardo e mezzo).
Fine luglio '36. Ha inizio l'offensiva contro gli aumenti dei prezzi (già in atto da diversi mesi) e si procede ad aumenti salariali per diverse categorie (edili, metallurgici, tessili, ecc.).
Notizie della Spagna
1° agosto '36. Mentre si inaugurano a Berlino le Olimpiadi e se ne celebra il significato di “pace agonistica tra i forti”,
giungono confuse notizie dalla Spagna, dove un generale ribelle, certo Franco, si sarebbe posto alla testa di una sedizione militare. Truppe marocchine e della Legione Straniera ai suoi ordini, sono sbarcate sulla penisola iberica, in vari centri della quale sono esplosi focolai insurrezionali. A Malaga, è in corso una sanguinosa battaglia.
Primi di agosto '36. Notizie dalla Spagna: gli insorti hanno costituito a Burgos un governo provvisorio, dandone notizia ufficiale alle cancellerie. 18 provincie spagnole su 47 sarebbero sotto il loro controllo. A Barcellona, Madrid, S. Sebastiano, Albacete, la rivolta franchista è stata soffocata. A Toledo, i ribelli si sono asserragliati nell'Alcazar, con donne e bambini come ostaggi.
9 agosto '36. Per la prima volta la stampa italiana, che ha chiamato finora i seguaci di Franco."ribelli", adotta per essi la definizione di "forze nazionali".
Fine agosto '36. Le "forze nazionali" hanno conquistato Badajoz e avanzano verso S. Sebastiano e Irun, attaccate da terra e dal mare. Tutta l'Estremadura è in mano loro.
1° settembre '36. Al termine delle manovre militari di Irpinia, il duce annuncia in un rapporto nella campagna di Avellino che "l'Italia è pronta a mobilitare otto milioni di baionette".
9 settembre '36. Si riunisce a Londra il Comitato per il non-intervento in Spagna, per iniziativa inglese. Vi partecipano i governi di Londra, Parigi, Roma, Berlino e Mosca. I rappresentanti italiani e tedeschi accusano i governi di Parigi e di Mosca di aver dato appoggio ai repubblicani spagnoli, con armi e volontari.
Gli accordi per il non-intervento, sollecitati dagli inglesi, implicano il riconoscimento di fatto delle due parti in conflitto: il governo repubblicano di Madrid, presieduto da Largo Caballero, e quello insediato a Burgos dai generali ribelli che si raccolgono intorno a Franco.
Settembre '36. Notizie dalla Spagna: i franchisti hanno conquistato Irun e S. Sebastiano e puntano su Madrid. Il rappresentante del governo·repubblicano denuncia alla Società delle Nazioni la partecipazione di forze armate italiane e germaniche in appoggio ai franchisti.
Demagogia in Italia
Settembre '36. Prosegue, in Italia, la battaglia contro i prezzi e per "il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori".
Nel corso di diverse solenni sedute, il Consiglio dei ministri e il Comitato corporativo centrale hanno deciso una serie di misure sociali: 1) aumenti salariali e di stipendio (dal 5 al 10% per numerose categorie lavoratrici e dell'8% per gli impiegati statali); 2) miglioramenti mutualistici; 3) occupazione integrale dei reduci dall'AOI; 4) sgravi fiscali e doganali; 5) diminuzione generale dei prezzi (che hanno continuato a subire aumenti da circa un'anno). Il controllo di questo settore è affidato alla "vigile e energica azione del PNF".
6 ottobre '36. Il Consiglio dei ministri ristabilisce il valore della lira a quota 90 (rispetto alla sterlina) e, nel quadro della battaglia contro i prezzi, chiede il blocco degli affitti, gas, luce, acqua, trasporti.
È anche stabilita una imposta straordinaria sui profitti delle società che abbiano concesso, nell'ultimo triennio, dividendi superiori al. 6%. (Non vengono, però, presi in considerazione dall'imposta gli aumenti di capitale con distribuzione gratuita di nuove azioni ai possessori delle vecchie, che costituiscono la forma più diretta e consueta di distribuzione degli utili).
9 ottobre' '36. Mussolini annuncia, in una solenne seduta in Campidoglio, che sarà tenuta in Roma una Esposizione Universale nel '41.
11 ottobre '36. Il Consiglio dei ministri approva un “imponente programma militare": milleduecento industrie belliche. lavoreranno sotto il controllo di una speciale commissione. Si gettano le basi per una "adeguata difesa contraerea di tutto il territorio nazionale".
21-25 ottobre '36. Il ministro Ciano si reca in visita a Berlino, dove fissa con Hitler e Von Neurath i termini della "collaborazione tra i due popoli e le due rivoluzioni”. La stampa italiana dà particolare risalto all'avvenimento, che inaugura una fase nuova nei rapporti tra i due Paesi e un nuovo equilibrio nella situazione dell'Europa.
29 ottobre '36. La stampa informa che 27 milioni di italiani hanno partecipato alle adunate celebrative del XIV annuale della rivoluzione.
Fine ottobre '36. A due, mesi dal suo iniziò la conferenza internazionale che dovrebbe definire gli impegni di non intervento in Spagna non ha conseguito nessun risultato.
I giornali italiani denunciano ogni giorno il governo di fronte popolare presieduto da Leon Blum, a Parigi, di inviare armi e volontari, attraverso i Pirenei, ai "rossi" di Madrid. (Notizie non ufficiali riferiscono che, in Italia, persone che avevano avanzato domanda di volontariato per la guerra etiopica e anche ufficiali di prima nomina sarebbero raccolti in centri di imbarco e inviati, senza documenti personali e con speciale divisa, nel territorio spagnolo occupato dai franchisti. Tale destinazione è definita dalla posta militare "OMS": significa "Oltre Mare Spagna").
Siamo amici dell'Inghilterra
l° novembre '36. In una importante adunata in piazza del Duomo, a Milano, Mussolini fa il punto della situazione internazionale e proclama la fine delle "ideologie wilsoniane” e del "tartufesco equilibrio" che la Società delle Nazioni si sforza di conservare a danno dei popoli giovani.
6 novembre '36. Hanno inizio a Roma, tra Ciano e l'ambasciatore britannico Drummond, trattative per la ripresa delle relazioni commerciali italo-inglesi e per un'eventuale intesa politica generale.
9-12 novembre '36. Ciano presiede a Vienna la Conferenza tripartita (tra Italia, Austria e Ungheria) che registra il pieno accordo dei tre Paesi su tutti i problemi internazionali del momento.
Metà novembre '36. Notizie dalla Spagna: iniziato l'attacco franchista a Madrid, bombardata violentemente dall'aria; il governo di Largo Caballero si trasferisce a Valencia; Il gen. Miaja è incaricato della difesa di Madrid, dove i franchisti hanno occupato diversi quartieri.
18 novembre '36. I governi di Roma e di Berlino riconoscono il governo di Franco, insediato a Burgos.
21 novembre '36. Radio Mosca annuncia che, dopo il riconoscimento italo-tedesco di Franco e l'appoggio militare che Roma e Berlino danno ai ribelli, l'URSS invierà aiuti al governo di Caballero.
24-25 novembre '36. Il reggente d'Ungheria Horty giunge a Roma e rende visita al re e a Mussolini. La stampa. esalta l’amicizia tra i due Paesi.
28 novembre '36. Violento attacco di aerei "nazionali" a Cartagena: tre navi repubblicane affondate.
29 novembre '36. Il governo repubblicano spagnolo chiede la convocazione del Consiglio della Società delle Nazioni, per denunciare l'intervento militare italo-tedesco in aiuto a Franco.
30 novembre '36. Solenne riapertura della Camera a Roma: i deputati in divisa, tributano al duce il trionfo e lo accompagnano in corteo fino a palazzo Venezia, inneggiando all'alleanza con la Germania e alle vittorie "nazionali" in Spagna.
Dicembre '36. Proseguono tra Ciano e Drummond le trattative per un accordo italo-inglese. (In seguito si saprà che, a fine novembre, è stato siglato un accordo "segreto" tra Roma e Burgos, per l'intervento italiano in Spagna, di cui l’lntelligence Service ha subito dato notizia a Londra).
12 dicembre '36. Il Consiglio dei ministri fissa la settimana lavorativa in 40 ore e decreta numerose altre provvidenze in favore dei lavoratori. Nuove misure sono adottate per impedire l'aumento dei prezzi.
15 dicembre '36. Si ripete al Senato la travolgente manifestazione di fede e devozione per il duce.
19 dicembre '36. Il duce inaugura Littoria.
21 dicembre '36. Londra e Parigi trasformano le proprie Legazioni di Addis Abeba in Consolati.
22 dicembre '36. La stampa informa genericamente che 3.000 "volontari" italiani sono sbarcati a Cadige.
2 gennaio '37. È firmato a Roma un trattato di amicizia italo-inglese (Gentlemen's agreement) che stabilisce la libertà di navigazione nel Mediterraneo.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
Cronologia: gennaio 1937 - aprile 1938
Il fascismo trionfante (gennaio 1937-aprile 1938)
Particolare rilievo, per il suo valore "esemplare," assume in questo periodo il comportamento dei Paesi democratici nei confronti del fascismo.
Al riguardo, occorre rammentare, innanzitutto, lo stillicidio dei riconoscimenti dell'Impero che annullano e capovolgono la sia pur sterile posizione di condanna assunta dai 52 Paesi sanzionisti nel novembre '35. Abolite le sanzioni nel luglio '36, il primo Paese che riconosce l'Impero è la Germania, nell'ottobre successivo. Seguono, nel novembre, Austria e Ungheria; nel dicembre Cile, Giappone, Svizzera; nei primi mesi del '37, Olanda, Romania, Lettonia, Polonia, Cecoslovacchia, Brasile, ecc.; un anno dopo, i Paesi che hanno riconosciuto l'Impero, sono poco meno di cinquanta.
L'intervento in Spagna
In quello stesso periodo prosegue, la commedia (che fu poi una tragedia) del "non-intenvento" in Spagna. Ecluse l'URSS e la Francia del "fronte popolare," gli altri Paesi, a cominciare dall'Inghilterra, simulano di voler impedire, per mezzo di lunghe e oziose trattative, interventi stranieri nel conflitto spagnolo. In realtà è perfettamente noto, al Foreign Office come nelle altre Cancellerie, che dalla parte dei repubblicani scendono in campo autentici volontari (il cui apporto è più una testimonianza di fede che un contributo militare) mentre, in appoggio a Franco, Mussolini e Hitler mandano aerei, cannoni e truppe regolari.
È, comunque, sintomatico che il periodo durante il quale Mussolini perpetra sfacciatamente. l'aggressione alla Spagna “rossa" si trova chiuso tra due avvenimenti diplomatici che consacrano la complicità - almeno, la cecità - dell'Inghilterra: il gentlemen's agreement siglato a Roma il 2 gennaio '37 e il "patto di amicizia tra i due Imperi" stipulato il 15 aprile '38, con il quale si definiscono le rispettive zone di influenza nel Medio Oriente.
Tale compiacenza inglese favorisce lo sviluppo della politica estera fascista, volta a far assumere all'Italia un ruolo egemonico nel Mediterraneo, in Africa e nella regione danubiano-balcanica, come è provato dalla intensificazione dei rapporti diplomatici, nel corso del '37, tra Roma e Vienna, Budapest, Belgrado, Tirana, dal viaggio di Mussolini in Libia, che si fa consegnare la spada di “protettore dell'Islam" nel marzo '37 e dal massiccio intervento militare in Spagna.
Non è privo di interesse notare, intanto, che Berlino limita il proprio appoggio a Franco ad un intervento di qualità (che serve soprattutto a collaudare l'aviazione da guerra tedesca), lasciando a Roma l'onere di una partecipazione che completa l'usura dell'apparato militare italiano già provato dalla campagna d'Etiopia.
Secondo notizie attendibili, l'Italia, consumò nella "campagna di Spagna" circa mille cannoni e mille aerei, nonché 14 miliardi di lire al valore del '37-'38 uscendone, nell'estate '39, in condizioni di grave menomazione che la rendevano il Paese relativamente più debole d'Europa.
Se perfino da questo punto di vista (cioè, da un punto di vista fascista) l'intervento in Spagna si risolse in un grossolano errore, non meno serie e decisive furono le sue conseguenze nei riflessi dell'opinione pubblica, in seno alla quale si operò una lacerazione che, poco dopo, la più stretta alleanza con la Germania e il razzismo resero anche più profonda.
Occorre qui rammentare due circostanze di segno opposto.
Da un lato accadde che, a frenare il sentimento di rivolta dell'opinione pubblica, intervenne la propaganda cattolica, la quale mai come in occasione della Spagna si era impegnata a sostenere una così scoperta impresa, aggressiva con argomenti da "crociata ideologica".
D'altro canto e malgrado che la stampa d'ispirazione vaticana gareggiasse ogni giorno con i grandi quotidiani di informazione e con quelli del partito nell'aizzare l'opinione pubblica contro i "rossi" (spesso in base a veri e propri falsi di documenti e di fotografie), accadde anche che, proprio in quel tempo, si diffuse la pratica di ascoltare le radio straniere: quelle di Madrid e di Barcellona, innanzi tutto, e poi Londra, Mosca e alcune trasmittenti che si dicevano clandestine come "Milano Libertà" e "Italia Libertà”.
Per questo nel venire a una rapida rievocazione delle notizie che gli italiani conobbero in quei quindici mesi, mi è parso indispensabile registrare, insieme alle prime "voci" che, allora, cominciarono a circolare anche fuori degli ambienti iniziati, tra la gente, comune, alcune informazioni provenienti dall'ascolto di radio straniere, contro il quale il regime si impegnò in una battaglia furibonda che, tuttavia, perse.
Le ragioni dello smarrimento e dello sconforto
6 gennaio '37. Gli Stati Uniti dichiarano la propria rigorosa neutralità nel conflitto spagnolo.
30 gennaio '37. Hitler espone al Reichstag le rivendicazioni coloniali tedesche, che la stampa italiana trova fondate e commenta come una via d'uscita per garantire l'equilibrio europeo.
8 febbraio '37. Cade Malaga, per opera dei volontari italiani. Inizia l'offensiva franchista nei Paesi Baschi. La caduta di Madrid seguita a essere data come imminente dalla stampa italiana.
9 febbraio '37. Il card. Ascalesi celebra nella Cattedrale di Napoli un rito in favore di Franco e delle sue forze.
Fine febbraio '37. Inghilterra, Francia, URSS, Italia e Germania si accordano per vietare, qualsiasi intervento di volontari in Spagna. (In questo momento l'Italia ha in Spagna più di 50.000 volontari, la Germania alcune migliaia di specialisti, soprattutto aviatori. Dalla parte repubblicana, sono affluiti dalla Francia diverse migliaia di autentici volontari, di varie nazionalità, tra cui molti italiani.
19 febbraio '37. Ad Addis Abeba un attentato ha ferito il viceré Graziani e provocato diverse vittime. Si parla di feroci rappresaglie.
26 febbraio' 37. Il “ribelle" ras Desta, catturato in Etiopia, è passato immediatamente per le armi.
dal “Giornale della classe” di una scuola elementare di Lissone
2 marzo '37. Il Gran Consiglio decide: 1) la militarizzazione di tutti i cittadini in età dai 18 ai 55 anni; 2) la solidarietà a Franco; 3) il consolidamento dei rapporti con la Germania; 4) il conseguimento di un'intesa con l'Inghilterra che “chiarisca tutti i problemi esistenti tra i due Imperi”; 5) l'autarchia.
5 marzo '37. Il Gran Consiglio fissa le direttive per l'incremento demografico: vantaggi e premi per le famiglie numerose; soppressione dei comuni e delle provincie che riveleranno una seria decadenza demografica.
Seconda metà marzo '37. Dopo vari giorni di notizie incerte e reticenti, si apprende che le forze fasciste in Spagna hanno subito una pesante sconfitta a Guadalajara, con gravi perdite e notevole numero di prigionieri catturati dai “rossi”.
Fine marzo '37. Si parla di inasprimenti polizieschi in atto, specie per cogliere gli ascoltatori di radio straniere e clandestine. Voci di. arresti in Lombardia, Veneto e Emilia.
23 marzo '37. Mussolini pronuncia un violento discorso, prendendosela soprattutto con la stampa straniera che esalta la vittoria "rossa" di Guadalajara e, ammonendo gli italiani ,a "tenersi pronti".
25 marzo '37. Ciano firma un accordo politico e militare con la Jugoslavia.
Inizio aprile '37. Il ministero della Cultura Popolare, a causa della deficienza di carta, vieta la pubblicazione di nuovi giornali e periodici.
11 aprile '37. Il fascista Degrelle ottiene una buona affermazione elettorale in Belgio.
14 aprile '37. Il Consiglio dei ministri decide l'istituzione della "cultura militare" nelle scuole.
Metà aprile '37. Il Comitato corporativo centrale decide un nuovo aumento delle retribuzioni (dal 10 al 12% per i salari e l'8% per gli stipendi statali), nonché altri miglioramenti come gli assegni familiari.
18 aprile '37. Le quattro provincie libiche entreranno a far parte integrante del territorio nazionale.
Fine aprile '37. Secondo voci degli ambienti fascisti, sarebbero in corso trattative con Franco per ottenere che, in caso di vittoria, la corona di Spagna sia offerta al re d'Italia o, in via subordinata, al Duca d'Aosta. Si apprende, intanto, via radio, che negli ultimi giorni del mese aerei tedeschi hanno compiuto feroci, bombardamenti sulle cittadine basche di Guernica, Durango e Elgueta. La stampa italiana si diffonde nel riferire contrasti e conflitti tra comunisti e anarchici nella Spagna "rossa".
22 aprile '37. Mussolini si incontra con il cancelliere austriaco Schuschnigg a Venezia. Non si conosce il reale contenuto dei colloqui, ma si dice che il duce abbia sollecitato l'ospite alla "moderazione" nei riguardi di Berlino.
26 aprile '37. Goering giunge a Roma e ha con Mussolini un colloquio di tre ore, di cui pure non si hanno notizie particolareggiate.
5 maggio '37. Giunge a Roma: anche il ministro degli Esteri tedesco, von Neurath, che ha numerosi incontri con Ciano.
Metà maggio '37. La situazione internazionale appare inasprita. A seguito delle polemiche di stampa in corso, Roma decide di vietare l'ingresso in Italia di giornali inglesi e di richiamare da Londra tutti i corrispondenti di giornali italiani.
Durante la celebrazione del 1° annuale dell'Impero, Mussolini decora i vessilli dei reparti combattenti in Spagna, che ricevono la benedizione del Vescovo castrense. È la prima volta che l'intervento fascista in Spagna trova riconoscimento in una manifestazione ufficiale.
19 maggio '37. Dopo lungo e aspro combattimento Bilbao è evacuata dai repubblicani. Si costituisce, nella Spagna repubblicana, un nuovo governo presieduto da Negrin, che decide di prendere sede a Barcellona.
20-24 maggio '37. I sovrani d'Italia rendono al reggente Horty la visita dello scorso anno, recandosi in Ungheria.
29 maggio '37. Hitler pronuncia un minaccioso discorso nel quale afferma, tra l'altro, che la “Germania è ormai in grado di difendere il proprio onore e la propria sicurezza”.
Fine maggio '37. Nel corso di un bombardamento aereo della base di Maiorca da parte dell'aviazione repubblicana sono affondate la nave italiana " Barletta" e l'incrociatore tedesco "Deutschland". Forze navali tedesche effettuano un violento bombardamento di rappresaglia ad Almeria.
Ponendo fine a una lunga e grottesca pantomima, Italia e Germania si ritirano dagli organismi di controllo per il non intervento.
Metà giugno '37. Si ha notizia dell'uccisione dei fratelli Rosselli in Francia. La stampa fascista, seguendo una ispirazione di Giovanni Ansaldo, direttore de Il Telegrafo, ne attribuisce la responsabilità ai fuorusciti. Il delitto suscita viva impressione nell'opinione pubblica italiana, anche fascista.
La doccia scozzese
8 luglio '37. Si ha notizia di una offensiva repubblicana sul fronte centrale: Brunete, Quijorna e Villanueve sono state liberate.
20 luglio '37. Situazione tesa anche in estremo oriente: il Giappone ha attaccato la Cina.
Fine luglio '37. Nuovi. tentativi diplomatici per il ritiro dei volontari dalla Spagna falliscono per l'opposizione italotedesca.
21 agosto '37. Al termine d'un trionfale giro in Sicilia, Mussolini annuncia·a Palermo l'attacco al latifondo. Durante il discorso afferma che l'asse Roma-Berlino è ormai “una realtà incontrovertibile", ma assume un tono conciliante verso l'Inghilterra. Molte vane congetture si fanno su questo mutato atteggiamento.
25 agosto '37. Truppe italiane espugnano Santander. La vittoria è celebrata dalla stampa con molto chiasso ed è contrapposta alla bruciante sconfitta del marzo, a Guadalajara.
Agosto-settembre '37. Proseguono, nel corso dell'estate, “misteriosi" siluramenti nel Mediterraneo ad opera di sottomarini fantasma (notoriamente italiani e tedeschi).
In Cina, i giapponesi avanzano e effettuano micidiali bombardamenti aerei su Schangai, Nanchino e numerose altre città.
Tra Berlino e Roma si instaura una singolare gara al “più antibolscevico". In una spettacolare adunata di dirigeriti nazisti a Norimberga, Hitler proclama, il 7 settembre, rivolgendosi alle democrazie “imbelli e cocciute", che la Germania è “l'unico baluardo contro il bolscevismo". Il 9 settembre Mussolini fa affluire a Roma 100.000 .gerarchi e pronuncia “un forte discorso contro il bolscevismo".
Alla fine, i due dittatori si mettono d'accordo, in occasione del viaggio effettuato da Mussolini in Germania dal 24 al 29 settembre. Nel suo corso, il duce pronuncia, davanti a un milione di berlinesi, il “discorso del Campo di Maggio" per asserire che un “fronte compatto di 115 milioni di uomini" è ormai schierato contro il bolscevismo e i suoi manutengoli. Con oltre cento inviati, la stampa fascista celebra l'avvenimento come uno dei più importanti del secolo.
Ottobre '37. Tutte le forze giovanili del regime, a partire dal 28 ottobre, saranno inquadrate militarmente dalla GIL.
Per quanto riguarda la Spagna, gli ultimi tentativi di accordo internazionale per il non-intervento sono stati rotti agli inizi del mese. Intanto, con la caduta di Gijon, il fronte “rosso" del Nord è stato eliminato e l'intera regione è in mano alle “forze anti-bolsceviche".
6 novembre '37. È siglato tra Roma, Berlino e Tokio il patto antikomintern.
9 novembre '37. Il comando giapponese in Cina annuncia il completo accerchiarnento di Schangai.
11 dicembre '37. I romani sono convocati a piazza Venezia: Mussolini annuncia trionfalmente che l'Italia ha deciso di abbandonare la Società delle Nazioni. (All'entusiasmo ufficiale, si accompagnano commenti negativi e allarmanti. Circolano insistentemente voci che anche diversi gerarchi sarebbero contrari all'eccessivo infeudamento alla Germania).
13 dicembre '37. I giapponesi hanno occupato Nankino.
Fine dicembre '37. I repubblicani hanno iniziato una forte offensiva in direzione di Teruel, che riconquistano il 23.
Il tragico e il grottesco
10 gennaio '38. Sessanta vescovi e duemila parroci "benemeriti della battaglia del grano" convengono a Roma, dove sono accompagnati a rendere omaggio al Milite Ignoto e al sacrario dei martiri fascisti. Ricevendoli a Palazzo Venezia, Mussolini li arringa con fiere parole, esaltando la potenza demografica dell'Italia, "baluardo della cristianità contro il bolscevismo".
Inizi gennaio '38. Mentre la stampa fascista trasferisce le corrispondenze dalla Spagna in ultima pagina, le radio spagnole comunicano che la battaglia di Teruel è costata alle forze franchiste oltre 30.000 uomini.
13 gennaio '38. Austria e Ungheria si dichiarano pienamente solidali con la politica dell'asse e riconoscono il governo di Burgos.
Fine gennaio '38. Da tre settimane l'aviazione italiana e tedesca bombardano sistematicamente Barcellona. Le radio spagnole parlano di migliaia di vittime tra la popolazione civile.
1° febbraio '38. In occasione dell'annuale parata della milizia, i reparti sfilano al passo dell'oca. Il re e Badoglio, che si sarebbero opposti tenacemente all'innovazione, assistono alla sfilata dando segni di compiacimento. È reso noto che il nuovo passo sarà adottato da tutte le forze armate.
4 febbraio '38. Si apprende da Berlino che un vasto rimaneggiamento è stato operato nelle alte gerarchie naziste: il ministro degli Esteri Von Neurath è sostituito con il “duro" Ribbentrop e il ministro della Guerra Fritsch con Blomberg. (Secondo alcuni, parrebbe che si sia scoperto un complotto militare anti-nazista, in cui lo stesso Fritsch sarebbe stato implicato. Si dice che circa 200 ufficiali superiori si troverebbero agli arresti).
Inizio febbraio '38. Si apprende che la polizia francese ha tratto in arresto gli assassini dei fratelli Rosselli, tutti membri di un'associazione segreta di estrema destra. (Indiscrezioni “segretissime" ma assai diffuse assicurano che l'eliminazione dei Rosselli sarebbe stata “commissionata" dal controspionaggio italiano).
Fine febbraio '38. I franchisti hanno sferrato una controffensiva sul fronte di Teruel, rioccupata il 22.
Meta marzo '38. L'attacco franchista si estende all'Aragona. La situazione sembra volgere decisamente a sfavore dei repubblicani, che oppongono una estrema resistenza a Caspe.
Le forze franchiste sarebbero penetrate per oltre 80 km nell'Aragonese, a prezzo di duri combattimenti. Lo stesso gen. Bergonzoli è stato ferito. (Le solite voci riferiscono che l'offensiva sarebbe stata preceduta da una epurazione dei legionari italiani, tra i quali da mesi serpeggiava vivo malumore: circa duemila "volontari" sarebbero stati rimpatriati e, all'arrivo nei porti italiani, tratti in arresto).
Intensificati i bombardamenti terroristici dell'aviazione fascista su Barcellona: nella sola giornata del 18 marzo, secondo le radio spagnole, avrebbero causato oltre mille morti e tremila feriti tra la popolazione.
Il presidente Negrin rivolge un appello al mondo e chiede agli spagnoli altri centomila volontari per arginare l'offensiva franchista.
23 marzo '38. I franchisti riescono a varcare l'Ebro e avanzano verso il mare.
27 marzo '38. I franchisti entrano in Catalogna.
1° aprile '38. L'estrema difesa dei repubblicani a Lerida è infranta dalle forze franchiste.
9 aprile '38. Anche a Tolosa la resistenza repubblicana è sopraffatta dalla schiacciante superiorità degli attaccanti. La stampa fascista annuncia che, con la caduta di questa città, il 65% del territorio spagnolo è controllato dalle "forze nazionali".
10 aprile '38. Il governo di fronte popolare presieduto da Leon Blum si dimette a Parigi. La stampa fascista annuncia che reparti repubblicani in rotta avrebbero varcato i Pirenei e cercato rifugio in Francia.
15 aprile '38. I franchisti raggiungono la costa mediterranea, spezzando in due il territorio controllato dai repubblicani.
In questo medesimo giorno, mentre sia dai trionfali annunci della stampa fascista che dai disperati appelli delle radio Barcellona e Madrid si ha netta la percezione che la tragedia del popolo spagnolo sta per compiersi, l'ambasciatore inglese a Roma Drummond firma, con Ciano, un accordo in base al quale le due potenze si impegnano al mantenimento dello status quo nel Mediterraneo, allo scambio di informazioni militari, a rinunciare alla propaganda ostile tra le due parti e, da parte italiana, si danno garanzie di non avere mire territoriali, politiche o economiche nella penisola iberica e di aderire al progetto inglese per il ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
Cronologia: il 1938
Cronologia - L'anno cruciale: il 1938
Vengono messe in evidenza le tappe fondamentali del cammino e dell'iniziazione alla guerra che furono fatte percorrere dal regime fascista alla gioventù italiana.
I precedenti
Fine luglio '34. Putsch nazista a Vienna, uccisione di Dollfuss, concentrazione di forze italiane al Brennero
Gennaio-aprile '35. La situazione sembra rasserenarsi con l'intesa italo-francese (il patto Laval-Mussolini che, in realtà, diede mano libera all'aggressione in Etiopia) e, poi con la Conferenza di Stresa dell'aprile che lascia sperare in solido accordo italo-franco-inglese contro la minaccia di Hitler che, nel marzo, in spregio ai trattati di pace, ha ripristinato il servizio militare obbligatorio, sulla base di 36 divisioni.
21 maggio '35. Il Reichstag emana una legge per cui tutti i cittadini tedeschi, donne comprese, saranno militarizzati in caso di guerra.
4 agosto '35. Goebbels pronuncia a Essen un violento discorso per annunciare un attacco a fondo contro "la peste giudaica".
Ottobre '35. In seguito all'aggressione dell'Etiopia, si teme per alcune settimane che l'Inghilterra faccia intervenire la flotta. Poi si vede, dal momento che non impedisce neppure il passaggio dei convogli militari italiani per il Canale di Suez, che le reazioni dei Paesi democratici e antifascisti si ridurranno alle "inique sanzioni" societarie.
20 ottobre '35. La Germania abbandona la Società delle Nazioni
Gennaio '36. Il Congresso americano approva una legge che stabilisce la neutralità degli Stati Uniti in caso di conflitto in Europa.
7 marzo '36. Dopo il ripristino del servizio militare e della scuola di guerra, vietati dai trattati, Hitler denuncia anche formalmente i trattati di Versailles e di Locarno e procede all'occupazione militare della Renania. Le reazioni anglo-francesi si limitano alle proteste diplomatiche; gli Stati Uniti si sono già dichiarati neutrali; Belgio, Olanda e gli altri minori Paesi interessati non fiatano; l'Italia è impegnata in Etiopia.
29 marzo '36. 44.411.911 tedeschi, su 44.431.102 votanti, si pronunciano in favore della politica hitleriana.
11 luglio '36. È stipulato un accordo austro-germanico in cui è riconosciuta l'indipendenza territoriale dell'Austria.
18 luglio '36. L'obiettivo o il falso scopo (momentaneo) di Hitler si sposta: il Senato di Danzica, dove i nazisti hanno il 60% dei seggi, abolisce lo statuto della "Città libera" e sopprime tutte, le libertà democratiche, compresa quella religiosa per gli ebrei.
Fine luglio '36. Ha inizio la guerra civile in Spagna.
30 luglio '36. Durante il passaggio della fiaccola olimpica per Vienna, i nazisti provocano incidenti che la stampa italiana non riporta.
Ultimo quadrimestre '36. Le cancellerie sono prese dalla pantomima del non-intervento in Spagna, mentre Hitler e Mussolini intervengono in modo sempre più massiccio e scoperto.
Gennaio '37. Hitler pone il problema della restituzione delle colonie di cui la Germania è stata privata dai trattati di pace del 1919.
19 febbraio '37. È stipulato un accordo ceco-germanico per il riconoscimento delle minoranze tedesche in Cecoslovacchia.
Il resto del 1937 è assorbito dagli sviluppi e dalle alterne vicende della guerra di Spagna; in cui l'Italia si trova scopertamente impegnata.
Col finire del '37 anche in virtù di questa stolta politica di compromissione nella guerra spagnola, la sudditanza di Roma verso Berlino, diviene completa. Tanto che Hitler si può permettere, proprio a spese dell'"alleato" italiano, nella primavera del '38, la sua prima, mossa azzardata: l'Anschluss.
Finis Austriae
Eccone la cronaca.
4 febbraio '38. Hitler assume il comando delle forze armate tedesche.
12 febbraio '38. Hitler convoca il Cancelliere austriaco Schuschnigg a Berchtesgaden per un “leale esame dei problemi austro-tedeschi".
15 febbraio '38. Schuschnigg rimaneggia il proprio gabinetto, nominando ministro, degli Interni il noto nazista Seiss-Inquart.
24 febbraio '38. Nel corso di una drammatica seduta del Parlamento viennese, Schuschnigg dichiara il proposito di difendere l’indipendenza austriaca. L'Europa trattiene il fiato; Roma tace.
9 marzo '38. Il governo di Vienna annuncia per il 13 un plebiscito sull'indipendenza del Paese.
11 marzo '38. Berlino invia un ultimatum a Vienna, per impedire il plebiscito. Schuschnigg si dimette e i poteri di presidente del Consiglio sono assunti dal ministro dell'Interno Seiss- Inquart. L'Europa continua a guardare in silenzio e Mussolini, già protettore dell'Austria, dei suoi Cancellieri e delle loro vedove, è tutto preso dalle funerarie celebrazioni di Gabriele D'Annunzio, morto una settimana prima a Gardone.
12 marzo '38. Le truppe tedesche varcate le frontiere austriache, raggiungono Vienna, dove Hitler si proclama “Fuhrer dell'”Anschluss” (unione austro-tedesca). Da qui scrive a Mussolini una lettera nella quale spiega come, “essendo Schuschnigg venuto meno agli impegni e essendo il popolo austriaco insorto contro la progettata violenza di un plebiscito", egli non abbia potuto fare a meno, come "uomo di carattere", di intervenire in forze. Rammenta "la fermezza di sentimenti dimostrata in un'ora critica per l'Italia" (l'ora delle finte sanzioni) e assicura che "la frontiera del Brennero non sarà mai toccata". Si scusa della fretta, dovuta al fatto che “lo sleale comportamento" del Cancelliere austriaco lo ha "colto di sorpresa”.
13 marzo '38. Il Gran Consiglio fascista prende atto della “cordiale lettera del Führer" e respinge una proposta di Parigi intesa a concertare un'azione "senza base e senza scopo”.
16 marzo '38. Mussolini illustra alla Camera i motivi per cui l'Italia non ha ritenuto di opporsi all'Anschluss come tre anni e mezzo prima, e assicura che Roma è stata puntualmente informata di tutto e si considera soddisfatta.
Fine marzo '38. L'impressione in Italia è enorme. Si riferisce che, anche nelle alte sfere del fascismo, vi. sarebbe stata una rivolta contro Mussolini. Balbo si sarebbe recato dal duce per discutere "con la rivoltella sul tavolo". Bottai, Grandi e lo stesso Ciano avrebbero presentato le dimissioni. Sta di. fatto che Ciano non sì è presentato, il 24, alla Camera per tenere il tradizionale discorso di replica sul bilancio degli Esteri: il bilancio è stato approvato, in assenza del ministro, per acclamazione.
26 marzo '38. Goering annuncia che 300:000 ebrei saranno allontanati da Vienna.
Metà aprile '38. Malumore e fermento sono vivi in Italia, anche negli strati fascisti dell'opinione pubblica. Non giungono però incoraggiamenti o esempi dall'alto: né dalla corona, né dal mondo della cultura e neppure dalla Chiesa, che assiste praticamente passiva alla fagocitazione dell'Austria cattolicissima, limitandosi a una blanda sconfessione del cardo Innitzer, primate austriaco, che ha fatto pubbliche dichiarazioni filo-naziste.
Si hanno, viceversa, segni di acquiescenza sconcertanti e deprimenti: il 2 aprile, Londra riconosce l'annessione dell'Austria alla Germania; il 10 aprile il popolo austriaco, cui i nazisti ora impongono il plebiscito che avevano proibito a Schuschnigg, si sarebbe pronunciato così: 4.273.8.84 “ si” per l’Anschluss, 10.911 "no".
Unica notizia di un attrito tra il re e Mussolini riguarda la proclamazione del duce a “primo maresciallo dell'Impero”, effettuata il 30 marzo dalle Camere in assemblea plenaria, all'insaputa del sovrano che è, statutariamente, il capo delle forze armate. Gli ambienti legati alla Corte, che non dissimulano in questo periodo una certa fronda, attribuiscono gran peso al contrasto e si mostrano speranzosi in una resipiscenza del re, fino a che questi si acqueta e accetta i galloni che lo rendono pari grado di Mussolini.
L'estate calda
L'abdicazione del regime di fronte all'hitlerismo è ormai totale, ma ha bisogno, per camuffarsi, di ostentare al popolo e al mondo la più grande sicurezza. Sicché, nel maggio '38, previe eccezionali misure di polizia, Hitler è ricevuto trionfalmente in Italia e portato in visita a Roma, Napoli e Firenze.
Si hanno notizie di arresti preventivi, di manifestazioni anti-naziste, nonché di nuove ridicole querele protocollari levate dal re, sollecitato ad accogliere in casa sua, al Quirinale, "l'ex-imbianchino" Hitler. Alla fine, secondo il solito,nonostante il disappunto della regina e lo scandalo degli ambienti di corte, si rassegna ad ospitarlo con tutti gli onori.
Dopo l’exploit austriaco, favorito dalla viltà non meno delle democrazie tradizionali che dell'"alleato fascista”, Hitler raddoppia la posta e, dal suo punto di vista, ha ragione. L'obiettivo è, adesso; la Cecoslovacchia, e, tanto per non smentirsi, Chamberlain dichiara, fin dal 24 marzo, nemmeno due settimane dopo l'annessione dell'Austria, che l'Inghilterra non si sente tenuta a garantire le frontiere cecoslovacche. Sicché, puntualmente, il 24 aprile '38, il partito tedesco della Cecoslovacchia rivendica l'autonomia dei Sudeti.
29 aprile '38. Londra e Parigi stipulano un accordo di "collaborazione difensiva" ma, in pari tempo, invitano Praga a voler fare "le concessioni compatibili con il mantenimento della pace".
Fine maggio '38. Com'era prevedibile, il problema dei Sudeti subisce un aggravamento, "a causa delle provocazioni di Praga".
14 giugno '38. Berlino rivolge a Praga un "fermo monito" perché desista dalle "persecuzioni contro i tre milioni e mezzo di tedeschi che vivono entro le frontiere ceche".
Luglio-agosto '38. La tensione ceco-tedesca si aggrava di settimana in settimana, nella generale sensazione dell'opinione pubblica di trovarsi di fronte all'impotenza o alla colpevole neghittosità di Londra e di Parigi. Mussolini, per rifarsi dell'umiliazione subita per l'Austria, assume il ruolo di mosca cocchiera di Hitler e, nel corso di una spettacolare esibizione estiva in tutti i capoluoghi veneti, pronuncia discorsi infuocati contro i frolli campioni della democrazia inglesi, francesi, cecoslovacchi e perfino americani.
Di nuovo, in questo lasso di tempo, circolano notizie di repressioni poliziesche, arresti, episodi di neo-squadrismo in provincia, per scoprire e intimorire gli ascoltatori di radio straniere.
8 settembre '38. I negoziati in corso tra Berlino e Praga sono interrotti a seguito di "incidenti provocati da estremisti cecoslovacchi " nei Sudeti.
12 settembre '38. In un fortissimo discorso a Norimberga davanti a 110.000 gerarchi nazisti, Hitler reclama "il diritto all'autodecisione per i tedeschi racchiusi nelle frontiere ceche".
15-22 settembre '38. In un drammatico susseguirsi di incontri a Berlino, Hitler e Chamberlain discutono "la situazione dei Sudeti e il destino della pace in Europa". Il Führer avanza la proposta ultimativa che i Sudeti siano annessi al Reich entro la fine del mese. Il Foreign Office sollecita Praga a cedere.
24 settembre '38. Durante una formidabile adunata di armati e di popolo a Padova, Mussolini denuncia la gravità estrema della situazione avvertendo che "bisogna essere
pronti a qualsiasi evento".
29 settembre '38. Dopo una settimana di paurosa incertezza, si ha un incontro tra Mussolini, Hitler, Chamberlain e Daladier a Monaco, nel quale il primo assume l'insperato ruolo di mediatore.
La pace "è salvata" e i Sudeti vengono ceduti al Reich. L'indomani le truppe tedesche varcano le frontiere ceche e occupano la regione sudetica.
La vecchia Europa tira un sospiro di sollievo. I giovani italiani, che hanno imparato a conoscere, dopo il "mite" fascismo, il nazismo hitleriano, si sentono agghiacciare, disperati e soli in quella che può ormai dirsi la loro facile e tragica chiaroveggenza.
7 ottobre '38. Il Gran Consiglio fascista tributa a Mussolini, "salvatore della pace", il trionfo. E decide di sopprimere la Camera dei deputati per sostituirla, il 23 marzo '39, con quella dei fasci e delle corporazioni.
17 novembre '38. In segno di gratitudine al duce, anche l'Inghilterra, buon'ultima, riconosce ufficialmente l'Impero.
Il razzismo fascista
Scongiurata dunque la guerra (provvisoriamente, per chi avesse solo occhi per vedere), in questo scorcio di tempo si colloca - ed è una conferma della paurosa piega che prendevano le cose, anche in Italia - la nascita del razzismo fascista.
Se il tema non fosse tragico, si dovrebbe dire che l'improvvisazione con cui il regime si comportò e gli sforzi che compì per sostenerne la originalità valicano il limite del ridicolo.
Da diverso tempo, in seguito ai rapporti sempre più stretti verso la Germania, si aveva motivo di temere che anche il fascismo si proclamasse razzista. Le autorità ufficiali si premurarono, però, di tranquillizzare l'opinione pubblica.
Anzi (è di qui che occorre prendere le mosse), il 17 febbraio '38, nel pieno della crisi austriaca, una nota dell'ufficiosa "Corrispondenza diplomatica," pubblicata con grande evidenza dai giornali, contestava che esistesse in Italia un problema ebraico e che il governo di Roma intendesse adottare misure di qualsiasi natura verso gli ebrei italiani.
A parte alcune incertezze grammaticali, il documento aveva tutta, l'aria di essere rassicurante.
Senonché, il 15 luglio '38, un'altra nota della stessa "Corrispondenza diplomatica" informava che "un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane; ha fissato la posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza". E così aveva inizio, in sede teorica, la campagna razzista del fascismo.
(Il “manifesto della razza” dei menzionati "studiosi" dopo varie premesse di ordine generale tendenti a dimostrare l'esistenza delle razze umane, asseriva l'esistenza di una “pura razza italiana" in virtù della “purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia" e che nessuna invasione barbarica era riuscita a, contaminare.
“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti" proseguiva il documento. “Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre, nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza".
Gli ultimi ”punti" del manifesto illustravano diffusamente i motivi per cui “gli ebrei non appartengono alla razza italiana" e “i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo").
Il 26 luglio '38, il gruppo di studiosi" guidato dal prof. Nicola Pende era ricevuto da Starace, Segretario del PNF, il quale ne elogiava l'operato, rammentando che il fascismo attuava già da 16 anni una politica razzista "nel realizzare un continuo miglioramento quantitativo e qualitativo della razza".
Purtroppo, malgrado le dichiarazioni di Starace dimostrino che, al solito, egli non aveva capito molto e confondeva la politica demografica con il razzismo, il suo ricevimento agli "studiosi" di razzismo segna l'inizio delle persecuzioni antisemite.
E poiché, di fronte a tale aberrazione, il popolo italiano stentava a credere a quel che leggeva e manteneva alcune illusioni, il 30 luglio '38, parlando a un raduno di avanguardisti a Forlì, Mussolini tagliò corto a ogni incertezza e critica: "Anche nella questione della razza", avvertì, "tireremo diritto. Dire poi che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo!"
Il 5 agosto '38, infatti, un'altra nota della "Corrispondenza diplomatica" fissava definitivamente al '19 l'inizio della politica razziale fascista, valendosi di un brano del discorso pronunciato da Mussolini al Congresso tenuto dai fasci a Firenze in quell'anno.
Durante tutto l'agosto '38, un accurato spoglio degli "scritti e discorsi del duce", prontamente effettuato, consentì ai giornali di reperire numerose prove di come Mussolini fosse un antesignano anche in materia di razzismo.
Tanto da poter risalire addirittura al '17, quando egli, profeticamente, scriveva dal fronte - come veniva riferito -: "il dolore ci forgia e qui si rivela la nobiltà della nostra stirpe. "
In quello stesso periodo i giornali presero a pubblicare, oltre ad articoli "scientifici" e storici di improvvisati ma convinti specialisti di razzismo, audaci fotografie di bagnanti di ambo i sessi atte a illustrare - come ripetono le didascalie - la "bellezza e prestanza della razza italiana. "
Il 28 agosto '38, la battaglia ingaggiata per dimostrare che il fascismo non era, in nessuna delle sue iniziative tributario ad alcuno fu vinta su un terreno inaspettato: i giornali pubblicarono, con grande evidenza e soddisfazione, che il governo tedesco aveva deciso di abolire, nei rapporti e nella corrispondenza, l'uso del "lei," allineandosi così alla campagna da tempo in atto in Italia. In tal modo, anche agli occhi dei più scettici, l'apporto dei due regimi alla causa della civiltà e del costume quanto meno si bilanciava.
Il 1° settembre '38, passando sul terreno operativo, il Consiglio dei ministri decise che docenti e studenti ebrei fossero esclusi da tutte le scuole del regno e che gli ebrei immigrati dopo il '19 abbandonassero il territorio italiano entro sei mesi.
Per gli altri, seguirono disposizioni sempre più restrittive. E tuttavia non sufficienti fino a quando, a partire dal luglio del '43, la "soluzione del problema ebraico" passò, anche in Italia, nelle mani esperte degli occupanti hitleriani.
Verso l'epilogo del dramma spagnolo
Mentre gli eventi riferiti si svolgevano in Europa e in Italia, nella Spagna martoriata il fascismo ebbe mano libera, e nonostante l'eroica resistenza repubblicana che riuscì a infliggere ancora duri colpi agli aggressori, poté realizzare nel '38 le premesse per la vittoria.
Maggio '38. Le forze repubblicane riescono ad arginare l'avanzata franchista in Catalogna.
Giugno '38. L'offensiva franchista è fermata anche davanti a Valencia e a Sagunto.
Luglio '38. I repubblicani passano alla controffensiva, varcano l'Ebro, avanzano su un fronte di 150 km, impegnando 13 divisioni franchiste e catturando prigionieri e materiale in quantità ingente.
A partire dal giugno, intanto, l'aviazione italiana e tedesca intensifica i bombardamenti, allo scopo di fiaccare il morale della popolazione, mentre con l'estate, profittando della crisi sudetica che impegna le Cancellerie europee, Mussolini e Hitler inviano ingenti rifornimenti di armi e di uomini.
Fine ottobre '38. In relazione a tale invio di truppe fresche e simulando di dare esecuzione a un accordo con l'Inghilterra per l'inizio del ritiro dei "volontari," il governo di Roma richiama 10.000 legionari, cui in realtà si concede l'avvicendamento, dopo 18 mesi di impiego, e che ricevono trionfali accoglienze a Napoli, il 21 ottobre. (Nelle successive settimane si ha notizia che questi reduci sono sottoposti ad attenta sorveglianza, perché non raccontino in giro ciò che hanno visto e fatto in Spagna. In diversi casi si sarebbe proceduto ad arresti, anche di mutilati).
Novembre '38. Mentre proseguono, da parte dell'aviazione italo-tedesca, i selvaggi bombardamenti delle città repubblicane, in particolare di Barcellona, le forze franchiste passano al contrattacco sul fronte dell'Ebro.
Fine dicembre '38. Ha inizio l'impetuosa offensiva franchista in Catalogna, che ha per obiettivo dichiarato Barcellona.
Malgrado i cruenti combattimenti in corso e i propositi di resistenza ad oltranza espressi dalle emittenti spagnole, anche gli ascoltatori italiani di queste radio si rendono conto che la caduta della capitale catalana è ormai questione di giorni e che il nazi-fascismo ha praticamente vinto anche in Spagna.
Così scrive una maestra di quinta elementare sul "Giornale della Classe" di una scuola di Lissone, in occasione della fine della guerra di Spagna:
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
Cronologia: autunno 1938 - autunno 1939
Il tramonto delle illusioni (autunno 1938-autunno 1939)
Il primo segno rivelatore di quanto poco stabile fosse la pace salvata a Monaco si ebbe, non molte settimane dopo, quando la stampa cominciò a parlare di certe necessità che l'Italia provava, di garantirsi spazio e sicurezza.
Da lì, dalla polemica che subito ne nacque con la Francia, gli eventi non s'arrestarono più, anche se, in qualche momento, parve d'intravvedere una schiarita.
Eccone gli sviluppi nelle tappe essenziali.
Le rivendicazioni italiane furono poste il 30 novembre '38, in termini non ancora ufficiali ma significativi, durante una solenne seduta della Camera cui partecipavano, al gran completo, alte gerarchie e corpo diplomatico.
Mentre Ciano illustrava la situazione internazionale dopo Monaco, i deputati lo interruppero, levandosi a gridare “Tunisi, Corsica, Gibuti." La manifestazione era predisposta e si seppe, anzi, che molti deputati erano stati informati dai commessi della Camera, al momento del loro ingresso in aula, del grido che ciascuno doveva levare.
Nonostante l'evidenza, mentre governo e stampa francesi protestavano, Chamberlain dichiarò ai Comuni il 5 dicembre che l'ambasciatore britannico a Roma aveva avuto formale assicurazione che "il governo italiano non assumeva la responsabilità della manifestazione spontanea dei deputati fascisti". Aggiunse che l'accordo italo-inglese per il Mediterraneo comprendeva Tunisi e la Corsica, ma che Londra non aveva impegni difensivi verso Parigi.
Per tutto dicembre la stampa fascista informò che, a Tunisi, la "teppa gallo-giudaica" provocava incidenti a danno degli italiani. Venne spontaneo pensare - e circolò anche la voce - che si avesse intenzione di fare, di quella città, "i Sudeti d'Italia".
12 gennaio '39. Mentre la polemica tra Roma e Parigi proseguiva violenta e si inscenavano manifestazioni di studenti (quasi esclusivamente delle scuole medie) giungono a Roma Chamberlain e Halifax, per esaminare con Mussolini e Ciano lo stato dei rapporti italo-inglesi.
Chamberlain si reca anche a far visita al Papa e gli ambienti intellettuali e borghesi romani attribuiscono alla visita significato distensivo.
25 gennaio '39. Cade Barcellona. La situazione dei repubblicani appare disperata.
31 gennaio '39. Hitler assicura all'Italia "la protezione del Reich in caso di aggressione" (da parte francese). Annuncia anche l'intensificazione della lotta contro l'ebraismo.
Alla fine di gennaio, circola insistente la voce che i capi fascisti stiano predisponendo l'occupazione dell'Albania.
6 febbraio '39. La stampa "rivela" il testo di una lettera indirizzata il 24 novembre da Mussolini a Bruno Biagi, ministro delle Corporazioni, perché "si proceda decisamente nel campo della legislazione sociale", per realizzare un deciso "accorciamento delle distanze". Si fa diffondere la voce che, ai primi di marzo, il Comitato Corporativo Centrale deciderà un nuovo aumento dei salari, dal 5 al 10%.
Questo genere di notizie non fanno più impressione sull'opinione pubblica. L'attenzione generale continua a essere rivolta a ogni indizio che riguardi le prospettive di pace o di guerra.
Assai commentata - e in modo favorevole - è l'indiscrezione che Ciano, recato si a Varsavia alla fine di febbraio, vi è stato accolto da manifestazioni antinaziste.
Fine della Spagna e della Cecoslovacchia
La tragedia spagnola - che volge ormai al termine - suscita, intanto, emozione e neri presentimenti. È facile cogliere in giro accenni di deprecazione e amare battute, specie all'indomani di quando le radio straniere confermano le apocalittiche notizie che la stampa fascista comunica con tono trionfante.
L'11 febbraio '38 il rincrescimento per la morte del Papa, avvenuta il giorno prima, costituì per alcuni pretesto a manifestare il più sincero cordoglio per la caduta di Porto Bou, espugnata dai franchisti. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo, si ebbero tra la gente comune sprezzanti commenti per il fatto che la Camera francese aveva discusso il riconoscimento del governo di Burgos; che Londra lo aveva riconosciuto il 27 febbraio; e che, il 3 marzo, il governo di Parigi aveva nominato il maresciallo Philippe Pétain ambasciatore francese presso Franco.
Il 18 marzo '38 l'elezione del nuovo pontefice, Eugenio Pacelli fu accolta con favore negli ambienti fascisti, ove si riteneva che l'ex-Segretario di Stato sarebbe stato ben più disposto del predecessore verso le potenze dell'Asse. Il mondo cattolico esultò, confidando soprattutto in un'estrema missione pacificatrice del Papa. Ma il mondo intero allibì quando il 16 aprile (Madrid si era arresa il 29 marzo, il 30 era caduta Valencia e il 1° aprile Franco aveva annunciato la vittoria),
intese pronunciare da Pio XII un radiomessaggio in cui si salutava “l'eroismo del popolo spagnolo" e non di quello che aveva difeso fino all'estremo la libertà, bensì di quello rappresentato dai mercenari della Legione straniera e dagli sventurati legionari mandati a sostenere Franco perché facesse della Spagna, - come il nuovo Papa diceva – “un baluardo inespugnabile della fede cattolica".
Nel frattempo, un altro tragico evento s'era compiuto, senza che su di esso il Papa esprimesse alcun pubblico giudizio. Repentinamente; il 15 marzo '39, Boemia e Moravia furono occupate dalle truppe naziste. Le insegne del Führer sul Castello di Praga, annunciò l'indomani la stampa fascista.
L'impressione fu enorme: indignazione e sgomento dilagarono, con manifestazioni anche palesi. Nel frattempo, cominciarono a correre (come ormai di regola) voci di reazioni e contrasti nelle alte sfere fasciste: si tornò a parlare di una probabile successione di Ciano a Mussolini. Soprattutto, le speranze si appuntarono verso il re: anche in ambienti responsabili, l'opinione che il re fosse in procinto di compiere un passo "storico" fu diffusa e non troppo segreta. Diffusissima, per alcuni giorni, la sensazione che, in ogni caso, i rapporti tra Roma e Berlino erano ormai compromessi.
Nulla accadde. La stampa continuò a esaltare l'asse. Il 21 marzo '39, si apprese che Berlino chiedeva a Varsavia la cessione di Danzica.
Il 23, in un'atmosfera depressa e distratta, si ebbe a Roma la solenne inaugurazione della nuova "Camera dei fasci e delle corporazioni." Per qualche ora, una superstite speranza che il sovrano "si decidesse a parlare" mise in agitazione i più ostinati.
Affiancato dal principe Umberto e dal duca d'Aosta, il vecchio re deluse ogni aspettativa. Il suo "discorso della corona” fu povero e piatto: parve un discorso tracciato dalla mano di Starace: per poco non toccò anche la questione del "lei". Rammentò la vittoria etiopica, l'Impero, le prospettive di collaborazione tra l'Italia e la "nuova" Spagna; illustrò il significato dell'asse, dell'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni, del suo ingresso nel patto anti-Komintern; buoni i rapporti con l'Inghilterra, meno buoni con la Francia: non una parola su quella che era stata, fino a una settimana prima, la Cecoslovacchia.
Molte parole d'elogio, invece, per l'autarchia, la "carta della scuola", i nuovi codici, la floridezza del Paese, la preparazione delle forze armate.
Tutto bene, dunque, e tutto come prima.
Tre giorni dopo, il 26 marzo '39, lo confermò Mussolini parlando agli squadristi adunati a Roma. Se la prese con la Francia e con "gli emotivi." "Ciò che è accaduto nell'Europa centrale doveva fatalmente accadere," spiegò. E ammonì che "il tempo dei giri di valzer è finito" e che "l'asse Roma-Berlino non si sradica." Quanto alle rivendicazioni italiane erano sempre Tunisi, Gibuti, la Corsica; e aggiunse Suez, che i commessi della vecchia Camera, a novembre, avevano forse dimenticato.
Da Tirana a Danzica
Tra il 7 e il 12 aprile '39 le truppe italiane sbarcarono a Valona e occuparono l'Albania. Notabili schipetari telegrafarono al duce: "Solo dalla dottrina fascista può venire benessere, giustizia, onore" e una "Assemblea costituente" convocata in 48 ore a Tirana, offrì a Vittorio Emanuele (che accettò) la corona albanese.
Nessuno strascico né all'estero né all'interno.-
Il 15 aprile '39, Roosevelt inviò un messaggio personale a Hitler e a Mussolini offrendo la mediazione per un accordo che garantisse dieci anni di pace in Europa. La stampa fascista fece sapere che i due dittatori non avrebbero neppure risposto al "giudeo paralitico".
Il 29 aprile '39, Hitler denunciò il patto navale anglo-tedesco, dichiarando anche decaduto l'accordo stipulato con Varsavia nel '34.
Il 6 maggio '39, Ciano e Ribbentrop s'incontrarono a Milano per concertare "un patto politico e militare che fissa definitivamente, anche da un punto di vista formale, i rapporti tra i due Stati dell'Asse": il patto d'acciaio che sarà stipulato, due settimane dopo, a Berlino.
Il 14 maggio '39, per tagliar corto a voci di dissensi tra le gerarchie fasciste, il duce pronunciò a Torino un “forte" discorso: "Marceremo con la Germania," ammonì, "perché la mia volontà è inflessibile".
Giugno-luglio '39. Le notizie di un nuovo attacco tedesco all'Est sono di tutti i giorni. Da fonti fasciste, si fa circolare la voce che, nel caso, l'Italia" si rifarebbe" con la Jugoslavia. Malgrado ciò, il malumore cresce. A Milano, la questura chiude diversi cinema dove il pubblico si è abbandonato a manifestazioni anti-naziste. A Napoli, durante una esercitazione d'oscuramento anti-aereo, tra il 7 e l'8 luglio, si verificano centinaia di "atti d'indisciplina", che strappano parole di dura rampogna al duce. Circola la voce che gruppi d'intellettuali antifascisti sarebbero stati scoperti a Roma, in Abruzzo, in Piemonte.
Proseguendo nel gioco di alternare la preparazione della guerra con annunci di pace, il 20 luglio '39 Mussolini riceve a palazzo Venezia i gerarchi siciliani. e, dimentico di averlo già annunciato due volte, nel '36. e nel '38, proclama che è giunto il momento di procedere all'" attacco al latifondo": le prime duemila case coloniche dovranno essere pronte per il 28 ottobre '40.
Agosto '39. La vertenza tedesco-polacca per Danzica è giunta allo stato incandescente: di giorno in giorno e, poi, di ora in ora, il mondo segue il precipitare degli avvenimenti.
10 agosto '39. Arrivano a Mosca le missioni militari francese e inglese, per un esame della situazione.
11 agosto '39. Goering annuncia che "il ritorno di Danzica al Reich è imminente".
12 agosto '39. Ciano incontra Hitler e Ribbentrop a Salisburgo. Il comunicato dice che si è trattato di "definire tutte le questioni in sospeso", con particolare riferimento "ai patti di coalizione delle democrazie, che provocano un crescente irrigidimento della Polonia e mirano all'evidente accerchiamento dell'Asse".
20 agosto '39. Il re insignisce Ciano del collare dell'Annunziata.
La notizia, in questo momento, provoca fulminee interpretazioni di una fortunata "missione di pace" che Ciano avrebbe compiuto a Salisburgo. Secondo altri, il re punterebbe, invece, su Ciano per sbarazzarsi di Mussolini e staccare l'Italia dalla pericolosa alleanza con Berlino.
21 agosto '39. Mentre queste voci si accavallano e si sgonfiano nel giro di ore, la stampa continua a denunciare violentemente le mene franco-inglesi che "favoriscono la caparbietà di Varsavia".
22 agosto '39. È dato il folgorante annuncio che Berlino e Mosca hanno stipulato un patto di non aggressione che "fa crollare la politica di accerchiamento delle potenze democratiche".
23 agosto '39. Londra conferma l'impegno di difendere la Polonia da eventuali aggressioni.
24 agosto '39. Notizie ufficiali o ufficiose annunciano apprestamenti militari polacchi sulla frontiera ovest; la Francia ha disposto la mobilitazione; ammassamenti di truppe tedesche sui confini con il Belgio; la Slesia superiore è in pieno assetto di guerra: il gauleiter di Danzica assume i pieni poteri; Mussolini conferisce con i capi di S. M. delle Forze armate.
25 agosto '39. Notizie di stampa: una divisione polacca accerchia Danzica; lunga riunione di Hitler con Goering e gli altri capi militari; il Parlamento inglese concede a Chamberlain i pieni poteri; in Italia si decide un parziale richiamo di appartenenti all'esercito e alla milizia.
26 agosto '39. La mobilitazione generale è proclamata in Polonia. La stampa dà notizia di tre messaggi scambiati nel giro di 12 ore tra Mussolini e Hitler e di una "proposta·di pace" da questi inoltrata a Londra.
27 agosto '39. Un messaggio di Hitler a Daladier afferma "l'improrogabile necessità di rivedere le ingiustizie del trattato di Versailles". In Italia, i giornali denunciano "le assurde rivendicazioni polacche su territori tedeschi"; i riservisti delle classi dal 1902 al 1913 sono richiamati.
28 agosto '39. L'ambasciatore inglese Henderson, che ha recato in volo, da Londra a Berlino, la risposta di Chamberlain alle “proposte di pace" di Hitler, dichiara: “Le possibilità di un accordo diminuiscono di ora in ora".
29 agosto '39. Una replica di Berlino a Londra “lascia uno spiraglio aperto". A Roma e nelle principali città italiane è stato posto in atto l'oscuramento nelle strade.
30 agosto '39. Londra risponde a Berlino "senza comprensione. " Una iniziativa di mediazione dei reali del Belgio e dell'Olanda è “superata dall'incalzare degli avvenimenti".
31 agosto '39. Mussolini conferisce a Graziani e a Umberto di Savoia il comando dei due gruppi di armate in cui è diviso l'esercito italiano.
1° settembre '39. Il Consiglio dei ministri decide che “l'Italia non prenderà l'iniziativa di operazioni militari". Mussolini riceve da Hitler una lettera con la quale il Führer lo ringrazia dell'aiuto politico e diplomatico prestatogli e si dichiara sicuro di “poter adempiere al compito assegnatogli, senza bisogno di un aiuto militare italiano".
Alba del 2 settembre '39. Le truppe tedesche varcano la frontiera polacca, senza dichiarazione di guerra. Londra e Parigi proclamano la mobilitazione generale. A Roma, il Consiglio dei ministri prende queste decisioni: limitazioni del consumo delle pietanze negli esercizi pubblici; divieto di vendere carne il giovedì e il venerdì; divieto di panificazione nelle ore pomeridiane; divieto di vendita del caffè; limitazione di tutte le comunicazioni; divieto di circolazione per tutte le auto private a partire dalla mezzanotte del 3 settembre; obbligo per tutti i locali d'anticipare la chiusura alle ore 23; severe misure per gli speculatori o incettatori di merci; pena di morte per chi compia contrabbando di valuta. L'oscuramento continua.
Bibliografia:
Ruggero Zangrandi - Il lungo viaggio attraverso il fascismo - Garzanti 1971
La religione e il fascismo
LA RELIGIONE "FONDAMENTO E CORONAMENTO DELL'ISTRUZIONE PRIMARIA" durante il ventennio
Non fu certo il profondo senso religioso a spingere Mussolini nella direzione di quel rapido processo di restaurazione dei valori cattolici nella scuola che, avviatosi già all'indomani della marcia su Roma, toccò il suo culmine con il Concordato del 1929.
Furono essenzialmente ragioni di opportunismo politico che lo indussero a tale scelta. L'appoggio della Chiesa era ritenuto indispensabile per la diffusione del fascismo. Nel campo scolastico l'educazione religiosa aveva inevitabilmente quei contenuti autoritari utili al fascismo per la formazione di una gioventù pronta ad ubbidire senza discutere e ad accogliere e seguire senza spirito critico la propaganda del Regime. L'intesa con la Santa Sede doveva diventare, quindi, uno dei cardini della sua politica.
Nell'ambito di questo disegno politico si può comprendere perché Mussolini assegnasse proprio a Gentile l'incarico di ministro della Pubblica Istruzione nel suo primo governo. Le risapute opinioni del filosofo idealista nei confronti della formazione religiosa cattolica nella scuola elementare (l'educazione religiosa doveva dare "un orientamento iniziale nella vita"), della libertà d'insegnamento e dell'esame di Stato, lo facevano apparire al duce il più indicato collaboratore per dare subito il via ad una riforma scolastica che perlomeno provvisoriamente potesse soddisfare le aspettative del Vaticano. "Così - come ben scrive Carmen Betti nel suo libro "Sapienza e timor di Dio. La religione a scuola nel nostro secolo" - grazie ad un capo di governo ateo e ad un ministro della Pubblica Istruzione laico, entrambi però sensibili per motivi diversi all'influenza e al potere della Chiesa, il Dio cattolico si apprestò a rientrare con gran pompa nella scuola del popolo, da cui per la verità era stato allontanato più a livello di principio che nei fatti". Di più, a religione cattolica fu posta "a fondamento e coronamento dell'istruzione primaria". Già nel novembre del 1922 il sottosegretario alla pubblica istruzione, il deputato fascista Dario Lupi, ordinava a tutti i sindaci del regno, attraverso i provveditorati agli studi di far ricollocare al più presto alle pareti delle scuole, dove fossero stati rimossi, il Crocifisso insieme al ritratto del Re, "simboli sacri della fede e del sentimento nazionale".
In base ai nuovi programmi, l'orario settimanale assegnato all'insegnamento religioso - che doveva essere impartito dagli stessi maestri - era di un'ora e mezzo per le prime due classi e due ore per tutte le altre. Ma poiché questo orario doveva probabilmente sembrare alle gerarchie ecclesiastiche inadeguato in rapporto alla dichiarata supremazia della religione, ai programmi fu anteposta un'avvertenza: Alla religione che la legge considera fondamento e coronamento degli studi elementari, giacché investe un po' tutti gli insegnamenti, è stato riservato un posto notevole in molti di essi; di conseguenza le ore speciali dedicate alla religione non sono molte e devono essere destinate alla meditazione degli argomenti indicati nel programma speciale) i quali sono come il punto di concentrazione di tutti gli elementi di cultura religiosa sparsi nei vari insegnamenti".
Il programma - redatto come gli altri da Lombardo Radice - voleva, nelle intenzioni, limitare il più possibile gli aspetti confessionali, ponendo soprattutto l'accento sugli "aspetti sentimentali della religione come educazione dell'anima". L'azione educativa doveva essere informata allo "spirito" proprio dell' opera religiosa di Alessandro Manzoni:. amore e timore filiale, non servile terrore". Si suggeriva, inoltre, di infondere nei cuori dei ragazzi "il senso del divino e della provvidenza" facendo soprattutto ricorso alla "contemplazione dell'armonia delle cose e della vita morale non tanto definita per aforismi e per regole, quanto rappresentata in grandi e umili figure di credenti (si pensi al cardinale Federico e a Lucia)". Nonostante ciò, l'impronta confessionale rimaneva in evidenza (e non poteva essere diversamente). Essa traspare fin dalla prima classe per farsi via via più accentuata: canti, preghiere, conversazioni, brevi e chiare sentenze tratte dalle Scritture e dal Vangelo (I elementare), episodi del Vecchio Testamento (II elementare), ciclo di lezioni sul Pater e sulla vita di Gesù (III elementare), lezioni sui comandamenti (IV elementare), illustrazione dei Sacramenti e del rito secondo la prassi cattolica (V elementare); questo il percorso suggerito ai maestri. Un altro provvedimento gradito alla Santa Sede fu l'introduzione dell'esame di Stato nell'ordinamento scolastico che poneva sullo stesso piano, almeno teoricamente, gli alunni della scuola statale e non statale. Mussolini si era così avviato sulla strada delle più ampie concessioni alla Santa Sede. I Patti Lateranensi furono il punto di approdo. Essi costituirono per il fascismo l'occasione di un definitivo consolidamento interno e un motivo di prestigio internazionale. Gli elogi al duce per la "conciliazione" si sprecarono e i cattolici guardarono a lui come all' "Uomo della provvidenza" (l'appellativo è dello stesso Pontefice). Per quanto riguarda il nostro discorso, il Testo definitivo del Concordato oltre a ribadire l'effettiva parità fra scuola pubblica e scuola privata, in virtù dell'esame di Stato; oltre ad assicurare pieno riconoscimento "alle organizzazioni dipendenti dall'Azione Cattolica, a patto che operino al di fuori di ogni partito politico e sotto l'immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa, per l'attuazione e diffusione dei principi cattolici", stabiliva all'art.36 l'estensione dell'istruzione confessionale alle scuole medie secondo programmi che sarebbero stati stabiliti d'intesa tra Stato e Chiesa. Il concetto della dottrina cattolica come "fondamento e coronamento" veniva così allargato alla scuola secondaria.
Nonostante i limiti posti alle organizzazioni giovanili di Azione Cattolica, il consenso dei vertici ecclesiastici non poteva che essere unanime. Mussolini tuttavia non perdeva occasione per ribadire il primato dello stato fascista, tenendo discorsi decisamente anticlericali: “Nello Stato la Chiesa non è sovrana e non è nemmeno libera (...) Lo stato fascista rivendica in pieno la sua eticità: è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto, esclusivamente, essenzialmente fascista. Il cattolicesimo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi di cambiarci le carte in tavola". Malgrado ciò la Chiesa non poteva certo opporsi ad un regime che si presentava come il restauratore dell'ordine sociale, come il difensore della famiglia, della proprietà e della religione.
A questo punto l'unico terreno di scontro tra Chiesa e regime riguardava proprio il monopolio dell'educazione giovanile, a cui nessuno dei due voleva rinunciare. Così il successivo "impegno" di Mussolini (peraltro già iniziato negli anni precedenti, con l'istituzione dell'O.N.B. e lo scioglimento delle organizzazioni scoutistiche cattoliche ritenute incompatibili con l'Opera balilla) in tal senso determinò i noti fatti del 1931 (30 maggio) che portarono allo scioglimento d'autorità dei circoli giovanili di Azione Cattolica, sottoposti alle violenze fasciste con devastazioni di sedi, percosse e minacce ai singoli esponenti. Dopo mesi di tensioni e trattative fu raggiunto un accordo che circoscriveva sensibilmente le possibilità di azione dei circoli giovanili, riaperti a ottobre. I due "poteri", pur a denti stretti, continuarono a procedere affiancati. Anzi pochi anni dopo, alcuni avvenimenti li avvicinarono notevolmente. Infatti con la guerra d'Etiopia - di cui la Chiesa colse subito il risvolto missionario, non ci fu più tempo per i litigi, e soprattutto i fatti di Spagna mostrarono quanto il fascismo fosse sempre il miglior baluardo contro i sovversivi rossi e contro i nemici della chiesa.
Il progressivo distacco della Chiesa dal regime maturerà molto tardi, in relazione alle scelte di politica estera (avvicinamento alla Germania nazista) e alla svolta razzista. Gli ampi spazi di influenza che Mussolini concesse alla Chiesa, anche nel campo scolastico, fecero sentire i loro effetti soprattutto nel dopoguerra. Tutti i partiti sorti dalle ceneri della dittatura dovettero farne i conti. Affrontare il problema della religione a scuola con "il piglio, pluralistico e sovranazionale, consolidato nei paesi anglosassoni" sarebbe stato impossibile. Non a caso l'insegnamento della religione nelle scuole statali, entrò, insieme al concordato, nella Costituzione italiana.
Bibliografia:
- Elena D'Ambrosio, A SCUOLA COL DUCE - L'istruzione primaria nel ventennio fascista, Istituto di Storia Contemporanea "Pier Amato Perretta" di Como
Immagini della mostra A SCUOLA COL DUCE dell’Istituto di Storia Contemporanea "Pier Amato Perretta" di Como
Le colonie italiane in Africa: un lusso inutile
«Anche prendendo in considerazione le esigenze politiche, strategiche e commerciali dell’epoca, non c’era un solo motivo valido perchè un paese come l’Italia, che aveva raggiunto l’unità nazionale solo nel 1861 e aveva una miriade di problemi urgenti da risolvere, stornasse una parte cospicua delle sue già scarse risorse per partecipare alla spartizione dell’Africa, un’impresa di cui non si potevano valutare né gli esiti né i costi, né tantomeno i vantaggi». (Angelo Del Boca)
Verso la “quarta sponda”
La prima avventura coloniale italiana in Africa ha inizio l’11 ottobre 1911 quando i primi bersaglieri approdano sulla “quarta sponda” italiana. Tripoli è già il “bel suol d’amore” cantato nei tabarin. La guerra contro la Turchia per il possesso della Tripolitania, come allora si chiamava la Libia, era infatti cominciata molto prima dello sbarco, sostenuta da proclami nazionalistici d’intellettuali, politici, poeti ma anche da una campagna pubblicitaria che aveva avvolto nel mito le terre libiche, considerate assolutamente necessarie all’Italia che doveva conquistarsi un “posto al sole” come le altre grandi potenze coloniali europee.
Si andava in Libia mentre in un solo anno, il 1912, emigravano un milione e mezzo di italiani per non morire di fame in patria ma diretti verso le Americhe e non certo verso l’Africa.
La guerra durò due anni ma l’occupazione integrale della comonia non sarebbe avvenuta che nel 1932, dopo che Badoglio e Graziani avevano stroncato la resistenza libica con i metodi più brutali.
Badoglio aveva appena annunciato il ritorno della pace in Libia, che Mussolini confidava al generale De Bono che la prossima impresa africana avrebbe avuto come obiettivo l’impero d’Etiopia. Con questa spedizione avrebbe vendicato Adua (in un primo tentativo di invasione dell’Etiopia, nel marzo 1896, gli italiani avevano subito uno smacco cocente ad Adua, con 4.000 morti) e, nello stesso tempo, avrebbe regalato agli italiani affamati di terre il mitico “posto al sole”.
Le truppe etiopi si opposero con grande tenacia all’avanzata degli italiani forti di 500.000 uomini. Gli etiopi uccisi o sfigurati dal gas furono 250 mila. La vittoria convinse Mussolini che l’Italia era una grande potenza militare. Ufficialmente le ostilità cessarono il 5 maggio 1936: era nata l’Africa Orientale Italiana (AOI) che univa Etiopia, Somalia ed Eritrea. (L’ Etiopia, la Somalia e l’Eritrea andarono perdute nel 1941. Tripoli cadde il 22 gennaio 1943).
Sabato 9 maggio 1936 alle 22,30 Mussolini annuncia dal balcone di Piazza Venezia al popolo italiano la fondazione dell’impero.
Nell’autunno del 1938 ventimila contadini italiani, in maggioranza poveri, si trasferirono come coloni nelle quattro province metropolitane (Tripoli, Misurata, Bengasi e Derna) istituite il 10 aprile 1937 da Mussolini dopo un viaggio in Libia. Dei primi coloni italiani, nel 1922 ne erano rimasti poco più di duemila su un milione e mezzo di chilometri quadrati per lo più desertici. I rurali, i nuovi coloni, affascinati dalle illusioni costrute dalla propaganda, sbarcano dai piroscafi per proseguire a bordo di camion accodati in chilometriche carovane. Affrontano percorsi massacranti, sostano in enormi tendopoli sorte dal nulla nel deserto, prima di ricevere le chiavi della tanto agognata nuova casa africana. Con loro in Libia nascono e prosperano l’agricoltura, le scuole e crescono grandi infrastrutture.
Dal "Giornale della classe" di una scuola elementare di Lissone.
Il maestro scrive:
5 maggio 1936: Badoglio è entrato in Addis Abeba. Annuncio del Duce a tutto il mondo. Leggo il discorso del Duce (si commenta) e faccio cantare un inno alla Patria. Alle 10 e mezzo tutte le scolaresche accompagnate dai rispettivi insegnanti si recarono al Parco delle Rimembranze.
9 maggio 1936: Proclamazione per radio dell’Impero italiano d’Etiopia. Illustro alla scolaresca la fondazione dell’Impero. Solenne Te Deum di ringraziamento, coll’intervento delle Autorità, Balilla, Piccole Italiane e Combattenti
Dopo la Liberazione. Epurazione ed amnistia: gli obiettivi mancati
Già nel 1943, conseguentemente alla caduta di Mussolini ed allo scioglimento delle organizzazioni fasciste, erano state previste delle sanzioni che avrebbero dovuto colpire i responsabili della dittatura.
Inoltre si trattava di ripulire la pubblica amministrazione da coloro che avessero tratto indebiti benefici anche soltanto grazie ad ambìti avanzamenti di carriera, ottenuti unicamente per "benemerenze fasciste".
Dopo la liberazione di Roma, allorché venne costituita la Repubblica sociale italiana ed i suoi aderenti ripiegarono al nord del Paese, da parte del governo legittimo venne emanato un primo decreto legge luogotenenziale, in data 27/7/1944 n.159, intitolato "Sanzioni contro il fascismo".
Il decreto prevedeva:
l - Epurazione della pubblica amministrazione
2 - Punizione dei delitti fascisti (ante e post 8 settembre 1943)
3 - Avocazione dei profitti di regime
Il decreto recava le firme di tutti i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale.
Tra l'altro esso prevedeva la retrocessione dal grado ed il rinvio ai ruoli di provenienza di tutti i funzionari dello Stato che avessero, dopo l' 8 settembre, seguito al nord il Governo repubblicano fascista o, in ogni caso, gli avessero prestato collaborazione.
Si considerava inoltre il riesame e l'eventuale punizione dei delitti fascisti perpetrati sin dal 28/10/1922 che avevano consentito l'instaurazione della dittatura, e successivamente, tutte le forme di collaborazione con il tedesco invasore, delitti commessi che avrebbero dovuto essere sottoposti alle norme del Codice militare di guerra.
Dimessi 200 senatori
Contemporaneamente vennero dichiarati decaduti dalla carica oltre duecento senatori le cui responsabilità furono accertate da una Speciale Corte di Giustizia, che li ritenne responsabili di avere, con i loro voti e con i loro atti, collaborato alla entrata in guerra del Paese, con le drammatiche conseguenze che ora apparivano sotto gli occhi di tutti.
E' alquanto paradossale constatare che il decreto venne firmato dal Luogotenente del Regno, ossia l'erede del monarca Vittorio Emanuele III, al quale si dovevano imputare le maggiori e più gravi responsabilità.
Venne nominato un Alto Commissario, assistito da Commissari aggiunti, ed in ogni provincia furono istituite delle Commissioni per l'epurazione composte da un magistrato, un funzionario di prefettura ed un membro designato dall'Alto Commissario.
Ciò evidentemente per il territorio non più sottoposto ai nazifascisti, ma le stesse regole vennero adottate anche nel resto del Paese all'indomani della sua totale liberazione.
E' facilmente comprensibile la complessività e la mole di lavoro che si presentava a coloro che erano stati designati a tale compito. Presto si sarebbe dovuto constatare come fosse stato ottimistico il giudizio che era stato espresso sullo svolgimento di tale attività, in quanto le norme potevano prestarsi ad interpretazioni di merito e soggettive, sfociando talvolta in criteri di esagerato rigore e tal'altra di eccessiva tolleranza.
Forse anche, aggiungiamo noi, non si era valutato nella effettiva realtà, l'enorme numero di italiani compromessi in un modo o nell'altro col regime.
Vi è da dire che da un primo esame dell'attività svolta dall'Alto Commissario alla data del 31/12/1944, le segnalazioni ottenute dalle varie amministrazioni, per lo più in base ad ordinanze del Governo militare alleato, risultarono ben 2900 contro solo 1258 dell'Alto Commissario aggiunto. Così, dall'attività delle Commissioni di primo grado, su un totale di 3588 casi sottoposti a giudizio di epurazione, 597 furono risolti con la dispensa dal servizio, 1461 con lievi sanzioni e 1530 con il proscioglimento.
Eccessiva tolleranza da parte degli inquirenti o, sotto sotto, un diffuso senso di omertà affiorante dalle coscienze inquiete di tanti italiani?
Seguirono poi un gran numero di ricorsi, generalmente accolti anche, particolarmente dopo al nord, come conseguenza dei mutamenti del clima politico del Paese ed in relazione alle prime avvisaglie di un mondo diviso in due blocchi sostanzialmente opposti.
Tutto ciò si riferisce in un primo tempo a quanto accadde nell'Italia liberata, il che non si discosta però dagli esiti che successivamente si registrarono in tutto il Paese a liberazione avvenuta, coinvolgendo e compromettendo spesso anche l'attività delle Corti d'Assise straordinarie e in minor misura i deliberati di primo grado della magistratura ordinaria.
La mancata epurazione fra i funzionari
Da una ricerca sull' argomento è risultato infatti che ancora nel 1960, su 64 prefetti di prima classe in servizio, ben 62 erano stati funzionari degli Interni durante la dittatura fascista e, su 241 vice-prefetti, tutti indistintamente avevano fatto parte dell'amministrazione dello Stato negli anni del fascismo.
Inoltre, su 135 questori, 120 avevano fatto parte della polizia fascista e su 139 vice-questori, solo 5 risultavano aver contribuito in qualche modo alla Lotta di Liberazione.
Per contro, nel nuovo clima instauratosi dopo la proclamazione della Repubblica nei confronti dei partigiani e degli antifascisti, i provvedimenti di clemenza furono adottati in maniera palesemente restrittiva, mentre nello stesso tempo, la maggior parte dei funzionari epurati veniva reintegrata con la liquidazione degli arretrati e delle spettanze che erano state loro tolte a seguito dei provvedimenti di epurazione.
Dopo queste per necessità, succinte considerazioni, è d'obbligo esprimere alcune riflessioni sul decreto d'amnistia che, per motivi diversi e seri, contribuì ad una soluzione negativa del problema della defascistizzazione del Paese. Risultato questo che invece, avrebbe potuto essere fondato oltre che su di una giusta punizione, anche e soprattutto, su di una personale e convinta autocritica da parte di quanti si erano infatuati della dittatura o, ancor peggio, avessero, per interessi privati, coinvolto ai vari livelli le istituzioni e gli organi amministrativi. Particolarmente negli anni Cinquanta, ma anche dopo e tuttora, quando si parla di amnistia, si ascoltano giudizi ed opinioni diverse che, come spesso accade, trovano sempre, in maniera spiccia e disinvolta, il solito capro espiatorio al quale addossare colpe e responsabilità.
Il compromesso: l'amnistia
Una analisi seria venne fatta, alla fine del 1947, da Alessandro Galante Garrone
con un saggio dal titolo: Crisi della Resistenza, nella cui premessa scriveva:
"Non eravamo animati da spirito di vendetta. Non avevamo la pretesa che la magistratura dovesse infierire per mesi e anni contro tutti i responsabili ed i complici, maggiori e minori, del fascismo, per tener fede agli ideali della Resistenza. Non chiedevamo che su tutti i colpevoli del fascismo eternamente gravasse una maledizione inesorabile.
Sapevamo che i compagni caduti sulla via della nostra liberazione e del nostro riscatto non avevano combattuto per opprimere i loro oppressori.
E sentivamo anche, con obiettività di magistrati e coscienza di cittadini, che letterale applicazione non avrebbero potuto trovare tutte le norme stabilite per la punizione dei delitti dal legislatore di Roma (quanto lontano e remoto, in quei giorni della Resistenza, allorché ci pervenne il testo del decreto Bonomi, quel governo legittimo che non aveva mai dichiarato ribelli e fuori legge i collaborazionisti del Nord!); perché troppo iniquo e profondo sarebbe stato lo sconvolgimento della nazione se tutte le forme di collaborazione con il tedesco invasore, anche le meno gravi, fossero state colpite come la lettera della legge avrebbe voluto con tanto severo rigore.
Ma ci saremmo ribellati, allora, come cittadini e magistrati se ci avessero detto che i governi e la magistratura della nuova Italia avrebbero tutto, o quasi tutto, cancellato e ricoperto con il velo pietoso dell'oblio e del perdono: tutto, anche le colpe più gravi e le responsabilità più grandi. Ed invece è stato così: ed oggi, a trenta mesi dalla liberazione, non ci resta che il gramo e malinconico compito di un triste e doloroso bilancio".
Lo scritto di Galante Garrone si chiude con una severa critica ai modi in cui venne applicato il decreto d'amnistia, per l'indeterminatezza di alcuni articoli della legge che prevedevano giudizi necessariamente severi ma lasciavano ampio margine all’interpretazione.
Era il caso soprattutto di quegli enunciati che condizionavano la pena al fatto di aver commesso:
- atti rilevanti nell'aver contribuito a mantenere in rigore il regime fascista
- stragi particolarmente efferate verso popolazioni e partigiani
- attività antinazionale con prolungate forme di intelligenza, di competenza o di collaborazione con i tedeschi.
Tali formulazioni lasciavano ampio spazio a cavilli, giustificazioni e spesso anche all'impiego di testimonianze favorevoli all'accusato, anche da parte di coloro che i fascisti avevano in vario modo perseguitati.
A completare l'opera sopraggiunse il Decreto Luogotenenziale del 4/8/1945 che garantiva l'amnistia a tutti coloro che, pur avendo collaborato con la RSI ed il tedesco invasore, avessero aiutato in qualche modo i partigiani.
Ne risultò che tutti poterono avanzare benemerenze che, nella maggior parte dei casi, si erano precostituite in vista del crollo finale.
Non soltanto questi furono gli elementi che determinarono il fallimento dell'epurazione, motivazioni e responsabilità diverse ne contribuirono l'inefficacia.
Esempio nella provincia di Como
Anche nel caso dell' epurazione nella provincia di Como, emerge come nella maggior parte dei procedimenti di primo grado il giudizio e le sentenze della magistratura furono ispirate ad un corretto senso di giustizia ed equità. Furono gli esiti dei ricorsi sia in Appello sia, peggio ancora, in Cassazione che, con interpretazioni unilaterali e nella maniera più formale del decreto di amnistia, spalancarono i cancelli delle prigioni anche ai maggiori responsabili ed ai seviziatori fascisti.
Sarebbe comunque ingiusto addossare tutte le responsabilità ai politici per il decreto prima e l'amnistia poi, soltanto ed unicamente ad essi od alla magistratura. E' necessario tener conto anche di· altri fattori, non meno importanti, che sicuramente stanno all'origine del parziale fallimento dell'epurazione.
E' notorio come la Resistenza e i CLN, svestiti da ogni tentazione che ne facciano dei miti, non fossero un blocco omogeneo anche se, pur tra difficoltà e contrasti, le diverse forze si sforzassero di agire unitariamente.
Inoltre l'Italia si trovava divisa in due: il Meridione sotto l'influenza alleata inglese ed americana, ciascuno con la propria collocazione politica ed istituzionale, ossia gli inglesi filo monarchici e gli americani democratici o repubblicani e il Nord occupato dai tedeschi con il governo fantoccio di Salò.
All'interno poi dei CLN convivevano comunisti, socialisti, azionisti da una parte e cattolici, liberali e monarchici dall'altra, ognuno con le proprie diversità più o meno palesi.
Tutto ciò non poteva non influire sui risultati finali dell'epurazione anche perché, per affrontare la Lotta di Liberazione, fu giocoforza accantonare la questione istituzionale, monarchia o repubblica, sia per facilitare la partecipazione delle forze militari in buona parte legate alla tradizione monarchica, sia anche perché ciò costituiva la condizione sine qua non per l'appoggio e l'aiuto da parte degli Alleati.
E' fondamentale poi considerare come il concetto di Lotta di Liberazione, mentre da parte di una collocazione politica ed ideologica significava soltanto la liberazione dalla occupazione nazifascista per una democrazia parlamentare erede, sia pure con i dovuti aggiornamenti, di quella prefascista, dall'altra essa rappresentava soltanto l'obiettivo primario, la premessa per una società di tipo nuovo che traesse la sua ispirazione da taluni principi basati su di un profondo rinnovamento di carattere etico-sociale e amministrativo, oltre che su quelli di carattere economico improntati ad una maggiore giustizia sociale.
Ad eccezione della Cassazione, da sempre più vicina ai poteri vecchi e nuovi, e i cui rappresentanti provenivano dal fascismo, al quale molti dovevano le loro rapide e prestigiose carriere, la magistratura stessa era divisa in due categorie: una, più sensibile alle dolorose vicende delle vittime del nazifascismo, per i suoi delitti e le sue stragi, l'altra, non sempre da considerarsi filofascista, che si atteneva scrupolosamente alle norme dei codici.
Codici che in gran parte erano il frutto di quella legislazione che nel ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco aveva trovato ispirazione ed applicazione sia con l'avallo di Mussolini sia, il che fu ancor più grave, dell'inetto monarca.
da un articolo di Giusto Perretta in “Monito della storia. Dalla Liberazione alla guerra fredda 1945-1948”. Numero unico a cura dell’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta – Como, aprile 1999
Giusto Perretta
Nasce a Napoli il 5 luglio 1919; giunge con la famiglia a Como nel 1921. Diplomatosi perito edile, nel 1938 viene chiamato alle armi e destinato ad Homs (Tripolitania) nella Divisione “Sirte”; partecipa quale Tenente di artiglieria contraerea con il Gruppo Divisioni Libiche all’avanzata su Sidi El Barrani. E’ catturato nel dicembre del 1940 nel corso della controffensiva inglese e trattenuto quale prigioniero di guerra in India fino al 1946.
La guerra è particolarmente tragica per la famiglia Perretta: nel 1941 il fratello Fortunato cade sul fronte greco-albanese; l’altro fratello Lucio viene deportato in Germania dopo l’8 settembre 1943 e internato per due anni, inoltre nel settembre 1944 il padre Pier Amato, avvocato antifascista espulso dalla magistratura e dirigente della Resistenza viene ucciso a Milano dai nazifascisti.
Rientrato a Como nel 1946, Giusto Perretta svolge l’attività lavorativa in città, poi a Milano nel settore della Cooperazione come Vice Presidente della Coop Lombardia dedicandosi nello stesso tempo all’impegno civile e politico. E’ Segretario quindi Presidente dell’ANPI e Consigliere provinciale per una legislatura. Da membro dell’Istituto Lombardo del Movimento di Liberazione, nel 1977 promuove la fondazione dell’omonimo Istituto Comasco, del quale ricopre la carica di Direttore fino al 1994, poi quella di Presidente fino all’aprile del 1997. Nel corso di questa attività è fra l’altro promotore della nascita a Como del Monumento alla Resistenza europea. E’ stato autore di numerosi studi di storia locale su Resistenza e Cooperazione è stato insignito dell’Abbondino d’oro da parte del Comune di Como.