Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

pagine di storia locale

La Resistenza a Lissone (II parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Il CLN rappresentava la sintesi dei vari fermenti di lotta e opposizione al fascismo; suoi istrumenti dovevano essere le Squadre di Azione Patriottica (SAP); mezzi: la propaganda clandestina e le azioni di disturbo; fine ultimo l'insurrezione.

Lo sciopero generale del Marzo 1944 ottenne un grande e lusinghiero successo così da scuotere in Lissone l'assenteismo della popolazione, interessandola alla lotta per la liberazione e a coloro che combattevano per ottenerla.

Si ruppero allora gli indugi d'una situazione immatura e venne decisa la formazione del locale CLN. Ai primi di maggio risalgono i contatti fra i due animatori socialista e comunista e l'esponente designato dal partito popolare ormai denominatosi Democrazia Cristiana.

Il CLN lissonese ebbe ufficialmente origine il 15.5.44 con una riunione clandestina nell'abitazione del signor Costa; della riunione fu steso un verbale da far pervenire alle autorità centrali tramite l'incaricato comunista Piero; poi il CLN si inserirà quale organo periferico riconosciuto dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) con sede in Milano.

Compiti del comitato erano: predisporre e coordinare le azioni di disturbo al nemico; aiutare le vittime del fascismo; preparare l'Amministrazione Pubblica per il momento dell'insurrezione; risolvere i problemi dell'approvvigionamento.

Il CLN fu composto dai signori:

Federico Costa (nome di battaglia Franco) rappresentante socialista

Attilio Gelosa (Carlo) - democristiano

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Agostino Frisoni (Ottavio) comunista.

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Dopo circa un mese Franco fu sostituito per ragioni personali, mantenendo però l'incarico di cassiere del Comitato e di addetto all'assistenza, alle famiglie dei perseguitati, in sua vece entrò a far parte Gaetano Cavina (Volfango).

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Le funzioni di collegamento col comando militare furono espletate dal signor Leonardo Vismara detto Biel (Raimondo) comunista.

Nel frattempo socialisti e comunisti intensificavano le ricerche di armi con cui dotare la propria organizzazione.

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La Resistenza a Lissone (III parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Il gruppo comunista fu il primo in paese a organizzarsi per la lotta clandestina formando le SAP, comprendenti volontari lavoratori con un capo responsabile, affiancate dal Comitato di agitazione e propaganda, da cellule nei vari stabilimenti, dalle Donne Patriote, che diedero così valido aiuto alla causa, il tutto sotto controllo del commissario politico. Successivamente le SAP furono aggregate al Corpo Volontari della Libertà come parte attiva della 119a Brigata Garibaldina Di Vona.

In quel periodo di grande abnegazione per il proprio ideale, a Monza nel corso di un'azione di raccolta di armi, il socialista Davide Guarenti venne tradito dal suo esuberante entusiasmo, arrestato con altri attivi antifascisti, tradotto nelle carceri, finì all'infame campo di Fossoli, dove la sua giovinezza venne falciata dalla barbarie fascista il 12 luglio 1944 per illuminarsi della luce del martirio unitamente a molti altri.

Intanto gli inviti ai renitenti alla leva si erano fatti pressanti; il richiamo con il passare del tempo passò dalle lusinghe alle promesse. Visto inutile l'uso della convinzione i fascisti emanarono ordini severissimi: aggiunsero minacce e vessazioni ai familiari ritenendoli responsabili delle diserzioni. Poi si iniziò una caccia che veniva effettuata soprattutto di notte con perquisizioni improvvise presso famiglie sospettate di nasconderli, con rastrellamento di tutti i luoghi di possibile rifugio. Quella caccia all'uomo era accompagnata da spari intimidatori, così da elevare la tensione al livello di esasperazione.

Il CLNAI informato della gravità della situazione passò l'ordine di agire. Una squadra delle SAP portò a compimento l'attentato che avvenne il giorno 11 giugno in via Milano (attuale via Matteotti): i due militi fascisti che più si accanivano nella lotta ai renitenti vennero fatti oggetto di lancio di bombe a mano: uno morì immediatamente, l'altro dopo qualche giorno. L'autorità fascista lanciò i suoi sgherri ovunque un indizio potesse svelare l'organizzazione: tutto fu messo in opera, ma solo attraverso una spia si giunse all'arresto dei quattro patrioti.

Il loro sacrificio risulta infinitamente più grande per aver subito raffinate e volgari pressioni fino alle torture più inumane senza denunciare i compagni di altre squadre

Du
e, Remo Chiusi e Mario Somaschini, furono tradotti a Monza alla famigerata Villa Reale e per ordine del sadico torturatore Gatti capo della Guardia Nazionale Repubblicana, dopo le immancabili sevizie subirono la fucilazione il 17 giugno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(continua)

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La Resistenza a Lissone (IV parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

A Lissone la sera di venerdì 16 giugno, nell'ora di' uscita degli operai del lavoro, gli altoparlanti chiamarono a raccolta la popolazione in piazza per assistere ad uno spettacolo: la gente, ignara di quanto stava per accadere, si fermava e s'infittiva in una sospettosa attesa.

Improvvisamente si presentarono sulla scalinata della casa del fascio, agli occhi esterefatti della moltitudine, due corpi incapaci di reggersi, afflosciati dalle torture, che furono sospinti brutalmente presso la fontana.


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Un attimo dopo Pierino Erba e Carlo Parravicini crollarono cancellati alla vita da una raffica. La piazza si svuotò per il panico, fu un fuggi fuggi nelle vie adiacenti, un gridare di donne ed un piangere di ragazzi mentre altre raffiche di mitra solcarono l'aria per incutere maggior paura. La giustizia fascista si credette soddisfatta mentre suo malgrado accese quattro fiaccole destinate a rischiarare per l'avvenire la lotta contro la dittatura.


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La stessa Radio Londra nelle trasmissioni della «Voce della Libertà» annunciò il tragico episodio di Lissone esaltando il martirio dei quattro patrioti. In quell'occasione fu pure arrestato il commissario politico Giuseppe Parravicini, sindacalista comunista, che, incarcerato a San Vittore e processato, fu deportato al famigerato campo di sterminio di Auschwitz da dove tornerà vivo ma debilitato per sempre nel fisico.

La paura invase l'animo di molti e per ridare coraggio a vecchi e nuovi aderenti, per stringere le fila occorse la fede nell'ideale, la disperata volontà di recupero. Il Comitato lasciò placare la reazione fascista, che pur essendosi violentemente scatenata non aveva coinvolto nessuno dei suoi responsabili civili, quindi riprese a tessere la trama della cospirazione.

Mentre la popolazione doveva soffrire e tacere, loschi individui si arricchivano con la compiacente tolleranza fascista. Il Comitato stilò un elenco di borsaneristi, si interessò di chi teneva scorte e collaborava con i nazifascisti in altri modi.

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La Resistenza a Lissone (V parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Dalla metà giugno del 1944 alla Liberazione l'attività del CLN, nonostante le obiettive difficoltà di tempo e di movimento che si opponevano, fu molto intensa.





I verbali delle riunioni del Comitato lo dimostrano e indicano quali erano le direttive seguite:

1)      Propaganda, reclutamento e raccolta di mezzi finanziari.

2)      Assistenza materiale e morale alle famiglie bisognose dei perseguitati politici, dei   richiamati, dei renitenti e dei prigionieri militari e civili.

3)      Preparazione dei quadri dell'amministrazione comunale provvisoria che alla Liberazione assumerà i poteri: consiglio comunale, giunta e Sindaco.

4)      Ricerca di armi e mobilitazione degli organismi militari per eventuali azioni di guerra.

 



L
'attività propagandistica prese corpo attraverso la creazione di cellule che svolsero la loro attività sul posto di lavoro, nei ritrovi giovanili e nelle associazioni; con la distribuzione della stampa clandestina dei partiti, di fogli ciclostilati o poligrafati e volantini.

Vennero inviate lettere ad associazioni come la Società Ginnastica Pro Lissone e la Famiglia Artistica; altre a ditte e aziende, che si sapeva o si supponeva lavorassero per la guerra o peggio per i tedeschi, con lo scopo di illustrare gli ideali del movimento o per dissuadere e scoraggiare la loro cooperazione con i nazifascisti.

Per incrementare la raccolta dei mezzi finanziari, che già provenivano da cauti offerenti, fu inviata una lettera circolare a tutte le più grosse aziende lissonesi, e, per stornare le indagini della polizia, a parecchie ditte dei paesi vicini. La lettera produsse una grande impressione ma benché se ne parlasse assai in paese, difficoltà obiettive impedirono la raccolta di frutti consistenti.
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La Resistenza a Lissone (VI parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Un'azione che ebbe una vasta risonanza propagandistica, senza considerarne il suo alto valore morale di ricordo e di riconoscenza, fu effettuata nella ricorrenza dei defunti il 2 novembre '44. Per onorare la memoria degli eroici giovani fucilati in giugno, di notte corone di fiori vennero deposte sulle loro tombe e poco prima della chiusura di mezzogiorno sulle stesse venne collocato un cartoncino tricolore con scritto in evidenza «Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia». Nel pomeriggio attorno alle due tombe fu un accalcarsi di gente nonostante la pioggia battente.

 

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l'attuale tomba presso il cimitero


L'assistenza alle famiglie bisognose, sia pure nei ristretti limiti delle disponibilità finanziarie del CLN si svolse con regolarità e scrupolosità: un membro del Comitato aiutato da una compagna ora locale ora dei paesi vicini distribuiva le somme a disposizione.

Per il Natale del ‘44 il Comitato volle elargire un contributo più sostanzioso dei precedenti alle famiglie bisognose colpite dai provvedimenti fascisti; furono così distribuite una cinquantina di buste contenenti denaro, raccolto fra simpatizzanti, e inviti alla lotta.

Si utilizzò inoltre l'opera di due sorelle patriote quali informatrici, essendo impiegate presso la casa del fascio una ed al centralino telefonico tedesco l'altra. Le informazioni avute risultarono utili in relazione a decisioni locali, a spostamento di brigate nere ed alla sicurezza del Comitato stesso. Questi assicurò loro l'incolumità dopo l'insurrezione quando il popolo ignaro della loro delicata posizione avrebbe potuto trattarle da collaboratrici con il nemico.

In quei giorni quattro prigionieri di guerra russi, fuggiti ai tedeschi, furono nascosti in un cascinale da un partigiano, che con un altro li assisté e li alimentò per una decina di giorni fino al momento in cui il C.L.N. organizzò la loro fuga fra le fila dei partigiani combattenti sui monti.

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La Resistenza a Lissone (VII parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Grande impegno richiedeva anche la scrupolosa preparazione dei quadri dirigenti dell'amministrazione comunale che nell'immediato periodo post insurrezionale avrebbe dovuto assumere la direzione del paese. A parte la difficoltà di trovare gli uomini, che, dopo una mancanza ventennale di democrazia, potessero degnamente rappresentare tutta la popolazione, si trattava di stabilire l'equa rappresentanza dei partiti nel Consiglio Comunale e soprattutto fissare a quale partito dovesse appartenere il Sindaco.

Nei primi mesi del 1945 gli incontri clandestini divennero numerosi. Quelli che avvenivano fra persone notoriamente aderenti ad ideologie contrastanti non potevano non sollevare sospetti e dovevano effettuarsi con molta cautela: diverse riunioni si svolsero così sulle panchine della stazione di Monza o del piazzale prospiciente la stessa come fra persone in attesa del treno. Le riunioni invece del CLN avvenivano, specie durante la stagione invernale, in casa di Volfango, la quale offriva, in caso di pericolo, la possibilità di eclissarsi attraverso i tetti.

L'attività relativa alla ricerca di armi e per i collegamenti militari veniva affidata dai singoli partiti del CLN ad un loro incaricato che si metteva in contatto con il comandante politico della 119a Brigata Garibaldina nella persona del geometra Riccardo Crippa (Ettore).

Nonostante tutte le precauzioni e le cautele con cui si agiva, proprio nei giorni precedenti la Liberazione si verificò un episodio che portò un certo scompiglio fra tutti i responsabili del movimento clandestino.

La delazione ai danni di due patrioti delle SAP portò anche all'arresto di una loro zia la notte del 19 aprile. Furono trovate oltre ad una pistola, una lista di patrioti con i rispettivi incarichi per la imminente insurrezione: furono tutti immediatamente arrestati. Tradotti alla Villa Reale di Monza furono divisi per interrogarli. I primi arrestati con la zia furono malmenati, addentati da cani aizzati dagli aguzzini, bastonati per ottenere una confessione. Gli altri subirono pure tormenti e vessazioni. Furono tutti avvertiti che li aspettava la fucilazione in piazza a Muggiò quale rappresaglia per l'uccisione di un sottufficiale tedesco. L'attesa divenne spasimo in quel precipitare di eventi. L'incertezza che in quegli sgherri prevalesse la ferocia all'istinto di conservazione - cioè la fuga - provocava in loro una tortura troppo difficile da descrivere se non da chi la sofferse. Per quell'arresto Lissone avrebbe potuto piangere un altro gruppo di fucilati.





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La Resistenza a Lissone (VIII parte)

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

La situazione si fece drammatica anche per i componenti del Comitato, che, avvertiti immediatamente dalle informatrici del grave pericolo che correvano perché ormai indiziati, si dispersero spostandosi giorno e notte alla periferia del paese.

Il CLN si riunì per l'ultima volta clandestinamente il 24 sera ed il 25 mattina lanciò al popolo il proclama della Liberazione, insediandosi come autorità riconosciuta insieme all'Amministrazione Comunale scaturita dal Comitato stesso, mentre venivano liberati gli ultimi patrioti detenuti alla Villa Reale.


L
'insurrezione precedette di diversi giorni l'entrata degli alleati;



m
a la dittatura vinta lasciò una marea di odio e di rancori, quali ferite delle catene appena spezzate. Ciò ebbe come conseguenza un'esplosione di ritorsioni per le violenze patite accumulatesi e per le vendette da troppo tempo represse, però non si arrivò ad esprimere in questo modo un sistema e strumento di governo, come invece era accaduto per il fascismo due decenni prima. In seguito il divenire del tempo mitigò gli animi.

Così anche il nostro paese con i suoi morti nelle piazze e nei campi di concentramento si inserì nella Resistenza, metodo di strenua lotta contro ogni regime dittatoriale, sperimentazione della forza immensa racchiusa in un ideale per il quale le volontà si unirono tese ad un'unica meta: il raggiungimento della democrazia.


Queste brevi note non vogliono essere un giudizio su come venne attuata la Resistenza nel nostro comune, ma desiderano illustrare alcuni degli avvenimenti successi secondo quanto
è stato riferito agli estensori dai rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale locale.
Testo redatto da “volonterosi” del Centro Culturale Civico (vedi presentazione della pubblicazione a cura del Sindaco Fausto Meroni) in occasione del 25° anniversario della Liberazione (1970)



Gli articoli sulla Resistenza a Lissone sono tratti dalla pubblicazione del Comune di Lissone in occasione in occasione del 25° anniversario della Liberazione (1970)


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i figli migliori ...

15 Juillet 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale


poesia del lissonese Alfredo Pozzi pubblicata il 10 giugno 1945 in “I Martiri di Monza e Circondario” a cura del Comitato di Liberazione Nazionale


 

Ecco! Quel mondo putrido declina

in un crepuscolo di nero. Nell’alba

nell'alba vicina

vedremo risorgere

i figli migliori ...

Fiammante è quest'alba: scarlatti i colori.

Ecco! Il sole novello! Primavera

di Libertà e giustizia, d'uguaglianza:

il popolo spera

e chiama i suoi Martiri

dal fosso comune:

la carne è straziata, la fede era immune.

Ritornano le salme sulle soglie

del proprio borgo; il popolo fremente,

la madre, le accoglie ...

L'impronta nel secolo

voi primi segnaste:

che raggio di luce tra l'ombre nefaste!

E dal vostro martirio ora germoglia

la coscienza più pura nella massa

che unita si spoglia

di forme tiranniche,

e libera canta

pei martiri nostri la causa n'è santa.

Dalle rustiche tombe voi tornate

all'estrema dimora: tutto un mondo

corrotto segnate

per l'ineluttabile

condanna, al passaggio:

tornate alla luce del sole di maggio.

               (ALFREDO  POZZI)      

 

 

 

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Principali aziende in Lissone nel 1944

18 Janvier 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

Di seguito i logo della principali aziende esistenti a Lissone nel 1944

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Enrico Bracesco: il primo mutilato della Resistenza operaia

18 Janvier 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

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Enrico Bracesco, caposquadra attrezzeria alla Breda V, arrestato il 13 marzo per strada a Monza. È il primo mutilato della Resistenza operaia. Di lui, oltre alla moglie Maria, diversi compagni hanno lasciato testimonianza, come Antonio Paleari, operaio nella stessa sezione, arrestato già nel gennaio con L. S. Bersan, G. Marchetti e M. Rizzardi davanti al Bar Prealpi di Sesto durante un passaggio di armi.

Anche nel caso di Bracesco l'antifascismo è «di famiglia»: il fratello Carlo gestisce una trattoria a Monza che funge da cerniera di collegamento tra l'organizzazione clandestina delle fabbriche sestesi le brigate Garibaldine delle montagne del lecchese. L'arresto di Enrico come quello dei compagni davanti al Bar Prealpi, intende provocare la rottura dei collegamenti con la montagna.

Nella testimonianza di Maria Bracesco, dopo 1'8 settembre, Enrico è costretto ad «andare in montagna»: più di una volta è stato in­dividuato per la sua attività clandestina. L'essere promotore degli scioperi del marzo 1943 gli avevano già causato circa un mese di carcere - tra attesa del processo e detenzione - e il conseguente licenziamento dalla Breda. Condannato a un anno perché «colpevole di abbandono del servizio» (durante il fascismo il termine «sciopero  era stato abolito), veniva tuttavia liberato poiché la sentenza era passata nel frattempo in giudicato. Grazie all'intervento dei compagni di lavoro riusciva a farsi riassumere alla Breda, ben accolto anche  dagli ingegneri Vezzani e Vallerani.

Quando inizia la Resistenza, Bracesco inizialmente si divide tra attività clandestina in fabbrica e fuori di essa; successivamente è conosciuto tra gli antifascisti più attivi come «il corriere delle armi». Il 4 novembre è a Sesto San Giovanni con un grande quantitativo di mitra caricati su di un camioncino, viene da Monza e ha l'incarico di portarle a Michele Robecchi a Muggiò.

(Sono armi che i militari in fuga dopo 1'8 settembre avevano sotterrato nel cortile  della scuola Ugo Foscolo di Monza, delle quali i gappisti riescono a reinpossessarsi con grande coraggio, poiché la scuola nel frattempo era stata occupata dai repubblichini. Trattandosi di un grosso quantitativo, 72 mitra e 2 mitragliatrici  il «corriere delle armi», E. Bracesco, provvede man mano a distribuirle).

La consegna viene eseguita con successo sennonché al ritorno, sulla strada tra Cinisello Balsamo e lo stabilimento staccato della Breda V, la «Taccona», verso il quale è diretto, il camioncino si rovescia. Viene trasportato all'ospedale di Monza dove è costretto a subire l'amputazione della gamba destra. Bracesco è un uomo coraggioso e non sarà questa disgrazia a fermarlo: è un gappista e fa parte del gruppo armato della Breda V. Persone sospette lo spiano anche in ospedale.

Una volta a casa, a Monza, in attesa della protesi per la gamba amputata e di una completa guarigione della ferita, egli continua a mantenere i collegamenti con la Resistenza. Persone sospette sorvegliano la sua casa. Ci sono appena stati gli scioperi e la moglie cerca di convincerlo a sfollare in campagna presso parenti. La difficoltà di camminare è però un grave impedimento. Inoltre Bracesco vorrebbe stare vicino al fratello Carlo, anche lui in pericolo per i suoi collegamenti con i partigiani. Per tali motivi, Bracesco resta,. limitandosi a rimanere nascosto durante la notte presso la sorella, la quale abita poco distante da casa sua. Un mattino però, mentre si avvia zoppicando verso la sua abitazione, viene arrestato. La moglie di quei giorni ricorda:

“lo non sapevo che l'avevano arrestato. Viene uno in casa mia, mi dice: «Dov'è Enrico?». lo gli dico che è a farsi curare per la gamba tagliata e lui mi dice di seguirlo con la mia bambina. Vengo caricata su una camionetta, mi portano al macello, dove ci sono le carceri. Lui era già lì, ma io non l'ho visto. Loro [sic!] mi hanno interrogato chiedendomi dove fosse Enrico. Io ho risposto: «Non lo so, magari ce l'avete già qui voi». Volevano sapere da me tante cose di Enrico, ma io sono sempre stata vaga. Tra l'altro, da mia sorella, avevo appena saputo, prima che venisse quell'uomo a casa mia, che Enrico l'avevano:. arrestato, ma non sapevo dove fosse.

Enrico Bracesco dopo una permanenza di più di un mese nel carcere di S. Vittore, trascorrerà tre mesi nel campo di transito di Fossoli e quasi due settimane in quello di Bolzano, dopodiché caricato assieme ad altri deportati negli usuali carri bestiame piombati a loro riservati, verrà condotto al KL di Mauthausen, dove verrà assassinato  luogo della sua morte (Istituto eutanasia di Hartheim).

castello-di-Hartheim.jpgIl castello di Hartheim, vicino a Linz, nell’inverno 1940 fu trasformato in un edificio per "l’azione-eutanasia" ordinata da Hitler, il cui scopo era "dare la bella morte agli ammalati inguaribili". L'Aktion T4 fu il programma nazista di eugenetica che prevedeva la soppressione o la sterilizzazione di persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche.

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