Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

il giornale della Giunta Provvisoria di Governo dell'Ossola

13 Août 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Il giornale della "Giunta Provvisoria di Governo dell'Ossola", si chiamava Liberazione – CLN – Giornale della Giunta Provvisoria di Governo dell'Ossola e delle Formazioni Militari dei Patrioti dell’Ossola.

Nella foto la prima pagina del secondo numero del giornale con data 23 settembre 1944; la redazione si trovava nel Palazzo di Città.

Giornale dell Ossola 

Di seguito viene ritrascritto l’articolo di fondo:

«Domodossola è liberata dalle armi Italiane. Tra la raggera di valli che scendono su di essa, serrata in alto e in basso dalle due zone confinanti. Domodossola respira la sua nuova aria di libertà dopo i lunghi anni di oppressione e di vergogna. Nessun segno di devastazione è nelle sue case e nelle sue piazze.

Scomparso il nemico, nessuna traccia è in essa della barbarie che vi si era annidata. Diversa è la sorte delle altre città liberate in mezzo alle atrocità della strage e della devastazione. Ma, laggiù, tra cumuli di rovine passano le colonne dei vincitori dietro il nemico per sempre in fuga, seguite dai carriaggi di armi e rifornimenti. Laggiù. la guerra ha oramai operato: e le strade, battute dalla morte, si aprono alle provvidenze della vita.

Da Domodossola il tedesco non è ancora lontano: e l'alleato vicino volge gli occhi su questo lembo d'Italia liberata per vedere come si comportano gli italiani, da soli, di fronte al nemico; come si governano gli italiani, da soli, di fronte alle dure necessità di una terra chiusa tra due frontiere: quella dell' odio e quella dell'amicizia. Bene si comportano gli italiani. Ad essi non mancano bravura, audacia ed assennatezza, non manca la tolleranza delle fatiche e delle privazioni.

Se mancano i treni col carico dei viveri e delle armi, il tedesco e il fascista possiedono armi e viveri, e c'è buona raccolta da fare presso di loro, e l'alleato vicino può accorgersi che l’italiano sa liberarsi anche da solo e governarsi anche da solo. Domodossola può vivere fiduciosa tra le sue brigate di partigiani, perché la mala fortuna non seminerà tra noi la dissipazione o la discordia:  i frutti maligni che la guerra dispensa, agli ambiziosi e ai predatori».

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Luigi Erba, un partigiano lissonese in Val d’Ossola

13 Août 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #storie di lissonesi

«Certo combattendo volevamo un futuro diverso. Prima di tutto abbiamo lottato per cacciare i tedeschi dal nostro paese e i fascisti che erano i loro servi; poi abbiamo lottato per creare un'Italia democratica».

 

Luigi-Erba.jpgCresciuto in una famiglia di antifascisti, Luigi, classe 1923, all’età di 21 anni era stato tra i partigiani della Repubblica dell’Ossola, con il nome di battaglia "China". Era cugino di Pierino Erba, fucilato in piazza Libertà il 16 giugno 1944. Ha trascorso diciotto mesi della sua vita sfidando il pericolo, in lotta contro i tedeschi e fascisti, in difesa della libertà.

La Repubblica dell’Ossola, nata nell’agosto del 1944, durò solamente 33 giorni. Era un vasto territorio occupato dai partigiani che diventò un vero e proprio Stato con un governo, un esercito e una capitale: Domodossola. Fu un esperimento democratico che stupì il mondo intero perché venne realizzato all’interno di un paese in guerra.

L'Ossola non fu la sola zona a liberarsi e ad autogestirsi nell'estate 1944. La sua vicenda ebbe maggiore risonanza per la vastità del territorio, l'elevato indice demografico, il notevole livello di industrializzazione, la collocazione geografica che consentiva da una parte di controllare l'importante valico ferroviario e stradale del Sempione e dall'altro di costituire per i tedeschi una potenziale minaccia sulla pianura padana tra Torino e Milano.

Nella zona liberata si costituì quel modello sperimentale di gestione della cosa pubblica che, sotto il nome di «Giunta Provvisoria di Governo dell'Ossola», seppe esercitare il suo potere in ogni settore della vita politica-amministrativa, mantenendo l’ordine pubblico nell'intero territorio.

Luigi era tornato, mentre un altro partigiano lissonese, il diciannovenne Attilio Meroni, catturato dai tedeschi in un’azione di rastrellamento, venne fucilato e il suo corpo rimase disperso tra quei monti.

Le Repubbliche partigiane si fondarono su quei principi di democrazia, libertà, giustizia, solidarietà che saranno poi inseriti nella nostra Costituzione repubblicana.

Piero Calamandrei, partigiano e membro dell'Assemblea Costituente, rivolgendosi ad un gruppo di studenti universitari milanesi, diceva:

«Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, voi giovani dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, … che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta… . Non è una carta morta, questo è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità; andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì e nata la nostra Costituzione».

In quegli articoli sono custoditi gli ideali per cui molti italiani si sono battuti, tra cui anche Luigi Erba.

Elettromeccanico presso un'azienda di Milano e a Lissone presso la tessitura Pontelambro, dipendente della ditta Arosio Prà e del mobilificio Ivm, Erba si sposa nel 1965. Morta la moglie nel 1989, l'anno dopo vende l'appartamento di via Carducci dove abitava e inforcata la bicicletta raggiunge la casa di riposo in via Don Bernasconi. E lì fissa la nuova dimora.

Riportiamo alcuni brani di un’intervista rilasciata da Luigi Erba a Livio Gatti e pubblicato su “IL CITTADINO” del 12 aprile 2003.

L'inizio della vita partigiana.

Racconta Luigi Erba: «Siamo partiti da Monza su un camion camuffati da tedeschi, direzione Milano. Avevo 20 anni. Con le ferrovie Nord siamo giunti a Varese. Su di un barcone, nottetempo, abbiamo percorso il lago Maggiore. Attraverso paesi e valli in 25 approdiamo in Val d'Ossola. In quei territori nei mesi di agosto e settembre 1944 fu istituita una repubblica partigiana, poi sopraffatta dai tedeschi. Con noi c'era il nostro comandante che parlava tedesco. Ai controlli presentava documenti falsi. La nostra giornata si svolgeva sui monti, tra i boschi. Alcune volte scendevamo nei paesi dove la gente ci proteggeva. Ma qualche delatore ci denunciava ai nemici, sia tedeschi che fascisti.

Eravamo aggregati in gruppi di una decina di partigiani. La mia era la brigata ''Antonio di Dio per la giustizia e la libertà", di ispirazione cattolica. Il nostro capo era in collegamento con il comandante partigiano Beltrami, politicamente di colore opposto al nostro. Ma si combatteva per gli stessi ideali. La nostra era vita vissuta alla macchia. Percorrevamo tutta la Val d'Ossola sino a Novara attraverso Bognanco, Villadossola, Piedimulera, Santa Maria Maggiore. Il nostro comando aveva sede a Villadossola e a Ornavasso. Nei nostri movimenti incontravamo partigiani arrivati dalla Brianza. Le armi le procuravamo con la cattura dei militari nostri nemici. A Fondo Toce 42 furono fucilati con il loro cappellano. Uno solo, ferito, riuscì a fuggire».

Attento osservatore, lettore interessato, Luigi Erba negli ultimi anni della sua vita, trascorsi alla casa di riposo di Lissone, è stato invitato in molte occasioni nelle scuole per raccontare ai ragazzi la sua vita di partigiano, accolto con interesse e curiosità.

A Luigi Erba, morto il 19 gennaio 2008, era stata consegnata la tessera onoraria dell’ANPI in occasione del “Giorno della Memoria” 2006.

 

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Attilio Meroni

13 Août 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #storie di lissonesi

Verso la metà di giugno del 1944, una folta colonna partigiana comandata dal maggiore Superti, Bruno e Adolfo Vigorelli e da Mario Morandi, inseguita e braccata da forze tedesche, sta risalendo le boscose ed infide balze della Val Grande.


(Siamo in Piemonte, sopra Verbania e Mergozzo, ancora più a nord c'è la Val Vigezzo, ed è in atto una violentissima battaglia scatenata dai nazisti per smantellare la Repubblica partigiana dell'Ossola, valle che si apre subito ad ovest). Piove forte da giorni e lungo il corso dei torrenti la grande umidità, che rassomiglia a nebbia, protegge la marcia del gruppo… Giunta in prossimità dell'Alpe Portaiola, si dispone in fila indiana, scende il versante e si avvicina alle baite sperando di trovarvi cibo e ristoro. Qui i tedeschi, prevedendone il passaggio, le hanno teso un'imboscata acquattandosi più a monte, al riparo di alcuni ricoveri. Approfittano di un improvviso diradarsi della nebbia, aprono un micidiale fuoco di mitragliatrici e fanno letteralmente strage di partigiani: tra morti e feriti, subito finiti col colpo di grazia, rimangono sul terreno non meno di trenta uomini. Chi miracolosamente si salva, i feriti leggeri, soprattutto gli ultimi della colonna che, all'apertura del fuoco, si trovavano lontani, ancora al di là del torrente Val Grande, si disperdono in una fuga convulsa. Qualcuno è scovato e finito nei setacciamenti subito messi in atto, qualcun altro vaga disperato alla ricerca di un rifugio, di bacche e di acqua per sopravvivere, tentando di superare i Corni di Nibbio, in direzione dei paesini di Colloro e Premosello, dove può essere aiutato dalla gente del luogo. Un gruppo più numeroso, invece, con i fratelli Vigorelli e il Morandi in testa, raggiunge all'alba del giorno seguente l'alpeggio Casarolo dove già si erano rifugiati quattro scampati al massacro della Portaiola. Mentre tutti assieme si stanno sfamando con latte e formaggio dentro una baita, un reparto tedesco li circonda e piomba loro addosso non lasciando nessuna possibilità di reazione e pochissime vie di scampo. I partigiani escono con le mani alzate, i tedeschi li raggruppano contro un muro e li sterminano.



 

Tra questi morti giace anche Attilio Meroni (con molta probabilità il suo nome di battaglia è "Carlo"), abitava coi suoi in Via Parini ed ha appena compiuto i 19 anni. Non ha risposto a nessuna chiamata di leva repubblichina, e si è dato alla macchia condividendo la vita dei partigiani sui monti. I documenti ufficiali lo registrano caduto "in combattimento all'Alpe Portaiola di Val Grande il 23 di giugno", ma in quella data si è consumato l'eccidio dell'Alpe Casarolo. Non ha molta importanza, ora, ricercare l'estrema verità, ci basti sapere che è morto lassù, o alla Portaiola o alla Casarolo, nel corso di uno tra i più sanguinosi scontri mai avvenuti tra partigiani e nazisti. Per quanto ne sappiamo, il suo corpo non è mai stato ritrovato. (da “E questa fu la storia” di Silvano Lissoni)

 


Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l'aride montagne,
cercando libertà tra rupe e rupe,
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case, scuole ed officine,
mutammo in caserme le vecchie cascine,
armammo le mani di bombe e mitraglia,
temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.

Siamo i ribelli della montagna,
viviam di stenti e di patimenti,
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell'avvenir.
Ma quella legge che ci accompagna
sarà la fede dell'avvenir.

 

 

 

Dalle belle città (Siamo i ribelli della montagna), venne composta nel marzo del 1944 sull'Appennino ligure-piemontese, nella zona del Monte Tobbio, dai partigiani del 5° distaccamento della III Brigata Garibaldi "Liguria" dislocati alla cascina Grilla con il comandante Emilio Casalini "Cini".

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