la costituzione italiana
I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica
Dall'unità d'Italia alla Costituzione
Il papa «prigioniero» in Vaticano
Nel 1870, il papa è l’ultimo ostacolo politico all’unità d’Italia.
Per il Risorgimento, la difesa dello Stato pontificio – sotto l’autorità dei vescovi di Roma dall’VIII secolo – è diventato simbolo della lotta della Chiesa contro il mondo moderno. Una lotta destinata al fallimento, in quanto questi territori dividono la penisola nel mezzo e la loro scomparsa è la condizione per la sua unificazione.
La guerra franco-prussiana dà agli italiani l’occasione per far finire questa situazione. Il 20 settembre 1870, i Piemontesi entrano a Roma. Pio IX abbandona la sua residenza del Quirinale per rifugiarsi in Vaticano, dove si considera allora come prigioniero.
Poco dopo, il 13 maggio 1871, l’Italia vota una «legge delle guarentigie» che accorda al papa e all’amministrazione della Chiesa - la Santa Sede - certi vantaggi, tra cui la possibilità di intrattenere delle relazioni diplomatiche e il godimento dei palazzi del Vaticano, del Laterano e di Castel Gandolfo, ma senza beneficiare di una qualunque extraterritorialità, ivi compresa la basilica di San Pietro.
Pio IX, per il quale la sovranità territoriale è la garanzia dell’indipendenza spirituale del trono apostolico, rifiuta. Inoltre, risponde riaffermando il divieto fatto nel 1868 ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica: è il Non expedit (non conviene); né eletti né elettori. Questo non impedisce ai cattolici di partecipare alle elezioni locali e di avere un peso nella vita sociale del paese mediante delle potenti associazioni, con tutta una rete di cooperative, di giornali e anche delle banche.
I successori di Pio IX (Leone XIII, Pio X, Benedetto XV) mantengono formalmente il Non expedit, pur inviando qualche segno di apertura. E nelle elezioni del 1913, di fronte alla possibilità di un successo socialista, i cattolici sono invitati a votare per dei candidati liberali. Si dovrà tuttavia attendere il 1919 perché Benedetto XV tolga una volta per tutte il Non expedit e che il Partito Popolare, appena fondato da un prete siciliano, Don Luigi Sturzo, faccia eleggere 100 deputati alla Camera.
Poi dopo l’arrivo al potere di Mussolini, iniziano delle trattative riservate con il governo fascista. Questi sfociano nella firma dei Patti del Laterano, l’11 febbraio 1929, tra Mussolini e il cardinal Gasparri, segretario di Stato della Santa Sede.
Un trattato internazionale crea lo Stato della Città del Vaticano (il più piccolo del mondo, 44 ettari), un concordato rende la religione cattolica la religione dello Stato italiano, e un indennizzo finanziario compensa il Papato della perdita dello Stato Pontificio.
Il papato dispone tuttavia ancora di un potere temporale, anche se simbolico, ma al prezzo di un accordo momentaneo con uno Stato totalitario, il che gli procura numerose critiche. Alcuni cattolici, inoltre, si interrogano sulla necessità di questo ritorno al potere temporale della Chiesa.
Negli anni seguenti, Pio XI non risparmia critiche al regime fascista. Ciò non impedisce a Mussolini di desiderare che si attui la conciliazione del 1929 con l’apertura di una via trionfale che unisce il Tevere alla basilica di San Pietro. I lavori vengono iniziati nel 1939 ed è in occasione dell’anno santo del 1950 che viene inaugurata la grandiosa prospettiva che conduce oggi al cuore della Cristianità.
Era questa, per sommi capi, la complicata situazione che stava di fronte ai deputati dell'Assemblea Costituente che avevano il compito di ripensare i rapporti della nuova Italia, democratica e repubblicana, non più fascista e monarchica, con la Chiesa cattolica.
Articolo 7 della Costituzione Italiana:
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Stato italiano e Stato del Vaticano: la questione romana
Il problema dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa si complicò soprattutto a motivo delle particolari vicende storiche che avevano condotto, nel 1861, alla nascita dell'Italia unita. È necessario perciò ricordare brevemente i termini della cosiddetta "questione romana".
È noto che il regno d'Italia, proclamato nel 1861, non comprendeva, tra gli altri, il territorio del Lazio, che faceva parte dello Stato pontificio.
Si trattava, quindi, di portare a compimento l'unità territoriale del Paese. Ma si trattava anche di definire ex novo i rapporti con la Chiesa, che di fatto vedeva ridimensionato il proprio potere temporale. Compito tutt'altro che semplice, se si pensa che il papa, Pio IX, non aveva ancora riconosciuto le annessioni del 1859. Si giunse, tra alterne vicende, e in un preciso contesto internazionale, al noto epilogo del 1870: il governo diretto da Giovanni Lanza ordinò al generale Cadorna di passare all'azione e il corpo di spedizione aprì una breccia nelle mura di Roma, a Porta Pia, liberando la città e ponendo fino al potere temporale dei papi (20 settembre 1870).
Nell'ottobre dello stesso anno un plebiscito sanzionò l'annessione di Roma e del Lazio e nel luglio successivo la capitale e il Governo furono trasferiti a Roma.
La contrarietà della Chiesa a qualsiasi forma di accordo complicò il compito di definire i suoi rapporti con lo Stato. Tali relazioni. perciò, non furono stabilite da un trattato bilaterale, ma da un atto unilaterale, cioè da una legge dello Stato, la cosiddetta legge delle guarentigie. La Chiesa continuava a non riconoscere ufficialmente lo Stato italiano e, da questo punto di vista, fu del tutto coerente il celebre non expedit (dal latino: non conviene) pronunciato dalla Curia romana nel 1874: i cattolici venivano invitati ad astenersi dalla vita politica del nuovo Stato, giacché qualsiasi forma di partecipazione sarebbe equivalsa a un suo riconoscimento.
Dato il peso oggettivo del mondo cattolico in Italia, si può capire l'enorme problema che stava di fronte alle classi dirigenti del Paese. Lo Stato, come si dice, poteva contare su basi di consenso molto ristrette: erano pochi i cittadini che davvero si riconoscevano nelle istituzioni e che le sentivano come proprie. La lacerazione con la Chiesa, certo, non aiutava.
Si può capire, soprattutto, la soddisfazione di Mussolini, che potè presentare i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) come la definitiva chiusura della questione romana: in effetti la Chiesa, in cambio di rilevanti privilegi come, tra gli altri, il riconoscimento che la religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato e che l'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica, riconosceva finalmente in via ufficiale lo Stato italiano.
Il carattere laico dello Stato italiano risultava assai attenuato, mentre la Chiesa acquistava privilegi che non avrebbe mai ottenuto dalla classe dirigente liberale prefascista, come il matrimonio religioso con effetti civili e l'introduzione nelle scuole dell'insegnamento della dottrina cattolica, «fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica». Inoltre, alle organizzazioni dipendenti dall'Azione cattolica era consentito continuare a svolgere la loro attività sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche. Si trattava di un provvedimento di straordinaria importanza, se si considera che uno dei primi atti della dittatura era stato lo scioglimento di tutte le associazioni non fasciste. Rispetto alla massa dei cittadini privati del diritto di associarsi liberamente, i cattolici potevano invece mantenere in piedi la loro rete organizzativa che, formalmente finalizzata all'azione spirituale, in realtà continuava ad agire in ogni settore della vita civile.
Per il fascismo, che puntava a ottenere il controllo assoluto dell'intera società, era un'autolimitazione notevole. Eppure Mussolini aveva dovuto fare queste concessioni: l'appoggio della Santa Sede, più ancora che il sostegno della monarchia, rappresentava un pilastro fondamentale per l'edificio fascista. Fino a quando i rapporti tra il Duce e il Vaticano fossero rimasti armonici, alto e basso clero avrebbero assicurato l'obbedienza e persino il consenso delle masse cattoliche alla dittatura.
I Patti Lateranensi
Sono divisi in tre parti: il trattato internazionale (con esso, la Santa Sede riconobbe l'Italia come Stato ufficiale e in cambio ottenne la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano), la convenzione finanziaria (con la quale l'Italia diede una forte indennità in denaro al Papa come risarcimento per la perdita dello Stato Pontificio), il concordato (con il quale si regolarono i rapporti interni fra Stato e Chiesa).
Il concordato, la parte più importante dei Patti, ridusse sensibilmente il carattere laico dello Stato stabilendo, per esempio, la validità civile del matrimonio religioso, l'impegno a impartire l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello Stato, la negazione dei pieni diritti civili ai sacerdoti. In generale, fu la Chiesa a ottenere una posizione di privilegio nei rapporti con lo Stato, rafforzando notevolmente la sua presenza nella società.
Nel febbraio del 1984, Craxi a nome del governo da lui presieduto firmò con la Santa Sede un nuovo concordato che ritoccò gli accordi precedenti, rendendo facoltativa l'ora di religione nelle scuole, abolendo il nulla osta vescovile per l'assunzione da parte dello Stato di un ecclesiastico, lasciando alla totale competenza del papato la nomina dei vescovi.
L'antifascismo costituzionale
Disposizione XII della Costituzione Italiana
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
La Costituzione italiana è il frutto di un grande sforzo politico collettivo per rigenerare la vita politica su basi costituzionali dopo la tragedia della dittatura fascista e le drammatiche dissoluzioni operate sulla vita materiale e spirituale del Paese. Ciò spiega l'impostazione antifascista della nostra Costituzione sia nei principi, più profondi e più importanti, antiautoritari e democratici, sia nelle norme più esplicite, come la Disposizione XII che vuole essere non un elemento di rivalsa o di vendetta ma solo, e giustamente, un'ulteriore garanzia per la democrazia italiana. Soprattutto allora, a guerra appena finita, quando il pericolo di un rigurgito fascista era ancora molto forte e vivo il ricordo della trasformazione da regno democratico-liberale a dittatura. Si capisce chiaramente, allora, il timore che spinse i padri costituenti a deliberare tale disposizione, anche perché una delle condizioni dell'armistizio dell'8 settembre 1943, imposte dagli alleati angloamericani all'Italia, era stata l'introduzione di sanzioni contro il fascismo e i suoi esponenti
La volontà evidente degli alleati, come della classe politica al Governo, era quella della defascistizzazione dello Stato. Così, già dal 1945 vennero emanate norme penali (poi modificate nel 1947, nel 1952 e nel 1975) miranti a colpire la ricostituzione del partito fascista e le attività neofasciste, secondo queste tipologie
• repressione dei fatti di promozione, organizzazione e partecipazione al regime fascista nel periodo monarchico e poi durante la Repubblica sociale italiana;
• punizione dei reati di intelligenza e di collaborazione con i tedeschi durante l'occupazione militare del Paese;
• repressione della ricostituzione del disciolto partito fascista e delle attività neofasciste.
Truppe della milizia fascista che, nel gennaio 1938, si addestrano al passo romano.
Vennero così emanati dei provvedimenti di epurazione nei confronti dei pubblici impiegati delle amministrazioni civili e militari dello Stato. In realtà, i provvedimenti di epurazione ebbero scarsa efficacia perché prevalse l'orientamento verso una generale pacificazione degli animi.
Di particolare rilievo le misure penali contro gli alti gerarchi, che prevedevano l'ergastolo e, nei casi più gravi, la pena di morteper i membri del governo fascista e i gerarchi fascisti, colpevoli di avere annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del paese condotto alla attuale catastrofe(art. 2, Decreto legislativo n. 159/1944). Erano inoltre previste pene per chi aveva organizzato squadre fasciste, compiuto atti di violenza e di devastazione, promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922 o il colpo di Stato del 3 gennaio 1925.
Più pesanti le norme penali che colpivano il collaborazionismo militare o politico con i tedeschi dopo l'8 settembre, a cui si applicarono le sanzioni previste dal codice penale militare di guerra. In realtà, la punizione di questi gravissimi reati fu intensa solo nei primi mesi dopo la liberazione e nelle zone del nord d'Italia; successivamente, vari provvedimenti di amnistia cancellarono gli effetti penali della maggior parte dei processi contro i collaborazionisti.
Così, anche se mancava una destra politicamente attiva, molti erano gli uomini implicati con il fascismo e con la Repubblica di Salò in circolazione. Infatti, già nel dicembre del 1946 si costituì il Movimento sociale italiano (Msi), direttamente collegato, per ideologia e per uomini. al disciolto Partito nazionale fascista. Ci fu chi sostenne che, Disposizione XII alla mano, anche l'Msi dovesse essere sciolto. In realtà, esso ebbe i suoi parlamentari regolarmente eletti, tenne congressi regolari e svolse regolare attività politica. Ma l'insurrezione di Genova, nel luglio del 1960, contro un congresso dell'Msi che cercava di legittimarsi come partito di governo senza nascondere la sua continuità ideologica col passato, dimostra quanto vivo fosse il sentimento antifascista in Italia e quanto previdente sia stato il divieto della disposizione.
L’attuale disciplina (legge n. 152, del 22 maggio 1975) stabilisce che si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un'associazione, un movimento o un gruppo di almeno cinque persone perseguono finalità antidemocratiche, esaltando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o svolgendo propaganda razzista, ovvero esaltando esponenti o metodi del partito fascista o compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Le pene previste sono:
• promotori e organizzatori dell'associazione neofascista: reclusione da 5 a 12 anni;
• partecipanti: reclusione da 2 a 5 anni.
Le pene sono raddoppiate se l'associazione assume il carattere di organizzazione armata o paramilitare.
La legge punisce, inoltre, l'apologia di fascismo come la propaganda volta alla costituzione di un associazione neofascista, la pubblica esaltazione di principi, esponenti e metodi del fascismo, l'attuazione di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero proprie del nazismo in occasione di pubbliche riunioni. Per tali reati sono previste pene che possono arrivare fino a 5 anni di reclusione.
Bibliografia:
Mauro Albera e Giovanni Missaglia – Professione cittadino – Ed. Hoepli Milano 2008
Le radici della Costituzione italiana
Un testamento di centomila morti: con questa tragica e bellissima espressione, di Piero Calamandrei, insigne giurista esponente del Partito d'Azione e membro dell'Assemblea Costituente, ha definito la Costituzione della Repubblica italiana. Rivolgendosi a un pubblico di studenti universitari, il 26 gennaio del 1955, Calamandrei pronunciò, tra le altre, le seguenti parole:
Ora vedete, io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione, c'è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: sono tutti sfociati qui, negli articoli. Ed a saper intendere, dietro questi articoli si sentono delle voci lontane.
Quando leggo nell'articolo 2 "L'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" o quando leggo nell'articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli", "la patria italiana in mezzo alle altre patrie", ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini.
O quando leggo nell'articolo 8 "Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge", ma questo è Cavour! O quando leggo nell'articolo 5 "La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali", ma questo è Cattaneo! O quando nell'articolo 52 leggo, a proposito delle forze armate, "L'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica ", l'esercito di popolo, ma questo è Garibaldi! O quando leggo all'articolo 27 "Non è ammessa la pena di morte", ma questo, studenti milanesi, è Beccaria!! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, voi giovani dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità; andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.
Le riflessioni di Calamandrei sono un'introduzione ideale alla storia della Costituzione italiana. I riferimenti a Beccaria, a Mazzini, a Garibaldi, a Cavour e a Cattaneo esprimono bene il radicamento della nostra Costituzione nella tradizione della migliore intellettualità italiana e nell'opera dei protagonisti del nostro Risorgimento che portò, nel 1861, alla nascita dell'Italia unita.
Il riferimento ai partigiani, alle migliaia di morti caduti nella Resistenza, richiama, invece, la radice più immediata e vicina della Costituzione: l'antifascismo e la lotta partigiana. Se non si tiene presente che questa è l'origine della nostra Carta costituzionale, non se ne può capire nulla e, soprattutto, non se ne può apprezzare il valore civile.
Bibliografia:
Mauro Albera e Giovanni Missaglia – Professione cittadino – Ed. Hoepli Milano 2008
De Nicola e Terracini firmano la Costituzione Italiana
4 incontri sulla Costituzione italiana
4 incontri sulla Costituzione
La Costituzione italiana non è nata per caso. Narra una storia che è costata sofferenza ed è frutto di una lotta al cui centro vi erano e vi sono valori e principi irrinunciabili: la libertà dell'uomo e della donna, la loro eguaglianza di fronte alla legge, il rifiuto del conflitto come norma di convivenza, il rispetto dell'altro.
Approfondire la sua conoscenza, per esercitare i diritti e i doveri che ci garantisce e ci indica, è l’obiettivo che si propone la Sezione lissonese dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Quattro saranno gli incontri che il prof. Giovanni Missaglia, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico “Frisi” di Monza ed autore del libro “Professione Cittadino. Dalla Costituzione Italiana alla nascita della Costituzione Europea”, terrà presso la sede dell’ANPI in Piazza Cavour 2 a Lissone.
Gli argomenti trattati saranno:
1) Origini, significato e struttura della Costituzione italiana
2) I principi fondamentali della Costituzione
3) La prima parte della Costituzione: i diritti e i doveri dei cittadini
4) La seconda parte della Costituzione: l'ordinamento istituzionale della Repubblica
La partecipazione è gratuita.
Il ciclo di lezioni si svolgerà dalle ore 18 alle ore 19.30, nei seguenti lunedì:
1) 3 maggio
2) 10 maggio
3) 17 maggio
4) 24 maggio
Per partecipare al corso occorre iscriversi entro il 26 aprile, telefonando al numero 039 480229 (negli orari d’ufficio, risponde lo SPI CGIL di Via San Giuseppe 25) o inviando una mail a anpilissone@libero.it
Il corso è aperto sia agli studenti delle scuole superiori sia a coloro che intendono approfondire le loro conoscenze sulla nostra legge fondamentale.
La Costituente (1946-1947)
Il 2 giugno 1946 gli italiani vengono chiamati alle urne, oltre che per il referendum istituzionale tra repubblica e monarchia che sancirà la fine di quest’ultima, anche per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente cui sarà affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale (come stabilito con il decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151). Il sistema elettorale prescelto per la consultazione elettorale è quello proporzionale, con voto "diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti", in 32 collegi plurinominali, per eleggere 556 deputati (la legge elettorale prevedeva l'elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si effettuarono nell'area di Bolzano, Trieste e nella Venezia Giulia, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello Stato italiano). In base all’esito elettorale, l’Assemblea Costituente risulta così composta: DC 35,2%, PSI 20,7%, PCI 20,6%, UDN 6,5%, Uomo Qualunque 5,3%, PRI 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.
La Costituente si riunisce per la prima volta a Montecitorio il 25 giugno 1946 e nel corso della seduta viene eletto presidente Giuseppe Saragat (in seguito dimissionario e sostituito, l'8 febbraio 1947, da Umberto Terracini) .
Il 28 giugno l’Assemblea elegge Enrico De Nicola "Capo provvisorio dello Stato", fino a che cioè non sarebbe stato nominato il primo Capo dello Stato a norma della nuova Costituzione. La Costituente inoltre delibera la nomina di una commissione ristretta (Commissione per la Costituzione), composta di 75 membri scelti dal Presidente sulla base delle designazioni dei vari gruppi parlamentari, cui viene affidato l'incarico di predisporre un progetto di Costituzione da sottoporre al plenum dell'Assemblea. I membri sono suddivisi tra i partiti come risulta dalla tabella seguente:
Democrazia Cristiana | 207 | Mov. Indip. Sicilia | 4 |
Partito Socialista | 115 | Concentr. Dem Repub. | 2 |
Partito Comunista | 104 | Partito Sardo d'Azione | 2 |
Unione Dem. Naz, | 41 | Movim. Unionista It. | 1 |
Uomo Qualunque | 30 | Part. Cristiano Sociale | 1 |
Partito Repubblicano | 23 | Part. Democr. Lavoro | 1 |
Blocco Naz. Libertà | 16 | Part. Contadini Italiani | 1 |
Partito d'Azione | 7 | Fr. Dem. Progres. Rep. | 1 |
Nominata il 19 luglio 1946 e presieduta da Meuccio Ruini, la Commissione si articola in tre Sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, la seconda sull'ordinamento costituzionale della Repubblica (divisa a sua volta in due Sezioni, per il potere esecutivo e il potere giudiziario, più un comitato di dieci deputati per la redazione di un progetto articolato sull'ordinamento regionale), la terza sui diritti e doveri economico-sociali.
Conclusi i lavori delle varie Commissioni, il 31 gennaio 1947, un Comitato di redazione composto di 18 membri, presenta all’aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discute il progetto e il 22 dicembre viene approvato il testo definitivo.
La Costituzione repubblicana – giudicata il frutto più cospicuo della lotta antifascista – è promulgata il 27 dicembre 1947 da De Nicola ed entra in vigore il 1° gennaio 1948. Essa rappresenta l’incontro tra le tre tradizioni di pensiero presenti nella Costituente: quella cattolico-democratica, quella democratico-liberale e quella socialista-marxista. La carta si compone di una premessa, in cui sono elencati i principi fondamentali, e due parti, rispettivamente dedicate ai diritti e doveri dei cittadini e all’ordinamento dello Stato.
Roma, 27 dicembre 1947 (Palazzo Giustiniani) - Enrico De Nicola firma l'atto di promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana.
La firma di Umberto Terracini
una copia della Costituzione della Repubblica Italiana a chi compie 18 anni

Per l’avvicinarsi del 60° della promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana (1 Gennaio 2008), , L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Lissone chiede al Sindaco e all’assessore competente di donare, durante il loro mandato, alle cittadine e ai cittadini lissonesi che compiranno i 18 anni, , una copia della Costituzione della Repubblica Italiana.
Art. 1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 5: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento